Cass.Pen. Sez. III n. 42241 del 17 ottobre 2023 (UP 14 set 2023)
Pres. Ramacci Rel. Mengoni Ric.Ascione ed altri
Ecodelitti.Abusività della condotta nel delitto di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti
 
La condotta abusiva idonea ad integrare il delitto deriva non soltanto dalla mancanza dell’autorizzazione allo svolgimento dell'attività, ma anche dall’inosservanza di prescrizioni essenziali della stessa

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 27/10/2022, la Corte di appello di Napoli, in riforma della pronuncia emessa il 21/1/2019 dal Tribunale di Benevento, dichiarava non doversi procedere nei confronti di Eduardo Mondola in ordine al reato ascrittogli, per morte dell’imputato; confermava la condanna nei confronti di Giuseppe Valletti, Pio Valletti, Raffaele Scamperti, Vincenzo Scamperti, Ciro Ascione ed Enrico Mondola, con riguardo ai reati di cui alla contestazione.
2. Propongono ricorso per cassazione tutti gli imputati condannati, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:
Giuseppe Valletti, Pio Valletti, Ciro Ascione ed Enrico Mondola:
    • Mancata assunzione di prova decisiva. Premesso che l’accusa si fonderebbe sul fatto che le società riconducibili ai ricorrenti sarebbero state prive delle autorizzazioni ambientali, la Corte non avrebbe accolto la richiesta di rinnovazione istruttoria relativa all’acquisizione di una relazione tecnica di parte, a firma del dott. Di Stefano; questa, tuttavia, avrebbe avuto rilievo decisivo, consentendo di avere il quadro complessivo dei materiali commercializzati tra la “Ravitex s.r.l.” e le società riferibili ai ricorrenti, con particolare riguardo alle percentuali di sovvallo, e dunque di materiale estraneo, non correttamente recuperato;
    • manifesta illogicità della motivazione per travisamento della prova. La mancata igienizzazione dei capi di abbigliamento sarebbe stata soltanto ipotizzata dalla Corte, in assenza di qualunque analisi e, dunque, di una prova affidabile. Ne deriverebbe l'illogicità manifesta delle conclusioni, con travisamento della prova e responsabilità affermata in forza di mere presunzioni;
    • lo stesso vizio di motivazione è poi dedotto quanto alla presunta, mancata igienizzazione dei capi prelevati presso la “Ravitex”; le dichiarazioni degli operanti al riguardo sarebbero meramente ipotetiche, basate soltanto sul dato cronologico e prive di qualunque esame della normativa tedesca, invero rilevante in presenza di balloni di materiale scaricati da un camion proveniente dalla Germania;
    • la contraddittorietà della motivazione viene denunciata in ordine alla dedotta, mancata attività di recupero da parte della “Ravitex”. La Corte di appello avrebbe reso sul punto una motivazione viziata, prima sostenendo che i capi di abbigliamento sarebbero stati ceduti senza alcun effettivo processo di trattamento, quindi ammettendo che un'attività di selezione ed igienizzazione della merce sarebbe stata compiuta. Ne deriva che non vi sarebbe alcuna prova del reato di cui al capo A), né del carattere abusivo dell'attività svolta, non potendosi dunque confermare l'ipotesi di reato di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen.;
    • la contraddittorietà della motivazione è poi lamentata con riguardo alla conversazione n. 733 del 12/1/2012, posta a fondamento della riconosciuta organizzazione illecita, ma mal interpretata dai Giudici di merito;
    • contraddittorietà della motivazione, ancora, quanto al servizio di appostamento del 27/3/2012 ed al relativo verbale. Quanto riportato in sentenza sarebbe in contrasto con la relazione tecnica di parte redatta dal dott. Pastena (di cui sono riportate alcune immagini), dalla quale risulterebbe certo che da un’osservazione esterna non sarebbe stato possibile vedere alcunché all'interno dei luoghi della ditta Ascione, in contrasto con quanto riferito nel verbale citato;
    • inesistenza del delitto di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen. Premessa la descrizione del ciclo produttivo curato dalle società in capo ai quattro ricorrenti, si afferma che le stesse non acquisterebbero né gestirebbero rifiuti se non come scarti della propria produzione. Ancora, i ricorsi rilevano che l'attività della “Ravitex” non presenterebbe alcun carattere abusivo, e che la società avrebbe sempre operati in modo regolare, trasparente e con piena visibilità di tutti i passaggi. Le società dei ricorrenti, dunque, avrebbero sempre correttamente acquistato beni come materiali tessili, li avrebbero pagati ed avrebbero ricevuto regolare fattura, così da escludersi ogni profilo - materiale o psicologico - del reato contestato. Peraltro, la sentenza non avrebbe valutato che le stesse società avrebbero patito soltanto un danno dall'eventuale condotta illecita della “Ravitex”, ad ulteriore conferma dell'estraneità da ogni reato;
    • infine, si sottolinea che, al più, potrebbe essere riconosciuta una violazione delle prescrizioni di cui all’art. 256, comma 4, d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, non riscontrandosi alcuna potenziale lesione del bene giuridico tutelato dall’art. 260, stesso decreto.
Raffaele e Vincenzo Scamperti:
    • illogicità ed assenza della motivazione. Gli elementi che la Corte di appello avrebbe posto a fondamento della sentenza non potrebbero definirsi neppure indizi, mancando della gravità e della precisione: ciò varrebbe con riguardo ai servizi di osservazione e controllo, nonché quanto a varie intercettazioni, la cui interpretazione sarebbe errata ed illogica. Le stesse captazioni, dunque, non potrebbero avere alcuna valenza probatoria, e le scarse considerazioni della Corte sul punto imporrebbero l'annullamento della sentenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO

3. I ricorsi risultano manifestamente infondati; le censure, peraltro, possono essere trattate in modo congiunto, alla luce della sostanziale sovrapponibilità di argomenti.
4. Al riguardo, occorre innanzitutto ribadire che il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247).
4.1. In tal modo individuato il perimetro di giudizio proprio della Suprema Corte, osserva allora il Collegio che le censure mosse da tutti i ricorrenti al provvedimento impugnato sono inammissibili; dietro la parvenza di una violazione di legge o di un vizio motivazionale, infatti, gli stessi tendono ad ottenere in questa sede una nuova ed alternativa lettura delle medesime emergenze istruttorie già esaminate dai Giudici di merito (intercettazioni, deposizioni, servizi di osservazione), sollecitandone una valutazione diversa e più favorevole.
Il che, come riportato, non è consentito.
4.2. Le stesse censure, peraltro, non considerano che le questioni qui avanzate sono state già trattate nella sentenza di appello (e, prima, in quella del Tribunale) e risolte con una motivazione del tutto adeguata, fondata su oggettive emergenze istruttorie e priva di illogicità manifeste; come tale, dunque, non censurabile.
5. In particolare, è stato ampiamente evidenziato il rapporto illecito che i ricorrenti – legali rappresentanti – avevano instaurato tra la “Ravitex s.r.l.” e la “F.lli Ascione s.r.l.”, la “F.lli Mondola s.r.l.” e la “Valletti s.r.l.”, sul presupposto che mentre la prima era autorizzata all'attività di recupero di rifiuti tessili (indumenti, accessori di abbigliamento e simili), importati da Comuni della Campania e dalla Germania, che tuttavia non poteva commercializzare tal quali, le altre non erano autorizzate affatto alla stessa raccolta di rifiuti. Ebbene, le attività l'indagine avevano consentito di accertare che la “Ravitex” non svolgeva l'attività di recupero che avrebbe dovuto compiere (selezione, separazione ed igienizzazione), sebbene necessaria per trasformare i rifiuti tessili in indumenti ed accessori di abbigliamento utilizzabili direttamente in cicli di consumo o come materie prime secondarie, da commercializzare poi con industrie tessili: i rifiuti, infatti, una volta giunti presso la società, non venivano sottoposti ad un effettivo trattamento, ed in particolare non venivano separati o igienizzati, e ciò nonostante venivano ceduti alle altre società come se il processo stesso fosse stato eseguito, con trasformazione in materie prime secondarie, come del resto risultava dalla documentazione di accompagnamento debitamente falsificata.
5.1 A questa conclusione, come accennato, i Giudici del merito erano giunti attraverso i servizi di osservazione e controllo, e mediante le numerose intercettazioni telefoniche, riportate in entrambe le sentenze: dal tenore di queste captazioni, ritenuto privo di ogni oscurità, erano dunque emersi l'accordo criminale tra tutti i ricorrenti, la finalità illecita che li muoveva, i timori conseguenti al sequestro dei balloni provenienti dalla “Ravitex”, i chiari riferimenti al fatto che la merce circolava senza essere stata trattata, ed in particolare senza essere stata selezionata ed igienizzata. In forza di questi elementi, la sentenza impugnata ha concluso che le società in capo ad Ascione, ai Valletti e ai Mondola erano perfettamente consapevoli del modus operandi illecito della “Ravitex”, e continuavano a lavorare con gli Scamperti perché questi garantivano la regolarità formale della commercializzazione delle merci, unico profilo che ai primi interessava e che evidentemente li aveva indotti a condividere l'accordo criminale.
5.2. La sentenza di appello, di seguito, ha superato con argomento più che logico anche le censure contenute nei gravami, ad esempio evidenziando che gli esiti dei servizi di osservazione non potevano esser posti in dubbio, data la qualifica e la funzione svolta dai verbalizzanti (i quali avevano riferito che, dalla loro postazione, avevano avuto una perfetta visuale dei locali della “Ravitex”). Ancora, è stata negata fondatezza alla tesi secondo cui il processo di igienizzazione dei rifiuti sarebbe stato, in realtà, eseguito, attraverso la cd. nebulizzazione, attesi i tempi del tutto incompatibili con quanto riscontrato dalla polizia giudiziaria. In senso contrario, infatti, la Corte di appello ha sottolineato la radicale assenza di prova documentale circa tale nebulizzazione, e comunque la smentita di questo procedimento attraverso l'attività investigativa: in particolare, la p.g. aveva proceduto ad ispezionare i balloni “in uscita” presso la “Ravitex”, così riscontrando che i capi di abbigliamento e gli accessori erano ancora contenuti nei sacchetti di supermercato in cui erano stati lasciati, al pari degli oggetti custoditi al loro interno ancora mischiati tra loro, e senza che, dunque, fosse stata compiuta alcuna attività di selezione, tantomeno di igienizzazione.
5.2. Gli esiti cui sono pervenuti i giudici di merito – si accennava in premessa – sono qui contestati dai ricorrenti con inammissibile ricorso ad argomenti in fatto: in particolare, come per un verso si lamenta l'interpretazione data alle intercettazioni telefoniche, così, per altro verso, si afferma che non sarebbe stata compiuta alcuna analisi circa la mancata igienizzazione dei rifiuti, anche con riguardo alla legislazione tedesca in materia (dato che uno dei camion attenzionati era proveniente dalla Germania, il processo ben avrebbe potuto esser già stato compiuto). Queste considerazioni, molto generiche e del tutto ipotetiche, oltre a porsi in evidente contrasto con la tesi della nebulizzazione presso l'impianto “Ravitex”, risultano peraltro contraddette dagli esiti investigativi sopra richiamati, con i quali, sul punto, i ricorsi non si misurano affatto. Ancora di puro merito, poi, è la considerazione secondo cui gli operanti, dal punto in cui si trovavano, non avrebbero potuto ben vedere all'interno dei locali “Ravitex”; al riguardo, peraltro, si è espressa la Corte di appello con argomento non censurabile, come sopra già ricordato.
5.3. I ricorsi, ancora, hanno lamentato una presunta contraddittorietà della motivazione quanto alla effettiva igienizzazione dei rifiuti, che sarebbe stata prima negata, quindi parzialmente ammessa; in senso contrario, tuttavia, il Collegio osserva che le sentenze - preso atto dell'intero compendio istruttorio - avevano riscontrato la totale mancanza di un processo del genere, o, al più, la sua realizzazione con modi e tempi assolutamente approssimativi, e dunque in contrasto alle disposizioni di legge.
5.4. Proprio a questo riguardo, risulta dunque corretta la qualificazione operata dalla Corte di appello nei termini dell’art. 260, d.lgs. n. 152 del 2006, ora art. 452-quaterdecies cod. pen. Dell’attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, infatti, erano stati accertati tutti gli elementi, compreso il carattere abusivo della cessione della gestione di ingenti quantitativi di rifiuti. Con particolare riguardo a tale carattere, contestato anche nei ricorsi, la sentenza impugnata ha poi correttamente evidenziato che la condotta abusiva idonea ad integrare il delitto deriva non soltanto dalla mancanza dell’autorizzazione allo svolgimento dell'attività, ma anche dall’inosservanza di prescrizioni essenziali della stessa (tra le altre, Sez. 3, n. 33089 del 15/7/2021, Pm/Centro Servizi Ambiente, Rv. 282101). Ebbene, la Corte ha congruamente evidenziato che la “Ravitex” procedeva solo formalmente al recupero del rifiuto, senza però eseguire, se non in modo alquanto approssimativo, le attività di selezione ed igienizzazione dei rifiuti, procedendo così alla loro commercializzazione senza esserne autorizzata; analogamente, le tre società cessionarie procedevano ad attività di raccolta, trasporto e commercializzazione dei rifiuti medesimi, ancora senza esserne autorizzate. E senza potersi accedere, dunque, alla richiesta di riqualificazione delle condotte ai sensi dell’art. 256, comma 4, d. lgs. n. 152 del 2006, come inosservanza delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione.
5.5. Ne emerge un complesso probatorio del tutto adeguato e sufficiente ai fini della decisione, che dunque - con argomento non censurabile - non ha reso necessaria alcuna integrazione istruttoria, come invece richiesto in appello ed ulteriormente sollecitato in questa sede, non ravvisandosi alcun profilo di necessità o decisività degli apporti probatori così richiesti.
6. I ricorsi, pertanto, debbono essere dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 14 settembre 2023