Cass. Sez. III n. 35173 del 10 dicembre 2020 (CC 18 set 2020)
Pres. Andreazza Est. Andronio Ric. PM in proc. Virga  
Ecodelitti.Attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti e confisca per equivalente

Esistono nell’ordinamento due diverse fattispecie di confisca per equivalente: la prima colpisce beni del soggetto che si è direttamente avvantaggiato del profitto del reato, non essendo stato possibile reperire il profitto stesso; la seconda, dotata di carattere sanzionatorio, colpisce beni o denaro dell’autore del reato qualora questi non sia il soggetto che si è avvantaggiato del profitto del reato stesso e non sia stato possibile reperire tale profitto presso il reale beneficiario, il quale non avrebbe potuto comunque essere destinatario di confisca per equivalente per i noti limiti sopra evidenziati.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 18 dicembre 2019, il Tribunale di Palermo ha accolto la richiesta di riesame presentata da Virga Donatella, indagata quale componente del consiglio di amministrazione della S.r.l. RE.A.L, nei confronti del decreto del Gip dello stesso Tribunale 22 novembre 2019, emesso in ordine al reato di traffico illecito di rifiuti, contestato come commesso fino al 10/04/2015, con cui erano stati disposti il sequestro preventivo della S.r.l. RE.A.L. e il sequestro per equivalente fino al valore del profitto percepito dalla società predetta, pari ad un importo di euro 165.381,00, e, in subordine, il sequestro per equivalente nei confronti dell’indagata, effettivamente eseguito per una somma complessiva di euro 33.113,00.
Il Tribunale, ha ritenuto fondata la richiesta di riesame, sul rilievo che la confisca per equivalente nei confronti dell’indagata non avrebbe potuto essere disposta, perché prevista da una norma entrata in vigore dopo la consumazione del reato, da ritenersi irretroattiva per il suo carattere sanzionatorio.
    
2. Avverso tale ordinanza ha proposto, ricorso per cassazione, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, deducendo, con unico motivo di doglianza, l’erronea applicazione degli artt. 321 cod. proc. pen. e 240 cod. pen. A parere del ricorrente, l’importo individuato come profitto da confiscare a Virga Donatella era da considerarsi sequestrato non per equivalente, ma in via diretta; cosicché non si potevano porre questionidi diritto intertemporale. A suffragio della sua interpretazione, il ricorrente richiama la casistica giurisprudenziale, secondo cui, qualora il profitto sia costituito da denaro, il giudice – attesa la fungibilità del bene – deve disporre la confisca obbligatoria del profitto in forma diretta e non la confisca per equivalente (Sez. 6 n. 21327, del 04/03/2015, Rv. 263482; Sez. 6, n. 2336, del 07/01/2015, Rv. 262082; Sez. 2, n. 21228, del 29/04/2014, R.v 259717; Sez. 7, n.50482 del 12/11/2014, Rv. 261199).

CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Il ricorso è infondato, perché basato su erroneo presupposto interpretativo.
    1.1. Come recentemente evidenziato da questa Corte (Sez. 5, n. 1971, del 11/10/2018, dep. 2019, Rv. 274440), l’attuale evoluzione giurisprudenziale in tema di sequestro di somme di denaro profitto del reato ha visto, in tempi relativamente recenti, uno snodo fondamentale nelle sentenze delle Sezioni Unite Lucci (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Rv. 264437) e Gubert (Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Rv. 258646), che hanno affrontato il tema della natura della confisca che colpisca somme di denaro che siano profitto del reato. In particolare, la sentenza Gubert ha delineato il limite generale all’applicazione dell’istituto, affermando che, in tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente prevista dagli artt. 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007 e 322-ter cod. pen. non può essere disposto sui beni dell’ente, ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni. La sentenza Lucci ha sancito il principio secondo cui, qualora il profitto c.d. accrescitivo derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita della prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della ablazione e il reato. Ne consegue che, quando si tratti di confiscare somme di denaro profitto del reato – ex art. 321, comma 2, cod. proc. pen. – può prescindersi dalla dimostrazione della diretta pertinenzialità rispetto al reato di quella specifica somma; questo, tuttavia, ad una condizione – che assume un rilievo centrale ai fieni della decisione dell’odierno ricorso – vale a dire, come si legge nella sentenza Lucci, «che le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma». In altri termini, il presupposto logico di entrambe le sentenze delle Sezioni Unite è che la confiscabilità del denaro senza prova della pertinenzialità rispetto al reato è consentita solo nei confronti del soggetto che abbia visto le proprie disponibilità monetarie implementarsi di quelle somme direttamente provenienti dal reato e non già di altri, che non abbiano beneficiato dell’arricchimento (per una recentissima applicazione di questo principio proprio in materia di sequestro prodromico alla confisca del profitto del reato di bancarotta fraudolenta, cfr. Sez. 5, n. 48625 del 24/09/2018, Ratio, n.m.). Dunque, in relazione a reati commessi nell’interesse di un’impresa dal suo legale rappresentante, il sequestro e la confisca diretta possono colpire le somme nella disponibilità dell’ente beneficiario dell’arricchimento e non già quelle in possesso del legale rappresentante, ancorché sia stato quest’ultimo a rendersi autore del reato. Logico corollario di questa prima affermazione è che, laddove l’amministratore di una società abbia percepito legittimamente dei compensi a cagione della carica rivestita, tale somma non potrà essere ritenuta profitto del reato, salvo che non si provi che, a dispetto della situazione che formalmente si appalesa, vi sia un’osmosi economica tra persona giuridica e persona fisica che la rappresenta, come quando la società sia un mero schermo formale privo di una propria consistenza, grazie alla quale la persona fisica agisca come effettivo titolare dei beni della medesima ed abbia incamerato direttamente le somme percepite dall’impresa. Tale situazione “patologica” strutturale dei rapporti tra impresa e chi la rappresenta naturalmente deve essere oggetto di specifica prospettazione e dimostrazione da parte di chi invoca il sequestro e la confisca e di una correlata giustificazione nel provvedimento impositivo del vincolo, al pari di ogni altra situazione, eventualmente meno eclatante, più circoscritta e occasionale, in cui sia avvenuto una tantum il transito ingiustificato delle somme-profitto dalla persona giuridica beneficiata alla persona fisica il cui patrimonio si intenda aggredire. A sostegno della correttezza del ragionamento suesposto vi è la considerazione che l’ordinamento consente di colpire direttamente il legale rappresentante di una società che abbia tratto beneficio economico dal reato commesso nel suo interesse dalla persona fisica, ma lo fa attraverso il diverso strumento della confisca (e del sequestro) per equivalente — sempre che risulti impossibile il sequestro diretto del profitto del reato nei confronti dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato — misura ablatoria questa a vocazione sanzionatoria che esige una specifica copertura normativa. Esistono, dunque, nell’ordinamento due diverse fattispecie di confisca per equivalente: la prima colpisce beni del soggetto che si è direttamente avvantaggiato del profitto del reato, non essendo stato possibile reperire il profitto stesso; la seconda, dotata di carattere sanzionatorio, colpisce beni o denaro dell’autore del reato qualora questi non sia il soggetto che si è avvantaggiato del profitto del reato stesso e non sia stato possibile reperire tale profitto presso il reale beneficiario, il quale non avrebbe potuto comunque essere destinatario di confisca per equivalente per i noti limiti sopra evidenziati.
1.2. Dal complesso delle considerazioni esposte, si evince che il Tribunale di Palermo ha correttamente qualificato come sequestro per equivalente quello operato nei confronti dell’indagata, componente del consiglio di amministrazione della società. Infatti, per poter disporre la confisca diretta di danaro nei confronti dell’amministratore sarebbe stato necessario dimostrare che la società fosse esclusivamente un mero schermo fittizio, privo di una propria consistenza e che la persona fisica agisse esclusivamente nel proprio interesse. Nel caso in esame, tale circostanza non è stata neanche dedotta; cosicché si è proceduto al sequestro nei confronti di un soggetto che non si è direttamente avvantaggiato del profitto. Si tratta – come visto – di una misura che essendo adottata nei confronti dell’indagato in conseguenza dell’impossibilità di reperire il profitto presso la società, assume carattere sanzionatorio ed avrebbe dovuto perciò – come bene evidenziato dal Tribunale – essere disposta da una legge entrata in vigore prima del fatto commesso (ex multis, Sez. U., n. 18374, del 31/03/2013, Rv. 255037). Secondo l’insegnamento di questa Corte, alla disposizione che introduce un’ipotesi di confisca per equivalente, in ragione della peculiare natura dell’istituto, di matrice “eminentemente sanzionatoria” (Corte Cost., ord. n. 97 del 2009), non può essere estesa la regola dettata dall’art. 200 cod. pen., in forza della quale le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione (Sez. 5, n. 11288, del 26/01/2010; Sez. 3, n. 39172, del 24/09/2008; Sez. 2, n. 21566, del 08/05/2008). Ne consegue che, poiché la misura ablatoria in questione può trovare applicazione solo per i fatti successivi all’entrata in vigore della legge 22 maggio 2015, n. 68, introduttiva dell’art. 260, comma 4-bis, del d.lgs. n. 152 del 1991, ora art. 452-quaterdecies cod. pen. (ovvero successivi al 29 maggio 2015), la stessa non si applica al reato per cui si procede, in quanto contestato come commesso fino al 10 aprile 2015.
    
2. Alla luce di queste considerazioni, il ricorso del pubblico ministero deve essere rigettato.
    
P.Q.M

Rigetta il ricorso
Così deciso il 18/09/2020.