TAR Friluli V.G. Sez. I n. 201 del 1 luglio 2021
Caccia e animali.Rigetto dell’istanza di rinnovo e contestuale ritiro della licenza di porto di fucile ad uso caccia
Mentre la previsione di cui all’art. 32 della legge 157 del 1992 configura, effettivamente, una sanzione amministrativa accessoria di carattere interdittivo, irrogata a seguito dell’accertamento di fatti di rilevanza penale e intesa a privare il reo – in via temporanea o definitiva – della legittima disponibilità del corpo del reato, ben diversa è la natura del diniego di rinnovo, cui è del tutto estranea qualsiasi logica sanzionatoria o punitiva. I procedimenti amministrativi in materia di armi disciplinati dal TULPS rispondono infatti esclusivamente ad esigenze di tutela della pubblica e privata incolumità e i relativi provvedimenti hanno natura cautelare e preventiva di possibili abusi.
Pubblicato il 01/07/2021
N. 00201/2021 REG.PROV.COLL.
N. 00046/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 46 del 2021, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Romeo Bianchin e Pietro Redivo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno – -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trieste, domiciliataria ex lege in Trieste, piazza Dalmazia, 3;
per l'annullamento
del Decreto del -OMISSIS-del 16.11.20, notificato il 28.11.20, con cui è stato disposto il rigetto dell'istanza di rinnovo e contestuale ritiro della licenza di porto fucile ad uso caccia
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti l’art. 6, comma 1, del d.l. 1° aprile 2021, n. 44 (convertito con l. 28 maggio 2021, n. 76), l’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 (convertito con l. legge 18 dicembre 2020, n. 176) e l’art. 4, comma 1, periodi quarto e seguenti del d.l. 30 aprile 2020, n. 28 (convertito con l. 25 giugno 2020, n. 70);
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 giugno 2021, tenutasi da remoto attraverso la piattaforma Microsoft Teams, il dott. Luca Emanuele Ricci e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il ricorrente chiede l’annullamento del decreto emesso dalla -OMISSIS- in data 16.11.2020 (notificato il 28.11.20), con cui è stato disposto il rigetto dell’istanza di rinnovo e contestuale ritiro della licenza di porto di fucile ad uso caccia.
1.1. Con unico motivo di ricorso, deduce i vizi di “violazione e falsa interpretazione degli artt. 9, 10, 11 e 43 T.U.L.P.S. e 21 c. 1 lett. i), 30 c. 1 e 32 c. 1) l. 157/92; difetto di motivazione; eccesso di potere sotto il profilo dell'illogicità”, rilevando:
- che il reato contravvenzionale commesso (aver sparato da un natante) prevede una specifica sanzione amministrativa accessoria e cioè “la sospensione della licenza di porto di fucile per uso di caccia, per un periodo da uno a tre anni”;
- che appare quindi ingiustificato il divieto di rinnovo disposto dalla Questura, che corrisponde di fatto ad una definitiva revoca della licenza;
- che le circostanze addotte ad colorandum nel provvedimento non possono comunque superare il dato legislativo relativo alla previsione di una specifica sanzione, che assorbe il disvalore della condotta;
- che il ricorrente non aveva alcun obbligo di avvisare il Direttore della riserva circa la pendenza di un procedimento finalizzato a negare il rinnovo della licenza di porto di fucile.
2. L’amministrazione ha preliminarmente evidenziato la diversa consistenza delle valutazioni sottese all’iter amministrativo svolto dall’autorità di pubblica sicurezza in sede di rinnovo della licenza, rispetto alla sanzione accessoria disposta dall’art. 32 della legge 157 del 1992 a seguito dell’accertamento di fatti di rilevanza penale. Nel merito ha rilevato l’oggettiva gravità dei fatti e la loro oggettiva pericolosità per l’ordine pubblico. Ciò, in particolare, per quanto attiene allo sparo di oltre 45 colpi a bordo di un natante, condotta non più riconducibile alla mera attività venatoria.
3. Il ricorrente ha rilevato che lo sparo di una tale quantità di colpi (da riferirsi ad entrambi i cacciatori protagonisti dell’episodio contestato e non solo all’odierno ricorrente) è perfettamente compatibile con i limiti relativi all’abbattimento di anatidi (25 esemplari) sanciti dal calendario venatorio, tenuto conto che – mediamente – solo 1 colpo su 3 giunge a bersaglio, legittimandosi quindi un totale di 75-80 colpi sparati.
4. Il ricorso è manifestamente infondato.
5. Sotto un primo profilo, non si condivide l’assunto secondo cui la previsione di una specifica sanzione amministrativa accessoria al reato contravvenzionale di cui all’art. 21, comma 1, lett. i) della legge 157 del 1992 (la sospensione della licenza) impedirebbe di valorizzare i medesimi fatti per negare il rinnovo.
5.1. Non si tratta, infatti, di fattispecie sanzionatorie potenzialmente concorrenti, per cui possa legittimarsi una valutazione circa l’idoneità di ciascuna ad assorbire integralmente il disvalore dei fatti, rendendo illegittima quella successivamente disposta. Mentre la previsione di cui all’art. 32 della legge 157 del 1992 configura, effettivamente, una sanzione amministrativa accessoria di carattere interdittivo, irrogata a seguito dell’accertamento di fatti di rilevanza penale e intesa a privare il reo – in via temporanea o definitiva – della legittima disponibilità del corpo del reato, ben diversa è la natura del diniego di rinnovo, cui è del tutto estranea qualsiasi logica sanzionatoria o punitiva (Cons. Stato, sez. III, 13 maggio 2020, n. 3038; id., 20 febbraio 2020, n. 1303). I procedimenti amministrativi in materia di armi disciplinati dal TULPS rispondono infatti esclusivamente ad esigenze di tutela della pubblica e privata incolumità e i relativi provvedimenti hanno natura cautelare e preventiva di possibili abusi (Cons. Stato, sez. III, 21 aprile 2020, n. 2542).
5.2. Ancora, la misura sanzionatoria accessoria incide in via automatica sull’efficacia di un titolo amministrativo pienamente in vigore, che avrebbe legittimato il titolare all’uso delle armi, almeno fino alla relativa scadenza. Il diniego di rinnovo presuppone invece la già intervenuta scadenza del naturale periodo di validità del titolo – pari a sei anni ai sensi dell’art. 22 della legge 157 del 1992 - e una nuova valutazione discrezionale di affidabilità del richiedente (con determinazione che la legge, proprio alla luce della natura degli interessi tutelati, impone di rinnovare periodicamente).
5.3. Del tutto diverse e non sovrapponibili risultano quindi le valutazioni e gli interessi sottesi al procedimento di rilascio o rinnovo, tale per cui nulla impedisce di considerare fatti di reato oggetto (in chiave retributiva e special-preventiva) della sanzione amministrativa della sospensione di una licenza in vigore, altresì come (in una logica cautelare e di tutela della pubblica sicurezza) impeditivi del rinnovo dopo la sua scadenza.
6. Venendo al merito delle censure, giova ricordare che i provvedimenti in materia di armi rappresentano una deroga al generale divieto di cui all'art. 699 c.p. e di cui all'art. 4, comma 1, l. 18 aprile 1970, n. 110. In tale ambito l’amministrazione è dotata di ampissima discrezionalità nella formulazione del giudizio di non affidabilità del soggetto richiedente o già titolare della licenza di porto d'armi e può legittimamente valorizzare, ai fini del diniego o della revoca, anche il verificarsi di situazioni non penalmente rilevanti, ma ciononostante indicative di una condotta non specchiata (Cons. St., sez. III, 21 aprile 2020, n. 2542).
6.1. Ai fini del rigetto o della revoca dell'autorizzazione (e a fortiori del diniego di rinnovo), non sarebbe quindi neppure necessario l’accertamento di specifici fatti di abuso delle armi da parte del soggetto, essendo sufficiente la sussistenza di circostanze che dimostrino come questi non sia del tutto affidabile al loro uso (Cons. St., sez. III, 12 marzo 2020, n.1815). A tal fine, possono assumere rilievo anche fatti isolati, quando ritenuti particolarmente significativi (Cons. St., sez. III, 31 ottobre 2014, n. 5398) o comunque espressivi di una particolare insensibilità al comando normativo (Cons, Stato, sez. III, 13 febbraio 2020, n. 1140). Per i motivi anzidetti, non è neppure richiesto un particolare onere motivazionale, bastando piuttosto che nei provvedimenti siano presenti elementi idonei a far ritenere che le valutazioni effettuate dall'Autorità non siano irrazionali o arbitrarie (Cons. St., Sez. I, 11 aprile 2018, n. 943).
6.2. Nel caso oggetto del presente giudizio, sono contestate al ricorrente condotte specificamente correlate all’abuso delle armi da caccia e alla violazione delle regole nell’attività venatoria, al punto da essere previste come reati contravvenzionali. Nello specifico, è stato accertato lo sparo di almeno 45 colpi, mentre si trovava a bordo di un natante.
6.3. Del tutto priva di pregio appare l’articolata difesa del ricorrente di cui alla memoria da ultimo depositata – secondo cui i 45 colpi sparati dovrebbero considerarsi congrui, ove letti alla luce del limite di 25 capi prelevabili e di una media di 3 colpi necessari a ciascun abbattimento, che legittimerebbero lo sparo di 75-80 colpi per ciascuna battuta di caccia – che avrebbe richiesto di provare (o, quantomeno, specificare) il numero di capi effettivamente prelevati nel corso della battuta di caccia di cui si discute, non potendo altrimenti tracciarsi un discrimine tra l’“incoercibile desiderio di sparare” valorizzato dall’amministrazione (che potrebbe esprimersi anche nello sparo di pochi colpi in rapida successione, se privi di ragionevole probabilità di colpire il bersaglio) e la legittima attività venatoria che il ricorrente sostiene di aver esercitato.
6.4. La generale inaffidabilità può essere poi, in modo più che ragionevole, desunta dalla scelta di proseguire nell’attività di caccia e nell’uso del fucile pur nella consapevolezza della pendenza dell’iter amministrativo volto al diniego di rinnovo, senza avvertire le autorità preposte alla gestione della riserva.
7. Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
7.1. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli-Venezia Giulia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna il ricorrente a rifondere all’amministrazione resistente le spese di giudizio, che si liquidano nella somma di € 1.500,00 oltre spese generali e accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità.
Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 23 giugno 2021, tenutasi da remoto attraverso la piattaforma Microsoft Teams con l'intervento dei magistrati:
Oria Settesoldi, Presidente
Manuela Sinigoi, Consigliere
Luca Emanuele Ricci, Referendario, Estensore