Corte Cost.le sent. 332 del 19 ottobre 2006
Caccia - Norme della Regione Emilia-Romagna - Calendario venatorio -Previsione di deroghe alla Direttiva U.E. 79/409 relativa all'esercizio della caccia nei confronti delle specie protette, nonché ai limiti temporali previsti dall'art. 18 della legge n. 157 del1992.
SENTENZA N. 332
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
-
Franco
BILE
Presidente
- Giovanni Maria
FLICK
Giudice
- Francesco
AMIRANTE
"
-
Ugo
DE
SIERVO
"
-
Paolo
MADDALENA "
-
Alfio
FINOCCHIARO "
-
Alfonso
QUARANTA
"
-
Franco
GALLO
"
-
Luigi
MAZZELLA
"
-
Gaetano
SILVESTRI "
-
Sabino
CASSESE
"
- Maria Rita
SAULLE
"
-
Giuseppe
TESAURO
"
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1,
comma 5, dell'art. 3, commi 1, lettera d), 2 e 3, dell'art. 4, commi 2,
lettera c), 4 e 5, dell'art. 6, comma 4, e dell'art. 9, comma 5, della
legge della Regione Emilia-Romagna 12 luglio 2002, n. 14 (Norme per la
definizione del calendario venatorio regionale), promosso con ordinanza
del 30 luglio 2004 dal Tribunale amministrativo regionale
dell'Emilia-Romagna, sul ricorso proposto dalla Lega italiana per
l'abolizione della caccia (L.A.C.) ed altra contro la Regione
Emilia-Romagna ed altri, iscritta al n. 1018 del registro ordinanze
2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima
serie speciale, dell'anno 2005.
Visto l'atto di costituzione della
Regione Emilia-Romagna;
udito nell'udienza pubblica del 4 luglio
2006 il Giudice relatore Maria Rita Saulle;
udito l'avvocato Maria Chiara Lista per
la Regione Emilia-Romagna.
Ritenuto in fatto
1.– Il Tribunale
amministrativo regionale dell'Emilia-Romagna, con ordinanza del 30
luglio 2004, ha sollevato, in riferimento agli artt. 97, primo comma, e
117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 5, dell'art.
3, commi 1, lettera d), 2 e 3, dell'art. 4, commi 2, lettera c), 4 e 5,
dell'art. 6, comma 4, e dell'art. 9, comma 5, della legge della Regione
Emilia-Romagna 12 luglio 2002, n. 14 (Norme per la definizione del
calendario venatorio regionale).
Premette il rimettente che il giudizio a
quo ha ad oggetto l'impugnazione di tre delibere emesse dalla Giunta
provinciale di Bologna e dalla Giunta regionale dell'Emilia-Romagna in
esecuzione della legge impugnata, di talché l'eventuale
dichiarazione di incostituzionalità di quest'ultima
determinerebbe la illegittimità derivata delle cennate
delibere.
In punto di non manifesta infondatezza,
il TAR rimettente, dopo aver richiamato la giurisprudenza di questa
Corte, secondo la quale in materia di «tutela
dell'ambiente» lo Stato nel dettare standard di tutela
uniformi sull'intero territorio nazionale può anche incidere
sulle competenze legislative regionali, rileva che tali standard
– nei quali si devono ricomprendere sia l'elencazione delle
specie cacciabili, sia la disciplina delle modalità della
caccia – devono essere individuati, per quanto attiene alla
salvaguardia della fauna selvatica, nel complesso delle disposizioni di
cui alla legge statale 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la
protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).
Alla luce di tali premesse, a parere del
giudice a quo, la legge regionale impugnata contrasterebbe con i
parametri costituzionali evocati, in quanto introdurrebbe per la fauna
selvatica una disciplina dell'esercizio dell'attività
venatoria difforme e peggiorativa rispetto a quella prevista dalla
legge n. 157 del 1992.
In particolare, l'art. 1, comma 5, nella
parte in cui autorizza, sulla base di specifiche direttive regionali,
le aziende faunistico-venatorie alla caccia alla volpe, violerebbe il
divieto di immissione e di abbattimento di fauna selvatica non di
allevamento, comprendente quello della caccia alla volpe, previsto per
le suddette aziende dall'art. 16, comma 1, lettera b), della legge n.
157 del 1992.
A parere del rimettente il successivo
art. 3, commi 1, lettera d), 2 e 3, nella parte in cui disciplinano il
periodo e le modalità in cui è consentita la
caccia di ungulati violerebbe gli artt. 18 e 21, comma 1, lettera m),
della legge n. 157 del 1992. In particolare, la disposizione impugnata
consentirebbe, diversamente dalle norme statali indicate, la caccia
agli ungulati per un periodo superiore e su terreni coperti in tutto o
in parte di neve.
Oggetto di apposita impugnazione
è, altresì, l'art. 4, comma 2, lettera c), che,
nel prevedere, dal 1° ottobre al 30 novembre, la fruizione di
ulteriori due giornate a settimana per la caccia da appostamento alla
fauna selvatica migratoria, secondo il rimettente, violerebbe l'art.
18, comma 6, della legge n. 157 del 1992 che consente alle regioni di
derogare al numero di giornate di caccia settimanali ma solo a seguito
di una preventiva «valutazione necessariamente
congrua» dell'Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica
(INFS) che, nel caso in esame, risulta carente.
A parere del giudice a quo anche l'art.
4, commi 4 e 5, e l'art. 6, comma 4, nella parte in cui fissano per la
tortora e la beccaccia un limite di capi abbattibili giornalmente e
nell'arco della stagione venatoria superiore a quello suggerito
dall'INFS, si porrebbero in contrasto con l'esigenza di conservazione
della fauna selvatica indicata all'art. 1, comma 2, della legge
nazionale citata.
Infine, l'art. 9, comma 5, nella parte
in cui, con riguardo alla fauna selvatica migratoria, prevede che
l'annotazione sul tesserino venatorio sia fatta al termine della
giornata di caccia, anziché dopo ogni singolo abbattimento,
introdurrebbe, a parere del rimettente, un sistema di annotazione
inidoneo a consentire il perseguimento delle finalità
proprie del tesserino medesimo, vanificando di fatto il controllo sugli
abbattimenti compiuti, in violazione degli artt. 7 e 10 della legge n.
157 del 1992.
2.– Si è costituita
la Regione Emilia-Romagna chiedendo che la questione sollevata sia
dichiarata inammissibile e, comunque, infondata.
In via preliminare, la Regione rileva,
quanto alle censure concernenti «i tempi e le
modalità dei prelievi in selezione degli
ungulati», la sopravvenuta modifica del quadro normativo
operata dall'art. 11-quaterdecies del decreto-legge 30 settembre 2005,
n. 203 (Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti
in materia tributaria e finanziaria), convertito in legge, con
modificazioni, dall'art. 1 della legge 2 dicembre 2005, n. 248, che
espressamente consente alle regioni, sulla base di adeguati piani di
abbattimento selettivi, «di regolamentare il prelievo di
selezione degli ungulati appartenenti alle specie cacciabili anche al
di fuori dei periodi e degli orari di cui alla legge11 febbraio 1992,
n. 157».
Nel merito, la Regione osserva che le
norme impugnate, aventi ad oggetto il prelievo degli ungulati, non
violano alcuno dei principi fissati dalla legge n. 157 del 1992 e, in
particolare, il calendario venatorio da essa disciplinato.
La Regione rileva, infatti, che l'art. 3
impugnato prevede per gli ungulati una “caccia di
selezione”, diversa dalla “caccia
programmata” posta a fondamento del calendario venatorio di
cui alla legge n. 157 del 1992. Tale diversa disciplina trova
giustificazione, sempre a parere della Regione, nel fatto che
la specie degli ungulati, stante anche il suo costante aumento, non
rientra tra quelle protette indicate nella suddetta legge statale. A
sostegno di ciò, la Regione osserva che il decreto-legge n.
203 del 2005 ha previsto la possibilità di abbattimento di
tali animali anche al di fuori dei periodi e degli orari fissati dalla
legge n. 157 del 1992.
Quanto alla pretesa
illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 5, dell'art.
4, comma 2, lettera c), e dell'art. 9, comma 5, la Regione evidenzia
che tali disposizioni rappresenterebbero, diversamente da quanto
sostenuto dal rimettente, applicazione equilibrata dei principi del
calendario venatorio regionale da sempre praticati sulla base della
tradizione venatoria locale, nonché esplicazione della
potestà legislativa regionale in materia di organizzazione
dell'esercizio venatorio.
Infine, anche l'ultima censura,
concernente i carnieri giornalieri e stagionali ammessi per la tortora
e la beccaccia, sarebbe infondata in quanto anche in tale caso
ricorrerebbe una valutazione che, rispettosa delle tradizioni locali e
della consistenza faunistica del territorio, sarebbe esercizio della
competenza legislativa regionale in materia di caccia.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale
amministrativo regionale dell'Emilia-Romagna dubita, in riferimento
agli artt. 97, primo comma, e 117, secondo comma, lettera s), della
Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 1,
comma 5, dell'art. 3, commi 1, lettera d), 2 e 3, dell'art. 4, commi 2,
lettera c), 4 e 5, dell'art. 6, comma 4, e dell'art. 9, comma 5, della
legge della Regione Emilia-Romagna 12 luglio 2002, n. 14 (Norme per la
definizione del calendario venatorio regionale).
Le norme impugnate, a parere del
rimettente, sarebbero in contrasto con i parametri costituzionali
evocati e, in particolare, con la legge statale 11 febbraio 1992, n.
157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il
prelievo venatorio), che fissa il nucleo minimo di salvaguardia della
fauna selvatica valido per l'intero territorio nazionale e, pertanto,
riservato alla competenza esclusiva dello Stato (ex plurimis: sentenze
n. 311 del 2003 e n. 536 del 2002).
2.– Il rimettente ha impugnato
l'art. 3, commi 1, lettera d), 2 e 3, nella parte in cui, da un lato,
amplia il calendario venatorio previsto per gli ungulati dall'art. 18
della legge n. 157 del 1992, e, dall'altro, ne consente la caccia anche
su terreni coperti in tutto o in parte di neve, in violazione del
divieto sancito all'art. 21, comma 1, lettera m), della legge n. 157
del 1992.
Con riferimento a tale questione va
rilevato che – successivamente all'emanazione dell'ordinanza
di rimessione – è intervenuto l'art.
11-quaterdecies, comma 5, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203
(Misure di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in
materia tributaria e finanziaria), convertito in legge, con
modificazioni, dall'art. 1 della legge 2 dicembre 2005, n. 248, il
quale ha previsto che le regioni possono, sulla base di adeguati piani
di abbattimento selettivi, regolare il prelievo di selezione degli
ungulati appartenenti alle specie cacciabili anche al di fuori dei
periodi e degli orari di cui alla legge n. 157 del 1992.
Stante l'innovazione legislativa, va
disposta, in via preliminare, e limitatamente a tale questione, la
restituzione degli atti al Tribunale amministrativo regionale
dell'Emilia-Romagna, affinché lo stesso valuti la rilevanza
e la non manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale sulla base dello ius superveniens.
3.– In via preliminare, deve
essere dichiarata, per le restanti norme impugnate,
l'inammissibilità delle censure per contrasto con l'art. 97
della Costituzione e, in particolare, con i principi di buon andamento
e imparzialità dell'amministrazione. Tali censure, infatti,
risultano sommarie e meramente assertive, così
contraddicendo l'esigenza di una adeguata motivazione a sostegno della
impugnativa.
4.– La questione relativa
all'art. 1, comma 5, non è fondata.
Tale norma viene impugnata nella parte
in cui prevede che le aziende faunistico-venatorie ed agri-turistico
venatorie provvedono ad abbattere gli ungulati «in base alle
vigenti direttive regionali relative alla gestione delle Aziende
medesime ed al vigente regolamento regionale concernente la gestione
faunistico-venatoria».
A parere del rimettente la disposizione
in esame, nell'autorizzare la caccia di fauna selvatica non di
allevamento nelle aziende sopra indicate, si porrebbe in contrasto con
l'art. 16, primo comma, lettera b), della legge n. 157 del 1992, nella
parte in cui prevede che nelle suddette aziende è possibile
immettere ed abbattere la sola fauna selvatica di allevamento, con
conseguente violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della
Costituzione.
Orbene, poiché la norma
impugnata si limita a rinviare, quanto alla definizione della
disciplina della caccia all'interno delle aziende faunistico-venatorie,
ad un regolamento e a direttive regionali, essa risulta priva di
autonomo carattere precettivo e inidonea ad incidere sul riparto delle
competenze legislative fissato dall'art. 117 della Costituzione.
5.– La questione relativa
all'art. 4, comma 2, lettera c), non è fondata.
Il giudice a quo ritiene che tale
disposizione violi l'art. 117, secondo comma, lettera s), della
Costituzione, nella parte in cui prevede, dal 1° ottobre al 30
novembre, ulteriori due giornate settimanali per la caccia alla fauna
migratoria da appostamento, senza che tale concessione sia subordinata
ad una valutazione necessariamente congrua del parere dell'Istituto
Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS), richiesto dall'art. 18, comma
6, della legge n. 157 del 1992.
Tale censura si fonda su di un erroneo
presupposto interpretativo.
L'art. 18 richiamato, infatti, al comma
5, stabilisce il limite di tre giornate di caccia settimanali
prevedendo, al successivo comma 6, la possibilità per le
regioni di derogare a tale limite nel periodo dal 1° ottobre al
30 novembre «sentito» l'INFS e tenuto conto delle
consuetudini locali.
Risulta da ciò che,
contrariamente a quanto sostenuto dal rimettente, la norma statale
evocata prevede una mera interlocuzione tra l'ente territoriale e
l'INFS, senza che il parere da quest'ultimo espresso si possa
considerare vincolante per la Regione ai fini dell'esercizio legittimo
della deroga.
6.– La questione afferente
all'art. 4, commi 4 e 5, e all'art. 6, comma 4, è
manifestamente inammissibile.
Il rimettente dubita della
legittimità costituzionale delle norme regionali cennate,
nella parte in cui fissano, per determinate specie animali, un limite
di capi abbattibili superiore a quello desumibile da un richiamato
parere dell'INFS e dall'art. 1, comma 2, della legge n. 157 del 1992.
Quanto al denunciato contrasto con il
parere dell'INFS, va rilevato che esso non indica in termini di
certezza alcun limite quantitativo dei capi abbattibili, limitandosi a
suggerire l'opportunità di una riduzione degli stessi.
Anche il richiamo fatto dal rimettente
all'art. 1, comma 2, della legge n. 157 del 1992, è
inconferente, in quanto questo prevede soltanto che
«l'esercizio dell'attività venatoria è
consentito purché non contrasti con l'esigenza di
conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle
produzioni agricole».
Risulta, quindi, che sia il parere che
la norma sopra indicati enunciano esclusivamente principi di ordine
generale, senza precisare il numero massimo dei capi abbattibili. Il
rimettente ha omesso di indicare sotto quale profilo, in concreto, le
norme impugnate violino i suddetti principi ed ha posto, pertanto, una
questione del tutto immotivata sul requisito della manifesta
infondatezza.
7.– La questione relativa
all'art. 9, comma 5, non è fondata.
Il rimettente ritiene che la norma
impugnata nel prevedere l'annotazione dei capi abbattuti sul tesserino
venatorio al termine della giornata di caccia, anziché dopo
ogni singolo abbattimento, non consentirebbe il controllo sugli
abbattimenti compiuti, così violando gli artt. 7 e 10 della
legge n. 157 del 1992 e, conseguentemente, l'art. 117, secondo comma,
lettera s), della Costituzione.
In proposito va rilevato che, quanto
alla disciplina del tesserino di caccia, il legislatore statale si
è limitato ad indicare all'art. 12, comma 12, della legge n.
157 del 1992, che «Ai fini dell'esercizio
dell'attività venatoria è altresì
necessario il possesso di un apposito tesserino rilasciato dalla
regione di residenza, ove sono indicate le specifiche norme inerenti al
calendario regionale, nonché le forme di cui al comma 5 e
gli ambiti territoriali di caccia ove è consentita
l'attività venatoria», senza dettare alcuna
prescrizione sulle modalità dell'annotazione del capo
abbattuto.
La norma regionale impugnata, pertanto,
non si pone in contrasto con le norme statali richiamate dal
rimettente, limitandosi a disciplinare aspetti strettamente attinenti
all'attività venatoria, espressione della potestà
legislativa residuale della regione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina, in relazione alle questioni di
legittimità costituzionale dell'art. 3, commi 1, lettera d),
2 e 3, della legge della Regione Emilia-Romagna n. 14 del 2002,
sollevate, in riferimento all'art 117, secondo comma, lettera s), della
Costituzione, la restituzione degli atti al Tribunale amministrativo
regionale dell'Emilia-Romagna;
dichiara la manifesta
inammissibilità delle questioni di legittimità
costituzionale dell'art. 1, comma 5, dell'art. 4, commi 2, lettera c),
4 e 5, dell'art. 6, comma 4, e dell'art. 9, comma 5, della legge della
Regione Emilia-Romagna 12 luglio 2002, n. 14 (Norme per la definizione
del calendario venatorio), sollevate, in riferimento all'art. 97, primo
comma, della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe;
dichiara la manifesta
inammissibilità delle questioni di legittimità
costituzionale dell'art. 4, commi 4 e 5, e dell'art. 6, comma 4, della
legge della Regione Emilia-Romagna n. 14 del 2002, sollevate, in
riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera s), della
Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 5, dell'art.
4, comma 2, lettera c), e dell'art. 9, comma 5, della legge della
Regione Emilia-Romagna n. 14 del 2002, sollevate, in riferimento
all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, con
l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella
sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 ottobre
2006.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Maria Rita SAULLE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 19 ottobre 2006.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
Caccia e animali. Specie protette
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