Il ruolo dell’operatore e la minaccia di danno ambientale

di Cinzia PASQUALE e Leonardo PACE

I La tutela dell’ambiente basata sull’azione di prevenzione. Gli esempi delle bonifiche e del danno ambientale

L’accresciuta attenzione del legislatore della sostenibilità al principio dell’azione preventiva si innesta sulla necessità di risolvere le crisi ambientali anticipando sempre più nella fase amministrativa il bilanciamento di interessi, talvolta contrapposti, di tutela dell’ambiente e di sviluppo economico-sociale. Il procedimento amministrativo, difatti, ha una sua significativa rilevanza, sin dalla fase istruttoria, perché consente di acquisire tutti gli interessi, pubblici e privati, che vengono a essere coinvolti nell’esercizio di un potere per addivenire a una decisione ponderata e consapevole (1).

Anche il principio di matrice comunitaria “chi inquina paga” (Direttiva 2004/35/CE del 21 aprile 2004) traccia, nel sistema di responsabilità ambientale, un approccio preventivo che si apprezza soprattutto nella fase della “minaccia” imminente del danno ambientale, allorché è previsto l’intervento regolatore, di tipo amministrativo, dello Stato (art. 304 CdA).

In realtà, residuano spazi di manovra per opzioni alternative alla via giudiziale del risarcimento anche quando il danno si sia già verificato: al Ministero dell’Ambiente è lasciata la possibilità di scegliere tra l’azione risarcitoria in forma specifica ex art 311 CdA e l’azione amministrativa di cui agli artt. 312-316 TUA (2 e 3). Quest’ultima azione, che esclude la prima, può, in effetti, concludersi con la pronuncia nei confronti dei responsabili di un ordinanza recante l’ingiunzione di ripristino ambientale in forma specifica, che se “concordata” (come consentito dall’art. 314 c. 2 CdA) oppure non impugnata, si configura come un eccellente strumento di risoluzione alternativa del conflitto, nell’ottica della solidarietà e della cooperazione voluta da Agenda 2030.

Tale schema di protezione fondato sulla collaborazione tra pubblico e privato lo ritroviamo anche nelle procedure di bonifica dei siti contaminati (alternative alla tutela risarcitoria) nell’ambito delle quali il ripristino ambientale resta affidato allo strumento principe della ridetta alleanza, cioè la conferenza di servizi (artt. 242 e ss CdA).

Pure l’accordo di programma rientra nel novero degli interventi di ripristino rimessi all’intesa tra le parti. Esso costituisce un vero e proprio diritto (art. 246 TUA) per i soggetti tenuti a eseguire la bonifica nell’ambito delle procedure disciplinate dagli artt. 242 e ss TUA, mentre si connota come una facoltà riservata esclusivamente allo Stato, con riguardo alle bonifiche dei “siti inquinati nazionali di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale” (art. 252 bis TUA) (4).

Ulteriore meccanismo di tutela consensuale dei diritti con funzioni deflattive del contenzioso giudiziario è quello introdotto dal legislatore della sostenibilità con l’art. 306 bis nel TUA, disciplina la c.d. transazione ambientale (5): con questo istituto contrattuale la composizione volontaria è rimessa all’iniziativa del soggetto responsabile della contaminazione che “può formulare” apposita proposta transattiva per conflitti ambientali estremamente complessi, come quelli riguardanti i siti inquinati di interesse nazionale.

Il comune denominatore dell’azione preventiva informa anche il sistema penale di tutela ambientale anch’esso orientato a garantire la “riparazione” dell’ambiente, piuttosto che a punire il responsabile dell’inquinamento (6).

Da questa breve lettura integrata di alcune disposizioni legislative emerge chiaramente come l’intervento del giudice amministrativo si profilerà solo quando il bilanciamento degli interessi ambientali-economici-sociali non sia stato possibile in sede amministrativa per mancanza di intesa tra le parti pubbliche e private o “per manifesta illogicità” o “travisamento dei fatti” (nel caso in cui l’istruttoria sia mancata o sia stata inadeguata, con sconfinamento del potere discrezionale riconosciuto all’amministrazione) (7) oppure quando il bilanciamento fatto dallo Stato con l’ordinanza-ingiunzione sia ritenuto illegittimo.

Nell’ipotesi in cui l’illecito ambientale si sia verificato o sia fallito il tentativo di contemperamento consensuale dei contrapposti interessi, si avrà l’intervento dei giudici civili per il risarcimento del danno ambientale. Alla cognizione della magistratura civile restano altresì devolute le controversie per la risoluzione o per l’esatto adempimento dei contratti ambientali (come la transazione ex art. 306 bis CdA) e per la tutela delle posizioni di diritto soggettivo (proprietà e salute) lese da illeciti ambientali, ai sensi dell’art. 313, c.7, CdA.

In definitiva, il bilanciamento inteso come ripristino dell’equilibrio del sistema ambientale rimane il tratto unificante gli strumenti disciplinati dal Codice dell’Ambiente per prevenire e contrastare le conseguenze degli illeciti ambientali, peraltro, tutti orientati a garantire la resilienza degli ecosistemi inquinati considerata dalla più recente giurisprudenza di legittimità la misura idonea a riportare in equilibrio l’ecosistema e a garantire l’assenza di rischi sanitari.

Partendo da ciò e ampliando l’angolo visuale è possibile affermare che la tutela dell’ambiente basata sull’azione preventiva così intesa, nell’ottica delle politiche pubbliche, anche alla luce della recente riforma costituzionale, rappresenti una “nuova assiologia compositiva” (8) che individua nella dialettica pubblico – privato le coordinate per una azione collaborativa utile a un reale ripristino dell’ambiente.

A parere di chi scrive, è questo il prisma interpretativo attraverso il quale leggere la fattispecie declinata nel nostro codice dell’Ambiente.

II – L’articolazione della fattispecie

L’art. 304 del Codice Ambientale delinea la fattispecie di maggior rilievo nell’ambito delle azioni di prevenzione concernenti la minaccia di danno all’ambiente.

Il “principio di prevenzione”, in particolare, riguarda il caso in cui rilevano rischi ambientali certi ed obiettivi, in quanto già conosciuti, così differenziandosi dal diverso “principio di precauzione” che è attinente a situazioni in cui la gestione del rischio è eventuale ed incerta. (9 )

In presenza, pertanto, di una fase di rischio oggettivo in termini di pericolosità per l’ambiente è previsto che il soggetto operatore, in caso di “minaccia imminente” di pregiudizio ambientale, adotti le azioni necessarie di carattere preventivo e di messa in sicurezza entro le successive 24 ore, accollandosene le spese (comma I).

Gli interventi da adottare devono essere preceduti da uno specifico “obbligo di comunicazione ” agli organi competenti, secondo l’indicazione tassativa e non derogabile prevista dal comma II, vale a dire comune, provincia, regione ovvero provincia autonoma e prefetto territorialmente competente.

Quest’ ultimo assume altresì l’onere di provvedere ad informare il Ministro dell’Ambiente nelle ventiquattro ore successive.

La comunicazione in questione, corredata di “tutti gli aspetti pertinenti della situazione”, segue pertanto uno schema piramidale che consente la più ampia diffusione della notizia concernente la situazione di rischio concreto così verificata e monitorata.

Essa inoltre, non appena pervenuta al comune, abilita “immediatamente ” l’operatore alla realizzazione degli interventi da adottarsi in fase cautelare.

A tale procedura è associato un profilo sanzionatorio che prevede, in termini tutt’altro che simbolici, l’irrogazione di una “sanzione amministrativa” compresa tra mille e tremila euro per ogni giorno di omissione o di ritardo circa gli adempimenti previsti, nella duplice forma degli interventi di messa in sicurezza e di esecuzione della suddetta comunicazione obbligatoria. (10)

Così articolato lo schema di cui all’art. 304, è opportuno un richiamo alla concorrente disciplina legislativa di cui agli artt. 242 e ss. TUA in tema di procedure operative ed amministrative.

E’ in tal caso previsto uno specifico obbligo di attivazione a carico del soggetto responsabile nel caso di una “potenziale contaminazione del sito ” secondo le medesime modalità di cui all’art. 304 comma II TUA, prodromiche all’accertamento della qualità dell’inquinamento in rapporto all’avvenuto o meno superamento della concentrazione soglia di contaminazione (Csc) con la necessità, in tal caso, di dare corso al piano di caratterizzazione dell’area ed all’eventuale procedura di analisi del rischio sito specifica.

Il suddetto obbligo di comunicazione è altresì previsto a carico delle pubbliche amministrazioni (art. 244) e, per il caso di superamento delle Csc - o del pericolo concreto e attuale che ciò accada – anche in capo ai soggetti non responsabili della potenziale contaminazione (art. 245 co. II), senza però che da ciò consegua alcun obbligo ulteriore di intervento a carico di costoro per la bonifica del sito, se non per l’esecuzione delle misure di prevenzione. ( 11)

Tale sistema parallelo di gestione delle relative “fasi critiche” è completato dalla diversa previsione di carattere sanzionatorio, che impone una responsabilità penale di natura contravvenzionale, punita con arresto e/o ammenda, a carico di colui che abbia cagionato l’inquinamento delle matrici ambientali con il superamento delle Csc se non provvede alla bonifica, ovvero se abbia omesso il previsto obbligo di comunicazione (art. 257 TUA).

III - I principali arresti giurisprudenziali

In primo luogo è necessario richiamare, anche per la presente fattispecie, la prevalenza della disciplina statale in materia ambientale rispetto a quanto previsto dalle singole regioni.

La Corte Costituzionale, intervenuta con il noto precedente di cui alla sentenza 19 maggio -29 luglio 2009 n. 235, ha escluso il richiamo in materia al principio di leale collaborazione che legittima l’interferenza fra competenze legislative statali e regionali.

Così, nel dichiarare inammissibili le questioni di legittimità costituzionale formulate in riferimento all’art. 304, ha ribadito che “la scelta di attribuire all’amministrazione statale le funzioni amministrative trova una non implausibile giustificazione nell’esigenza di assicurare che l’esercizio dei compiti di prevenzione e riparazione del danno ambientale risponda ai criteri di uniformità e unitarietà, atteso che il livello di tutela ambientale non può variare da zona a zona e considerato anche il carattere diffusivo e transfrontaliero dei problemi ecologici, in ragione del quale gli effetti del danno ambientale sono difficilmente circoscrivibili entro un preciso e limitato ambito territoriale”. (12)

Ciò premesso, nel definire la portata precettiva dell’istituto in questione, la giurisprudenza di legittimità si è pronunciata in ambito civile e penale a mezzo di due significativi arresti, attraverso i quali si è chiarito, in primis, che l’obbligo di comunicazione previsto dalla normativa sussiste verso tutti i destinatari ivi indicati (Cass. Civ. Sez. II, 18.11.19 n. 29873), da ciò conseguendo che anche una sola omissione tra i soggetti richiamati dal capoverso dell’art. 304 determina una condizione di inadempimento a carico del soggetto procedente nella qualità di “operatore interessato” (cfr. più avanti).

Il rigore nella suddetta disciplina, si è inoltre precisato, trova la sua ragione d’essere nel fatto che “la comunicazione, nella specie omessa, non costituisce, infatti un mero adempimento burocratico, ma serve per consentire agli organi preposti alla tutela ambientale del Comune, della Provincia e della Regione del territorio in cui si prospetta l’evento lesivo di prenderne compiutamente cognizione con riferimento ad ogni possibile implicazione e di verificare lo sviluppo delle iniziative ripristinatorie intraprese” (Cass. Pen. sez. III, 21 ottobre – 18 novembre 2010 n. 40856).

La protezione del bene giuridico tutelato esclude, pertanto, che l’operatore possa esimersi dal dare attuazione alle necessarie misure di sicurezza ed alla comunicazione prevista agli Enti interessati anche se, sul luogo dell’inquinamento, sia già intervenuto personale riconducibile ai suddetti Enti. (13)

Ancora, la già richiamata supremazia dell’iniziativa statale in subiecta materia legittima i poteri di intervento ministeriale per fare in modo che gli obiettivi di protezione ambientale siano tutelati nella fattispecie in esame.

In tale contesto, il Ministero competente può: a) chiedere informazioni all’operatore sui casi di minaccia di danno ambientale; b) ordinare all’operatore di adottare specifiche misure preventive precisando la metodologia da seguire; c) adottare le misure necessarie con poteri di autoimpulso, prescrivendo le misure necessarie per la prevenzione del danno, con relativo diritto di rivalsa in capo a chi sarà individuato responsabile (art. 304 comma IV).

Tale potere rende altresì legittima l’attività di eventuale diffida verso privati a fornire informazioni sia sulle attività connesse all’espletamento delle procedure per fare fronte alla minaccia – o al relativo pericolo – di alterazioni ambientali, sia su quanto richiesto da altri soggetti istituzionali coinvolti. (14)

Il potere ordinatorio nei confronti del soggetto destinatario della diffida si è poi, nella prassi, articolato in termini dialettici. (15)

IVLa veste giuridica dell’ “operatore interessato”

Il riferimento è all’art. 302 Tua per la definizione di operatore (comma IV), che riprende e converte la disciplina comunitaria sul punto. (16)

Il legislatore ha così individuato nell’ ”operatore” non solo il soggetto giuridico, pubblico o privato, che esercita un’attività professionale avente rilevanza ambientale, in uno a colui che in tale attività svolge funzioni di controllo, ma anche, e sempre su impulso comunitario, chi esercita potere decisionale sugli aspetti tecnici e finanziari di tale attività, compresi i titolari dei relativi atti autorizzativi. (17)

In tal modo si è andati incontro alla necessità, manifesta nel corso del dibattito in sede comunitaria, di ricomprendere nella nozione di operatore anche i soggetti finanziatori ed i gruppi societari di riferimento, ai quali estendere la responsabilità è per danno ambientale. (18)

Ciò premesso, la qualità di “operatore interessato” dalla minaccia imminente di danno ambientale (art. 304 comma I TUA) è da porsi in relazione con la natura dell’ ”attività professionale” così praticata e che , all’art. 302 comma V TUA, è indicata alla stregua del complesso di azioni, aventi o meno finalità di lucro, svolte nel corso di attività di produzione o commercio di beni o servizi, in ambito sia pubblico che privato.

Dal punto di vista dinamico la definizione di “operatore interessato” non può, pertanto, prescindere da un duplice requisito, vale a dire che si sia in presenza di un’attività idonea ad esporre il bene giuridico tutelato a rischio potenziale o reale per la salute umana o per le matrici ambientali e che, ancora, la minaccia di danno ambientale si verifichi “nel corso” dell’attività economica.

E’ evidente che le due condizioni qui richiamate devono risultare in termini di collegamento causale affinché siano riferibili all’operatore, in quanto tale soggetto giuridico “interessato” dal suddetto ordine condizionale di verificazione dell’evento potenzialmente lesivo.

Altra questione è quella concernente i confini entro i quali la nozione “operatore interessato” viene a delinearsi rispetto all’attività e, se vogliamo, alla compresenza sul luogo del potenziale inquinamento di altro soggetto pubblico, al quale sono demandate le funzioni di vigilanza sul rispetto della normativa e delle prescrizioni cautelari e, più in generale, sul monitoraggio dei fattori di rischio per l’ambiente.

Posto che anche gli enti pubblici economici e le società a partecipazione pubblica non possono ritenersi esenti dagli obblighi e dalle relative responsabilità innanzi indicati, ben potendo assumere la veste di operatore interessato in funzione e nel corso delle attività economiche praticate (19); diverso appare il caso degli enti deputati istituzionalmente ad attività di controllo e di supporto tecnico-scientifico in funzione degli interessi pubblici coinvolti.

In tale ulteriore caso, è la natura e gli obiettivi istituzionali perseguiti dal soggetto pubblico a far propendere per la tesi dell’ inapplicabilità ad essi degli obblighi di legge esaminati. (20)

In conclusione, la normativa prevista per il complessivo sistema di protezione ambientale fa leva su di una più generale “auspicio” di coordinamento delle azioni, in chiave sinergica, tra autorità pubblica ed operatori privati, secondo un criterio ispirato ad obiettivi comuni dell’insegna della sostenibilità ambientale.

NOTE:

  1. cfr. Corte Cost. sentenza 1.6.2016, n. 126 (che ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 311, comma 1, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152) ha ricordato che secondo le direttive del 2004 il principio di prevenzione e la riparazione del danno ambientale costituiscono obiettivi della politica ambientale comunitaria e che dunque a prevalere non è più il profilo risarcitorio, ma quello della riparazione; ha precisato altresì che, successivamente, anche il Legislatore Italiano con le riforme del Codice dell’Ambiente ha stabilito (d.lgs. n. 135/2009) la priorità delle misure di riparazione («primaria», «complementare», «compensativa») rispetto al risarcimento per equivalente pecuniario, arrivando a eliminare (con la L. n. 97/2013) il risarcimento del danno ambientale “per equivalente patrimoniale” e a imporre le “misure di riparazione”.

  2. Questa previsione ha superato anche il vaglio di costituzionalità con la citata sentenza n.126/2016 della Corte Costituzionale, come ricordato da LO SAPIO, La responsabilità per danno ambientale e la chimera della calcolabilità del diritto, commento a Cass. Civ. 4 aprile 2017, n. 8662, in Urb. app., n. 1/2018, p. 43, sub nota 18.

  3. Le disposizioni sul risarcimento del danno ambientale contenute nel titolo II del Codice dell’ambiente, attribuiscono allo Stato il potere di determinare le stesse misure di riparazione (primaria, complementare e compensativa), che normalmente vengono decise in sede civile con sentenza, cioè la previsione affida allo Stato non solo la difesa in via esclusiva del bene ambiente, ma anche gli strumenti più idonei alla tutela ambientale. Ciò determina effetti diversi e “dirompenti” sulla giurisdizione, dal momento che da questa opzione deriva l’individuazione del giudice competente: il giudice civile se lo Stato opta per il risarcimento del danno in via giudiziale e il giudice amministrativo se lo Stato opta per l’ordinanza-ingiunzione, che potrà essere impugnata solo dinanzi al giudice amministrativo (sul punto si veda LO SAPIO, La responsabilità per danno ambientale e la chimera della calcolabilità del diritto, cit., pp. 43- 44 )

  4. L’art. 246, co.1, del Codice dell’Ambiente testualmente afferma che i soggetti obbligati o altrimenti interessati alla bonifica “hanno diritto di definire modalità e tempi di esecuzione degli interventi mediante appositi accordi di programma...”.

  5. Questo articolo è stato introdotto dal collegato ambientale alla legge di stabilità del 2016 (art. 31, co. 1, della l. 28 dicembre 2015, n. 221). Sulla transazione ambientale si veda QUARANTA, CAVANNA, La nuova transazione ambientale: il legislatore spariglia le carte? in Amb. svil., 4/2016, pp. 262 ss: gli Autori passano in rassegna la “galassia” degli strumenti transattivi.

  6. SEVERINO, Il nuovo diritto penale ambientale. Problemi di teoria del reato e profili sanzionatori, Introduzione agli Atti del II Convegno dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale, Gruppo Italiano, Sezione Giovani (Firenze, 2 dicembre 2016) ne “Il nuovo diritto penale ambientale, n. 1/2018”: l’Autrice ci ricorda che con gli artt. da 318 bis a 318 octies, introdotti con la legge 22 maggio 2015 n. 68, art. 1. comma 9, il legislatore ha scelto di “premiare” con l’estinzione dei reati contravvenzionali, i casi in cui alla commissione di una fattispecie contravvenzionale seguano la predisposizione e l’applicazione delle prescrizioni riparatorie decise dall’autorità competente.

  7. Secondo il Consiglio di Stato (sez V, sentenza 6 luglio 2016, n. 3000) l’apprezzamento e la ponderazione degli interessi pubblici e privati fatti da parte della P.A. in materia ambientale (e, in particolare, in sede di VIA) presentano profili di intensa discrezionalità amministrativa e istituzionale, sindacabile dal giudice amministrativo solo in ipotesi di manifesta illogicità o travisamento dei fatti.

  8. Secondo il Consiglio di Stato (sez IV, sentenza n. 8167/2022) il riformato art. 41 Cost., “nell’accostare dialetticamente la tutela dell’ambiente con il valore dell’iniziativa economica privata, segna il superamento del bilanciamento tra valori contrapposti all’insegna di una nuova assiologia compositiva”.

  9. V.L. Costato, F. Pellizzer, Commentario breve al codice dell’Ambiente, Cedam, 2012, p. 1100).

  10. Il comma II è stato così modificato dall’art. 4 D.Lgs 29.6.2010 n. 128 con decorrenza dal 26.8.2010.

  11. cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 12.7.2022 n. 5864; Sez. IV, 15.9.20 n. 4547.

  12. cfr. sentenza citata, nel giudizio avente ad oggetto la declaratoria di inammissibilità della “questione di illegittimità costituzionale dell’intera parte sesta del decreto legislativo n. 152 del 2006, con particolare riferimento agli artt. 301, 304, 305, 306, 308, 311, 312, 313, 314 e 315, proposta dalla Regione Piemonte, con il ricorso indicato in epigrafe, in relazione agli artt. 3,5, 76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost., nonché ai principi o di leale collaborazione, ragionevolezza, adeguatezza, differenziazione, sussidiarietà, buon andamento della pubblica amministrazione anche sotto l’aspetto della violazione di principi e norme del diritto comunitario e di convenzioni internazionali”,nonché contestualmente di non fondatezza della “ questione di legittimità costituzionale degli art. 304, comma 3, 305, comma 2 e 306, co. 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006, proposta, in relazione al principio di leale collaborazione e all’art. 118 Cost., dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe”.

  13. cfr. sentenza citata, con la quale si è concluso che: “corretta, quindi, è l’affermazione di responsabilità essendo stato agevolmente ravvisato l’elemento psicologico del reato in capo ad un soggetto che ha tenuto una condotta omissiva, pur avvisato dai VVUU intervenuti, non rispettando l’obbligo imposto dalle norme sopraindicate e che, comunque, ha omesso di dare la comunicazione dell’evento al Prefetto come richiesto dal predetto comma 2”.

  14. vedasi TAR Lombardia Brescia, Sez. I, 02.02.2017 n. 146: “l’art. 304 del d. lgs. N. 152/2006, attribuisce al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare la facoltà di chiedere all’operatore di fornire informazioni su qualsiasi minaccia imminente di danno ambientale o su casi sospetti di tale minaccia imminente, è quindi legittimo il provvedimento con il quale il Ministero invita e diffida una società a fornire informazioni in ordine all’espletamento delle attività di rimozione rifiuti e delle altre misure richieste da altri enti”.

  15. cfr. Codice dell’Ambiente commentato, Gruppo 24 Ore, 2021 pag. 252: “per tali ordinanze, la prassi ha offerto sino ad ora pochi esempi. Una delle poche ordinanze adottate dal Ministro dell’Ambiente ai sensi dell’art. 305 cod. amb. È stata annullata con sentenza da parte del TAR Lazio Roma, Sez. II bis, con sentenza del 21 marzo 2016, n. 3449, perché l’operatore gravato dall’ordine di ripristino non poteva essere considerato “operatore” ora per allora “ senza la necessaria personalizzata istruttoria”, essendo peraltro passati più di trent’anni dall’emissione, evento o incidente che ha causato il danno e, quindi, ricorrendo l’ipotesi di esclusione di cui all’art. 303, co. 1, lett. g).

  16. secondo la Direttiva 2004/35 CE, art. 2, punto 6: “ qualsiasi persona, fisica o giuridica, sia essa pubblica o privata, che esercita o controlla un’attività professionale oppure, quando la legislazione nazionale lo prevede, a cui è stato delegato un potere economico decisivo sul finanziamento tecnico di tale attività, compresi il titolare del permesso o dell’autorizzazione a svolgere detta attività o la persona che registra o notifica l’attività medesima”.

  17. infatti la Risoluzione del Parlamento europeo del 14 maggio 2003, ad integrazione della suddetta definizione, proponeva la formulazione seguente: “qualsiasi persona che svolge o controlla un’attività disciplinata dalla presente direttiva o a cui, in base al diritto nazionale, è stato conferito un potere economico decisivo sulla conduzione tecnica di tale attività, compresi il titolare del permesso o dell’autorizzazione a svolgere detta attività e/o la persona che registra o notifica l’attività medesima;qualora una persona fisica o giuridica, privata o pubblica, controlli effettivamente l’operatore si ritiene che essa svolga o controlli la conduzione una siffatta attività”.

  18. sulla tipologia di controllo cd. interno ed esterno , in funzione di una nozione più ampia di operatore economico, si rimanda alla disciplina codicistica riconducibile all’ambito societario di cui agli artt. 2359 e ss. c.c.

  19. cfr. in Commentario breve al Codice Ambiente, Costato – Pellizzer, Cedam 2012, pag. 1089, la disamina delle diverse figure riconducibili alla qualità di “operatore”, come tale obbligato ad attivare le procedure di cui all’art. 304 e ss. del Decreto: non soltanto l’imprenditore individuale può assumere la qualifica di “operatore” e, pertanto, essere obbligato ad attivare tutte le procedure degli artt. 304 ss. del decreto, dal punto di vista soggettivo, la persona giuridica privata o la società– e in tali ultimi due casi, illegale rappresentante,ossia, ove previsto,il presidente del consiglio di amministrazione ma anche enti e pubblici amministratori investiti del potere di controllare e vigilare sull’attività stessa.Si potrebbe far riferimento al riguardo, aglienti pubblici territoriali,per i quali alcune norme già assoggettano a responsabilità i relativi rappresentanti legali o i dirigenti dell’area tecnica ma anche allesocietà per azioni in mano pubblica,ossia a capitale interamente pubblico, che svolgano la propria attività in ambiti di rilevanza ambientale. In quanto persone giuridiche si diritto privato, sono operatori ai fini del presente decreto anche iconsorzi previsti dall’art. 223 del c. amb.,e costituiti tra i produttori, i recuperatori e i riciclatori di rifiuto per razionalizzare ed organizzare la ripresa degli imballaggi secondari e terziari superfici private e il ritiro dei rifiuti di imballaggio conferiti al servizio pubblico, nonché il riciclaggio ed il recupero dei rifiuti di imballaggio”. E’ operatore, sotto il profilo strettamente soggettivo,l’amministratore delegatodell’ente coinvolto, o anche chi ha il potere dicontrollare,dal punto di vista finanziario, l’ente che cagiona un danno all’ambiente. Non, pertanto, il finanziatore bensì chi ha poteri decisionali sulle sorti del finanziamento. Potrebbe rientrare nella nozione del “controllo” anche ildirettore dei lavori di un cantiere che abbia una posizione di controllo su costruzioni potenzialmente lesive dell’ambiente, dovendo egli sovrintendere con la necessaria continuità alla realizzazione delle opere delle quali ha assunto la direzione.

  20. così, secondo il Parere reso dal Sistema Nazionale per la Protezione Ambientale in data 1.8.2017, l’assimilazione di un’ Agenzia per la protezione ambientale ad un “operatore”, “ tenuto ad ottemperare al principio comunitario “chi inquina paga”, ai sensi dell’art. 302 co. 4 del D.lgs 152/2006, risulta non conforme allo spirito della norma e non in linea con le esperienze fino ad oggi percorse da ciascuna componente del SNPA, in quanto le Agenzie regionali per la protezione dell’Ambiente sono ai sensi di legge delle Autorità pubbliche che vigilano sull’osservanza delle norme ambientali, non possono le stesse, proprio in relazione alla loro “missione” istituzionale (e in casi analoghi a quello esaminato nel corso della seduta odierna) essere destinatarie di ordini di “riparazione” o di “compiti di prevenzione” da parte di altre pubbliche amministrazioni, concorrono alla definizione dei contenuti degli stessi e alla fattibilità, quali Autorità competenti. Ciò in coerenza con quanto affermato di recente dalla Corte Costituzionale (sent. n. 132/2017) che, sottolineando il requisito dell’autonomia tecnica delle Agenzie e del SNPA, ne rileva l’incompatibilità con il coinvolgimento in attività di amministrazione attiva” (resoconto Consiglio SNPA su individuazione dell’ Arpa Basilicata quale operatore ex art. 302 D.Lgs 152/2006).