Consiglio di Stato Sez. IV n. 1397 del 8 febbraio 2023
Danno ambientale.Differenza con contaminazione

Il danno ambientale di cui all’art. 298 e ss. del codice dell’ambiente e contaminazione di cui agli artt. 239 e ss. del medesimo codice non sono concetti sovrapponibili. La nozione estesa di deterioramento riferibile al primo, infatti, comprende, ma non si esaurisce in, quella di “evento potenzialmente in grado di contaminare il sito”, di cui all’art. 242 del codice dell’ambiente, dal che consegue che non tutta la disciplina in materia di danno ambientale si estende alla diversa tematica delle bonifiche; voler diversamente opinare, nel senso di una totale sovrapponibilità tra i due istituti, significherebbe accettare che, con quella semplice abrogazione della lett. i) dell’art. 303 si sarebbe prodotta un’implicita abrogazione dell’intero Titolo V della Parte IV del codice

Pubblicato il 08/02/2023

N. 01397/2023REG.PROV.COLL.

N. 03795/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3795 del 2016, proposto dalla Società Italiana per il Gas S.p.a. - Italgas, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Eugenio Bruti Liberati e Alessandra Canuti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Paola Tanferna in Roma, via Maria Adelaide,8;

contro

la Provincia di Lucca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Lorenzo Corsi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Francesca Buccellato in Roma, via Cosseria 2;

nei confronti

del Comune di Lucca, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Nicola Pignatelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Aldo Pinto in Roma, via Mazzini n. 4;
della Gesam S.p.a., della Polis S.p.a., del Servizio ambiente, Ufficio rifiuti e bonifica siti inquinati della Provincia di Lucca e della Regione Toscana, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda) n. 164/2016, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Lucca e del Comune di Lucca;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 14 dicembre 2022 il Cons. Sergio Zeuli

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. L’appellante impugna la sentenza del Tar Toscana che ha rigettato il ricorso per l’annullamento della Determinazione Dirigenziale n.5560 del 2014 avente ad oggetto ordinanza a provvedere ai sensi del Titolo V, parte IV D. Lgs.152 del 2006 per il sito di bonifica LU219- Gesam S.p.a. area ex Italgas, nel comune di Lucca.

2. A sostegno del gravame la parte appellante deduce le seguenti circostanze:

- la Tuscan Gas, che da quasi 60 anni gestiva il servizio di distribuzione del gas nel comune di Lucca, venne fusa per incorporazione in Italgas che, fra gli altri beni, ereditò anche un’officina del gas, comprendente alcuni gasometri;

- per il successivo trentennio il servizio è stato espletato da Italgas che poi, con atto del 31 maggio 1973, lo cedette al comune di Lucca, che provvide a gestirlo tramite la Gesam, prima azienda municipalizzata, poi società in mano pubblica controllata dal Comune, mentre la proprietà rimase in capo allo stesso Comune;

- con la delibera n.227 del 28 dicembre 2001 il Consiglio comunale di Lucca cedeva il complesso immobiliare in proprietà alla Gesam che avrebbe poi, in base alla stessa delibera, dovuto procedere ad una ristrutturazione e riqualificazione;

- successivamente una porzione dell’area è stata ulteriormente ceduta alla Polis, altra società partecipata dal Comune, incaricata di provvedere direttamente ai lavori;

- durante lo svolgimento di questi ultimi la Polis rinveniva nel sottosuolo una tubazione con rotture e danneggiamenti, sicché, per il tramite della Gesam, informava il Comune che le dava incarico di dar seguito alle operazioni di verifica e di risanamento ambientale;

- non avendo riscontrato rischi che potessero nuocere all’ambiente, con la nota dell'1 maggio del 2010 la Gesam comunicava al Comune che non era necessario attivare i rimedi di cui al d. lgs. 152 del 2006;

- nel frattempo, con la nota del 5 giugno del 2009 il Comune aveva avvisato Italgas dell’avvio di un procedimento nei suoi confronti relativo a “problematiche ambientali” riguardanti la medesima aerea;

- l’8 luglio del 2009 si svolgeva un sopralluogo nel sito, nel corso del quale venivano riscontrate evidenze di locali residui di possibile origine industriale;

- solo il 15 giugno del 2010 il Comune, richiamando quanto emerso dal sopralluogo, invitava la società appellante ad avviare le procedure di cui all’art.242 del d. lgs. 152 del 2006;

- non essendo chiara la natura di tale nota, per non incorrere in involontarie decadenze, Italgas impugnava l’atto dinanzi al TAR Toscana, sennonché, nelle more della definizione del giudizio, in conseguenza degli impegni assunti dalla Società Polis S.p.a. che aveva trasmesso il piano di caratterizzazione, il Comune di Lucca con lettera del 2 novembre del 2010 comunicava ad Italgas la sopravvenuta carenza di interesse per l’attivazione delle procedure propedeutiche alla bonifica del sito.

Sicché il TAR dichiarava improcedibile il ricorso.

3. Dopo pochi mesi, il 15 gennaio 2011, Gesam comunicava alla provincia di Luca la potenziale contaminazione storica sul sito di sua proprietà, al contempo rilevando l’assenza di pericolo per l’ambiente, quindi, il 26 ottobre del 2011 presentava il proprio piano di caratterizzazione, approvato dal Comune di Lucca con Determinazione dirigenziale n.2347 del 21 dicembre 2011;

- dopo tre richieste di proroga dei termini, il 2 gennaio 2014 Gesam dichiarava l’interruzione della propria attività di caratterizzazione, essendosi palesata la contaminazione dell’area oggetto di studio;

- il Comune, invece che insistere affinché Gesam portasse a termine l’attività di caratterizzazione presentando l’Analisi di Rischio, prendeva atto della decisione, in modo – a dire dell’appellante – irragionevole;

- dopo essere stata compulsata dalla Provincia, la Polizia Provinciale inviava una nota, il 27 giugno del 2014, nella quale rappresentava che l’inquinamento dell’area, rilevato dall’ARPAT, sarebbe stato attribuibile all’attività di distillazione di carbone posta in essere da Italgas fino agli anni ’70 del secolo scorso;

- l’atto, con cui Italgas nel 1973 aveva ceduto al Comune di Lucca l’area, era stato preceduto da due verbali di consistenza degli impianti del 31 marzo e del 22 novembre del 1972 che descrivevano in modo analitico i manufatti del complesso aziendale, manufatti che nel corso della gestione Gesam erano stati smantellati;

- dal tenore di alcune affermazioni contenute negli atti con cui Gesam aveva ceduto a Polis una porzione dell’area, si evinceva chiaramente – a dire dell’appellante- che tanto il Comune di Lucca, quanto Gesam, fossero pienamente consapevoli della probabile contaminazione dei suoli;

- le normative succedutesi, a partire dal cd. decreto Ronchi del 1997, in tema di inquinamento dei suoli, hanno imposto specifici oneri sui possessori di terreni inquinati e tale complesso normativo era sicuramente applicabile al Comune di Lucca, a Gesam ed a Polis, ma non ad Italgas per l’ovvia ragione che negli anni della sua attività di distillazione non vigevano normative sugli oneri dei proprietari di siti inquinati.

4. La Provincia di Lucca comunicava ad Italgas ed al comune di Lucca l’avvio del procedimento finalizzato all’emanazione di un’ordinanza ex art.244 del d. lgs. 152 del 2006;

- la società riscontrava la comunicazione con la nota del 30 ottobre del 2014, nella quale puntualizzava che al momento della cessione non vi era alcuna norma che prevedeva limiti alla concentrazione sulle aree potenzialmente contaminate;

- in ogni caso anche nell’ipotesi, non creduta, di una qualsivoglia responsabilità imputabile ad Italgas, questa sarebbe comunque trasmigrata in capo al Comune di Lucca per effetto della cessione del ramo d’azienda, tanto più che il Comune aveva piena consapevolezza della potenziale contaminazione del sito;

- peraltro alcuni parametri rispetto ai quali era stato rilevato il superamento della concentrazione non erano correlati all’attività di distribuzione del gas;

- infine il termine trentennale previsto dall’art.303 lett. g) del d. lgs. 152 del 2006 per la responsabilità connessa al pregiudizio era abbondantemente decorso.

5. Ciò nonostante la Provincia di Lucca, il 28 novembre del 2014, assumeva la determinazione dirigenziale impugnata con la quale insisteva nell’affermare la responsabilità di Italgas ordinandogli, come anche al comune di Lucca, la prosecuzione della caratterizzazione del sito con presentazione dell’analisi di rischio sito specifica, nonché l’esecuzione delle opere di bonifica necessarie;

6. Sia il Comune che Italgas impugnavano la determinazione con separati ricorsi, che venivano successivamente riuniti;

- nelle more della definizione del giudizio di primo grado, la Provincia con la nota del 31 marzo del 2015 comunicava l’avvio del procedimento avente ad oggetto la diffida ad Italgas per la completa attuazione della determinazione dirigenziale del 28 novembre 2014;

- con missiva del 23 aprile del 2015 l’appellante evidenziava come fosse irragionevole pretendere l’avvio di operazioni così complicate sulla base di un provvedimento sul quale, a breve, si sarebbe pronunciato il giudice amministrativo;

- ciò non pertanto il 12 giugno del 2015 la Provincia emanava la preannunciata diffida a provvedere che veniva impugnata dalla società.

7. La sentenza appellata ha rigettato il ricorso proposto da Italgas, accogliendo in parte quello proposto dal Comune di Lucca.

8. Avverso la decisione sono sollevati i seguenti motivi di appello:1. Erroneità della sentenza di primo grado per violazione dell'articolo 242 del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, nonché per erroneità e contraddittorietà della motivazione su di un punto decisivo della controversia. 2. Erroneità della sentenza di primo grado per violazione: dell'articolo 23 della Costituzione, nonché degli articoli 144, 240, 242, 244, 245, 250, 252, 253, 303 e 313 del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152; dell'articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22; degli articoli 2, 3, 4, 7, 8, 10 e 15 del decreto ministeriale 25 ottobre 1999 n. 471; dell'articolo 20 della legge della Regione Toscana 18 maggio 1998 n. 25; dell'articolo 11 delle disposizioni preliminari a codice civile; degli articoli 1, 3 e 10 della legge 7 agosto 1990 n. 241; del principio di proporzionalità dell'azione amministrativa. 3. Erroneità della sentenza di primo grado per violazione: dell'articolo 117 della Costituzione in relazione all'articolo 6 della Convenzione europea per i diritti dell'uomo (CEDU); dell'articolo 23 della Costituzione, nonché degli articoli 240, 242, 244, 250, 252 e 311 del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152; degli articoli 14 e 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22; degli articoli 2, 3, 4, 7, 8, 10 e 15 del decreto ministeriale 25 ottobre 1999 n. 471; dell'articolo 18 della legge 31 luglio 2002 n. 179.

9. Si sono costituiti in giudizio il Comune e la Provincia di Lucca, contestando l’avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame.

10. Alla pubblica udienza del giorno 14 dicembre 2022, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato e va respinto, per le ragioni di seguito esposte.

2. Il primo motivo di appello si compone di due sub-motivi.

2.1. Col primo si censura la sentenza impugnata sottolineandosi che, ai sensi del comma 11 dell’art.242 del d. lgs. 152 del 2006, è solo il “soggetto interessato” ad essere obbligato ad attivarsi con riferimento alle situazioni di inquinamento anteriori all’entrata in vigore della nuova disciplina sulle bonifiche, almeno quando le stesse non configurino un pericolo attuale di aggravamento dello stato dell’ambiente. Dunque la Provincia non avrebbe potuto diffidare la parte appellante ad avviare le dovute iniziative in tal senso, ma, al più, la sola Gesam.

La sentenza impugnata ha invece ritenuto applicabile quella disposizione a Italgas, coordinandola con il principio generale del “chi inquina paga”, recepito dall’art.191 comma 2 del TFUE, che si riferisce anche alle cd. “contaminazioni storiche”, cioè a quelle intervenute prima dell’entrata in vigore delle normative europee a tutela dell’ambiente.

L’appellante contesta innanzitutto l’eccessiva estensione data verso il passato a questo principio, anche considerando che la prima direttiva europea in materia, la n.35 del 2004 ex art,17 esclude la sua applicazione ai danni causati da eventi verificatisi prima del 30 aprile del 2007, così limitandone temporalmente l’operatività. Nel caso in contenzioso, poiché i fatti addebitati alla Italgas risalirebbero al 1973, è evidente che nulla le sarebbe opponibile.

Quanto alla disciplina nazionale, il primo intervento legislativo che ha introdotto il dovere di bonifica a carico del responsabile dell’inquinamento è il d. lgs. 22 del 1997, che comunque, si poneva in netta discontinuità sia con il precedente regime, fondato sulla disciplina evincibile dall’art.2043 del c.c., che con le nuove disposizioni introdotte dal codice dell’ambiente.

Di conseguenza, secondo l’appellante, non vi era alcuna possibilità di onerare la Italgas di procedere alla bonifica del predetto sito.

2.2. Il motivo non è condivisibile.

2.2.1. Converrà innanzitutto ricordare che, nel caso di specie, la Provincia si è attivata ai sensi del comma 2 dell’art.245 del d. lgs. 152 del 2006, dopo la comunicazione del 2 gennaio 2014, con cui Gesam l’aveva informata che – avendo riscontrato una contaminazione del sito – avrebbe interrotto l’attività di caratterizzazione. Il prosieguo del procedimento, con l’incarico dato alla Polizia Provinciale di procedere ai necessari accertamenti, evidenziava la responsabilità di Italgas, oltre che del Comune (successivamente esclusa dalla sentenza impugnata NdR), per gli elementi compendiati nella relazione dell’organo investigativo n.96 del 2014.

Tanto meno è vero che i principi riparatori connessi al danno ambientale siano di recente introduzione nel nostro ordinamento; come ha anche di recente affermato l’Adunanza Plenaria n.10 del 2019 essi risalgono piuttosto agli inizi degli anni ’70.

2.2.2. Tanto premesso, la lettura del comma 11 dell’art.242 cod. ambiente prospettata da parte appellante -secondo cui, allorquando non ci sia un rischio immediato per l’ambiente, e si tratti di eventi anteriori all’entrata in vigore della parte IV dello stesso codice, sarebbe solo il soggetto interessato a doversi attivare per la caratterizzazione – non è corretta perché attribuisce alla previsione un’estensione più ampia che non è evincibile dal testo, che si limita a prevedere una procedura semplificata per regolare l’intervento sul sito dei soggetti interessati all’intervento, lasciando impregiudicati i doveri di bonifica a carico dei soggetti responsabili della contaminazione. Del resto, se davvero il legislatore avesse inteso escludere, in radice, la possibilità di configurare obblighi di bonifica a carico dei responsabili di contaminazioni storiche, avrebbe fatto ricorso ad una previsione generale ed espressa in tal senso, come ha fatto, espressamente nel diverso caso dell’art.303 lett. g) d. lgs. 152 del 2006, che ha escluso la possibilità di procedere nei confronti di responsabili di danni ambientali causati da eventi risalenti ad oltre trent’anni prima dall’entrata in vigore del codice.

2.2.3. Al contrario il comma 11 dell’art.242 svolge una mera funzione procedurale, specificamente rivolta ai proprietari di un sito interessati alla bonifica, evidentemente non idonea ad incidere, come giustamente ritenuto dalla sentenza impugnata, sul principio europeo del “chi inquina paga”, in pluriforme accezioni da tempo presente nel nostro ordinamento e, per il tramite della sua applicazione, sugli obblighi di bonifica a carico del responsabile della contaminazione, ossia su Italgas, la cui responsabilità in merito alla contaminazione risulta da molteplici elementi tecnici emergenti da documenti versati in atti: innanzitutto risulta dalla ricordata nota del 5 aprile del 2013 di Arpat, dalla quale emerge una situazione ambientale critica, che successivamente è stata confermata dal parere Arpat n.54024/2017 - versato in atti dalla Provincia - che ha verificato che “i valori massimi di contaminazione sono stati rilevati all’interno dei piezometri posti dentro e intorno la <<cattedrale>>”; - “le concentrazioni più elevate sono da attribuire ad idrocarburi tot. E BTEX, secondariamente a metalli e IPA (nonché a tetracloroetilene, ma presente in modo diffuso nella zona”.

2.2.4. Ulteriori elementi che consentono di addebitare la responsabilità ad Italgas della contaminazione del sito emergono inoltre dalla CTU, disposta nella causa civile intentata da Polis verso Italgas ed avente ad oggetto la rivalsa per le spese sostenute per la bonifica. Dalla relazione peritale a firma dell’ing. Orsini emerge in particolare che “è evidente che l'inquinamento riscontrato nel sito identificato con il codice SIBON LU 278, rappresentato al N.C.E.U. del Comune di Lucca al foglio 128 mappale 631, è imputabile alla produzione di gas di città mediante la distillazione del litantrace ed all'esercizio degli impianti di cracking (dagli anni '60 del secolo XX) al 1973 (arrivo della rete del metano SNAM32)”.

Pertanto, a dire del perito “la responsabilità dell’inquinamento” […] deve essere attribuita al soggetto che ha esercito per un significativo arco di tempo l'officina del gas di Lucca (nella fattispecie dal 1884 al 31/05/1973, essendo stata la Tuscan Gas Company Limited fusa per incorporazione nella Società Italiana per il Gas per Azioni nel 1942 ed essendo la produzione del gas di città cessata con la cessione dell'area al Comune di Lucca, all'arrivo della rete del metano SNAM32), ovvero all'attuale Italgas S.p.A.”

Ed ancora “L'inquinamento riscontrato nel sito identificato con il codice SIBON LU 278, rappresentato al N.C.E.U. del Comune di Lucca al foglio 128 mappale 631, è imputabile alla produzione di gas di città mediante la distillazione del litantrace ed all'esercizio degli impianti di cracking dagli anni '60 del secolo XX al 1973 (arrivo della rete del metano SNAM32) e nessuna valenza significativa assumono, ai fini dell'aggravamento della situazione in atto per quanto concerne la dispersione degli inquinanti nel suolo e nelle acque, gli interventi di demolizione e rimozione di parti dell'impianto e delle attrezzature effettuati successivamente al rilascio del sito da parte di Italgas S.p.A. (già Società Italiana per il Gas per Azioni).”

E che “ Il responsabile dell'inquinamento è il soggetto che ha esercito per un significativo arco di tempo l'officina del gas di Lucca (dal 1884 al 31/05/1973, dal momento che nel 1942 la Tuscan Gas Company Limited venne fusa per incorporazione nella Società Italiana per il Gas per Azioni e che la produzione del gas di città è cessata con la cessione dell'area al Comune di Lucca, coincidente con l'arrivo della rete del metano SNAM32), ovvero l'attuale Italgas S.p.A.”

2.2.5. Del resto l’interpretazione proposta da Italgas in questo motivo di appello trova oggi un’autorevole smentita in quanto statuito dalla ricordata Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.10 del 2019 che, in tema di obblighi di bonifica ha espressamente riconosciuto la loro addebitabilità al responsabile anche nel caso di eventi/fattori causali risalenti ad un periodo precedente l’introduzione nel nostro ordinamento degli obblighi di bonifica: “La bonifica del sito inquinato può essere ordinata anche a carico di una società non responsabile dell'inquinamento, ma che sia ad essa subentrata per effetto di fusione per incorporazione, nel regime previgente alla riforma del diritto societario, e per condotte antecedenti a quando l'istituto della bonifica è stato introdotto nell'ordinamento giuridico, ove gli effetti dannosi dell'inquinamento permangano al momento dell'adozione del provvedimento. Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.10 del 22 ottobre del 2019.

Il primo sub-motivo va pertanto disatteso.

3. Col secondo sub-motivo l’appellante lamenta il vizio di travisamento dei presupposti nei provvedimenti impugnati, perché avrebbe fondato gli stessi sull’urgenza di porre rimedio alla situazione ambientale, quando al contrario il presupposto per l’applicazione del comma 11 dell’art.242 d. lgs. 152 del 2006, è proprio l’assenza di un rischio immediato per l’ambiente. Del resto, segnala l’appellante, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza appellata, la stessa nota Arpa non rappresentava affatto una situazione di questo genere perché l’ente si era limitato a sottolineare la necessità di una rapida prosecuzione del procedimento.

In merito va premesso che il grado di criticità, e quindi la necessità di un’immediatezza della risposta, emergevano comunque dalla predetta nota Arpa, e quindi che, già in fatto, la deduzione è inesatta.

In ogni caso, a tutto voler concedere, lo stesso appellante, negando che vi fosse un’urgenza di provvedere, conferma la correttezza del ricorso all’art.242 e dunque la non contraddittorietà dell’operato della Provincia.

Infine, nel caso di specie Gesam aveva comunicato alla Provincia l’esistenza di una contaminazione, e quest’ultima – potendo risalire al o ai responsabile/i dell’inquinamento – ha coerentemente agito nei confronti di coloro che riteneva esserlo. Per vero non si vede quale altra iniziativa l’ente avrebbe dovuto adottare se non richiedere, a questi ultimi, l’espletamento delle necessarie attività di bonifica, anche considerando quanto poco sopra ricordato, in merito alla pronuncia n.10 del 2019 dell’Adunanza Plenaria che ha definitivamente sgombrato la materia delle bonifiche, e dei connessi doveri di eseguire le stesse, da ogni margine di dubbio in ordine alla loro applicabilità ai contaminatori “storici”.

Anche il secondo sub-motivo va pertanto disatteso.

4. Anche il secondo motivo di appello si articola in due sub-motivi.

4.1 Il primo di essi contesta che Italgas possa essere ritenuta responsabile per gli eventi successivi al 1973. In questo senso, l’intervenuta abrogazione della lett. i) dell’art.303 del d. lgs. 152 del 2006 – che escludeva l’applicazione della disciplina in tema di danno ambientale alle situazioni di inquinamento a far data dal 2013 – dimostrerebbe, secondo l’appellante, l’ avvenuta estensione dell’intero istituto del danno ambientale e della sua disciplina, anche alle operazioni di bonifica disciplinate dal Titolo V della Parte IV, ivi compresa la prescrizione trentennale prevista in relazione ai fattori causali del primo, con conseguente inopponibilità alla società appellante di fatti risalenti a quaranta anni prima.

4.2. Questa interpretazione non può essere condivisa.

4.2.1. In disparte che anch’essa si pone in contrasto con quanto ritenuto dalla ricordata Adunanza Plenaria n.10 del 2019, la lettura si fonda sull’erroneo presupposto che il danno ambientale di cui all’art.298 e ss. del codice dell’ambiente e contaminazione di cui agli artt. 239 e ss. del medesimo codice, siano concetti sovrapponibili.

La nozione estesa di deterioramento riferibile al primo, infatti, comprende, ma non si esaurisce in, quella di “evento potenzialmente in grado di contaminare il sito”, di cui all’art.242 del d. lgs. 152 citato, dal che consegue che non tutta la disciplina in materia di danno ambientale si estende alla diversa tematica delle bonifiche; voler diversamente opinare, nel senso di una totale sovrapponibilità tra i due istituti, significherebbe accettare che, con quella semplice abrogazione della lett. i) dell’art.303 si sarebbe prodotta un’implicita abrogazione dell’intero Titolo V della Parte IV del codice.

4.2.2. È indicativo, del resto, che l’art.303, in materia di esclusioni, precisa specificamente che la parte sesta del decreto (e solo questa parte) non si applichi alle fattispecie che la stessa disposizione provvede ad individuare. Tra le stesse, la norma ricomprende per l’appunto il caso del danno “in relazione al quale siano trascorsi più di trent'anni dall'emissione, dall'evento o dall'incidente che l'hanno causato”, evidentemente riferendolo all’istituto di cui agli artt.298 e ss. cod. ambiente, ma non alla contaminazione del sito ed alla sua successiva bonifica di cui agli artt.242 e ss. stesso testo. Da ciò inevitabilmente consegue, allora, che quando la contaminazione è accertata, anche se sia dovuta a fattori ultratrentennali, dovranno comunque prendere avvio le procedure previste dal Titolo V della Parte IV, la cui operatività, come si osservava, non è punto esclusa dalla disposizione in esame.

4.2.3. Del resto, la mera abrogazione della lett i) dell’art.303 d. lgs. 152/2006, diversamente da quanto opinato in appello, non può ritenersi indicativa di una diversa voluntas legis. E’ vero che quella previsione abrogata escludeva che la disciplina del danno ambientale fosse applicabile alle situazioni di inquinamento per le quali erano effettivamente state avviate le procedure di bonifica, così come a quelle per le quali le bonifiche erano terminate, ma è altrettanto vero che – per ritenere avvenuta una modifica così significativa, tale da superare le differenze e sovrapporre due istituti comunque diversi fra loro, occorrerebbe una definizione esplicita, sintomo di una chiara volontà del legislatore, e non la semplice abrogazione di una disposizione, per di più individuante una specifica ipotesi.

4.2.4. A maggior ragione laddove si consideri che questa soppressione potrebbe essere letta in senso opposto rispetto alla lettura proposta. Potrebbe infatti rappresentare la definitiva presa d’atto, da parte del legislatore, che danno ambientale e contaminazione del sito sono due nozioni distinte e che, soprattutto, la prima contiene la seconda senza esaurirsi in essa. L’effetto dell’abrogazione della lett. i) art.303 d. lgs.152/2006 è infatti che le procedure per la riparazione del danno ambientale potranno essere attivate anche rispetto a siti che, nonostante siano bonificati, presentino ancora delle criticità connesse a deterioramenti nell’ambiente che rendano necessarie attività di ripristino ambientale. Come si vede, allora, in questa prospettiva, la modifica legislativa, lungi dal confermare la tesi dell’appellante, addirittura le si oppone.

4.3. Con il secondo sub-motivo al secondo motivo di appello, la parte appellante contesta che, seguendo la prospettiva della sentenza appellata, alla Italgas sarebbe stata applicata una sanzione, costituita dall’imposizione di un obbligo di bonifica, in modo retroattivo e pertanto in violazione del principio di legalità. In subordine, prospetta una questione di illegittimità costituzionale.

4.3.1 Il motivo in analisi trova diretta smentita in quanto ritenuto dalla citata Adunanza Plenaria n.10 del 2019 pronunciatasi su di una fattispecie molto simile. L’organo nomofilattico, dopo aver premesso che la responsabilità per danno ambientale in quanto fatto illecito era già presente nella giurisprudenza sin dagli anni ’70, e dunque ben prima che, col d. lgs. n.22 del 1997 venisse introdotto l’istituto della bonifica, e precisato altresì che – in contrario a quanto ritenuto in appello- vi è un rapporto di continuità normativa tra l’art.17 del d. lgs. 22 citato e l’art.2043 del c.c. per la comune funzione ripristinatoria-reintegratoria dei due istituti, ha precisato che “può ritenersi pacifico che le misure introdotte nel 1997, ed ora disciplinate dagli artt. 239 e ss. del codice di cui al d.lgs. n. 152 del 2006, hanno nel loro complesso una finalità di salvaguardia del bene ambiente rispetto ad ogni evento di pericolo o danno, nelle quali è assente ogni matrice di sanzione rispetto al relativo autore. Come inoltre puntualmente rilevato dalla Sezione rimettente tali misure non appartengano al "diritto lato sensu punitivo", sebbene per esse sia imprescindibile un accertamento di responsabilità (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., ord. 13 novembre 2013, nn. 21 e 25), ma si collocano invece nel tessuto connettivo formato dalla normativa ora menzionata.”

E che d’altro canto poiché “la bonifica può essere ordinata a condizione che vi sia una situazione di inquinamento ambientale e che possa essere rimossa dal soggetto responsabile….(ciò implica NdR)

il carattere permanente del danno ambientale, perdurante cioè fintanto che persista l'inquinamento (secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, da ultimo ribadita da Cass. civ., III, 19 febbraio 2016, n. 3259, 6 maggio 2015, n. 9012; nel medesimo senso può essere richiamata la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, tra cui si segnala la sentenza della VI Sezione del 23 giugno 2014, n. 3165).

Da tale inquadramento si ricava pertanto la conseguenza che l'autore dell'inquinamento, potendovi provvedere, rimane per tutto questo tempo soggetto agli obblighi conseguenti alla sua condotta illecita, secondo la successione di norme di legge nel frattempo intervenuta: e quindi dall'originaria obbligazione avente ad oggetto l'equivalente monetario del danno arrecato, o in alternativa alla reintegrazione in forma specifica ex art. 2058 cod. civ., poi specificato nel "ripristino dello stato dei luoghi" ai sensi del più volte richiamato art. 18, comma 8, l. n. 249 del 1986, fino agli obblighi di fare connessi alla bonifica del sito secondo la disciplina attualmente vigente.”

Per tali motivi anche questo motivo va disatteso.

4.3.2 È di poi da ritenersi manifestamente infondata la prospettata questione di illegittimità costituzionale, proprio per la natura non sanzionatoria, ma riparatoria che l’Adunanza Plenaria ha attribuito ai doveri di bonifica.

In questo senso del resto già la Corte costituzionale, con la sentenza del 31 dicembre 1987, n. 641 aveva ritenuto che il danno risarcibile per l'illecito ambientale "è certamente patrimoniale, sebbene sia svincolato da una concezione aritmetico-contabile e si concreti piuttosto nella rilevanza economica che la distruzione o il deterioramento o l'alterazione o, in genere, la compromissione del bene riveste in sé e per sé e che si riflette sulla collettività la quale viene ad essere gravata da oneri economici"; e si precisa che l'ambiente, benché non sia "un bene appropriabile", nondimeno "si presta a essere valutato in termini economici e può ad esso attribuirsi un prezzo" che corrisponde ai costi dell'azione pubblica di conservazione e tutela…. Il tutto consentendo di dare all'ambiente e quindi al danno ambientale un valore economico".

4.4. Col terzo sub-motivo, si contesta alla sentenza appellata di non aver considerato che, nel frattempo, il sito era stato ceduto al Comune di Lucca.

Neppure questo motivo è fondato, atteso quanto incontestatamente emerso in ordine alla responsabilità della contaminazione e a quanto ritenuto in diritto, dalla più volte ricordata Adunanza Plenaria 10 del 2019. A voler diversamente opinare, basterebbe una cessione della proprietà di un sito contaminato per sottrarsi agli obblighi ed alle responsabilità connesse alla bonifica.

D’altro canto, nel contratto non vi è alcuna clausola con cui sono stati espressamente trasferiti obblighi di messa in sicurezza del suolo ceduto, traslazione di obblighi che, seppure fosse avvenuta, avrebbe avuto comunque un’efficacia limitata inter partes e non avrebbe potuto essere opposta alla Provincia.

5. Il terzo motivo di appello contesta alla sentenza di avere erroneamente escluso la concorrente responsabilità della contaminazione in capo al Comune di Lucca, la cui attività di smantellamento dell’originaria struttura, in particolare, avrebbe potuto essere – come del resto ritenuto in origine dalla stessa Provincia, che aveva diffidato anche l’ente locale ad attivare le iniziative di bonifica – quanto meno concausa di inquinamento.

5.1. In merito si osserva che, come ricordato, vi sono plurimi elementi da cui emerge come la contaminazione del sito sia esclusivamente addebitabile alla società appellante. Rispetto a tali emergenze le valutazioni del giudice di prime cure, che ha ritenuto che gli stessi rappresentassero indizi seri e concordanti per attribuire la responsabilità della contaminazione unicamente ad Italgas, non trovano adeguate smentite negli elementi offerti nell’atto di appello.

Questi ultimi, tra gli altri, risultano oggi ancor più flebili, atteso quanto emerso dalla CTU disposta nel giudizio civile tra Italgas e Polis, i cui esiti, sopra compendiati, hanno offerto plurimi riscontri alle originarie deduzioni rassegnate, prima dalla Polizia Provinciale, e poi da Arpa.

6. Questi motivi, conclusivamente, inducono a respingere l’appello. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo, in misura comunque congrua rispetto ai valori medi previsti dal D.M. 10 marzo 2014 n.55 per una causa di valore indeterminato e complessità elevata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto (ricorso n.3795/2016 R.G.) lo rigetta.

Condanna la parte appellante al pagamento delle spese processuali in favore delle due parti appellate, che si liquidano in euro 6000 (euro seimila/00) cadauno, e quindi, in complessivi euro 12.000 (euro dodicimila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2022 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Gambato Spisani, Presidente

Raffaello Sestini, Consigliere

Silvia Martino, Consigliere

Sergio Zeuli, Consigliere, Estensore

Ugo De Carlo, Consigliere