Consiglio di Stato, Sez. III, n. 905, del 25 febbraio 2014
Elettrosmog.Stazione radio base e potere a contenuto pianificatorio dei comuni

Il potere a contenuto pianificatorio dei comuni di fissare, a norma dell'art. 8, u.c., della legge n. 36 del 2001, criteri localizzativi per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici non si può mai tradurre nel potere di sospendere la formazione dei titoli abilitativi formati o in corso di formazione ai sensi degli artt. 86 e 87 Codice delle comunicazioni elettroniche. Detta potestà dei comuni deve invece esplicarsi in regole ragionevoli, motivate e certe, poste a presidio di interessi di rilievo pubblico, senza comportare un generalizzato divieto di installazione in zone urbanistiche identificate. Tale previsione verrebbe infatti a costituire un'inammissibile misura di carattere generale, sostanzialmente cautelativa rispetto alle emissioni derivanti dagli impianti di telefonia mobile, in contrasto con l'art. 4, l. n. 36 del 2001, che riserva alla competenza dello Stato la determinazione, con criteri unitari, dei limiti di esposizione, dei lavori di attenzione e degli obiettivi di qualità, in base a parametri da applicarsi su tutto il territorio dello Stato. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).

N. 00905/2014REG.PROV.COLL.

N. 04844/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4844 del 2008, proposto da: 
Telecom Italia S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv. Mario Sanino e Giovanni Zucchi, con domicilio eletto presso l’avv. Mario Sanino in Roma, viale Parioli n. 180;

contro

Comune di Santa Maria La Carità;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE VII n. 03446/2007, resa tra le parti, concernente sospensione lavori realizzazione impianto telefonia mobile



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 gennaio 2014 il Cons. Angelica Dell'Utri e udito per la parte appellante l’avv. Sanino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

Con atto ritualmente notificato il 28 maggio 2008 e depositato il 13 giugno seguente Telecom Italia s.p.a., subentrata a TIM Italia s.p.a. a seguito di incorporazione per fusione, ha appellato la sentenza 12 aprile 2007 n. 3446 del TAR per la Campania, sede di Napoli, sezione settima, non risultante notificata, con la quale è stato dichiarato improcedibile il ricorso proposto da TIM avverso la determinazione dirigenziale 4 luglio 2005 n. 45 del Comune di Santa Maria La Carità, di sospensione dei lavori di realizzazione di un impianto di telefonia mobile sull’edificio del condominio di via Borrelli n. 10 di quel Comune, di cui alla d.i.a. presentata dalla stessa TIM in data 26 maggio 2004, nonché avverso gli atti connessi e, in particolare, l’art. 30, co. 2 e 3, delle N.T.A. del P.R.G..

Più precisamente, il TAR ha ritenuto esser venuto meno già prima della sospensione dei lavori il titolo legittimante la d.i.a., costituito dal diritto (di proprietà o altro utile) di sfruttare l’immobile per allocarvi l’impianto, stante l’intervenuta risoluzione automatica a far data dal 3 maggio 2005 del contratto stipulato il 3 maggio 2004 tra la ricorrente ed il condominio in virtù dell’art. 2 del medesimo contratto, secondo cui “Qualora entro un anno dalla data di sottoscrizione del contratto il conduttore non abbia ottenuto le necessarie autorizzazioni, ovvero la disponibilità dei menzionati spazi, il contratto si intenderà risolto senza che le parti abbiano nulla a pretendere le une dalle altre”. In relazione a tale esito, ha omesso l’esame dell’eccezione di tardività del deposito del ricorso sollevata dal Comune resistente, basata sul dimezzamento dei termini processuali disposto dall’art. 23 bis della legge n. 1034 del 1971.

Telecom ha premesso, tra l’altro, che la d.i.a. si era perfezionata per silenzio-assenso in data 24 agosto 2004, in mancanza di provvedimento espresso del Comune entro i 90 giorni successivi alla presentazione; che la sospensione dei lavori si basa sia sulla necessità di rispettare la misura di salvaguardia prevista dal cit. art. 30, co. 2 e 3, delle N.T.A. del P.R.G. di cui alla deliberazione 28 dicembre 2004 n. 28 del Consiglio comunale, sia sulla pretesa difformità delle opere dal progetto; che, previa istruttoria, il TAR aveva accolto la domanda di cautelare, sicché TIM ha ultimato la realizzazione dell’impianto.

A sostegno dell’appello ha poi dedotto:

1.- La giurisprudenza anche dello stesso TAR è pacifica nel senso dell’inapplicabilità della dimidiazione dei termini processuali alle controversie relative all’installazione di impianti di telefonia mobile.

La causa di improcedibilità non sussiste, poiché la d.i.a. si era perfezionata entro l’anno con conseguente impossibilità per le parti di azionare la clausola risolutiva espressa. Inoltre l’affermazione dello stesso TAR è contraddittoria rispetto all’ordinanza cautelare, con cui aveva dato atto implicitamente del perfezionarsi del titolo abilitativo nell’agosto 2004 laddove ha ritenuto inapplicabili le sopravvenute previsioni del dicembre 2004. Detta clausola era in ogni caso inoperativa poiché nessuna delle parti aveva dichiarato di avvalersene, come invece previsto dall’art. 1456 cod. civ..

2.- Il ricorso era fondato nel merito per i seguenti motivi:

a.- Eccesso di potere per illogicità ed arbitrarietà.

La disposta sospensione dei lavori era illegittima perché priva di limite temporale.

b.- Violazione degli artt. 7 e 10, co. 1, lett. b, l. n. 241/1990. Eccesso di potere per illogicità, arbitrarietà ed ingiustizia manifesta.

Con la comunicazione di avvio del procedimento, datata 1° luglio 2005 e pervenuta il 4 seguente, illegittimamente è stato assegnato il termine troppo esiguo coincidente col giorno di notifica dell’ordinanza di sospensione, sicché TIM non ha potuto rappresentare al Comune le proprie ragioni. Inoltre detta comunicazione riguardava la sola necessità di adeguare l’impianto all’art. 30 delle N.T.A. e non anche le pretese difformità.

c.- Eccesso di potere per difetto di istruttoria, illogicità ed arbitrarietà. Invalidità derivata.

Il cit. art. 30, prevedente la delocalizzazione entro 180 giorni degli impianti che non siano distanti almeno 50 mt. dalle abitazioni e dagli edifici pubblici o di pubblico interesse, è illegittima perché incide su posizioni di legittimo affidamento, travolge titoli abilitativi già conseguiti e stabilisce un criterio distanziale generico, eterogeneo e di eccessiva portata, tale da finir per precludere la realizzazione di una rete infrastrutturale capillare ed efficiente.

d.- Eccesso di potere per difetto di presupposti e di istruttoria, travisamento dei fatti.

Le pretese difformità sono in realtà inesistenti.

Il Comune appellato non si è costituito in giudizio.

L’appello, introitato in decisione all’udienza pubblica del 16 gennaio 2014, è fondato.

È difatti erronea la declaratoria di improcedibilità pronunciata dal primo giudice per intervenuta risoluzione automatica del contratto di locazione della porzione di immobile interessata dall’impianto, se non altro poiché la clausola risolutiva espressa, di cui all’art. 2 del cennato contratto, non opera al verificarsi dell’apposta condizione, bensì, come previsto dall’art. 1456, co. 2, cod. civ., “quando la parte interessata dichiara all’altra che intende valersi della clausola risolutiva”; e nella specie siffatta dichiarazione non risulta resa dal condominio.

Né è condivisibile l’assorbita eccezione di tardività del ricorso rispetto ai termini dimidiati ai sensi dell’art. 23 bis della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, il quale è di stretta applicazione e, pertanto, non può trovare applicazione nei giudizi riguardanti l'installazione di impianti per la telefonia mobile, non considerati dalla norma (cfr., sul punto, Cons. St., Sez. VI, 7 novembre 2005 n. 6180, richiamata dall’appellante, nonché la più recente 15 giugno 2011 n. 3646).

Nel merito, quanto alla prima ragione giustificatrice della sospensione dei lavori impugnata in primo grado, è assorbente e fondata, alla stregua di pacifico orientamento giurisprudenziale, la censura di carattere sostanziale con cui si deduce illegittimità derivata dell’ordinanza comunale dall’invalidità dell’art. 30 N.T.A., pure espressamente impugnato.

È stato infatti affermato che il potere a contenuto pianificatorio dei comuni di fissare, a norma dell'art. 8, u.c., della legge n. 36 del 2001, criteri localizzativi per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici non si può mai tradurre nel potere di sospendere la formazione dei titoli abilitativi formati o in corso di formazione ai sensi degli artt. 86 e 87 Codice delle comunicazioni elettroniche. Detta potestà dei comuni deve invece esplicarsi in regole ragionevoli, motivate e certe, poste a presidio di interessi di rilievo pubblico, senza comportare un generalizzato divieto di installazione in zone urbanistiche identificate. Tale previsione verrebbe infatti a costituire un'inammissibile misura di carattere generale, sostanzialmente cautelativa rispetto alle emissioni derivanti dagli impianti di telefonia mobile, in contrasto con l'art. 4, l. n. 36 del 2001, che riserva alla competenza dello Stato la determinazione, con criteri unitari, dei limiti di esposizione, dei lavori di attenzione e degli obiettivi di qualità, in base a parametri da applicarsi su tutto il territorio dello Stato (cfr. cit. Cons. St.., Sez. VI, n. 3646 del 2011 e 27 dicembre 2010 n. 9414, ivi richiamata).

Il riferito orientamento, a cui il Collegio aderisce in assenza di valide ragioni per discostarsene, ben si attaglia alla fattispecie in esame.

Invero, il menzionato art. 30 N.T.A., nel consentire l’installazione degli impianti rice-trasmittenti a distanza di almeno 50 metri dalle abitazioni e dagli edifici pubblici e di pubblico interesse (co. 2), si risolve appunto nel divieto generalizzato riferito all’intero centro urbano, oltretutto retroattivo laddove viene imposto l’adeguamento a detta limitazione entro il termine perentorio di 180 giorni (co. 3), incidente sui titoli abilitativi all’installazione già formati (oltreché sui titoli in corso di formazione), qual è quello già ottenuto da TIM per silenzio-assenso, come del resto si dà atto nella stessa ordinanza di sospensione dei lavori.

Non sorregge il provvedimento neppure la seconda causa giustificatrice, costituita dalla presenza di uno “scavo” su suolo pubblico e di due canaline per il passaggio di cavi “non dettagliati nella D.I.A.”.

Per un verso, emerge dagli elaborati in atti la previsione delle canaline site nel lato nord del parapetto e nella parete ovest. Per altro verso, tenuto conto della collocazione dell’impianto, appare del tutto ragionevole la spiegazione fornita in ricorso circa il preteso “scavo” nella sede stradale, ossia che si è trattato dello svellimento di una piccola porzione di asfalto accidentalmente causato nel corso dei lavori, dante luogo ad un danno al Comune che la società si dichiara disposta a risarcire in forma specifica; in ogni caso, è evidente che detto “scavo” nulla ha a che vedere con l’impianto stesso.

In conclusione, l’appello non può che essere accolto, con conseguente riforma della sentenza appellata nel senso dell’accoglimento del ricorso di primo grado ed annullamento dei provvedimenti impugnati.

Tuttavia, l’annosità della controversia consiglia la compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie il medesimo appello e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata accoglie il ricorso di primo grado ed annulla i provvedimenti impugnati. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Romeo, Presidente

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Angelica Dell'Utri, Consigliere, Estensore

Silvestro Maria Russo, Consigliere

Alessandro Palanza, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 25/02/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)