Cass. Sez. III n. 27304 del 10 luglio 2012 (Cc 29 feb. 2012)
Pres. Mannino Est. Andronio Ric.Magrin
Urbanistica.Procedura di localizzazione e realizzazione di impianti produttivi
Il perfezionamento della procedura prevista dagli artt. 4 e 5 del d.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447, relativa alla localizzazione e alla realizzazione di impianti produttivi, non produce l'effetto di sanare o comunque di elidere le violazioni urbanistiche già compiute e sanzionate dall'art. 44 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. MANNINO Saverio Felice - Presidente - del 29/02/2012
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - ORDINANZA
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - N. 541
Dott. MULLIRI Guicla - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ANDRONIO Alessandro M. - rel. Consigliere - N. 38206/2011
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
MAGRIN MIRKO N. IL 30/01/1974;
avverso l'ordinanza n. 49/2011 TRIB. LIBERTÀ di LATINA, del 12/05/2011;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO;
sentite le conclusioni del PG Dott. MAZZOTTA Gabriele per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. Bassoli Carlo.
RITENUTO IN FATTO
1. - Con ordinanza del 12 maggio 2011, il Tribunale di Latina, in sede di riesame, ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip dello stesso Tribunale il 23 aprile 2011, in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. b), ed avente ad oggetto una platea in cemento di circa 10.000 m2 e una vasca in cemento armato con sovrastante tettoia in ferro. 2. - Avverso l'ordinanza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 2.1. - Si deduce, in primo luogo, la violazione dell'art. 178 c.p.p., comma 1, lett. a), perché nella formazione del collegio del riesame non si sarebbe tenuto conto del fatto che di esso ha fatto parte un magistrato che ha svolto funzione di giudice del dibattimento in un procedimento penale strettamente connesso, dal quale è scaturita la sentenza n. 1217 del 2004; tale magistrato, in particolare, avrebbe, con sua ordinanza, disposto il dissequestro dell'area, così fortemente incidendo, anche in punto di diritto, sull'applicazione e interpretazione della normativa riferibile alla materia. 2.2. - Con un secondo motivo di ricorso, si deducono la violazione del principio del ne bis in idem e del principio di specialità, nonché la mancanza di motivazione.
Premette il ricorrente di essere stato sottoposto a un procedimento penale per le seguenti imputazioni: a) del D.Lgs. n. 22 del 1997, artt. 27 e 28, art. 51, comma 1, lett. a) e b), per avere attivato e gestito un centro di raccolta, demolizione e rottamazione dei veicoli a motore senza autorizzazione; b) del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 3, per discarica abusiva di veicoli destinati alla rottamazione e di parti di essi; c) del D.Lgs. n. 95 del 1992, art. 3, comma 2, lett. a), e art. 14, comma 3, per versamenti sul suolo di oli esausti nocivi.
Aggiunge lo stesso ricorrente di essere al momento sottoposto ad altro procedimento penale per le seguenti imputazioni: d) D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2, per avere effettuato smaltimento di rifiuti in contrasto con le disposizioni vigenti; e) del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. b), per avere, in mancanza di permesso di costruire, realizzato due piazzali, della superficie di metri quadrati 600 e metri quadrati 110, in zona agricola; f) art. 349 cod. pen., per avere violato i sigilli apposti ai suddetti piazzali al fine di ampliarne la superficie attraverso il deposito e lo spianamento di ulteriore materiale di risulta.
Sostiene la difesa che, poiché sulle aree era stato disposto il sequestro poi revocato, non sarebbe consentito al Gip disporre un nuovo sequestro delle medesime aree ed opere edilizie per lo stesso reato, anche se nell'ambito di un procedimento formalmente diverso;
sarebbe, in altri termini, violato il principio del ne bis in idem. 2.3. - È dedotta, in terzo luogo, la violazione del D.P.R. n. 447 del 1998, artt. 4 e 5 perché, nel caso di specie, vi sarebbe una procedura di emersione del lavoro sommerso ormai completata con la presentazione degli elaborati tecnici e con la comunicazione di approvazione del piano portante l'attestazione del parere favorevole del Comune. Nell'ambito di tale procedura il responsabile dello sportello unico per le attività produttive, concludendo la fase istruttoria, avrebbe acquisiti i pareri e il nullaosta di competenza, dichiarando che la società dell'imputato, già esistente come attività di rottamazione e demolizione di rifiuti ferrosi, è autorizzata ad esercitare l'attività di smaltimento e recupero dei rifiuti provenienti dalla demolizione degli autoveicoli a motore e dalla rottamazione di macchinari e apparecchiature deteriorati e obsoleti. A detta del ricorrente, il provvedimento conclusivo del procedimento dovrebbe considerarsi, ad ogni effetto, titolo valido per la realizzazione dell'intervento richiesto, ai sensi del D.P.R. n. 447 del 1998, art. 4, comma 1-bis, con la conseguenza che il permesso di costruire è, "al pari di ogni altro atto istruttorio, un endoprocedimento ... e il provvedimento conclusivo è l'unico titolo per la realizzazione dell'intervento richiesto". Ne deriverebbe, sempre ad avviso della difesa, che la determinazione e il conseguente provvedimento finale della conferenza di servizi convocata dallo sportello unico per le attività produttive ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 14 ricomprendono legittimamente il permesso di costruire eventualmente ancora non rilasciato; permesso che, visti gli esiti favorevoli delle istruttorie e la mancata presentazione di eccezioni, dovrà comunque essere rilasciato.
2.4. - Si deduce, in quarto luogo, la violazione e falsa applicazione del "combinato legislativo in materia di emersione del lavoro sommerso e piano di adeguamento progressivo in connessione con l'art. 14" della L. n. 241 del 1990. In particolare, la difesa sottolinea che, non essendo mai stato esternato un concreto dissenso da parte degli enti partecipanti alla conferenza di servizi, bensì solamente la manifestazione della necessità di adeguarsi ad alcune prescrizioni via via dettate nel tempo, "non si vede quale sia l'ostacolo rappresentato irritualmente dall'ente municipale per condurre a compimento l'iter amministrativo, anziché interromperlo inopinatamente".
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. - Il ricorso è inammissibile, perché basato su motivi generici o manifestamente infondati.
3.1. - Il primo motivo di impugnazione - relativo alla una pretesa incompatibilità di un magistrato che ha fatto parte del collegio del Tribunale del riesame, argomentata sul rilievo che egli si sarebbe già pronunciato in procedimenti connessi - è inammissibile, perché generico.
Il ricorrente non precisa, infatti, quali siano le concrete ragioni di detta incompatibilità, limitandosi ad affermare che il presente procedimento e quello nel quale il magistrato si sarebbe già pronunciato hanno lo stesso oggetto, pur essendo diversi. Al di là della sua assoluta genericità, tale affermazione è, peraltro, smentita dalla stessa prospettazione del ricorrente (come si vedrà infra sub 3.2).
3.2. - Manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso, con cui si sostiene la violazione del principio del ne bis in idem in relazione a procedimenti già conclusi o pendenti a carico dell'imputato, ed aventi ad oggetto, nel complesso, le seguenti imputazioni: a) del D.Lgs. n. 22 del 1997, artt. 27 e 28, 51, comma 1, lett. a) e b), per avere attivato e gestito un centro di raccolta, demolizione e rottamazione dei veicoli a motore senza autorizzazione;
b) del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 3, per discarica abusiva di veicoli destinati alla rottamazione e di parti di essi; c) del D.Lgs. n. 95 del 1992, art. 3, comma 2, lett. a), e art. 14, comma 3, per versamenti sul suolo di oli esausti nocivi; d) D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2, per avere effettuato smaltimento di rifiuti in contrasto con le disposizioni vigenti; e) del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. b), per avere, in mancanza di permesso di costruire, realizzato due piazzali, della superficie di metri quadrati 600 e metri quadrati 110, in zona agricola; f) art. 349 cod. pen., per avere violato i sigilli apposti ai suddetti piazzali al fine di ampliarne la superficie attraverso il deposito e lo spianamento di ulteriore materiale di risulta.
È sufficiente osservare, sul punto, che, dal semplice raffronto tra i reati appena elencati e quello in relazione al quale si procede nel presente procedimento (reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. b, in relazione a una platea in cemento di circa 10.000 m2 e a una vasca in cemento armato con sovrastante tettoia in ferro) emerge, con evidenza, che si tratta di fattispecie concrete del tutto diverse.
3.3. - Il terzo motivo di gravame - con il quale la difesa sostiene, in sintesi, che il compimento della "procedura di emersione del lavoro sommerso" di cui al D.P.R. n. 447 del 1998 (Regolamento recante norme di semplificazione dei procedimenti di autorizzazione per la realizzazione, l'ampliamento, la ristrutturazione e la riconversione di impianti produttivi, per l'esecuzione di opere interne ai fabbricati, nonché per la determinazione delle aree destinate agli insediamenti produttivi, a norma della L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 20, comma 8), avrebbe avuto l'effetto di sanare le irregolarità urbanistiche contestate - è del pari manifestamente infondato.
È infatti sufficiente rilevare che nessuna delle disposizioni del richiamato D.P.R. prevede che il compimento della procedura ivi prevista, relativa non tanto alla emersione del lavoro sommerso - come sostenuto dal ricorrente - quanto alla localizzazione e alla realizzazione di impianti produttivi, abbia l'effetto di sanare o, comunque, far venire meno violazioni urbanistiche. Anzi, il suo art. 5 -menzionato dado stesso ricorrente - stabilisce espressamente che, "Qualora il progetto presentato sia in contrasto con lo strumento urbanistico, o comunque richieda una sua variazione, il responsabile del procedimento rigetta l'istanza".
3.4. - Il quarto motivo di ricorso - con cui si lamenta, in sostanza, l'inerzia dell'amministrazione nel rimuovere gli ostacoli al compimento dell'iter amministrativo diretto ad ottenere un titolo equipollente al permesso di costruire relativamente alle opere edilizie realizzate - è generico e, comunque, manifestamente infondato.
Il ricorrente riferisce, infatti, della pendenza di un procedimento di emersione del lavoro sommerso e di un piano di adeguamento progressivo realizzato dalla società della quale è legale rappresentante, senza specificare quali siano in concreto l'oggetto, i tempi, gli atti posti in essere. E ciò, a prescindere dalla considerazione che, lamentando la mancata emissione di un titolo equipollente al permesso di costruire - posto, per assurdo, che lo stesso possa essere davvero emanato all'esito di un tale procedimento - il ricorrente sostanzialmente ammette di aver realizzato le opere oggetto di sequestro in mancanza di un tale titolo e, dunque, abusivamente.
4. - Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00. P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 29 febbraio 2012.
Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2012