Cass. Sez. III n. 13645 del 21 marzo 2017 (Ud. 7 dic 2016)
Presidente: Amoresano Estensore: Di Nicola Imputato: Montesi
Caccia e animali.Esercizio di caccia in periodo di divieto generale

Il reato di esercizio di caccia in giorni di silenzio venatorio, di cui all'art. 30, lett. f), L. n. 157 del 1992, presuppone che la condotta avvenga durante il regolare periodo di apertura, rimamendo pertanto assorbito dalla contravvenzione di cui alla lettera a) del predetto art. 30, ove commesso in periodo di caccia chiusa.

RITENUTO IN FATTO

1. M.A. ricorre per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale il tribunale di Terni lo ha condannato, con la concessione delle attenuanti generiche, alla pena di Euro 2000 di ammenda per il reato previsto dagli artt. 81-110 c.p., L. n. 157 del 1992, art. 30, comma 1, lett. a), f) e h) perchè, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, esercitava la caccia in periodo di divieto generale, intercorrente tra la data di chiusura e la data di apertura stabilita dall'art. 18 della cit. legge, in un giorno di silenzio venatorio (martedì e venerdì), con mezzi vietati (trappola), catturando un esemplare di fauna selvatica (cinghiale). Accertato in (OMISSIS) il (OMISSIS).

2. Per l'annullamento dell'impugnata sentenza il ricorrente solleva tre motivi di impugnazione, qui enunciati ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p. nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

Con essi il ricorrente lamenta innanzitutto l'inosservanza e l'erronea applicazione della legge penale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b)) sul rilievo che egli è stato ritenuto responsabile, in continuazione, della violazione di due distinti titoli di reato della L. n. 157 del 1992, art. 30, comma 1), pur essendo i fatti oggetti risalenti al (OMISSIS) ovvero ad un giorno nel quale vi era effettivamente il divieto di caccia al cinghiale e dunque risultava astrattamente configurabile il reato di cui alla L. n. 157 del 1992, art. 30, comma 1, lett. a), tuttavia, se in tale giorno vi era il divieto generale caccia al cinghiale, tale divieto escludeva ontologicamente che in quello stesso giorno potesse sussistere anche il silenzio venatorio per la predetta tipologia di caccia. Siccome il divieto generale caccia al cinghiale, assorbe implicitamente il relativo silenzio venatorio, la loro contestazione congiunta deve ritenersi illegittima e quindi anche la condanna pronunciata sul punto (primo motivo); denuncia, poi, la contraddittorietà e la mancanza di motivazione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e)) sul rilievo che la sentenza impugnata risulta caratterizzata da un vizio di motivazione su un aspetto decisivo ai fini dell'affermazione di responsabilità, in quanto l'imputato è stato condannato per aver esercitato la caccia in periodo di divieto generale, in un giorno di silenzio venatorio e con mezzi vietati, catturando un esemplare di fauna selvatica e tuttavia nè dall'istruttoria dibattimentale, nè dalle ovviamente del provvedimento gravato emergerebbe alcuna prova e conseguente dimostrazione che il ricorrente avesse effettivamente tenuto una simile condotta (secondo motivo); deduce, infine, la mancanza di motivazione su un punto decisivo per il giudizio, essendo stato condannato per fattispecie criminose per le quali risulta applicabile l'art. 131-bis c.p. e la difesa, nelle conclusioni rassegnate all'udienza del 1 aprile 2016, ne aveva chiesto, sia pure in via subordinata il riconoscimento, senza che in motivazione vi sia alcun cenno a tale richiesta e siano state indicate le ragioni del mancato riconoscimento (terzo motivo).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato sulla base del primo motivo.

2. Il secondo motivo è inammissibile perchè con esso il ricorrente solleva censure di merito, il cui esame non è consentito in sede di sindacato di legittimità.

Con logica ed adeguata motivazione, priva di vizi di manifesta illogicità, il tribunale ha ritenuto la penale responsabilità dell'imputato sulla base degli accertamenti di polizia giudiziaria, ivi compresi i rilievi fotografici, comprovanti i fatti oggetto dell'imputazione, e sulla base delle testimonianze rese dagli ufficiali del corpo forestale dello Stato (pagine 1, 2 e 3 della motivazione della sentenza impugnata), con la conseguenza che la ricostruzione operata con il motivo di ricorso, oltre a non tenere conto della ratio decidendi, introduce elementi di fatto il cui ingresso è precluso nel giudizio di legittimità.

3. Il terzo motivo è infondato perchè, alla data dell'udienza dibattimentale di conclusione del processo, l'art. 131-bis c.p. non era stato introdotto nel codice penale, non essendo ancora entrato in vigore, perchè non ancora cessata la vacatio legis, il D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 64 del 18/3/2015 ed entrato in vigore il 2 aprile 2015, cosicchè il tribunale non aveva alcun onere di motivazione in proposito.

La questione potrebbe tuttavia essere rilevata di ufficio dal giudice di legittimità, come è stato più volte affermato da questa Corte (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266593), tuttavia, in considerazione della pluralità delle violazioni commesse, unificate, come nella specie, dal vincolo della continuazione, l'applicazione della causa di non punibilità appare, in diritto, preclusa (Sez. 3, n. 43816 del 01/07/2015, Amodeo, Rv. 265084).

3. Il primo motivo è invece fondato.

Quanto ai rapporti intercorrenti tra la fattispecie L. n. 157 del 1992, ex art. 30, comma 1, lett. a) (caccia praticata in periodo di divieto generale) e quella prevista dalla lett. f) del cit. articolo (caccia praticata nei giorni di silenzio venatorio), deve ritenersi che, nel caso in cui il reato venatorio sia stato commesso in periodo di caccia chiusa e, quindi, di divieto generale di caccia, sussiste il reato di cui all'art. 30, lett. a) della citata legge e non quello di cui alla lett. f) del cit. articolo, che presuppone l'esercizio della caccia in regolare periodo di apertura, nell'ambito del quale nei giorni di martedì e venerdì deve osservarsi il "silenzio venatorio".

Ne consegue l'inconfigurabilità di un concorso di reati tra le due fattispecie, aventi la medesima oggettività giuridica e la prima (quella cioè di cui all'art. 30, lett. a)), da sola, esaurisce completamente il contenuto antigiuridico del fatto commesso dall'agente con un'unica azione (aver esercitato la caccia in periodo di divieto generale e, quindi, di silenzio venatorio assoluto) sicchè, nell'ipotesi di caccia che avvenga, come nel caso in esame, sia in periodo di silenzio venatorio, sia di divieto generale non sarà configurabile il concorso tra i due reati, ma potrà essere integrata solo la contravvenzione, di maggiore gravità, di cui alla L. n. 157 del 1992, art. 30, lett. a), che assorbe del tutto, contenendola, la contravvenzione di cui alla lett. f) del cit. articolo.

La sentenza impugnata va pertanto annullata con rinvio dovendo la pena essere rideterminata per via dell'assorbimento del reato di cui alla L. n. 157 del 1992, art. 30, lett. f) in quello di cui alla lett. a) dello cit. articolo, con rigetto, nel resto, del ricorso.

P.Q.M.

Ritenuto assorbito il reato di cui alla L. n. 157 del 1992, art. 30, lett. f) in quello di cui all'art. 30, lett. a) cit. legge, annulla sul punto la sentenza impugnata e rinvia al tribunale di Terni per la rideterminazione della pena.

Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2016.