Cass.Pen. Sez. III n. 35847 del 28 agosto 2023 (UP 10 mag 2023)
Pres. Ramacci Rel. Reynaud Ric. Negri
Caccia e animali.Collare da addestramento e maltrattamento di animali
Il collare da addestramento è suscettibile di provocare scosse elettriche (e quindi dolore all’animale) nel solo caso di utilizzo attraverso un apposito comando azionato a distanza, sicché, per ritenere l’integrazione del reato occorre dimostrare il concreto utilizzo dell’apparecchio in modalità produttiva di scossa elettrica con conseguente produzione delle gravi sofferenze inflitte all’animale
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 16 settembre 2022, il Tribunale di Treviso ha condannato Alex Negri alla pena di euro 3.000 di ammenda per il reato di cui all’art. 727 cod. pen.
2. A mezzo del difensore fiduciario l’imputato ha proposto ricorso per cassazione deducendo, con due motivi – in parte sovrapponibili – il vizio di motivazione, anche per travisamento della prova, e la violazione della legge incriminatrice.
In particolare, il ricorrente lamenta che la sentenza si fondi su una prova inesistente – o comunque travisata – avendo erroneamente ritenuto che il collare apposto al cane dell’imputato fosse un collare c.d. “no bark” piuttosto che un collare da allenamento. L’errore – indotto dalle affermazioni del teste escusso – emergerebbe dal fatto che il collare in sequestro reca un codice riconducibile alla seconda tipologia di collari e non alla prima. Ne risulta quindi scardinata la tenuta logica della sentenza, che ha ravvisato la penale responsabilità ritenendo che, al momento del controllo, l’animale portasse un collare “no bark”, automaticamente produttivo di scosse elettriche all’abbaiare dell’animale e, dunque, incompatibile con la sua natura e produttivo di gravi sofferenze. Per contro – allega il ricorrente – il collare apposto al cane poteva essere attivato, con diverse funzionalità, soltanto con un comando a distanza, nel caso di specie mai utilizzato per indurre scosse elettriche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile perché generico, manifestamente infondato e proposto per ragioni non consentite.
2. Richiamando la prova testimoniale dell’ufficiale di polizia giudiziaria che ebbe a ritrovare, disperso, il cane dell’imputato – prova non illogicamente ritenuta attendibile – la sentenza ricostruisce il fatto nel senso che, al momento del controllo, l’animale portasse un collare antiabbaio (c.d. “no bark”), provvisto di due pioli di metallo a contatto diretto con il collo, i quali emettevano scosse elettriche ad ogni vibrazione delle corde vocali, con conseguente dolore, così di fatto impedendo al cane di abbaiare. Il teste – attesta la sentenza – ha verificato che quella funzionalità del collare era attiva al momento del controllo e, rilevando il codice impresso sul collare medesimo (poi sottoposto a sequestro), ha acquisito il relativo manuale d’uso che confermava quell’automatico funzionamento.
Facendo buon governo degli insegnamenti ricavabili dalle pronunce di questa Corte, la sentenza ha conseguente ritenuto la sussistenza della contestata contravvenzione (in termini, cfr., ad es., Sez. 3, n. 3290 del 03/10/2017, dep. 2018, n. m.; per un’interpretazione più rigorosa, che ha ravvisato addirittura la sussistenza del delitto di cui all’art. 544 ter cod. pen., cfr. Sez. 3, n. 15061 del 24/01/2007, Sarto, Rv. 236335).
3. Il ricorrente non contesta tale interpretazione – condivisa dal Collegio – ma, come rilevato, deduce il vizio di travisamento della prova, sostenendo che nella specie non si tratterebbe di un collare antiabbaio, bensì di un collare da addestramento, suscettibile di provocare scosse elettriche (e quindi dolore all’animale) nel solo caso di utilizzo attraverso un apposito comando azionato a distanza, sicché, in conformità all’orientamento di questa Corte, per ritenere l’integrazione del reato occorreva dimostrare il concreto utilizzo dell’apparecchio in modalità produttiva di scossa elettrica con conseguente produzione delle gravi sofferenze inflitte all’animale (cfr., da ultimo, Sez. 3, n. 10758 del 11/02/2021, Spaccapeli, Rv. 281328).
4. La doglianza, reputa il Collegio, poggia, tuttavia, su un’eccezione di travisamento della prova – e di conseguente manifesta illogicità della motivazione – non dimostrata, che si risolve in una contestazione della ricostruzione del fatto in questa sede inammissibile.
Il ricorrente – il quale neppure allega di aver specificamente sottoposto al giudice di merito la censura proposta in ricorso – addirittura richiede, in questa sede, che la cancelleria del tribunale provveda alla “allegazione” del collare in sequestro in modo tale, par di capire, da consentire a questa Corte di effettuare un accertamento in fatto che le è sicuramente precluso. Per contro, la sentenza impugnata si è doverosamente confrontata con l’indirizzo ermeneutico affermato nella sentenza invocata dal ricorrente e da ultimo richiamata, ma ne ha escluso l’applicabilità al caso di specie attestando che il collare portato dall’animale dell’imputato non apparteneva alla tipologia di quelli suscettibili d’essere comandati a distanza – per i quali soltanto è necessario accertare se gli stessi siano stati o meno azionati al fine di verificare la concreta produzione di gravi sofferenze – bensì, appunto, a quelli che determinavano in automatico scosse elettriche al latrare del cane. Con giudizio di fatto sorretto da non illogica motivazione – non specificamente contestata – la sentenza (pag. 3) argomenta inoltre le ragioni che inducevano a ritenere come, nel non breve tempo in cui il cane si era allontanato dal padrone, percorrendo almeno 7-8 Km. e vagando in strada sì da ostacolare il traffico, lo stesso aveva ragionevolmente abbaiato, così azionando gli impulsi elettrici produttivi di quelle gravi sofferenze che certamente integrano il contestato reato di detenzione dell’animale in condizioni incompatibili con la sua natura.
5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., oltre all'onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della cassa delle ammende della somma equitativamente fissata in Euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 10 maggio 2023.