L’ELEMENTO SOGGETTIVO NELLA LOTTIZZAZIONE ABUSIVA CARTOLARE DI C.A.V. E R.T.A

di Marco Mecacci

 

1.)       Premessa.

I più recenti orientamenti della giurisprudenza penale in materia di lottizzazione abusiva cartolare, hanno ipotizzato l’esistenza di una nuova figura sintomatica di detto reato[1].

A seguito di ripetute indagini di polizia giudiziaria, inizialmente dirette soprattutto alla repressione di reati fiscali ed ormai estese su tutto il territorio nazionale, varie procure della repubblica hanno potuto acquisire una grande mole di elementi di fatto, che hanno permesso di ipotizzare la sussistenza della contravvenzione di cui agli art. 44 l. c e 30 Dpr 380/2001, anche in riferimento ad attività edilizie apparentemente legittimate dalla sussistenza di validi titoli abilitativi.

Le ipotesi più frequenti di indagine per lottizzazione abusiva cartolare, come già ho avuto modo di scrivere recentemente[2], hanno ad oggetto immobili originariamente destinati a struttura ricettiva di carattere alberghiero, che a seguito di complesse operazioni fraudolente, vengono apparentemente adibiti a civile abitazione, per essere poi ceduti a terzi.

Costoro, quasi sempre ignari della reale portata del vincolo esistente sull’immobile, lo utilizzano appunto come civile abitazione ed in alcuni casi lo destinano a casa di residenza[3].

I vari orientamenti giurisprudenziali che si sono formati nelle diverse e molteplici fattispecie concrete, hanno portato alla formulazione del seguente principio di diritto, ormai oggetto di costante richiamo: “In materia edilizia, configura il reato di lottizzazione abusiva, la modificazione di destinazione d’uso di immobili oggetto di un piano di lottizzazione attraverso il frazionamento di un complesso immobiliare di modo che le singole unità perdano la loro originaria destinazione d’uso alberghiera per assumere quella residenziale, atteso che tale modificazione si pone in contrasto con lo strumento urbanistico costituito dal piano di lottizzazione”[4].

Il paradigma normativo astratto enucleato dalla cassazione e ormai oggetto di costante applicazione della giurisprudenza di merito, è assolutamente lineare nel prefigurare la condotta passibile di sanzione penale.

Facendo leva sul risultato finale raggiunto dalla condotta incriminata – il mutamento di destinazione d’uso da alberghiero a civile abitazione – la massima individua con estrema precisione la fattispecie.

Un punto critico che però non è a mio giudizio oggetto di adeguata considerazione, e che mi spinge alle seguenti riflessioni, è l’indagine sull’elemento soggettivo dell’ipotesi contravvenzionale in esame.

La mancanza di questo approfondimento, assente anche in molte delle sentenze di merito[5], ha costituito un punto d’appoggio per considerazioni dottrinali assai critiche sull’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato.

Detta impostazione infatti, per autorevole giudizio, sarebbe idonea a “scardinare alcuni degli istituti fondamentali del diritto urbanistico”[6].

In questa sede dunque, senza alcuna pretesa di esaustività o completezza nella trattazione, prenderò spunto da queste conclusioni critiche, per compiere alcune schematiche riflessioni sull’elemento soggettivo del reato, nell’ipotesi di lottizzazione abusiva cartolare mediante frazionamento di immobili adibiti a R.T.A. e C.A.V.

Eseguita questa operazione, darò poi conto delle possibili implicazioni pratiche che da detto inquadramento sistematico discendono.

2.)       L’elemento soggettivo come guida nell’accertamento del reato.

Nullum crimen, nulla poena, sine culpa, è principio giuridico di civiltà su cui è inutile ogni commento e richiamo.

Il brocardo però funge da monito per inquadrare il fatto, ogni volta e in ogni fattispecie, con un parametro ulteriore e diverso da quello meramente ontologico: il parametro della colpevolezza.

Ogni azione od omissione dolosa riferibile alla persona fisica alla quale è imputata, deve essere frutto di un’attività che l’autore si sia rappresentato e abbia voluto.

Ogni azione od omissione colposa riferibile alla persona fisica alla quale è imputata, deve essere il risultato di un’attività a lui rimproverabile a seguito della violazione di regulae, siano esse generiche o specifiche[7].

Elemento soggettivo del reato significa dunque, valutare una determinata fattispecie non solo sotto il mero della materialità dell’azione, ma anche indagando sul risultato e sulla finalità concreta che la condotta tende a produrre.

E’ infatti noto, che nella realtà esistono casi concreti pressoché identici, che possono integrare o meno fattispecie costituenti reato al mutare dell’elemento soggettivo che le ha originate[8].

Passando ad analizzare la fattispecie della lottizzazione abusiva, è dunque possibile che condotte in tutto o in parte simili, che si concretino nel mutamento della destinazione d’uso di un immobile o di un complesso d’immobili senza l’esecuzione di opere, talvolta costituiscano meri illeciti amministrativi, e in altre occasioni integrino la contravvenzione di cui agli art. 30 e 44 l. c Dpr 380/2001.

Nella prima di dette ipotesi infatti, il mutamento di destinazione d’uso dell’immobile, non costituisce il risultato di una condotta che ha per fine il diverso utilizzo del bene in violazione di mere disposizioni edilizie.

Nella seconda, costituisce il risultato di una complessiva condotta fraudolenta, spesso eseguita da più persone tra loro in concorso o in associazione, che ha per finalità la lesione alla destinazione urbanistica del bene oggetto d’intervento. In pieno contrasto e difformità, dai vincoli conformativi imposti dalla programmazione territoriale.

In astratto dunque, l’attività di mutamento di destinazione d’uso del singolo immobile senza opere, potrebbe apparire in sé identica in entrambi i casi, e far sostenere che l’incriminazione di dette condotte, porti ad uno “scardinamento” dei principi del diritto urbanistico [9].

In realtà, se si esaminano le stesse condotte in concreto, valutando tutti gli elementi che compongono la fattispecie penale, la diversità emerge senza alcun dubbio con riferimento all’elemento soggettivo.

Indubbiamente, è ben diversa la condotta del singolo che muta la destinazione d’uso del garage per adibirlo a civile abitazione, da quella di una associazione di soggetti che, attraverso complicate operazioni amministrative, cedono a terzi immobili che grazie a vari “passaggi”, hanno ormai perso la loro destinazione originaria di struttura ricettiva.

Nel primo caso infatti, il bene leso, solitamente protetto da disposizioni di carattere meramente amministrativo[10] o da blande sanzioni penali ha natura genericamente igienico – sanitaria[11].

Nel secondo caso invece, il bene leso e protetto dalle pesanti sanzioni di cui all’art. 44 l. c Dpr 380/2001 ha carattere meramente e tipicamente urbanistico, e può essere individuato nell’interesse alla corretta programmazione del suo territorio da parte dell’Ente titolare del potere amministrativo di pianificazione.

Le modalità delle condotte e l’intensità del dolo, dunque, sono indubbiamente diverse nelle due ipotesi sopra esaminate, e diverse sono quindi le fattispecie concrete, pur essendo la condotta materiale ontologicamente non dissimile.

3.)       La natura dell’elemento soggettivo nel reato di lottizzazione abusiva e gli effetti pratici.

Affermata a mio giudizio, la correttezza del nuovo orientamento in materia di lottizzazione abusiva cartolare sopra esaminato, mi sembra ora opportuna una schematica riflessione sulla possibile sussistenza della contravvenzione nei confronti di più soggetti che a diverso titolo possono astrattamente concorrervi.

La riflessione che eseguirò, non è originata da esigenze accademiche, ma molto più concretamente, dal pesante trattamento sanzionatorio in cui rischiano di incorrere quelle persone ne che, pur facendo parte della “catena” ne costituiscono l’ultimo “anello”.

Persone, che e sono quasi sempre ignare delle conseguenze penali cui può portare l’incauto acquisto per finalità personali di un immobile originariamente destinato a C.A.V. o R.T.A., e diversamente utilizzato.

La fattispecie concreta che si presenta di fronte all’operatore pratico è nota e già ripetutamente descritta[12]: avvalendosi di procedimenti amministrativi talora destinati ad altre finalità collegate[13], una società di capitali ottiene titoli abilitativi edilizi idonei a consentirle la realizzazione di immobili con destinazione produttiva, vincolo di gestione unitaria, ed obbligo di utilizzazione secondo dette modalità per alcuni anni. I beni realizzati, vengono poi frazionati, accatastati come apparente civile abitazione, e poi ceduti a terzi con atti traslativi che richiamano, genericamente o in modo improprio, i vincoli conformativi imposti dall’ente che ha il potere di programmazione sul territorio.

Gli acquirenti così, sono indotti a “sorvolare” sulla destinazione d’uso e si servono del bene per finalità completamente difformi dalla destinazione urbanistica che pure i beni acquistati dovrebbero avere.

Se si esamina ora la condotta posta in essere dai vari soggetti che fanno parte dell’operazione, non può sfuggire il diverso grado di consapevolezza che caratterizza i promotori dell’operazione rispetto agli acquirenti.

Infatti come ho già esposto, le operazioni di cessione degli immobili che si trovano all’ultimo anello della catena, sono condotte in modo da rendere il meno comprensibile possibile per l’acquirente la natura del bene che andrà ad acquistare. E nella pratica, sono assai frequenti casi di venditori o mediatori senza scrupoli che, verbalmente, promettono di vendere una casa d’abitazione, avvalendosi anche per convincere il cliente e “dimostrargli” che si tratta di un comune immobile, del fatto che l’acquirente potrebbe addirittura chiedere l’applicazione dei c.d. benefici “prima casa”.

E’ possibile però, almeno sulla base di alcuni orientamenti giurisprudenziali[14], che anche gli acquirenti, più o meno ignari, possano essere citati a giudizio per la contravvenzione di cui all’art. 44 l. c Dpr 380/2001.

Poiché l’ipotesi criminosa in questione ha natura contravvenzionale, poco importa – secondo questo orientamento giurisprudenziale- che l’acquirente sia o meno cosciente di ciò che avrebbe acquistato.

Ciò che conta per la cassazione, è che abbia “aderito” al proposito criminoso, o non abbia dato prova di essersene distaccato[15].

Secondo l’art. 42/2 c.p.c, infatti “nelle contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”.

Pare pertanto indubbio che all’acquirente di un immobile adibito a R.t.a. o C.a.v. per finalità personali possa essere rimproverato, quantomeno a titolo di colpa, il fatto di non avere adeguatamente verificato la natura del bene.

Tutto questo perché nella pratica degli atti di cessione gli acquirenti, vengono sempre edotti per iscritto della destinazione urbanistica del bene anche se in modo non sempre esplicito. Sarebbe dunque impossibile addurre a loro difesa un errore di fatto incolpevole.

Così assai spesso gli acquirenti privati, oltre a subire il sequestro del bene acquistato con probabile futura confisca, sono anche sottoposti ad indagine per concorso in lottizzazione abusiva cartolare[16].

Per questo tipo di posizione processuale, è però comunque possibile una difesa, ricorrendo ad un’indagine più accurata dell’elemento soggettivo nella contravvenzione in esame.

La condotta lottizzatoria descritta nella seconda parte dell’art. 30 comma 8 Dpr 380/2001 e poi richiamata dall’art. 44 l. c), si riferisce chiaramente a condotte che per loro natura non possono essere che dolose[17].

La norma, dispone che le attività che hanno per risultato il frazionamento del territorio in contrasto con gli strumenti urbanistici, devono essere “predisposte” dai soggetti autori del reato, utilizzando un termine che implica necessariamente un’attività preparatoria finalizzata ad un certo scopo.

Con un paragone semplificato e forse ardito, potrei dire che la condotta richiede indubbiamente una sorta di premeditazione del risultato perseguito.

Chi compie atti di lottizzazione abusiva cartolare, stando alla lettera della legge e non a ricostruzioni ambigue, deve dunque avere sempre davanti a sé la rappresentazione e la volontà del fatto materiale tipico.

Ipotizzare pertanto una lottizzazione abusiva cartolare colposa è un non-senso logico, poiché la struttura del reato può essere soltanto dolosa.

All'acquirente che ha ricevuto in buona fede l'immobile direttamente dal costruttore o tramite un mediatore, non potrà dunque in alcun modo essere automaticamente addebitata una condotta cosciente e volontaria del fatto tipico, né potrà essere imposto a sua discolpa l’obbligo di denunciare il venditore per truffa o di promuovere nei suoi confronti azione civile, come invece la cassazione sembra “richiedere”[18].

Semmai, si potrà sostenere che avrebbe dovuto conoscere la vera natura del bene che acquistava, e che averlo ignorato determina un errore non scusabile.

Questa ultima condotta però, integra senza dubbio un comportamento colposo e non doloso.

Ma poiché il disposto dell'art. 30 comma Dpr 380/2001 non lascia alcuno spazio logicamente ipotizzabile al reato colposo, la conclusione é che nel reato di lottizzazione abusiva cartolare la colpa é un elemento soggettivo incompatibile con la fattispecie descritta dal legislatore.

D'accordo con la più autorevole dottrina , possiamo dunque sostenere che “l'accertamento del dolo o della colpa, é essenziale per la stessa punibilità del fatto rispetto a quelle contravvenzioni che per loro intrinseca natura o per la tecnica di formulazione legislativa, possono essere soltanto dolose oppure soltanto colpose[19]

Nel caso dunque, che all'acquirente ignaro sia contestato il reato di cui all'art. 44 l c Dpr 380/2001, potrà costituire oggetto di idonea linea difensiva la dimostrazione che costui ignorava colposamente la reale natura del bene e la possibilità di utilizzarlo come abitazione privata.

Firenze, 21 settembre 2007.

 

Marco Mecacci

 

 

 

 


[1] Per “figura sintomatica”, prendendo in prestito una figura cara al diritto amministrativo, mi riferisco alla c.d. “fattispecie astratta”.

[2] Cfr. M. Mecacci “Compravendita frazionata di immobili posti in strutture ricettive “c.a.v.” reperibile su http://www.altalex.com/index.php?idnot=37600 e su http://www.urbanisticatoscana.it/modules.php?name=News&file=article&sid=2210.

[3] Per esigenze di sintesi, non é possibile fare riferimento a tutte le disposizioni di legge regionale che definiscono le RTA e le CAV, elenco di seguito le definizioni della legge regionale Toscana n. 42/2000. L’art. 27, definisce le R.T.A. come “ strutture ricettive, a gestione unitaria, aperte al pubblico, ubicate in uno o più stabili o parti di stabili, che offrono alloggio in unità abitative arredate, costituite da uno o più locali e dotate di servizio autonomo di cucina”. Precisa poi l’art. 16 del regolamento di attuazione (D.P.G.R. n. 18/R del 23 aprile 2004), che “si intende per unità abitativa l’insieme di uno o più locali preordinato come autonomo appartamento e destinato all’alloggio della clientela”… e che “ciascuna unità abitativa deve risultare direttamtne accessibile dai corridoi o da altre aree comuni mediante porta munita di serratura. Ogni unità abitativa deve essere fornita sdi servizio autonomo di cucina e di almeno un locale bango riservato”. La R.T.A.,  ha dunque forma identica ad un appartamento per civile abitazione. L’art. 56, definisce le C.A.V. (case albergo vacanza), e afferma che sono tali “le strutture costituite da uno o più locali gestite unitariamente in forma imprenditoriale per l’affitto ai turisti, senza offerta di servizi centralizzati”.

[4] Così, ex plurimis, Cass. Sez III, 29/12/2005 Ambrosiani, poi confermata da Cass pen sez. III, 22.11.2006 n. 359, da cass. Sez III, sent 594 del 15 gennaio 2007 e da cass sez. III N. 6936 del 15.02.2007.

[5] Poiché le fattispecie esaminate riguardano solitamente procedimenti ancora nella fase cautelare, l’Indagine sull’elemento soggettivo è quasi sempre assai limitata. Apprezzabile comunque l’opera di ricostruzione della fattispecie complessiva da parte del Tribunale di Massa (20/11/2006), che si sofferma anche sull’intenzione dei concorrenti nel reato di costituire una società di gestione degli immobili con reclutamento frazionato dei soci, identificati poi nei singoli acquirenti delle unità abitative.  Non indaga invece sull’elemento soggettivo, anche in ragione della fase processuale, Tribunale di Latina Sez Riesame. 31 marzo 2006. Conferma infatti il provvedimento di sequestro di un immobile per lottizzazione abusiva (mutamento di destinazione d’uso di un’immobile che avrebbe dovuto essere adibito a casa di riposo per anziani), respingendo il ricorso di terzi acquirenti estranei con la motivazione che la terzietà degli acquirenti rispetto alla condotta lottizzatoria non rileva in sede cautelare né in punto di sanzioni accessorie. Per opinione giurisprudenziale pacifica, si ritiene infatti che la confisca (preceduta logicamente dal sequestro preventivo), possa essere disposta “indipendentemene da una sentenza di condanna, e sul solo presupposto dell’accertamento di una lottizzazione abusiva” essendo in potere dei terzi estranei esercitare “un’azione civile nei confronti dei soggetti attivi del reato  (cass. Sez III 07/07/2004 cass sez III 03/03/2005”) (così l’ordinanza in commento). Una sentenza di merito secondo me importante per il modo in cui ricostruisce l’elemento soggettivo e per la ricchezza di argomentazioni, fa riferimento specifico alle CAV, ed è stata depositata il 17 settembre 2007 dal G.U. del Tribunale di Grosseto (R. Sent. 07/636 R.G.N.R. 07375).

[6] Così Francesco Barchielli, “Il Frazionamento delle RTA e delle CAV” reperibile su http://www.urbanisticatoscana.it/modules.php?name=News&file=article&sid=2391.

[7] Ritengo inutili in questa sede riferimenti al delitto preterintenzionale ed alla responsabilità “amministrativa” (in realtà penale) delle persone giuridiche.

[8] Un esempio scolastico oggetto di ripetuti riferimenti della manualistica è il delitto di furto (es. soggetto che preleva merce e la ripone nel carrello del supermercato oltrepassando al cassa senza esibirla al commesso e senza  pagare). Risponde del delitto il soggetto che si appropria della cosa mobile altrui se risulta provato che intendesse sottrarla (es. soggetto che è in stato di bisogno alimentare e recidivo). Non risponde invece della  medesima condotta se manca la prova del dolo (es. madre impegnata a tenere a bada il piccolo figlio vivace che omette di dichiarare la merce al commesso).

[9] Alcuni orientamenti della cassazione, soprattutto con riferimento alla legge regionale Toscana, hanno ritenuto che non sussista rilevanza penale nel mutamento di destinazione d’uso di immobili senza l’esecuzione di opere, Cfr CAss penale sez II, 3 gennaio 2002 n. 13, e in sede amministrativa T.A.R. Toscana, Sezione III, 31 maggio 2005 e  T.A.R. Toscana, Sezione II, 31 gennaio 2000, (così anche Barchielli op. cit).

[10] Anche in questo caso si fa riferimento per dovere di sintesi alla legge regionale Toscana.

L’art. 136 della legge 1/2005 (Norme per il governo del Territorio), sanziona il mutamento di destinazione d’uso senza opere edilizie, ingiungendo il pagamento di sanzioni amministrative rapportate alla natura del mutamento di destinazione ed alla zona oggetto d’intervento.

[11] Più precisamente, l’interesse dell’ordinamento a che gli immobili siano utilizzati secondo la destinazione originaria legittimata dai titoli abilitativi e nel rispetto dei requisiti fissati dal D.M. 5 luglio 1975 sugli standard urbanistici, deriva dalla necessità di evitare che i locali oggetto di utilizzo possano divenire insalubri.

[12] Cfr. Barchielli, op. cit.

[13] In molte fattispecie , le attività edilizie vengono legittimate da iter procedimentali prevedono il ricorso da parte della p.a. a strumenti di decisione concordata (es. S.U.A.P.), che talora possono sollevare dubbi sull’effettività del controllo sulle attività edilizie. Assai frequente, è il ricorso tramite conferenza di servizi, alle disposizioni del Dpr 447/1998, che prevede forme decisorie accelerate (non sempre oggetto di specifico controllo) per la ristrutturazione e la riconversione di impianti produttivi, per l’esecuzione in questi di opere interne, e per la determinazione delle aree destinate agli insediamenti produttivi. Accade poi altrettanto spesso grazie all’iter accelerato, che venga legittimata l’esecuzione degli interventi edilii mediante forme semplificate (su tutti la DIA), nonostante la norma preveda la necessità di un titolo abilitativo equipollente a quello oggetto di concreta esecuzione (art. 6 Dpr 447/1998).

[14] Cfr. ex plurimis Cassazione penale, sez. III, 14 dicembre 2000 n. 12989  Petrachi e altro  Foro amm. CDS 2002, 641 s.m.: “Risponde del reato di concorso in lottizzazione abusiva, previsto dall'art. 18 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, anche il subacquirente di un singolo lotto allorché al momento dell'acquisto il programma lottizzatorio abbia iniziato a delineare i propri aspetti materiali sul territorio.

[15] Nella parte motiva, la sentenza sopra citata così recita testualmente, riferendosi ad un motivo di ricorso volto a dimostrare l’estraneità dal disegno criminoso lottizzatorio degli acquirenti, quasi applicando un principio di culpa in re ipsa: “…..Peraltro la dedotta attività criminosa dei venditori non solo costituisce un'affermazione in fatto non deducibile in sede di legittimità, ma appare un mero «flatus vocis» in assenza di una pluralità di querele per truffa contrattuale o di azioni civili di risoluzione del contratto e di richieste di risarcimento dei danni e dimostra solamente la particolare capacità criminale di alcuni ricorrenti.

Di seguito però, nel valutare la responsabilità per concorso nel reato due notai che avevano rogato tutti i vari atti di frazionamento dei vari immobili, cade in aperta contraddizione con quanto affermato in precedenza rispetto agli acquirenti, poiché prima afferma che dagli atti sarebbe emersa la prova del dolo, lasciando però intendere che il reato avrebbe potuto avere un trattamento sanzionatorio diverso (non essere escluso), nel caso fosse emersa soltanto la colpa o la buona fede dei professionisti roganti.

Si legge in un primo passo:“…l'intervento attivo ed il consiglio «fraudolento» dei due pubblici ufficiali non sembra potersi relegare nell'ambito della mera possibilità, ma in quello della certezza, tanto piú che si trattava di un'unica ampia estensione di terreno e che la destinazione dell'area (z.t.o. E) avrebbe dovuto rendere piú avvertito un operatore del diritto dotato di particolare professionalità qual é il notaio senza che possa influire su dette considerazioni l'assenza di qualsiasi indagine nei confronti dei funzionari e dell'amministrazione comunale, trattandosi di carenza investigativa tale da non impedire la cosciente e volontaria partecipazione dell'imputata al piano lottizzatorio, pur se abilmente camuffata dalle innegabili conoscenze giuridiche e dalle opportune cautele svolte”.

Di seguito però, pur escludendola la sentenza, si riferisce incidenter alla colpa: “….Tali ultime considerazioni non solo escludono un errore di fatto ma anche un'ignoranza scusabile della legge penale e qualsiasi buona fede, sicché anche detto ricorso è infondato, dovendosi affermare il principio secondo cui se è vero che la responsabilità del notaio nel reato di lottizzazione abusiva deve escludersi qualora egli adempia a tutti gli oneri a lui imposti dagli artt. 18 e 21 L. n. 47 del 1985, la stessa può essere affermata a titolo di concorso ove risulti dalla dimensione complessiva strutturale di ogni singolo atto (comunione pro indiviso anche di numerosi acquirenti), dal sistema negoziale predisposto per eludere alcune prescrizioni dello strumento urbanistico (minima unità colturale), e dalla stipulazione, diluita nel tempo, di vari atti presso pochi professionisti, da parte degli stessi venditori, per il medesimo terreno sito in z. t. o. E (agricola) la cosciente e volontaria partecipazione al reato in parola anche tramite alcuni consigli tecnici, che, per la qualità e le modalità di attuazione, non possono che essere stati forniti da esperti del diritto.

Intuitivo desumere che mentre nel primo caso (quello degli acquirenti privati) la colpa di non avere denunciato i venditori non vale ad escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo, forse anche in assenza di altri elementi, nel secondo (quello dei notai), sarebbe stata invece oggetto di valutazione.

[16] Cfr. supra, nota 5 e nota 15

[17] L’art. 44 lettera c) del D.P.R. 380/2001, punisce con l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 30.986,00= a 103.290,00= Euro, chiunque esegua “la lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, così come previsto dal primo comma dell’articolo 30”.

L’art. 30 comma 1 del D.P.R. 380/2001 dispone ”… si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l'ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio.”

[18] Cfr supra nota 15.

[19] Così Mantovani, Diritto Penale, Cedam 2007, V Ed. p. 351.