Cass. Sez. IV Sentenza n. 24619 del 11 giugno 2014 (Ud. 27 mag 2014)
Pres. Brusco Est. Iannello Ric.: Salute.
Danno Ambientale.Danno all'immagine derivante da reato contro l'ambiente

La legittimazione a costituirsi parte civile nei processi per reati ambientali spetta non soltanto al Ministro dell'Ambiente per il risarcimento del danno ambientale ma anche agli enti locali territoriali, i quali deducano di avere subito, per effetto della condotta illecita, un danno diverso da quello ambientale, avente natura anche non patrimoniale. (In applicazione del principio la Corte ha confermato la decisone con la quale era stato riconosciuto al Comune ed alla Regione il risarcimento per danno all'immagine).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente - del 27/05/2014
Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere - SENTENZA
Dott. DOVERE Salvatore - Consigliere - N. 1010
Dott. IANNELLO Emilio - rel. Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SERRAO Eugenia - Consigliere - N. 26829/2013
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SALUTE GIUSEPPE N. IL 22/08/1949;
avverso la sentenza n. 4073/2013 TRIBUNALE di MILANO, del 02/05/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/05/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Maria G. Fodaroni, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. Tiziano Giovanelli del Foro di Milano che ha insistito per l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 5/12/2011 il Tribunale di Milano condannava Bianchi Vincenzo e Salute Giuseppe alla pena di Euro 22.000 di ammenda ciascuno per avere gestito, il primo cedendo ed il secondo ricevendo, in assenza di autorizzazione, iscrizione e comunicazione di legge, una quantità di circa kg. 2.474.550 di rifiuti speciali non pericolosi classificati come terre e rocce da scavo - codice CER 170504. Gli imputati venivano condannati, altresì, in solido al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili Comune e Provincia di Milano (per il dedotto danno morale o all'immagine) e Regione Lombardia (per danno ambientale).
Con sentenza n. 12295 del 28/02/2013 la terza sezione di questa Suprema Corte annullava tale provvedimento, con rinvio al Tribunale di Milano, con riferimento tra l'altro alle statuizioni civili, anche in relazione alla posizione dell'imputato Salute Giuseppe. Rilevava al riguardo che "da un lato, e con riferimento ai danni liquidati in favore di Provincia e Comune, difetta qualsiasi motivazione circa la sussistenza del danno morale subito dai due enti, tanto più considerando, in particolare con riguardo al Comune di Milano, che, come invocato in ricorso, i rifiuti in oggetto sarebbero stati conferiti in luogo sito nel Comune di Lomazzo e non di Milano appunto, e, dall'altro, quanto al danno ambientale arrecato alla Regione Lombardia, non viene specificato, limitandosi la motivazione a menzionarlo) genericamente..., se lo stesso sia consistito in un danno diverso dall'interesse pubblico e generale alla tutela dell'ambiente, solo in tal caso, infatti, essendo legittima la relativa condanna".
Precisava infatti che "il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, in sè considerato come lesione dell'interesse pubblico e generale all'ambiente, è ora previsto e disciplinato soltanto dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 311, con la conseguenza che il titolare della pretesa risarcitoria per tale danno ambientale è esclusivamente lo Stato, in persona del Ministro dell'ambiente. Tutti gli altri soggetti, singoli o associati, ivi compresi gli enti pubblici territoriali e le Regioni, possono invece agire, in forza dell'art. 2043 cod. civ., per ottenere il risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale, ulteriore e concreto, che abbiano dato prova di aver subito dalla medesima condotta lesiva dell'ambiente in relazione alla lesione di altri loro diritti patrimoniali, diversi dall'interesse pubblico e generale alla tutela dell'ambiente come diritto fondamentale e valore a rilevanza costituzionale (tra le tante in tal senso, Sez. 3, n. 19437 del 17/01/2012, Fundarò e altri, Rv. 252907; Sez. 3, n. 41015 del 21/10/2010, Gravina, Rv. 248707)".
In sede di rinvio - disposta la separazione della posizione dell'imputato Bianchi, essendo stato lo stesso ammesso alla oblazione con termine per provvedere al relativo pagamento - con la sentenza in questa sede impugnata il Tribunale provvedeva sulle domande di risarcimento dei danni morali o all'immagine avanzate da tutte le parti civili, rigettando quelle del Comune e della Provincia, in difetto di prova di un pregiudizio diverso da quello derivante dalla lesione del diritto all'ambiente la cui titolarità è attribuita allo Stato, e accogliendo invece quella avanzata dalla Regione Lombardia, con riferimento alla quale riteneva configurabile nella fattispecie un danno di natura non patrimoniale - equitativamente liquidato in Euro 8.000,00 - derivante dalla lesione all'immagine dell'ente medesimo di fronte alla collettività. In tal senso attribuiva rilievo al fatto che i luoghi interessati alla raccolta, gestione e destinazione del materiale oggetto del capo di imputazione sono tutti ricompresi nel medesimo territorio regionale e, in particolare, al fatto che il sito di conferimento del materiale in questione insiste nel parco Adda Sud, istituito con L.R. n. 81 del 1983, nell'ambito del piano generale delle aree regionali protette, in quanto bene di particolare rilevanza naturale e ambientale.
Considerava, infatti, che "la circostanza che il deposito delle terre e rocce da scavo nel terreno di proprietà dell'imputato abbia cagionato un pericolo di smottamento, oltre che il danneggiamento degli arbusti, è elemento di natura oggettiva indicativo" della ritenuta lesione all'immagine della Regione.
2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l'imputato, per mezzo del proprio difensore, sulla base di due motivi, con entrambi denunciando vizio di carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione.
2.1. Sotto un primo profilo rileva che il Tribunale, dopo aver affermato che integra un danno ambientale - rispetto al quale esclusivamente legittimato all'azione risarcitoria è lo Stato - "il deterioramento provocato alla specie e agli habitat naturali, alle acque interne e costiere, al terreno mediante qualsiasi contaminazione che determini un rischio alla salute umana", contraddittoriamente riconosce un danno all'immagine risarcibile in capo alla Regione Lombardia che è, però, fatto coincidere proprio con la lesione del territorio asseritamente realizzata dall'imputato. 2.2. Sotto altro profilo, rileva che contraddittoriamente il giudice a quo, da un lato, ha affermato l'insussistenza di prove del danno all'immagine per il Comune di Milano e per la Provincia di Milano, dall'altro, ha utilizzato elementi analoghi per affermare invece la sussistenza di un danno all'immagine in capo alla Regione. 3. Il ricorrente ha depositato, in data 15/5/2014, memoria con la quale ha insistito in ricorso, ribadendo le censure già svolte. CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è infondato, sotto entrambi i profili evidenziati. È in premessa opportuno svolgere alcune considerazioni, anche di carattere diacronico, sulla disciplina positiva dedicata al risarcimento del danno all'ambiente, con particolare riferimento al tema - che in questa sede viene in rilievo - della risarcibilità dei danni diversi dal danno all'ambiente propriamente inteso ma pur sempre derivanti dal medesimo fatto illecito (ossia dallo stesso fatto produttivo di danno ambientale).
4.1. Ai sensi della L. 3 luglio 1986, n. 349, art. 18, (istitutiva del Ministero dell'ambiente) "qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che comprometta l'ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, obbliga l'autore del fatto al risarcimento nei confronti dello Stato".
È stata così introdotta una peculiare responsabilità di tipo extracontrattuale (aquiliana) connessa a fatti, dolosi o colposi, cagionanti un danno ingiusto all'ambiente, dove l'ingiustizia è stata correlata alla violazione di una disposizione di legge. Il comma 3 di tale disposizione prevedeva poi che l'azione di risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale, potesse essere promossa "dallo Stato, nonché dagli enti territoriali sui quali incidevano i beni oggetto del fatto lesivo". È successivamente intervenuto il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), con il quale il legislatore, per quel che in questa sede interessa, ha:
- ridefinito la nozione di danno ambientale (inteso come "deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell'utilità assicurata da quest'ultima":
art. 300, comma 1) facendo specifico riferimento a quella posta, in ambito comunitario, dalla direttiva 2004/35/CE, per quel che riguarda i beni naturali che devono risultare lesi, le norme di protezione nazionali e comunitarie violate, le condotte nocive (art. 300, comma 2);
- riservato allo Stato, ed in particolare al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, il potere di agire, anche esercitando l'azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale, in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale (art. 311);
- mantenuto "in ogni caso fermo il diritto dei soggetti danneggiati dal fatto produttivo di danno ambientale, nella loro salute o nei beni di loro proprietà, di agire in giudizio nei confronti del responsabile a tutela dei diritti e degli interessi lesi" (art. 313, comma 7, secondo periodo);
- conseguentemente abrogato la L. n. 349 del 1986, art. 18, con la sola eccezione del comma 5, che riconosce alle associazioni ambientaliste il diritto di intervenire nei giudizi per danno ambientale.
4.2. Si è avuto così un ridimensionamento del ruolo degli enti locali, ai quali è stata espressamente attribuita la sola facoltà di sollecitare l'intervento statale (art. 309) e di ricorrere in caso di inerzie od omissioni (art. 310), ma non la legittimazione ad agire ed intervenire in proprio per il risarcimento del danno ambientale, rientrando nella esclusiva pertinenza statale i profili strettamente riparatori dell'ambiente in sè.
Resta però salva la possibilità per detti enti, al pari di ogni altro soggetto danneggiato "dal fatto produttivo di danno ambientale", di agire per il risarcimento dei danni diversi, derivanti dalla lesione di interessi locali specifici e differenziati di cui sono portatori, ad essi eventualmente arrecati (v. Sez. 3, n. 755 del 28/10/2009 - dep. 11/01/2010, Ciaroni, Rv. 246015). Ciò in virtù della richiamata norma di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 313, comma 7, la quale viene particolarmente in rilievo nella fattispecie in esame, ove le questioni da dirimere possono sintetizzarsi nei seguenti, strettamente interconnessi, quesiti:
se sia reclamabile da parte dell'ente territoriale un danno, bensì distinto dal danno all'ambiente riservato allo Stato, ma di natura non patrimoniale e, in particolare, sub specie di danno all'immagine o alla reputazione dell'ente;
se una tale possibilità sia preclusa dai vincoli derivanti dalla precedente sentenza di annullamento;
se nel caso di specie la identificazione, in concreto, di un apprezzabile danno non patrimoniale all'immagine sia sorretta da adeguata motivazione.
5. Muovendo dal primo preliminare e potenzialmente assorbente quesito, giova evidenziare che - come questa S.C. ha già avuto modo di precisare - la normativa speciale sul danno ambientale dianzi descritta si affianca (non sussistendo alcuna antinomia reale) alla disciplina generale del danno posta dal codice civile, non potendosi pertanto dubitare della legittimazione degli enti territoriali a costituirsi parte civile iure proprio, nel processo per reati che abbiano cagionato pregiudizi all'ambiente, per il risarcimento non del danno all'ambiente come interesse pubblico, bensì (al pari di ogni persona singola od associata) dei danni direttamente subiti:
danni diretti e specifici, ulteriori e diversi rispetto a quello, generico di natura pubblica, della lesione dell'ambiente come bene pubblico e diritto fondamentale di rilievo costituzionale (Sez. 3, n. 36514 del 03/10/2006 - dep. 03/11/2006, Censi e altri, Rv. 235059;
Sez. 3, n. 14828 del 11/02/2010 - dep. 16/04/2010, De Flammineis e altro, Rv. 246812).
Si tratta però di stabilire se tale danni ulteriori e diversi dal danno all'ambiente, per essere ammessi a risarcimento, debbano oppure no avere carattere patrimoniale, con esclusione dunque dei danni non patrimoniali.
Ritiene il Collegio al riguardo (aderendo all'orientamento espresso da Sez. 3, n. 34761 del 21/06/2011 - dep. 26/09/2011, Memmo e altri, Rv. 251283, e da Sez. 3, n. 19437 del 17/01/2012 - dep. 23/05/2012, Fundarò e altri, Rv. 252907, nonché, implicitamente in motivazione, da Sez. 3, n. 14828 del 2010, De Flammineis, cit, e nella consapevolezza delle non convergenti posizioni enunciate da Sez. 3, n. 41015 del 21/10/2010 - dep. 22/11/2010, Gravina, Rv. 248707 e da Sez. 3, n. 633 del 29/11/2011 - dep. 12/01/2012, Stigliani, Rv. 251906, che fanno riferimento ai soli danni patrimoniali) che il danno risarcibile non deve ritenersi limitato all'ambito patrimoniale di cui all'art. 2043 c.c., e ciò:
a) sia perché tanto non si ricava in modo tassativo dalla formulazione della norma (art. 313, comma 7, secondo periodo D.Lgs. cit.) - la quale, invero, nel far testuale riferimento ai "soggetti danneggiati... nella loro salute o nei beni di loro proprietà", non esprime in modo chiaro e univoco l'intento di escludere altri possibili pregiudizi patrimoniali e non, sembrando piuttosto quel riferimento aver valore solo esemplificativo, specie in presenza del successivo più generico riferimento ai "diritti" ed "interessi lesi";
b) sia perché - a tutto concedere - non v'è ragione logica e sistematica per ritenere tale norma di legge di portata tale da prevalere o rendere inoperante in materia la generale norma codicistica (avente ovviamente pari ordinata forza di legge) di cui all'art. 185 cod. pen. che, come noto, dispone che ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga il colpevole al risarcimento nei confronti non solo del soggetto passivo del reato stesso, ma di chiunque possa ritenersi danneggiato per avere riportato un pregiudizio eziologicamente riferibile all'azione od omissione del soggetto attivo;
c) sia infine perché, ove si tratti - come nella specie - di danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritto inviolabile della persona costituzionalmente protetto, la sua risarcibilità troverebbe comunque fondamento nella norma di cui all'art. 2059 c.c., posto che la riserva di legge ivi prevista per la individuazione dei casi in cui è ammesso il risarcimento dei danni non patrimoniali, ben può e deve intendersi riferita anche alle previsioni della legge fondamentale "atteso che il riconoscimento nella Costituzione dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica, implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale" (in tal senso già le sentenze gemelle di Cass. civ., sez. 3, nn. 8827 e 8828 del 31/05/2003; nonché Corte cost. 11 luglio 2003, n. 233). 5.1. Mette conto in proposito ricordare che, con le note "sentenze gemelle" dell'11 novembre 2008, nn. 26972/26975, le Sezioni unite civili di questa Suprema Corte - confermata la definizione del danno non patrimoniale come "danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica" - hanno ribadito che la sua risarcibilità richiede:
a) che si tratti di danno prodotto da un fatto illecito;
b) che si versi in uno dei "casi determinati dalla legge". 5.1.1. Con riferimento al primo presupposto hanno evidenziato che lo schema causale presupposto dall'art. 2059 cod. civ. consente di identificare i seguenti elementi:
i) la condotta colpevole (nell'ambito della responsabilità per colpa, quale è tipicamente quella penale) o una situazione di rischio (nell'ambito della responsabilità oggettiva, prevista in campo civile);
ii) la lesione, non giustificata, di interessi meritevoli di tutela (evento lesivo);
iii) il nesso causale tra il primo ed il secondo elemento;
iv) il danno che consegue alla lesione dell'interesse meritevole di tutela (danno conseguenza).
Il danno non patrimoniale si colloca in quest'ultima casella dello schema, rappresentando un danno conseguenza (esplicitamente in tal senso v. p.4.10), risarcibile (nei casi determinati dalla legge) in presenza di una fattispecie connotata dai tre elementi predetti (condotta colposa o cosa o fatto potenzialmente pericoloso - nesso causale - evento lesivo).
5.1.2. L'altro presupposto della risarcibilità del danno non patrimoniale si ricava - affermano le Sezioni unite civili ù "dall'individuazione delle norme che prevedono siffatta tutela". Tale presupposto riguarda precisamente l'evento lesivo, ossia il secondo elemento del surricordato schema.
In tale momento si apprezza - sottolineano le "sentenze gemelle" delle SS.UU. nel 2008 - il discrimine della differente risarcibilità del danno non patrimoniale rispetto a quella del danno patrimoniale. Il risarcimento del danno patrimoniale da fatto illecito è, infatti, connotato da atipicità, atteso che l'ingiustizia del danno di cui all'art. 2043 c.c., può essere determinata dalla lesione di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante (Cass. civ., Sez. U., n. 500/1999), mentre quello del danno non patrimoniale è connotato da tipicità, perché tale danno è risarcibile solo nei casi determinati dalla legge e nei casi in cui sia cagionato da un evento di danno consistente nella lesione di specifici diritti inviolabili della persona.
In ambito penale tale requisito è ovviamente per definizione soddisfatto dall'art. 185 c.p., che prevede la risarcibilità del danno non patrimoniale conseguente a reato.
In tal caso la selezione interviene a monte con riguardo alla fattispecie produttiva di danno ed è implicita nella tipizzazione del fatto reato (condotta-nesso causale-evento) operata dalla norma penale; a valle pertanto sarà risarcibile il danno non patrimoniale "nella sua più ampia accezione di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica":
non soltanto, dunque, quello conseguente alla lesione di diritti costituzionalmente inviolabili, ma anche quello conseguente alla lesione di interessi inerenti la persona non presidiati da siffatti diritti, ma meritevoli di tutela in base all'ordinamento (secondo il criterio dell'ingiustizia ex art. 2043 c.c.) e come tali tutelati proprio dalla norma incriminatrice.
Non può peraltro dubitarsi, come detto, che il danno non patrimoniale che nella specie viene in questione, ossia il danno all'immagine (ovvero alla reputazione e al prestigio dell'ente Regione costituitosi parte civile) rimane comunque anche costituzionalmente presidiato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2059 c.c., trattandosi di diritto inviolabile della persona certamente riconducibile a quelli cui viene riconosciuta tutela costituzionale dall'art. 2 Cost..
5.2. Alla luce della ricostruzione sopra sintetizzata va intesa l'affermazione - fonte di non sopiti dubbi interpretativi - secondo cui, data la già ricordata nozione di "danno derivante dalla lesione di valori inerenti alla persona non connotati da rilevanza economica", è da escludere che nell'ambito della categoria generale "danno non patrimoniale" così definita possano distinguersi delle sottocategorie e piuttosto possono solo ipotizzarsi "specifici casi determinati dalla legge, al massimo livello costituito dalla Costituzione, di riparazione del danno non patrimoniale". La distinzione di diversi tipi di danno non patrimoniale, infatti, secondo le Sezioni Unite: 1) può porsi non tra diverse categorie di danno non patrimoniale, ma tra diversi tipi dell'unica categoria di danno (non patrimoniale); 2) non interviene a livello di danno conseguenza, ma a livello di evento lesivo; 3) ha funzione solo descrittiva.
Tale precisazione va letta in funzione dell'esigenza di evitare duplicazioni risarcitorie frutto di mere impostazioni nominalistiche o formalistiche del tema, ma non vale certamente ad escludere a priori ne' la risarcibilità di tutti i pregiudizi derivanti dalla lesione dell'interesse protetto (compreso il tanto discusso danno morale inteso come sofferenza soggettiva derivante da tale lesione) nè, a fortiori, a monte, la necessità di separatamente considerare le differenti lesioni che, nei sensi sopra detti, possano determinarsi in conseguenza di un medesimo fatto plurioffensivo. 5.3. È dunque implicita alla nozione stessa di danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ. e alla struttura del fatto illecito extracontrattuale produttivo di danno, quale disegnata dall'art. 2043 c.c., la possibilità di configurare in concreto diversi tipi di danno non patrimoniale conseguenti al medesimo fatto illecito, in ragione di una ben possibile capacità di quest'ultimo di ledere al tempo stesso più interessi non patrimoniali (plurioffensività del fatto illecito), di cui siano titolari la stessa persona (fisica o giuridica) o invece riconducibili a diversi titolari (come accade nella specie).
5.4. È infine utile rammentare che costituisce ormai pacifica acquisizione nella giurisprudenza civile di questa S.C. la configurabilità di un danno non patrimoniale, nel più ampio significato di "danno determinato dalla lesione di interessi inerenti alla persona non connotati da rilevanza economica", anche in capo alle persone giuridiche, tra cui vanno compresi gli enti territoriali esponenziali, sub specie di pregiudizi derivanti dalla lesione di diritti della personalità compatibili con l'assenza di fisicità quali il diritto all'esistenza, all'identità, al nome, alla reputazione, all'immagine (cfr. Cass. civ., Sez. 1, Sentenza n. 7642 del 10/07/1991, Rv. 473053; Sez. 1, n. 12951 del 05/12/1992, Rv. 479918; Sez. 3, n. 2367 del 03/03/2000, Rv. 534529; Sez. 1, n. 11600 del 02/08/2002, Rv. 558165; Sez. 1, n. 15233 del 29/10/2002, Rv. 558861; Sez. 1, n. 2130 del 13/02/2003, non mass. sul punto; Sez. 1, n. 5664 del 10/04/2003, Rv. 563513; Sez. 1, n. 6022 del 16/04/2003, non mass. Sul punto; Sez. 1, n. 2570 del 11/02/2004, non mass. sul punto; Sez. 3, n. 14766 del 26/06/2007, Rv. 597850).
È stato in particolare evidenziato che danno non patrimoniale in capo all'ente collettivo, sub specie di danno all'immagine, può essere rappresentato dalla diminuzione della considerazione della persona giuridica o dell'ente nel che si esprime la sua immagine, sia sotto il profilo della incidenza negativa che tale diminuzione comporta nell'agire delle persone fisiche che ricoprano gli organi della persona giuridica o dell'ente e, quindi, nell'agire dell'ente, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica o l'ente di norma interagisca (v. Cass. civ., Sez. 3, n. 4542 del 22/03/2012, Rv. 621596; Sez. 3, n. 12929 del 04/06/2007, Rv. 597309).
6. Posto dunque che dal sistema non si trae alcuna preclusione alla riconoscibilità di un danno non patrimoniale risarcibile, sub specie di danno all'immagine, in capo all'ente Regione, derivante dal fatto illecito produttivo di danno ambientale, può passarsi al secondo dei quesiti posti in apertura della presente parte motiva: se cioè una tale preclusione possa, per ragioni processuali, ravvisarsi in considerazione dei vincoli derivanti dalla precedente sentenza di annullamento.
La risposta a tale quesito è negativa.
Dal combinato disposto dell'art. 627 c.p., comma 3, e art. 173 disp. att. c.p.p., comma 2, si ricava che la "questione di diritto" che si impone all'osservanza del giudice di rinvio non è qualsivoglia enunciazione di principi giuridici contenuta nella sentenza di annullamento, ma solo quella o quelle che ne costituiscono la ratio decidendi posta a fondamento della decisione di annullamento. Nel caso di specie, la statuizione con cui il Tribunale aveva riconosciuto in capo alla Regione un diritto al risarcimento è stata annullata dalla terza sezione di questa S.C. sulla base del rilievo per cui "non viene specificato, limitandosi la motivazione a menzionare genericamente il danno ambientale, se lo stesso sia consistito in un danno diverso dall'interesse pubblico e generale alla tutela dell'ambiente, solo in tal caso, infatti, essendo legittima la relativa condanna".
L'errore che ha condotto all'annullamento (il cui rilievo consente per converso di individuare anche la ratio decidendi della sentenza rescindente) non è dunque quello di avere, la prima sentenza del giudice di merito, postulato la risarcibilità di un danno non patrimoniale conseguente alla lesione dell'immagine dell'ente locale, ma ben diversamente quello di avere, quella pronuncia, puramente e semplicemente fatto riferimento al danno ambientale, che però può essere riconosciuto solo in capo allo Stato, esclusivo titolare della relativa pretesa risarcitoria.
Ne deriva che il vincolo derivante per il giudice del rinvio era solo quello di non ripetere lo stesso errore, ossia di valutare l'eventuale esistenza in capo alla Regione Lombardia di danni diversi dal danno ambientale, senza alcuna ulteriore limitazione dei danni a tal fine suscettibili di essere considerati, in particolare in relazione alla natura, patrimoniale o non patrimoniale, degli stessi. Non può quindi trarre in inganno il fatto che, nell'esplicare tale regola di giudizio, la sentenza faccia poi riferimento (solo) al danno patrimoniale (si afferma infatti che "tutti gli altri soggetti, singoli o associati, ivi compresi gli enti pubblici territoriali e le regioni, possono invece agire, in forza dell'art. 2043 c.c., per ottenere il risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale, ulteriore e concreto, che abbiano dato prova di aver subito dalla medesima condotta lesiva dell'ambiente in relazione alla lesione di altri loro diritti patrimoniali, diversi dall'interesse pubblico e generale alla tutela dell'ambiente come diritto fondamentale e valore a rilevanza costituzionale"), dovendosi al riguardo considerare che:
a) tale riferimento, su di un piano meramente testuale, specie in mancanza di alcuna ulteriore precisazione sul punto, non può ritenersi univocamente espressivo della volontà di escludere invece la rilevanza di danni non patrimoniali, ben potendo allo stesso attribuirsi valenza meramente esemplificativa dei danni reclamabili dai privati o dagli enti locali, diversi dal danno ambientale;
b) l'equivocità di tale riferimento è confermata dal fatto che, subito dopo, la sentenza richiama, quale precedente conforme, anche la sentenza n. 19437 del 17/01/2012, Fundarò e altri, Rv. 252907, la quale invece - come s'è visto - espressamente ammette la risarcibilità anche dei danni non patrimoniali;
c) infine, che certamente non si appunti su tale aspetto la regola di giudizio affermata con la sentenza di annullamento e come tale vincolante nel prosieguo del procedimento, si ricava univocamente dal fatto che la stessa sentenza annulla la sentenza di merito (anche) nella parte in cui aveva riconosciuto un risarcibile danno morale o all'immagine in capo a Comune e Provincia di Milano, non già negandone a priori, in astratto, la risarcibilità in quanto danni non patrimoniali, ma solo perché difettava una "qualsiasi motivazione" circa la configurabilità, nel caso concreto, di siffatti pregiudizi in capo ai detti enti.
7. Alla luce delle superiori considerazioni può dunque passarsi all'esame del terzo quesito, più specificamente attinente ai motivi di ricorso: se, cioè, nel caso di specie, la identificazione, in concreto, di un apprezzabile danno non patrimoniale all'immagine sia sorretta da adeguata motivazione.
A tale quesito deve darsi risposta affermativa, con il conseguente rigetto di entrambe le doglianze sul punto svolte dal ricorrente, congiuntamente esaminabili.
7.1. Giova anzitutto ribadire che, con la considerazione di un danno all'immagine distinto dal danno all'ambiente e come tale risarcibile in capo all'ente che assume l'esistenza di una tale lesione, il giudice a quo non è incorso in alcuna contraddizione, essendo ben ipotizzabile, come detto, che dallo stesso fatto lesivo accertato derivino, oltre che un danno ambientale nei termini descritti dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 300, anche un danno all'immagine dell'ente territoriale in relazione alla lesione che lo stesso ne può indirettamente subire, sul piano del prestigio e della reputazione, nei confronti della collettività in quanto evidentemente strettamente connessi - in senso positivo o negativo - anche all'efficacia dell'azione ad esso demandata di custodia e valorizzazione di beni ambientali di particolare rilievo. Trovasi in tal senso espressamente riconosciuto nella giurisprudenza civile di questa S.C. che "l'immagine, il prestigio e la reputazione di un ente territoriale costituiscono beni essenziali ai fini della sua credibilità politica" e che "non può dubitarsi che la lesione di tali valori alla cui tutela la persona giuridica pubblica ha un diritto costituzionalmente garantito determini sicuramente, e di per sè, un danno non patrimoniale, costituito dalla diminuzione della considerazione dell'ente da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali di norma interagisca" (v. Cass. civ., Sez. 3, n. 4542 del 22/03/2012, cit.).
In termini del tutto coerenti a tali principi, la sentenza impugnata - in modo sintetico ma tuttavia adeguato e con linearità argomentativa - da conto dei motivi per i quali ritiene configurabile nella fattispecie l'esistenza di un danno non patrimoniale di tal genere, ragionevolmente attribuendo rilievo, come detto, al fatto che i luoghi interessati della raccolta, gestione e destinazione del materiale oggetto del capo di imputazione sono tutti ricompresi nel medesimo territorio regionale e in particolare al fatto che ad essere stato negativamente inciso dal reato in questione sia stato il Parco Adda sud, istituito con L.R. n. 81 del 1983, nell'ambito del piano generale delle aree regionali protette in quanto bene di particolare rilevanza naturale ambientale: ciò evidentemente ridondando a danno dell'amministrazione regionale, rappresentando un evidente insuccesso nell'attuazione di un compito di non secondario rilievo per l'ente, con correlati negativi riflessi sulla reputazione
dell'amministrazione.
7.2. Ne può ravvisarsi contraddizione con i motivi che hanno invece condotto il Tribunale a negare il riconoscimento di analogo pregiudizio in capo al Comune e alla Provincia, essendo al riguardo ben evidenziata in sentenza l'impossibilità di identificare in capo agli stessi autonomi e diversi pregiudizi nei medesimi termini, per la mancata allegazione di elementi in fatto precisi e specifici, quali invece riscontrabili, per le ragioni dette, con riferimento alla Regione.
8. Il ricorso va pertanto rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 27 maggio 2014.
Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2014