Consiglio di Stato, Sez, IV, n. 3188, del 10 giugno 2013
Urbanistica.Legittimità ordinanza demolizione cappella gentilizia
E’ legittima l’ordinanza sindacale, emessa ai sensi dell’art. 7 l.n. 47/85, con la quale è stata disposta la demolizione della cappella gentilizia, per abusività dell’opera e violazione del piano di recupero cimiteriale, che prevede solo la ristrutturazione dell’esistente. L’esigenza del titolo edilizio non è eliminata neppure dal riferimento alla disciplina dell’art. 94 del d.p.r. n.285/90: “Approvazione del Nuovo Regolamento di Polizia Mortuaria”. Gli interventi edilizi possono essere assentiti o vietati per effetto di una vasta gamma di strumenti urbanistici, anche secondari, tra i quali si colloca certamente il piano di recupero cimiteriale. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 03188/2013REG.PROV.COLL.
N. 05814/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5814 del 2005, proposto da:
Rossi Michele, rappresentato e difeso dall'avv. Raffaele Sassano, con domicilio eletto presso Rossella Rago in Roma, via Armando Spadini N.16;
contro
Comune di Marsiconuovo;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. BASILICATA - POTENZA: SEZIONE I n. 00313/2004, resa tra le parti, concernente demolizione cappella gentilizia
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 marzo 2013 il Cons. Raffaele Potenza, per le parti nessuno è comparso;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso al TAR della Basilicata, il sig. Michele Rossi, premesso di aver proceduto a demolire e ricostruire, nel medesimo sito, la cappella gentilizia di famiglia collocata nel cimitero di Marsiconuovo (prov. di Potenza) in quanto l’originario manufatto, vecchio di 70 anni, risultava in stato precario e pericolante, impugnava, chiedendone l’annullamento, l’ordinanza sindacale (ord. n.28 e prot. n.4496), emessa dal predetto Comune ai sensi dell’ art. 7 l.n.47/85 in data 22/4/97 (ord. n.28 e prot. n.4496) con la quale era disposta la demolizione della cappella gentilizia.
Detta ordinanza veniva emessa ritenendo l’abusività dell’opera e la violazione del piano di recupero cimiteriale, che prevede solo la ristrutturazione dell’esistente.
Precisava l’istante di non avere mutato la consistenza fisica del manufatto sia per ubicazione, struttura e sagoma e sia per la forma, il volume e l’altezza e, a sostegno del ricorso, deduceva:
-eccesso di potere per essere stata la delibera adottata sulla base di presupposti di fatto incompleti e di diritto errati- insufficiente istruttoria- violazione artt. 31 e 48 l.n. 457/78 e 7 d.l. n.9/82 e di riflesso violazione di legge per difetto dei presupposti previsti dall’art. 7 l.n. 47/85.
Nel caso di specie sarebbe bastata la semplice autorizzazione, dato che si è dato vita ad una demolizione completa seguita da successiva fedele ricostruzione e quindi un intervento di pura ristrutturazione edilizia o di manutenzione straordinaria; conseguentemente l’abusività doveva essere sanzionata, in base alla legge, con la sola sanzione pecuniaria.
Inoltre, nel Comune di Marsiconuovo non vi sarebbe un piano efficace dato che quello adottato non è stato pubblicato per le osservazioni e la successiva approvazione.
Con separato atto di motivi aggiunti il ricorrente deduceva poi:
- violazione e falsa applicazione della legge n.10/77 e del d.p.r. n.285/90 e, di conseguenza, violazione di legge per difetto dei presupposti previsti dall’art. 7 della legge n.47/85.
Non poteva applicarsi l’art. 7 della legge n.47/85 dato che lo stesso riguarda solo abusi relativi ad opere che necessitano di concessione edilizia; inoltre, all’interno dei cimiteri, le attività edilizie non necessitano di concessione edilizia, bastando l’approvazione di cui all’art. 94 del regolamento di polizia mortuaria.
1.2.- Con la sentenza epigrafata il TAR adito ha respinto il ricorso.
2.- Il sig. Rossi ha impugnato la pronunzia innanzi a questo Consesso, chiedendone la riforma (ed il conseguente accoglimento del ricorso di primo grado) alla stregua di mezzi ed argomentazioni riassunti nella sede della loro trattazione in diritto da parte della presente decisione .
2.1.- Con ordinanza n.4062 del 2005, la Sezione ha accolto l’istanza di sospensione della sentenza gravata, proposta dall’appellante, ritenendo allo stato prevalente, nelle more del giudizio, il profilo del danno.
2.2.- Alla pubblica udienza del 12 marzo 2013 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1.- La controversia sottoposta a giudizio del Collegio, in forza dell’appello in esame, verte sulla legittimità di un ordine di demolizione, emesso ai sensi dell’art. 7 della legge n. 47/1985, di opere realizzate dall’appellante, come in seguito specificate, sulla cappella cimiteriale della propria famiglia.
2.- Il primo motivo di gravame contrasta la sentenza del TAR ove ha ritenuto che le opere di demolizione e ricostruzione del cennato manufatto richiedevano la previa concessione edilizia anche ai sensi delle prescrizioni del regolamento edilizio comunale vigente, che peraltro non risulta impugnato. In contrario l’appellante argomenta la non necessità della concessione ex art. 7, essendo l’attività edilizia all’interno dei cimiteri regolata in via primaria non dalla normativa urbanistica bensì dal regolamento di polizia mortuaria e, in via secondaria, non dagli strumenti urbanistici generali, ma dal piano regolatore cimiteriale. La censura è infondata.
Il primo giudice ha fatto chiaro riferimento alla previsione della concessione da parte del locale regolamento edilizio (peraltro non impugnato dal ricorrente), sicché la tesi in esame, che pur riconosce ampio spazio normativo alle fonti locali , è ben lungi dal dimostrare l’illegittimità dell’ordine di demolizione, limitandosi genericamente ad enumerare le fonti normative che possono intervenire a regolare l’attività edilizia nei cimiteri comunali. A ciò va aggiunto che il TAR ha ricordato come l’ordine di demolizione facesse riferimento, al fine di dimostrare l’illegittimità dell’intervento, al fatto che “per il lotto nel quale è ubicata la costruzione il piano di recupero cimiteriale vigente” (approvato con delibera consiliare n.104 del 25/7/90) “prevede interventi di ristrutturazione dei locali esistenti”; ed è appena il caso osservare che, come già sopra accennato, gli interventi edilizi possono essere assentiti o vietati per effetto di un vasta gamma di strumenti urbanistici, anche secondari, tra i quali si colloca certamente il piano di recupero. Ma ove ciò non bastasse, il Collegio osserva come il primo giudice abbia aggiunto, a rafforzare la motivazione del proprio orientamento, che l’esigenza del titolo edilizio “non è eliminata neppure dal riferimento alla disciplina dell’art. 94 del d.p.r. n.285/90 cui l’istante fa riferimento col motivo aggiunto”.
Concludendo sul punto, nel caso in esame, la sanzione della demolizione ex art.7 legge n. 47/1985, perseguendo la finalità di rimuovere l’abuso in zona cimiteriale, non presenta alcuna illegittimità sostanziale, restando ovviamente esclusi (ma, per la stessa ragione, si tratta di profilo che non interessa la posizione azionata) gli effetti acquisitivi, seppur eventuali, previsti dalla norma, ma oggettivamente impossibili attesa la proprietà pubblica in titolarità dello stesso Comune.
2.- Una seconda doglianza avversa la sentenza affermando che l’ufficio tecnico comunale non è preposto a verificare se un intervento edilizio sia o meno soggetto a concessione . La tesi non coglie nel segno. Il riferimento dell’atto di demolizione all’accertamento tecnico, ove ha ritenuto la necessità della concessione edilizia assolve, nel pieno della propria competenza, unicamente alla finalità propositiva di inquadrare l’abuso dal punto di vista fattuale, rimanendo da un lato nella competenza dell’autorità emanante la corretta individuazione dello strumento repressivo da adottare alla stregua della normativa, e dall’altro nell’onere del costruttore provare che la diversa natura dell’abuso lo rendeva reprimibile con sanzione tipologicamente diversa.
3.- La pronunzia del TAR viene inoltre censurata ove ha escluso, per difetto di prova sufficiente, la ricorrenza della ipotesi di demolizione e fedele ricostruzione; l’appellante asserisce che invece essa era adeguatamente desumibile dagli atti. Al riguardo il Collegio, premesso che la censura non dimostra l’asserita desumibilità , osserva però che la sentenza di primo grado poggia sul rilievo che l’aver proceduto senza consentire il controllo, cui assolve il titolo edilizio, comporta l’assenza di ogni “ indicazione in ordine alle precedenti dimensioni e volumetria. Ciò rende impossibile il confronto con la nuova opera, viceversa individuata dal punto di vista dimensionale e volumetrico nella relazione tecnica richiamata nell’atto impugnato”, a fronte della quale, prosegue il TAR, “ la perizia tecnica allegata dà solo atto che il manufatto originario era composto da un corpo di fabbrica interrato per circa 2.50 metri ed un corpo di fabbrica fuori terra (quest’ultima con quattro ordini di loculi)”. Del resto il TAR indica, e lo stesso ricorrente ammette e non contesta, la costruzione di “un corpo di fabbrica fuori terra, con struttura portante e solaio, in cemento armato, delle dimensioni di cm. 320 x cm. 330 x cm.330 di altezza alla gronda, con una volumetria di mc. 35 circa, realizzando una cappella gentilizia con dieci loculi invece dei quattro esistenti”; ed ancora un “corpo interrato per cm.415 x cm. 342 e quello fuori terra con cm. 315 x cm. 256 di profondità; pertanto, in tale situazione il Collegio deve condividere l’assunto del primo giudice per cui molto difficilmente l’intervento era classificabile come demolizione seguita da ricostruzione fedele.
4.- Il gravame, infine, ripropone qui “anche tutti gli altri motivi di impugnazione, sviluppati nell’originario ricorso, ma non li specifica sotto il profilo giuridico, realizzando perciò una riproposizione generica che non obbliga il Collegio ad esaminarli.
2. Rilevato quanto sopra, non resta al Collegio che respingere l’appello, in quanto infondato.
Nulla si dispone in ordine alle spese del presente giudizio, attesa la mancata costituzione del Comune intimato.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta),definitivamente pronunciando in merito al ricorso in epigrafe, respinge l’appello.
Nulla dispone per le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/06/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)