Consiglio di Stato Sez. VI n. 4 del 3 gennaio 2022
Urbanistica.Impianto serricolo
Un impianto serricolo, in quanto tale, è estraneo al regime della concessione qualora sia funzionale allo svolgimento dell'attività agricola e non abbia “requisiti di stabilità o di rilevante consistenza, tali da alterare in modo duraturo l'assetto urbanistico-ambientale
Pubblicato il 03/01/2022
N. 00004/2022REG.PROV.COLL.
N. 04147/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4147 del 2020 proposto dalla signora Giuseppina Lisita, rappresentata e difesa dagli avvocati Alfredo Messina e Laura Messina, domiciliata presso l’indirizzo PEC come da Registri di giustizia;
contro
il Comune di Ercolano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Nicola Mainelli, domiciliato presso l’indirizzo PEC come da Registri di giustizia ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato Alfredo Pieretti in Roma, via Di Priscilla, n. 106/A;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sez. III, 9 marzo 2020 n. 1035, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Ercolano nonché i documenti prodotti;
Vista l’ordinanza della Sezione 13 luglio 2020 n. 4177;
Esaminate le ulteriori memorie, anche di replica, depositate;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del 8 luglio 2021 (svolta nel rispetto del Protocollo d’intesa sottoscritto in data 15 settembre 2020 tra il Presidente del Consiglio di Stato e le rappresentanze delle Avvocature avvalendosi di collegamento da remoto, ai sensi dell’art. 4, comma 1, d.l. 30 aprile 2020, n. 28 convertito, con modificazioni, dalla l. 25 giugno 2020, n. 70, e dell’art. 25, comma 2, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario generale della Giustizia amministrativa) il Cons. Stefano Toschei;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Con ricorso in appello n. R.g. 4147/2020 la signora Giuseppina Lisita ha chiesto a questo Consiglio la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sez. III, 9 marzo 2020 n. 1035, con la quale è stato in parte respinto e in parte dichiarato improcedibile il ricorso (R.g. n. 4840/2017), accompagnato da motivi aggiunti, proposto dalla predetta ai fini dell’annullamento dei seguenti atti e provvedimenti: (con il ricorso introduttivo) a) dell'ordinanza dirigenziale n. 31 del 18 settembre 2017 di ingiunzione a demolire opere abusivamente realizzate; b) della relazione dei Carabinieri e del tecnico comunale del 6 aprile 2017 recepita per relationem nell’atto impugnato; (con il primo ricorso recante motivi aggiunti) c) del silenzio rigetto, ai sensi dell’art. 36 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 sull'istanza di accertamento di conformità prot. n. 62696 del 18 dicembre 2017; (con il secondo ricorso recante motivi aggiunti) d) del provvedimento prot. n. 16658 del 19 marzo 2019 col quale il Responsabile dell'Ufficio paesaggio ha dichiarato non accoglibile l'istanza di sanatoria prot. n. 62696 del 18 dicembre 2017; e) del preavviso di diniego ex art. 10-bis l. 7 agosto 1990, n. 241 prot. n. 52382 del 24 settembre 2018; f) dei presupposti pareri della Commissione edilizia e dalla Commissione locale del 27 giugno 2018, trascritti nel suindicato preavviso di diniego.
2. – La vicenda che fa da sfondo al presente contenzioso in grado di appello può essere sinteticamente ricostruita sulla scorta dei documenti e degli atti prodotti dalle parti controvertenti nei due gradi di giudizio nonché da quanto sintetizzato nella parte in fatto della sentenza qui oggetto di appello, come segue:
- la signora Giuseppina Lisita ha realizzato, su un fondo di sua proprietà nel Comune di Ercolano, delle opere, che originariamente erano destinate a serre, consistenti in strutture per il parcheggio, con una rampa di accesso dal Corso Umberto I e relativo varco munito di cancello, sorretto da due pilastrini scatolari metallici;
- in seguito ad un sopralluogo svolto in data 6 aprile 2017 dai Carabinieri del locale Comando con il tecnico comunale, si rilevò l’abusività delle opere realizzate per lo svolgimento dell’attività di parcheggio nonché l’assenza di autorizzazione per l’attività commerciale esercitata;
- il Comune di Ercolano, di conseguenza e sulla scorta delle risultanze del verbale di accertamento di cui sopra, ingiunse la demolizione delle opere realizzate con ordinanza n. 31 del 18 settembre 2017, che venne impugnata dalla odierna appellante con ricorso dinanzi al TAR per la Campania, evidenziando la piena legittimità edilizia e commerciale delle due ex serre adibite a parcheggio, l’intervenuta sanatoria edilizia e paesaggistica della rampa e del varco di accesso da Corso Umberto I e, comunque, la non necessità del rilascio di un permesso di costruire per l’apposizione del cancello di chiusura al varco, dello strato di ghiaia sotto le due serre adibite a parcheggio e per lo strato di asfalto dinanzi all’abitazione (della signora Lisita) per l’accesso pedonale dalla via Marittima, trattandosi di interventi di c.d. edilizia libera o, comunque, al più di interventi soggetti a SCIA;
- la signora Lisita, pendente iudicio, presentava al Comune di Ercolano istanza di accertamento di conformità ex art. 36 d.P.R. 380/2001, in ordine alla quale non interveniva il provvedimento conclusivo del relativo procedimento nei sessanta giorni successivi di talché, formatosi il silenzio rigetto, la signora Lisita proponeva ricorso recante motivi aggiunti, deducendo la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda di accertamento di sanatoria, sussistendo la doppia conformità agli strumenti urbanistici delle opere abusive, che peraltro non impedivano nemmeno la sanatoria paesaggistica, non avendo comportato la realizzazione delle opere aumenti di volumi o di superfici utili;
- il Comune di Ercolano, acquisiti i pareri sfavorevoli al riconoscimento dell’accertamento di conformità della Commissione locale per il paesaggio e della Commissione edilizia, dapprima comunicava il preavviso di diniego con nota del 26 giugno 2018 e quindi respingeva la relativa istanza con determinazione prot. n. 16658 del 19 marzo 2019, che veniva anch’essa impugnata dinanzi al TAR per la Campania con ricorso recante motivi aggiunti.
3. – Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania respingeva, con la sentenza n. 1035/2020, il ricorso proposto dalla signora Lisita in quanto:
1) dal momento che il territorio comunale di Ercolano è sottoposto, tra gli altri, a vincolo paesaggistico fin dall’adozione del D.M. del 17 agosto 1961, le opere in questione avrebbero dovuto essere realizzate previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica nonché del titolo abilitativo sotto il profilo edilizio e dell’autorizzazione dell’ente proprietario della strada, comportando tale realizzazione edilizia un’alterazione dello stato dei luoghi;
2) sotto il profilo della compatibilità ambientale va considerato quanto è stato osservato dalla Commissione locale per il paesaggio, investita della valutazione sulla domanda di accertamento di conformità, con riguardo alla realizzazione delle serre, nell’area ove è stato poi realizzato il posteggio, senza che fosse stato dimostrato il possesso del requisito soggettivo di imprenditore o bracciante agricolo né la continuità del requisito dalla data di presunta realizzazione, oltre al fatto che l'area in oggetto ricade in parte in “Zona industriale ed artigiana” ed in parte in zona “Verde Standard”, con ogni evidente conseguenza circa la non conformità di un’attività, quale quella di parcheggio auto, di carattere propriamente commerciale e con riferimento alla quale, peraltro, sono state realizzate rilevanti opere edilizie abusive di adattamento;
3) non può trovare accoglimento la tesi secondo la quale l’area in questione si sarebbe trasformata in “zona bianca” per effetto della decadenza del termine quinquennale di efficacia del vincolo teso all’esproprio dell’area medesima, avendo così provocato l’effetto di rendere del tutto compatibile la destinazione dell’area ad uso commerciale per parcheggio di autoveicoli, perché in dette aree sono ammesse esclusivamente opere di ristrutturazione edilizia in relazione a volumetrie che siano già legittimante esistenti e non anche, com’è nel caso di specie, realizzate ab origine in modo abusivo, perché prive di titolo abilitativo e comunque in difformità dalle vigenti prescrizioni urbanistiche e vincolistiche;
4) non è stata adeguatamente comprovata la liceità e la preesistenza del manto bituminoso e di brecciolino rinvenuto sulle aree circostanti le strutture ex serre, non potendo farsi applicazione, nel caso di specie della previsione di cui all’art. 5 d.P.R. 160/2010 né essendo utile disporre l’attività istruttoria richiesta dalla parte ricorrente che nulla potrebbe aggiungere rispetto alle risultanze documentali, in ragione delle quali si conferma che l’apposizione di una copertura con materiali che impermeabilizzano il terreno è destinata a mutare il piano di campagna dell'area pertinenziale contigua alle strutture ex serre e costituisce intervento edilizio realizzato in violazione delle prescrizioni imposte dall’art. 6 del P.T.P. dei Comuni Vesuviani, il quale, al comma 3, vieta “l’impermeabilizzazione delle aree scoperte, ad esclusione delle strade pubbliche già asfaltate e di quelle da realizzare compatibilmente con le norme delle singole zone.”. Il conseguente provvedimento con il quale è stata ingiunta la demolizione delle opere era inevitabile, stante il carattere vincolato del potere che in esso viene espresso;
5) va dichiarata l’improcedibilità del (primo) ricorso recante motivi aggiunti atteso che il silenzio formatosi sulla istanza di accertamento di conformità è stato superato dal provvedimento esplicito di rigetto emesso dal Responsabile dell'Ufficio paesaggio del Comune di Ercolano con nota prot n. 16658 del 19 marzo 2019;
6) quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti, con il quale è stato gravato il diniego di accertamento di conformità avente ad oggetto le opere di impermeabilizzazione delle aree scoperte, l’apposizione del cancello in ferro per la chiusura del fondo e il mutamento di destinazione d'uso dell’impianto serricolo, va considerato, al fine di escludere la fondatezza delle censure dedotte nei confronti del provvedimento di diniego, il parere espresso dalla Commissione edilizia il 27 giugno 2018, secondo il quale l’impianto serricolo risulta essere non autorizzato e sprovvisto dei relativi requisiti soggettivi con riguardo alla volumetria, oltre alla circostanza per cui la trasformazione dell’impianto serricolo in parcheggio per autoveicoli non è comunque compatibile con le previsioni del P.R.G., anche laddove il vincolo a verde standard fosse da considerarsi decaduto.
Da qui l’appello proposto dalla signora Giuseppina Lisita.
4. – Quest’ultima, nella sede di appello, ritiene erronea la ricostruzione normativa e fattuale espressa dal primo giudice, che è giunto a conclusioni contraddittorie, illogiche e comunque non corrispondenti alle previsioni normative applicabili alla fattispecie in esame.
In via preliminare l’appellante sostiene che incomprensibilmente il giudice di primo grado ha ritenuto di non tenere in alcuna considerazione i dati rilevati dal consulente di parte della signora Lisita, nella perizia giurata regolarmente prodotta nel giudizio di primo grado e ribaditi nell’ulteriore relazione asseverata allegata all’istanza di sanatoria, in base ai quali emerge con evidenza la preesistenza agli anni ‘60 delle serre, circostanza che avrebbe dovuto consentire l’espletamento della prova testimoniale, sulla cui ammissione nulla ha riferito il giudice di primo grado. Aggiunge la parte appellante che, in disparte la erroneità, nella quale è incorso il TAR per la Campania, per avere dichiarato tardiva la richiesta di disporre la prova per testi, nel caso di specie, “se fosse stata espletata la prova testimoniale richiesta, le opere sarebbero state datate certamente in epoca antecedente all’entrata in vigore delle legge ponte ed il ricorso sarebbe stato accolto quantomeno in relazione alle ex serre, per cui, se ritenuto tuttora necessario, la chiesta prova potrà essere espletata in questa sede di appello”,
Nel merito, in sintesi, l’appellante sostiene che il Tribunale amministrativo regionale abbia errato nell’avere ritenuto infondati i motivi di ricorso dedotti con il ricorso introduttivo e con i ricorsi recanti motivi aggiunti che vengono riproposti nelle sede di appello, attraverso la loro trasformazione e adattamento connesso al mezzo di gravame in quanto:
1) l’apposizione di un cancello, funzionale alla delimitazione di una proprietà si inquadra tra gli interventi di finitura di spazi esterni di cui all’art. 6, comma 2, d.P.R. 380/2001 con la conseguenza che la realizzazione di tale opera non risulta suscettibile di incidere su valori paesaggistici protetti. Ad ogni modo l’appellante aveva presentato istanza ai sensi dell’art. 36 d.P.R. 380/2001, per cui dal punto di visto urbanistico la sanatoria era ammissibile perché l’apposizione di un cancello ad un varco preesistente costituisce al più un semplice intervento di manutenzione straordinaria volta ad impedire l’intrusione di estranei nella proprietà privata e nessuna norma urbanistica la impediva, come anche era assentibile l’intervento dal punto di vista paesaggistico, non comportando l’apposizione del cancello alcun incremento di superfici e di volumi;
2) dalla perizia giurata depositata nei due gradi di giudizio e dai relativi allegati, tra cui i rilievi aerofotogrammetrici, le serre nella loro struttura ed attuale consistenza esistono fin dalla fine degli anni ‘50, epoca in cui, trattandosi di zona agricola e quindi ricadente fuori dal centro abitato, la loro costruzione in base alla legge n. 1150/1942 non necessitava di alcun titolo edilizio. Inoltre, a quell’epoca, per il rilascio di titoli edilizi in zona agricola non occorreva affatto la qualifica di imprenditore agricolo a titolo prevalente e principale, visto che tale requisito è stato introdotto dalla l.r. Campania 14/1984;
3) il Comune di Ercolano, prima di adottare i provvedimenti repressivi edilizi, avrebbe dovuto rimuovere la SCIA presentata il 10 aprile 2013 e poi consolidatasi, non assumendo alcun rilievo la circostanza, ritenuta invece essenziale dal giudice di prime cure, secondo la quale non si sarebbe consolidata la SCIA a causa della mancata acquisizione dei pareri in conferenza di servizi delle altre amministrazioni competenti, atteso che se omissioni vi sono state esse debbono comunque essere addebitate al solo comune che avrebbe dovuto provvedervi;
4) l’apposizione del brecciolino sotto le due ex serre e il ripristino del manto bituminoso nella zona antistante l’abitazione non necessitavano di nessun titolo edilizio;
5) erroneamente il TAR si è limitato ad affermare che l’ordinanza di demolizione fosse un atto dovuto e non fosse stato necessario annullare, previamente, i titoli abilitativi già sussistenti ed efficaci per quanto concerne il passo carrabile e la relativa rampa d’accesso da Corso Umberto I (dotati di permesso di costruire in sanatoria ottenuto nel 2004 e necessitanti solo di SCIA per l’applicazione del cancello) nonché per l’esercizio di attività di autorimessa (stante la SCIA commerciale del 2013) in strutture esistenti dal 1960;
6) con riferimento al diniego di sanatoria il Comune di Ercolano ha sì comunicato in data 1 ottobre 2018 il preavviso di diniego, ma non ha poi considerato puntualmente le osservazioni presentate dalla parte interessata in data 10 ottobre 2018, conseguentemente il Tribunale amministrativo regionale non poteva considerare infondata la censura con la quale si contestava, attesa l’assenza nel provvedimento di sanatoria di qualsiasi riferimento al contenuto delle opposizioni e alle ragioni che inducevano l’amministrazione a non accoglierle. Peraltro, sul punto, la odierna appellante segnala come ella avesse trasmesso tempestivamente e ritualmente le proprie deduzioni in risposta al preavviso di diniego del Comune, che ciononostante non ne aveva tenuto conto e, dunque, ha errato il giudice di primo grado nel condividere la posizione dell’amministrazione ad avviso della quale “(…) entro il termine assegnato di 10 giorni dal ricevimento della comunicazione di avvio del procedimento di diniego non sono stati prodotti documenti utili alla eventuale revisione della conclusione della istruttoria (…)” (così, testualmente, nel provvedimento impugnato). Nel merito poi erra il giudice di primo grado nell’affermare la natura abusiva delle serre e la necessità di titolo edilizio e paesaggistico per l’apposizione del cancello al varco di Corso Umberto I, tenuto conto che le serre esistevano da epoca antecedente all’agosto del 1967 e non potevano dunque ritenersi abusive e che la rampa di accesso ed il varco carrabile da Corso Umberto I erano stati regolarmente autorizzati dal Comune nel 2004, tenuto conto peraltro che, per come emerge chiaramente dalla perizia giurata (dell’architetto Rinaldi) depositata in atti in primo grado, gli interventi fatti oggetto di domanda di accertamento di conformità consistono “in semplici interventi manutentivi, in parte di strutture esistenti da tempo e per di più regolarmente autorizzati dal Comune e, comunque, non in contrasto con i vigenti (allora e tuttora) PRG e Piano Paesistico di Ercolano” (così, testualmente, a pag. 26 dell’atto di appello). Ad ogni buon conto, stante la circostanza che gli abusi oggetto della domanda di sanatoria non hanno comportato né aumento di cubature, né aumento di superfici utili, anche la presupposta autorizzazione paesaggistica in sanatoria era ammissibile a norma dell’art. 167 d.lgs. 42/2004;
7) sotto altro versante può confermarsi che le due ex serre trasformate in parcheggio ricadono in zona Industriale ed Artigianale di PRG e non di Verde pubblico, sicché, posto che l’art. 6, comma 2, della l.r. Campania n. 19/2001 dispone che “La realizzazione di parcheggi in aree libere, anche non di pertinenza del lotto dove insistono gli edifici, ovvero nel sottosuolo di fabbricati o al pianterreno di essi, è soggetta a permesso di costruire non oneroso, anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti”, è pertanto evidente che, nella specie, trattandosi di interventi realizzati su un’area libera, ben poteva essere attrezzato il parcheggio non a servizio di specifici edifici circostanti anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, potendo quindi essere rilasciato il permesso di costruire gratuito chiesto in sanatoria dalla odierna appellante, stante la destinazione dell’area in questione a zona produttiva (di PRG), anche in deroga a detta destinazione di zona. A ciò va aggiunto che il vincolo espropriativo (connesso alla circostanza che l’area in questione ricade in Zona Verde Standard di PRG risalente all’approvazione del Piano con D.P.G.R.C. n. 2376 del 14 maggio 1975 e concernente la porzione di fondo per la quale è stata contestata la realizzazione della rampa e del varco di accesso da Corso Umberto I e l’apposizione del relativo cancello) a norma dell’art. 9 d.P.R. 380/2001 è ormai decaduto e con riferimento alla zona in questione, da considerarsi “zona bianca” fino alla nuova disciplina urbanistica che sarà disposta dal comune, non può ritenersi vietata l’apposizione di un cancello, intervento che peraltro (per come si è già detto) rientra tra quelli manutentivi o di recupero di cui all’art. 9, comma 1, d.P.R. 380/2001.
5. – Nel presente giudizio di appello si è costituito il Comune di Ercolano che ha ribadito la correttezza del percorso istruttorio svolto dagli uffici per l’adozione dei provvedimenti impugnati e la puntualità della decisione assunta dal primo giudice. Ritenendo non fondati i motivi di appello dedotti dall’appellante, il Comune di Ercolano chiedeva la reiezione del mezzo di gravame proposto e la conferma della sentenza di primo grado.
Con ordinanza 13 luglio 2020 n. 4177 la Sezione ha accolto la domanda cautelare proposta dall’appellante sul solo profilo della sussistenza del periculum in mora.
Le parti depositavano in giudizio memorie, anche di replica, confermando le conclusioni già rappresentate negli atti processuali in precedenza depositati.
6. – In via preliminare ritiene il Collegio di non poter aderire alle richieste istruttorie formulate dalla parte appellante, in quanto non utili ai fini della completezza istruttoria dei dati processuali necessari per la decisione della controversia.
In primo luogo vale la pena di rammentare che, come è noto (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. II, 4 maggio 2020 n. 2838 e Sez. IV, 9 febbraio 2016 n. 511), nelle controversie in materia edilizia, soggette alla giurisdizione del giudice amministrativo, i principi di prova oggettivi concernenti la collocazione dei manufatti tanto nello spazio, quanto nel tempo, si rinvengono nei ruderi, fondamenta, aerofotogrammetrie, mappe catastali, laddove la prova per testimoni è del tutto residuale; data la premessa, da essa discende che la prova dell'epoca di realizzazione si desume da dati oggettivi, che resistono a quelli risultanti dagli estratti catastali ovvero alla prova testimoniale ed è onere del privato, che contesti il dato dell’amministrazione, fornire prova rigorosa della diversa epoca di realizzazione dell'immobile, superando quella fornita dalla parte pubblica. Ne deriva che nelle controversie in materia edilizia la prova testimoniale, soltanto scritta peraltro, è del tutto recessiva a fronte di prove oggettive concernenti la collocazione dei manufatti tanto nello spazio quanto nel tempo.
In secondo luogo e proprio a conferma della copiosa presenza di elementi documentali utili a rendere completa l’istruttoria processuale con riferimento alla controversia in esame, sempre ad avviso del Collegio, non si presenta necessario disporre consulenza tecnica d’ufficio.
7. - Passando al merito della controversia e tenuto conto di tutti i complessi motivi di appello prospettati nel secondo grado del presente giudizio dalla parte appellante che, per la loro consistenza intrinseca e per la portata contestativa che recano, possono essere scrutinati con modalità accorpative, secondo criteri logico giuridici di semplificazione e sintesi degli argomenti contenziosi che vanno comunque esaminati cumulativamente, anche in ragione delle modalità di proposizione delle traiettorie contenziose siccome descritte nell’atto di appello e nelle successive memorie, il Collegio ritiene che l’appello non si presta ad essere accolto.
Vanno riepilogati gli atti sottoposti a impugnazione e quindi a richiesta di annullamento dinanzi al primo giudice da parte della odierna appellante:
- l’ordinanza dirigenziale n. 31 del 18 settembre 2017 con la quale è stata ingiunta la demolizione di opere consistenti in strutture per il parcheggio nonché una rampa di accesso dal Corso Umberto I, nel Comune di Ercolano, con relativo varco munito di cancello, sorretto da due pilastrini scatolari metallici (impugnato con il ricorso introduttivo di primo grado);
- il silenzio rigetto formatosi, ai sensi dell’art. 36 d.P.R. 380/2001 sull'istanza di accertamento di conformità prot. n. 62696 del 18 dicembre 2017, presentata dalla odierna appellante al fine di sanare gli abusi contestati (impugnato in primo grado con un primo ricorso recante motivi aggiunti, rispetto al quale il TAR per la Campania ha dichiarato la improcedibilità del gravame per essere stato adottato il provvedimento di definitivo diniego di accertamento di conformità, capo della sentenza qui oggetto di appello che non ha parte di alcuno specifico percorso contestativo di secondo grado, tra quelli specificati nell’atto di appello);
- il provvedimento prot. n. 16658 del 19 marzo 2019 con il quale il responsabile dell'Ufficio paesaggio del Comune di Ercolano ha dichiarato non accoglibile l'istanza di sanatoria prot. n. 62696 del 18 dicembre 2017, ivi compresi il preavviso di diniego ex art. 10-bis l. 241/1990 prot. n. 52382 del 24 settembre 2018 ed i presupposti pareri resi dalla Commissione edilizia e dalla Commissione locale del 27 giugno 2018, richiamati nel suindicato preavviso di diniego (impugnati in primo con il secondo ricorso recante motivi aggiunti).
Cominciando dall’esame dell’ordinanza n. 31/2017, con essa il Comune di Ercolano contesta alla signora Lisita lo svolgimento e la realizzazione delle seguenti attività e opere abusive:
- lo svolgimento di un’attività di autorimessa su di un’area di 850 mq, originariamente adibita a serra agricola, realizzata con strutture portanti orizzontali e verticali in materiale metallico e copertura con film plastico e classificata, per il profilo urbanistico dal vigente P.R.G, in parte a zona industriale ed in parte a spazi pubblici e, per il profilo paesaggistico-ambientale, dal Piano territoriale paesistico (PTP) dei comuni vesuviani, approvato con Decreto ministeriale 4 luglio 2002, come zona di Protezione integrale (PI);
- al fine di svolgere tale attività l’originaria destinazione delle serre veniva adibita ad area commerciale, in parte asfaltata per una superficie di circa 150 mq e per la restante parte livellata tramite sterrato proveniente verosimilmente da scarti di lavorazione di asfalto misto a brecciolino;
- sul lato est dell’area confinante con la strada Corso Umberto I, era stata realizzata una rampa di accesso delle dimensioni di circa 20 mt lineari e circa 3,5 mt di larghezza, ottenuta mediante sbancamento del terrapieno e graduale livellamento del terreno per superare il dislivello rispetto al piano stradale di corso Umberto I, utilizzata per consentire il transito veicolare e pedonale alla sottoposta attività commerciale sita a 3,5 mt dalla sede stradale;
- la suddetta rampa era delimitata mediante l’installazione di un cancello metallico di circa 3,50 mt di larghezza e 2 mt di altezza, sorretto da due pilastrini scatolari metallici cementati al suolo;
- infine era stato colmato il dislivello tra la sede stradale ed il marciapiedi comunale per consentire il transito veicolare.
Va subito chiarito, in disparte (e oltre a) quanto si è detto in merito alla ammissibilità della prova testimoniale, per come richiesto dalla odierna appellante, che le indicazioni emergenti dalla perizia giurata depositata in primo grado circa la presenza nell’area delle serre in epoca antecedente all’anno 1967, oltre a non essere quest’ultima adeguatamente dimostrata, stante la obiettiva non chiarezza dei due documenti aerefotogrammetrici allegati, sono superate dalla circostanza secondo la quale, come è noto, l’area in questione ricade in ambito territoriale tutelato dal vincolo paesaggistico-ambientale, vigente sull’intero territorio comunale di Ercolano, di cui al D.M. del 17 agosto 1961.
Peraltro, con riferimento al regime giuridico relativo alla realizzazione di impianti serricoli, la giurisprudenza ha chiarito da tempo che un impianto serricolo, in quanto tale, è estraneo al regime della concessione qualora sia “funzionale allo svolgimento dell'attività agricola” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 24 aprile 2017 n. 1912) e non abbia “requisiti di stabilità o di rilevante consistenza, tali da alterare in modo duraturo l'assetto urbanistico-ambientale” (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. VI, 15 aprile 2019 n. 2438).
Sicché delle due l’una: o l’odierna appellante può dimostrare che effettivamente sull’area si svolgeva un’attività agricola (cosa che essa stessa ritiene di non dover dimostrare nel momento in cui richiama una normativa regionale – la l.r. Campania n. 14/1984 - emanata, a suo dire, in epoca successiva rispetto alla realizzazione delle serre, che avrebbe introdotto per la prima volta la necessità di assumere la qualifica di imprenditore agricolo – “epoca in cui il padre della (appellante) aveva non solo già realizzato da tempo le suindicate tre serre, ma aveva addirittura già dismesso l’attività di serricoltura per esercitare quella di parcheggio scoperto ad ore di autovetture” (così, testualmente, a pag. 14 dell’atto di appello) – oppure per la realizzazione delle serre avrebbe dovuto essere rilasciata, quanto meno, l’autorizzazione paesaggistica, realizzando le opere una volumetria in area territoriale paesaggisticamente protetta, come correttamente sostiene il Comune di Ercolano nella sintetica ma, al tempo stesso, esaustiva motivazione dell’ordinanza n. 31/2017.
8. - E’ quindi la stessa odierna appellante ad affermare, secondo quanto si è sopra illustrato, che al momento dell’entrata in vigore della l.r. Campania n. 14/1984 nell’area in questione si svolgeva già l’attività di parcheggio. Ebbene è documentalmente provato (anche dalla certificazione urbanistica allegata dalla odierna appellante) che le opere in questione insistono in un’area che dal punto di vista urbanistico ricade in parte in “Zona industriale ed artigiana” ed in parte in zona “Verde Standard” del P.R.G., ne deriva dunque, per come ha (ad avviso del Collegio) correttamente rilevato il giudice di primo grado, “la non conformità di un’attività, quale quella di parcheggio auto, di carattere propriamente commerciale, per la quale, peraltro, contrariamente alle affermazioni della ricorrente sono state realizzate rilevanti opere edilizie abusive di adattamento” (così, testualmente, a pag. 12, punto 3.2., della sentenza qui oggetto di appello).
In argomento va ricordato, al fine di affermare la impossibilità di condividere la posizione illustrata dalla odierna appellante in merito alla (asseritamente rilevante) circostanza collegata (con riferimento a quella parte dell’area in questione destinata a “Verde Standard”) alla decadenza del termine quinquennale del vincolo preordinato all’esproprio dell’area stessa e alla sua trasformazione in cd. zona urbanistica bianca (dal che deriverebbe la conseguente compatibilità della destinazione commerciale ad uso parcheggio autoveicoli dell’area medesima), come, per unanime ed assolutamente consolidato orientamento del giudice amministrativo, la decadenza del vincolo espropriativo per decorso del quinquennio di efficacia non equivale ad annullamento della previsione di piano in vigore e dunque le aree le aree divengono prive di disciplina urbanistica, salvo quanto previsto dall'art. 4, ultimo comma, l. 28 gennaio 1977, n. 10 (ora art. 9 d.P.R. 8 giugno 2001 n. 380, c.d. zone bianche), fino all'adozione da parte del Comune, di nuove, specifiche prescrizioni (cfr., in tal senso e tra le molte, Cons. Stato, Sez. IV, 27 gennaio 2011 n. 615). Infatti, una volta trascorso il termine di decadenza di cinque anni di cui all'art. 9, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, a cui è sottoposto il vincolo preordinato all'esproprio, la conseguente decadenza del vincolo espropriativo non esclude che l'amministrazione, mediante il procedimento volto alla variante agli strumenti urbanistici, possa reiterare il vincolo, fornendo congrua motivazione in ordine alla persistenza delle ragioni di diritto pubblico sottese alla necessità di reiterazione (cfr., Cons. Stato, Sez. IV, 4 novembre 2020 n. 6807). Laddove la reiterazione del vincolo non dovesse intervenire l’area non acquisisce una vocazione edificatoria “di fatto”, ma in dette aree è esclusivamente prevista la realizzazione di opere di ristrutturazione edilizia in relazione a volumetrie che, tuttavia, siano già legittimamente esistenti.
Sebbene venga contestato dall’appellante, con considerazioni che non scalfiscono i puntuali approdi tecnici in esso contenuti, quanto si è sopra illustrato è agevolmente evincibile dal parere reso dalla Commissione edilizia del Comune di Ercolano, nella seduta del 27 giugno 2018, che ha costituito uno degli elementi istruttori tecnici di fondamentale rilievo al fine di negare l’accoglibilità della domanda di accertamento di conformità (il cui contenuto è stato reso noto alla parte interessata con il preavviso di diniego prot. n. 52382 del 24 settembre 2018, nel quale detto parere è stato trascritto).
9. – Fin qui con riferimento alle strutture ex serre e al mutamento di destinazione d’uso. Quanto alla parte dell’ordinanza di demolizione cha ha ad oggetto la realizzazione della rampa e l’apertura del passo carrabile da Corso Umberto I, l’appellante sostiene che:
- le opere sono state oggetto di sanatoria, ai sensi dell’art. 36 d.P.R.. 380/2001, da parte dello stesso Comune di Ercolano, grazie al provvedimento prot. n. 42849 del 14 dicembre 2004;
- solo in epoca successiva alla intervenuta sanatoria al varco di accesso è stato apposto, in sostituzione di una preesistente chiusura formata da battenti in tavole di legno e lamiere ondulate, un cancello in ferro a due battenti con relativi pilastrini in struttura metallica, per come emerge dalla perizia prodotta in atti. Ma tale intervento edilizio rientra a pieno titolo tra quelli che, ai sensi dell’art. 6 d.P.R. 380/2001, vanno ricondotti alla c.d. edilizia libera (e quindi non necessitante del previo rilascio di titolo abilitativo), non provocando, peraltro, alcun impatto edilizio o urbanistico significativo sul territorio, di talché, al più, per la sua realizzazione sarebbe stato sufficiente il rilascio di una SCIA (con esclusione della demolibilità delle opere realizzate in assenza) e non anche l’acquisizione di nulla osta paesaggistico, stante l’evidente rapporto pertinenziale intercorrente tra il cancello, la rampa e l’area utilizzata a parcheggio.
Va premesso che, come è noto e in via generale, l'ordine di demolizione ex art. 31 d.P.R. 380/2001 configura un provvedimento vincolato, dal contenuto interamente predeterminato dal legislatore, da assumere previo accertamento della natura abusiva dell'opera in concreto realizzata, in ragione della sua edificazione in assenza del prescritto permesso di costruire. Stante la natura vincolata del potere di controllo esercitato dal comune e del conseguente esercizio del potere repressivo sanzionatorio, non occorre una motivazione specifica in relazione al tempo intercorso o alla proporzionalità della sanzione ripristinatoria all'uopo da emettere, non risultando l'amministrazione procedente titolare di un potere discrezionale, implicante una scelta in ordine alla tipologia di sanzione in concreto da assumere. Pertanto, non dovendosi bilanciare l'interesse pubblico alla rimozione dell'abuso con l'interesse privato alla conservazione di un'utilità, risalente nel tempo, conseguita in assenza del necessario titolo abilitativo, la demolizione risulta congruamente motivata mediante la descrizione del manufatto realizzato e l'indicazione della norma violata, trattandosi di attività doverosa e vincolata, certamente non occorre, per giustificare l'adozione dell'ingiunzione di ripristino, una motivazione ulteriore rispetto all'indicazione delle norme violate e al riferimento per relationem ai presupposti di fatto contenuti nei verbali accertativi (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. II, 7 febbraio 2020 n. 988).
E’ parimenti vero che, per costante giurisprudenza, l'apposizione di un cancello, funzionale alla delimitazione della proprietà, si inquadra tra gli interventi di finitura di spazi esterni di cui all'art. 6, comma 2, lett. c), d.P.R. 380/2001, per cui tale intervento rientra fra le ipotesi di “edilizia libera” (cfr., Cons. Stato, Sez. VI, 2 gennaio 2020, n. 34), con la conseguenza che non risulta suscettibile di incidere su valori paesaggistici protetti, salva l'esistenza di specifiche prescrizioni particolarmente restrittive (cfr. Cons. Stato, Sez.VI, 13 maggio 2020 n. 3036 e 20 novembre 2013, n. 5513).
Tuttavia, nel caso di specie, ad avviso del Collegio, si pone ad ostacolo dell’applicazione dei principi (anche giurisprudenziali) più sopra illustrati la impossibilità di considerare atomisticamente gli abusi realizzati, anche perché la loro funzionalità intrinseca, per come evidenziato dalla stessa parte appellante (nel tentativo di escludere la necessità del previo rilascio del nulla osta paesaggistico per la realizzazione del cancello stante la sua caratterizzazione funzionale in termini di pertinenzialità con la rampa e l’area in questione), tutte le opere realizzate (e oggetto di contestazione per abusività nell’ordinanza n. 31/2017) costituiscono un unicum edilizio, essendo destinate all’espletamento di una attività imprenditoriale, in ordine alla quale le Autorità preposte avrebbero dovuto previamente valutare la compatibilità delle opere realizzate da punto di vista edilizio e paesaggistico e, quindi, la compatibilità stessa dell’attività imprenditoriale svolta grazie alla realizzazione di tali opere, tenendo conto dei vincoli e misure di protezione paesaggistica della zona e delle previsioni di PRG comunale.
E’ noto poi che, ai sensi dell'art. 22 d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo Codice della Strada) e dell'art. 46 d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495 recante le relative disposizioni di attuazione, è necessario acquisire una apposita autorizzazione da parte dell'Ente proprietario della strada ad aprire il passo carraio. Nel caso di specie il varco chiuso dal cancello si apre su una arteria importante del Comune di Ercolano, il Corso Umberto I, sicché sarebbe stato necessario ottenere l’autorizzazione prima di poter realizzare il passo carraio chiuso con il cancello in ferro.
Deriva da quanto sopra che le censure dedotte nei confronti dell’ordinanza n. 31/2017 e volte a considerare errata la decisione di primo grado, nella parte in cui non ha ritenuto di poter accogliere le censure in quella sede prospettate nei confronti del ridetto provvedimento repressivo sanzionatorio, non si prestano ad essere accolte nella presente sede di appello.
10. – Può ora passarsi ad esaminare le contestazioni mosse nella sede di appello nei confronti del provvedimento prot. n. 16658 del 19 marzo 2019, con il quale il responsabile dell'Ufficio paesaggio del Comune di Ercolano ha dichiarato non accoglibile l'istanza di sanatoria prot. n. 62696 del 18 dicembre 2017, di accertamento di conformità, presentata dalla odierna appellante al fine di sanare gli abusi contestati, oltre alle contestazioni mosse alla sentenza qui oggetto di appello nella parte in cui ha ritenuto di non accogliere i motivi di impugnazione dedotti con i due ricorsi recanti motivi aggiunti proposti in primo grado.
Il provvedimento di diniego di sanatoria (rispetto al quale si è – anche - concentrato l’interesse ad impugnare da parte della signora Lisita riferito al silenzio-rigetto formato sulla domanda di accertamento di conformità, divenendo quest’ultimo recessivo) è motivato sulla scorta dei pareri resi (nella seduta del 27 giugno 2018) dalla Commissione edilizia e dalla Commissione locale per il paesaggio contenuto nel preavviso di diniego comunicato alla parte interessata e la cui motivazione è stata riprodotta nel predetto provvedimento di diniego definitivo prot. n. 16658 del 19 marzo 2019 come segue: "Si esamina la richiesta di accertamento di conformità prot. n. 62695 del 18.12.2017 presentata dalla Sig.ra Lisita Giuseppina, in merito alla realizzazione di alcune opere eseguite all'interno del fondo sito alla Via Marittima, foglio 6, più particelle, Zona P.I. del P.T.P., e parte Zona Agricola e parte Verde Stndard del P.R.G.. La Commissione, vista la pratica e la documentazione a corredo, esprime quanto segue: PARERE AMBIENTALE: la C.L.P. esprime parere contrario per i seguenti motivi ostativi: 1) serra ante 67, non è stato dimostrato il possesso del requisito soggettivo (imprenditore, bracciante agricolo), e la continuità del requisito dalla data di presunta realizzazione; inoltre, la realizzazione di nuove serre non è possibile ai sensi dell'art. 11 delle NTA. del P.T.P.; 2) le trasformazioni apportate hanno fatto sì che il manufatto perdesse il requisito di impianto serricolo, tale da essere configurato come volumetria, per la quale non è possibile la compatibilità paesaggistica ai sensi dell'art. 167, comma 4, del D.Lgs 42/04 e smi. PARERE URBANISTICO: la C.E. esprime parere contrario in quanto l'attività commerciale svolta, non è conforme a quanto stabilito dal P.R.G. nella Zona interessata, essendo destinata in parte a Zona Industriale ed in parte a Verde Standard, nelle quali zone non sono previsti manufatti a destinazione commerciale; inoltre, non è prevista la trasformazione del manufatto da impianto serricolo, tra l'altro non autorizzato e sprovvisto dei relativi requisiti soggettivi, in volumetria”.
Orbene, senza ripetere quanto si è più sopra illustrato (e quindi, anticipato), gli organi dell’ente locale hanno rilevato le seguenti incongruenze impeditive al riconoscimento dell’accertamento di conformità richiesto dalla signora Lisita:
- la mancanza di prova che le serre, se effettivamente realizzate in epoca precedentemente al 1967, fossero state costruite da un imprenditore (o bracciante) agricolo che svolgesse tale attività;
- la incompatibilità con l’art. 11 delle NTA del PTP;
- la incompatibilità paesaggistica delle opere realizzate;
- la incompatibilità dell’attività commerciale svolta con la destinazione della zona, secondo il vigente PRG, in parte a Zona Industriale ed in parte a Verde Standard, zone nelle quali non è prevista la realizzazione di manufatti a destinazione commerciale.
In argomento va osservato in premessa (ad ulteriore approfondimento di quanto si è già più sopra riferito) che, all’esito del sopralluogo effettuato da militari dell’Arma dei Carabinieri in data 6 aprile 2017 (i cui esiti sono raccolti nel erbale depositato in giudizio) è stata rilevata la presenza di una serra agricola realizzata con strutture portanti orizzontali e verticali in materia metallica e copertura in film plastico e quindi di un manufatto caratterizzato da una propria consistenza in termini di volumetria e cubatura quanto ad impatto sul territorio e sul paesaggio.
Ebbene, nel certificato di destinazione urbanistica si legge che l’area in questione ricade in zona di Protezione integrale del Piano territoriale paesistico dei comuni vesuviani. L’art. 11 delle NTA al predetto PTP, tra l’altro (e per quanto è qui di stretto interesse) prescrive quanto segue: “(…) 3. Interventi ammissibili Interventi volti alla conservazione e al miglioramento del verde secondo l'applicazione di principi fitosociologici che rispettino i processi dinamico-evolutivi e delle potenzialità della vegetazione della zona; interventi di prevenzione dagli incendi con esclusione di strade tagliafuoco; interventi di risanamento e restauro ambientale volti alla ricostituzione delle caratteristiche vegetazionali dei siti nonché alla riqualificazione anche attraverso l'eliminazione di strutture ed infrastrutture in contrasto con l'ambiente, e di ogni altro detrattore ambientale; interventi di sistemazione e adeguamento delle viabilità pedonale e carrabile esistente, anche attraverso ampliamento con le limitazioni di cui all'art. 9 lett. h) della presente normativa, per consentire una migliore fruizione dei valori paesistici e panoramici. 4. Divieti e limitazioni E' vietato qualsiasi intervento che comporti incremento dei volumi esistenti con l'esclusione di cui al successivo punto 7 del presente articolo; è vietata la costruzione di strade rotabili e di qualsiasi tipo; sono vietati gli attraversamenti di elettrodotti o di altre infrastrutture aeree di nuovo impianto; è vietata la coltivazione delle cave esistenti nella zona. E' vietata l'alterazione dell'andamento naturale del terreno e delle sistemazioni agrarie esistenti. E' vietato il taglio e l'espianto delle piante di alto fusto nonché il taglio e l'espianto della vegetazione arbustiva, tanto di essenze esotiche, quanto di macchia mediterranea spontanea. Le essenze di espiantare a causa di affezioni fitopatologiche devono essere sostituite con le stesse essenze; qualora si tratti di essenze estranee al contesto paesistico colturale dovranno essere sostituite da specie indigene o compatibili con il suddetto contesto, eventuali interventi di sostituzione di essenze estranee al contesto paesistico colturale dovranno essere graduali e programmati. La necessità di abbattimento di piante di alto fusto per motivi di sicurezza va comunicata, per l'autorizzazione, agli uffici del Corpo Forestale dello Stato. E' fatta eccezione per i tagli e gli espianti strettamente necessari per gli scavi e il restauro dei monumenti antichi da parte delle competenti Soprintendenze, ovvero per quelli strettamente necessari ai fini dell'attività scientifica dell'Osservatorio Vesuviano. 5. Uso del suolo Nei complessi vegetazionali naturali devono essere effettuati, a cura dei proprietari e dei possessori, anche utilizzando le disponibili provvidenze di legge statale e regionale, gli interventi atti ad assicurarne la tutela e la conservazione. In particolare gli interventi devono tendere al mantenimento ed alla ricostituzione e riqualificazione della vegetazione tipica dei siti. E' consentito l'uso agricolo del suolo, anche attraverso la ricostituzione delle colture agrarie tradizionali, con le seguenti prescrizioni: è vietata l'aratura oltre i cinquanta centimetri di profondità nelle aree di interesse archeologico di cui al punto 2 dell'art. 5 della presente normativa; è vietata l'introduzione di coltivazioni estranee alle tradizioni agrarie locali; è vietato l'impiego di mezzi e tecniche di coltivazione che comportino una riduzione delle potenzialità produttive del suolo e di altre risorse primarie; è vietata la sostituzione di colture arboree con colture erbacee; è vietato l'impianto nuove serre di qualsiasi tipo e dimensione (…)”.
Per effetto della surriprodotta norma era dunque impedito l’accoglimento della domanda di accertamento di conformità, siccome presentata dalla signora Lisita, per le molteplici ragioni derivanti dalla riprodotta disposizione ma soprattutto perché nell’area in questione “è vietato l'impianto nuove serre di qualsiasi tipo e dimensione”.
Sulle altre “incompatibilità” individuate dalla Commissione edilizia, con riferimento alla destinazione dell’area in questione sulla scorta delle previsione del PRG del Comune di Ercolano si è già riferito.
Va aggiunto, in conclusione, che le censure rispetto alla indicazione, recata nel provvedimento di diniego di accertamento di conformità, in ordine alla mancata valutazione delle osservazioni presentate dalla parte interessata in seguito alla trasmissione del preavviso di diniego, tenuto conto dell’esito dello scrutinio in questa sede svolto dal Collegio e dalla confermata legittimità dei provvedimenti impugnati, acquisisce una portata contestativa meramente formale che, ai sensi dell’art. 21-octies, secondo comma, primo periodo, l. 241/1990, non può condurre il giudice amministrativo ad annullare il provvedimento di diniego impugnato, essendo stata ampiamente dimostrata la legittimità dello stesso (nonostante le contestazioni espresse dalla odierna appellante che, peraltro, corrispondono alle contestazioni mosse alla decisione che stava assumendo l’amministrazione e riferite nel corso del procedimento dalla medesima interessata).
11. – In ragione delle sopra illustrate considerazioni, il Collegio ritiene che i motivi di appello non possano trovare accoglimento, di talché il mezzo di gravame proposto va respinto, con conseguente conferma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sez. III, 9 marzo 2020 n. 1035, con la quale è stato in parte respinto e in parte dichiarato improcedibile il ricorso (R.g. n. 4840/2017) proposto in primo grado (con motivi aggiunti).
Va precisato che la presente decisione è stata assunta tenendo conto dell'ormai consolidato “principio della ragione più liquida”, corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5 gennaio 2015 n. 5 nonché Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014 n. 26242), che ha consentito di derogare all'ordine logico di esame delle questioni e tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663 e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 settembre 2021 n. 6209 e 18 luglio 2016 n. 3176), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Le spese del grado di giudizio seguono la soccombenza, in virtù del principio di cui all’art. 91 c.p.c., per come espressamente richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a., imputandosi a carico della signora Giuseppina Lisita e in favore del Comune di Ercolano e possono liquidarsi nella misura complessiva di € 5.000,00 (euro cinquemila/00), oltre accessori come per legge.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello (n. R.g. 4147/2020), come indicato in epigrafe, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sez. III, 9 marzo 2020 n. 1035, con la quale è stato in parte respinto e in parte dichiarato improcedibile il ricorso (R.g. n. 4840/2017) proposto in primo grado (con motivi aggiunti).
Condanna la signora Giuseppina Lisita a rifondere le spese del grado di appello in favore del Comune di Ercolano, in persona del Sindaco pro tempore, che liquida in complessivi € 5.000,00 (euro cinquemila/00), oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 luglio 2021 con l'intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro, Presidente
Hadrian Simonetti, Consigliere
Silvestro Maria Russo, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Stefano Toschei, Consigliere, Estensore