QUALIFICA DELLE GUARDIE VOLONTARIE GIURATE DI ASSOCIAZIONI A TUTELA DEI BENI
FAUNISITCO ED AMBIENTALI; USO DEGLI STRUMENTI DI SEGNALAZIONE.
di Francesco Cardona Albini (magistrato)
Con la denuncia sporta nei confronti di appartenenti ad una associazione
volontaria di tutela ambientale - A.I.L.P. - per l’uso di qualifiche e
distintivi di polizia giudiziaria, si pone nuovamente il delicato problema della
presenza sul territorio di enti morali i cui iscritti, quasi sempre in possesso
di decreto prefettizio di nomina a guardia particolare giurata ai sensi degli
artt. 133 e 134 T.U.L.P.S., ritengono di esercitare le funzioni di polizia
giudiziaria di cui all’art. 55 c.p.p. e di conseguenza le funzioni di
repressione dei reati, di assicurazione dei mezzi di prova e ricerca dei
responsabili; tali associazioni quasi sempre si ritengono legittimate anche
all’uso di tesserini di riconoscimento e di palette segnaletiche che
identificano espressamente la qualifica degli appartenenti come agenti di
polizia giudiziaria o che comunque appaiono del tutto simili ai simboli di
riconoscimento e dispositivi in dotazione alle forze di Polizia di Stato ed ai
Carabinieri; in particolare sulle palette segnaletiche - ma spesso anche sui
tesserini - campeggia il sigillo statale contornato da denominazioni del più
vario genere - ad es. il nome dell’associazione, la dizione Provincia di Genova
e quindi “polizia amministrativa” o “polizia ambientale”-.
In passato sono già stati espressi autorevoli pareri da numerose Procure
d’Italia, spesso in senso affermativo della qualifica di agenti di p.g. in capo
agli appartenenti a tali associazioni, ma poiché a volte sono stati denunciati
comportamenti non del tutto corretti posti in essere nei confronti di cittadini
o addirittura da interventi di controllo svolti nei confronti di pattuglie
civetta della polizia di Stato, appare necessario nuovamente ripensare i termini
del problema prima di rispondere ai due quesiti fondamentali:
1. se tali soggetti ed associazioni possano ritenersi investiti dei poteri e
prerogative proprie della polizia giudiziaria ed eventualmente in quali limiti;
2. se sia legittimo da parte di tali soggetti l’uso di stemmi, simboli e
dispositivi di segnalazione similari a quelli in uso alle forze di pubblica
sicurezza.
I presupposti per procedere ad una valutazione sono prima di tutto legislativi
ma anche giurisprudenziali, dottrinali e storici.
1. GENESI E DISCIPLINA DELLE GUARDIE PARTICOLARI GIURATE: QUALIFICA E FUNZIONI.
Un primo approccio al problema può essere costituito dall’affrontare la
questione della qualificazione giuridica delle guardie giurate e della natura
delle funzioni esercitate. Infatti gli appartenenti all’Associazione Italiana
Libera Pesca, così come la maggior parte degli appartenenti ad associazioni con
finalità di tutela faunistica ed ambientale, sono muniti di decreto prefettizio
di nomina a guardia particolare giurata “ambientale”. Si tratta quindi
innanzitutto di verificare se tale investitura possa implicare di per sé
l’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria, pure limitatamente agli scopi
dell’investitura stessa. E’ stato evidenziato criticamente (v. “La giustizia
penale”, 1996, III, 669, “Guardie Giurate e funzioni di polizia giudiziaria” di
Edoardo Mori) come le originarie previsioni normative, ma anche la disciplina
che attualmente si rinviene nel T.U.L.P.S., autorizzerebbero conclusioni
differenti rispetto a quelle cui è pervenuta spesso la giurisprudenza.
E’ di antica data, infatti, la tendenza giurisprudenziale a riconoscere in capo
alle guardie particolari giurate le qualifiche di pubblici ufficiali ed agenti
di p.g. al momento del loro intervento per reprimere un reato, tendenza che
parrebbe contraddire quanto invece si può ricavare da un’esegesi storica della
disciplina legislativa.
Già la formulazione dell’art. 44 del R.D. 690/1907- Testo Unico della legge
sugli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza - stabiliva la facoltà per i
comuni, enti morali e privati di destinare guardie particolari alla custodia
delle loro proprietà. Queste dovevano possedere i requisiti determinati dal
regolamento, essere approvate dal Prefetto e prestare giuramento innanzi al
Pretore; i loro verbali, nei limiti del servizio cui sono destinate, fanno fede
in giudizio fino a prova contraria. Il regolamento attuativo, contenuto nel R.D.
666/1909, all’art. 83 stabiliva che a tergo del decreto di approvazione del
Prefetto dovessero essere stampati gli articoli relativi alle infrazioni o
contravvenzioni per il cui accertamento le guardie sono specialmente preposte.
Nonostante la disciplina di tali “corpi” fosse prevista nel testo unico
unitamente a quella relativa agli agenti di pubblica sicurezza, per la
limitatezza delle funzioni speciali loro riconosciute dal legislatore e per il
carattere “privatistico” e patrimoniale dei beni presidiati, sembra
condivisibile la considerazione sull’impossibilità di ritenere tali guardie
agenti di pubblica sicurezza. Il T.U. del 1907 stabiliva infatti che
rivestissero qualifica di agenti di pubblica sicurezza i carabinieri, la G.d.F.
, le guardie di città (futura Polizia di Stato), nonché (art. 18) le guardie
forestali, quelle “campestri, daziarie, boschive, ed altre dei comuni,
costituite in forza di regolamenti deliberati ed approvati nelle forme di legge
e riconosciute dal Prefetto”, con attribuzione, anche per questi ultimi corpi
alle dipendenze di enti locali, di compiti di pubblica sicurezza - mantenimento
dell’ordine pubblico, dell’incolumità e della tutela delle persone e delle
proprietà - e di polizia giudiziaria - raccolta delle prove di reati, scoperta
ed arresto dei delinquenti - (art. 34).
E’ evidente la confusione che sin dall’inizio si è ingenerata nell’accomunare in
un unico regime giuridico una serie di soggetti eterogenei, militari e civili,
mentre tutta la legislazione successiva ha riguardato esclusivamente gli agenti
inquadrati nel Corpo militare delle guardie di Pubblica Sicurezza, costituito
nel 1925, pure chiamati agenti di P.S. ma certamente con funzioni d’istituto
molto più ampie rispetto a quelle di una guardia boschiva o daziaria. E
comunque, nella elencazione degli agenti di pubblica sicurezza di cui al
riportato art. 18 non paiono potersi ricomprendere le “guardie particolari a
custodia della proprietà” di cui all’art. 44 del R.D. 690/1907.
Si deve quindi evidenziare che:
- le guardie private, al momento in cui furono previste dal legislatore, nulla
avessero a che vedere con gli agenti di pubblica sicurezza, in quanto nate come
custodi di proprietà;
- i loro verbali non facessero fede fino a querela di falso come quelli redatti
dai pubblici ufficiali, ma solo sino a prova contraria ;
- le competenze all’accertamento di determinate infrazioni o contravvenzioni
provenissero loro indirettamente da fonti di rango secondario (regolamenti),
escludendo il regolamento stesso la competenza all’accertamento di delitti
(l’art. 83 R.D.666/1909 parla infatti di infrazioni o contravvenzioni, in un
epoca in cui il codice penale - quello del 1888 - già distingueva le
contravvenzioni dai delitti).
Le leggi che hanno successivamente disciplinato le guardie particolari giurate
sono il T.U.L.P.S. ed il relativo regolamento di esecuzione: l’art. 133 del
T.U.L.P.S. prevede la medesima facoltà istitutiva di tali corpi da parte di enti
privati e pubblici già prevista dal R.D. 1907/690, con riferimento alla sola
vigilanza e custodia delle proprietà mobiliari ed immobiliari; il successivo
art. 134 al c. 2° vieta la concessione della licenza prefettizia per operazioni
che importino l’esercizio di pubbliche funzioni o una menomazione della libertà
individuale; l’art. 255 del regolamento prevede la possibilità di stesura di
verbali nei riguardi del servizio cui sono destinate, verbali che continuano ad
avere la minorata efficacia - solo fino a prova contraria e non fino a querela
di falso - già evidenziata.
In conclusione, l’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria sembrerebbe
inibito alle guardie particolari giurate così come sono state delineate
nell’art. 44 del R.D. 690/1907, ma anche negli artt. 133 e 134 R.D. 773/31.
Peraltro si deve dar conto dell’ indirizzo giurisprudenziale secondo il quale la
guardia particolare giurata, nell’esercizio dei compiti cui è abilitata per la
tutela delle proprietà private, assume la qualifica di agente di polizia
giudiziaria (Cass. sez. II, 12.1.79, Cass. sez. VI, 20.3.81; Cass. 19.11.93,
D’Acquisto, in Cass. Pen., 1995, 178); più spesso è stata riconosciuta la
qualifica di pubblico ufficiale (Cass. Sez. VI, 20.3.81, che erroneamente, in
massima, cita a fondamento l’art. 225 L. 635/40 anziché l’art. 255; sez. VI,
14.7.81; sez. VI, 5.3.93;) ma prevalente e più recente sembra l’indirizzo
secondo il quale, impregiudicata la questione sull’esercizio di poteri di
polizia giudiziaria per la tutela e repressione di reati contro i beni a
vigilanza dei quali sono istituite, le stesse vengono qualificate come
incaricati di pubblico servizio, anche alla luce della modifica normativa
dell’art. 358 c.p. (Cass. Sez. VI, 6.6.90; sez. VI 16.1.91; sez. VI 18.2.92;
sez. I 24.6.96);
in particolare la pronuncia della sez. VI, 18.2.92:
- focalizza i presupposti dei loro poteri negli artt. 133 e 134 T.U.L.P.S.;
- ricorda il divieto di autorizzazione all’esercizio di funzioni pubbliche di
cui all’art. 134 c. 2°;
- ridimensiona il potere di stendere verbali che aveva per altre pronunce
costituito un indice della qualifica di agenti di p.g., potere in realtà molto
limitato ed in funzione solo certativa, “non esplicante effetti all’esterno
dell’ufficio e comunque inidonea a connotare una pubblica funzione se disgiunta
da un autonomo potere certificativo”;
- suggerisce che anche la possibilità di collaborare a richiesta delle forze
dell’ordine nella repressione dei reati o nella tutela dell’ordine pubblico
siano funzioni del tutto sussidiarie e prive di autonomia, “non dissimili -
ancorchè più qualificate - da quelle che in certi casi sono chiamati a svolgere
i privati cittadini”, concludendo nel senso che nei loro confronti non sia
ipotizzabile il delitto di cui all’art. 341 c.p..
Sembra quindi che l’attribuzione della qualifica di agenti di p.g. alle guardie
particolari giurate disciplinate nel T.U.LP.S. sia di sola matrice
giurisprudenziale e trovi fondamento nella possibilità che le funzioni svolte a
tutela dei beni oggetto di vigilanza fattualmente coincidano con gli interventi
che ogni forza di polizia è chiamata ad attuare durante la perpetrazione di
reati - peraltro, anche limitatamente alle funzioni di istituto, le stesse
avrebbero certamente le facoltà riconosciute a qualsiasi privato dall’art. 383
c.p.p. - mentre è più difficile rinvenire un fondamento all’esercizio delle
funzioni di p.g. negli artt. 133 e 134 T.U.L.P.S. e nell’art. 255 del
regolamento attuativo; è plausibile ritenere che i riconoscimenti di qualifica
operati anche da molte sentenze abbiano avuto come scopo anche la utilizzazione
e legittimazione processuale dell’operato di appartenenti a tali corpi, i quali,
per contingenze legate a ragioni di servizio, potevano avere assicurato alla
legge fonti di prova e responsabili di reati. Ma un’altra spiegazione
dell’orientamento giurisprudenziale esaminato può rinvenirsi nella formulazione
dell’ultimo comma dell’art. 221 del codice di procedura penale previgente; tale
norma, secondo alcuni autori, disciplinava in modo sensibilmente più aperto
rispetto alla attuale formulazione l’attribuzione della qualifica di agenti di
polizia giudiziaria, estesa anche a soggetti diversi da quelli elencati nel
comma primo e secondo: si prevedeva che la stessa qualifica spettasse , “nei
limiti del servizio cui sono destinate e secondo le attribuzioni ad esse
conferite dalle leggi e dai regolamenti, (a) tutte le altre persone incaricate
di ricercare ed accertare determinati reati”. Era quindi sufficiente che le
competenze od attribuzioni d’istituto venissero a porsi in coincidenza con
l’accertamento - eventuale - di fatti reato perché automaticamente scattasse la
qualifica di agente od ufficiale di polizia giudiziaria. Ed infatti le pronunce
più numerose della giurisprudenza nel senso di riconoscere alle guardie
particolari giurate la qualifica di agenti di p.g. nel momento in cui esse
intervengano a fronte di reati offensivi dei beni soggetti alla loro vigilanza,
si collocano cronologicamente sotto la vigenza dell’art. 221 codice abrogato.
Ciò che quindi poteva non rinvenirsi nella originaria disciplina delle guardie
particolari giurate, veniva di fatto ad essere loro attribuito in virtù
dell’estensione operata dall’art. 221 c. 3° del c.p.p.. E’ opinione di qualche
commentatore, non senza contrasti, che la formulazione attuale dell’art. 57 c.
3° c.p.p. possa aver importato delle modificazioni rispetto al testo previgente
per quanto concerne l’identificazione dei soggetti di polizia giudiziaria: più
avanti se ne darà ampiamente conto. Per adesso è da evidenziare che, comunque,
tutte le sentenze ricordate si sono occupate di appartenenti a corpi di
vigilanza privati ad esclusiva tutela di beni patrimoniali, poiché il T.U.L.P.S.
disciplina e fa riferimento solo a questo tipo di funzioni; se anche la
giurisprudenza che ammette l’esercizio di funzioni di p.g. ha quasi sempre fatto
riferimento a quella fonte, limitando perciò oggettivamente l’ambito del loro
legittimo esercizio, bisognerà ricercare in leggi diverse dal T.U.L.P.S., o
comunque speciali rispetto ad esso, previsioni analoghe per le competenze in
materia di tutela faunistica ed ambientale.
2. I CORPI VOLONTARI DI TUTELA FAUNISTICO VENATORIA ED AMBIENTALE.
La legge n. 1420/23 sulla caccia riconosceva compiti di vigilanza ad agenti
giurati delle società di cacciatori ed alle guardie private di riserve e
bandite, con autorizzazione a redigere verbali di contestazione di infrazioni ed
al sequestro di armi e selvaggina, ma non concedendo la potestà di perquisire,
riservata dall’art. 27 ai soli agenti di forza pubblica. In seguito, il T.U.
sulla caccia del 1939 ha consentito ai guardiacaccia l’esercizio dei poteri
riservati dal c.p.p. agli agenti di p.g..
Con riferimento ai guardiapesca, và precisato che la norma che attribuisce loro
la qualifica di agenti di polizia giudiziaria si rinviene nell’art. 7 del D.P.R.
747/54; tale norma, dopo aver mantenuto ferme le disposizioni di cui all’art. 30
della L. 1604/31, riconosce in capo alle amministrazioni provinciali i compiti
di sorveglianza per la repressione della pesca con materie esplosive e venefiche
e l’accertamento delle relative infrazioni commesse nelle acque marittime
antistanti il loro territorio; a tal fine consente, da parte delle stesse
amministrazioni, la nomina di agenti cui è riconosciuta la qualifica di agenti
di polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 221 ult. Comma c.p.p. previgente,
ovviamente limitatamente alla materia de quo.
La specialità delle previsioni esistenti per le funzioni di guardiapesca e di
guardiacaccia conduce a ritenere che la mera qualifica di guardia particolare
giurata, al di fuori di ogni specifica attribuzione proveniente da leggi
speciali, non sia sufficiente per l’investimento di funzioni di polizia
giudiziaria nelle particolari materie di tutela ambientale e faunistica. Si è
visto infatti che ogni pronuncia giurisprudenziale che abbia dedotto l’esercizio
di funzioni di polizia giudiziaria dall’essere investiti della qualità di
guardia particolare giurata ha sempre fatto riferimento a fattispecie relative
alla tutela di beni patrimoniali soggetti alla loro vigilanza. Quando le
pronunce della Cassazione hanno fatto riferimento alla materia faunistico
ambientale, hanno espressamente dato atto della diversità dell’ambito di tutela,
ritenendo implicitamente insufficiente l’investitura di guardia particolare
giurata per l’attribuzione di funzioni di polizia giudiziaria (ancora per tutte
cfr. Cass. 27.2.95, Zappalà, in Dir. Pen. e processo, 1995, 56, in materia di
guardie particolari giurate appartenenti all’Ente Nazionale Protezione Animali)
E’ evidente che la peculiarità dei beni oggetto di tutela ambientale nonché
delle previsioni di legge - espressamente conferenti la qualifica di polizia
giudiziaria solo ad alcuni e ben individuati soggetti - non può non incidere,
anche ai fini di una diversa valutazione giurisprudenziale per questo
particolare ambito di tutela.
A maggiore conforto di questa conclusione, come già accennato in precedenza, si
pone la tesi (non da tutti condivisa: cfr. G.Conti, La polizia giudiziaria, in
commentario del nuovo codice di procedura penale, diretto da F.Amodio -
O.Dominioni, I, Giuffrè, 1989, p.339) del sensibile mutamento della disciplina
della polizia giudiziaria che avrebbe comportato l’entrata in vigore del vigente
codice di procedura penale; secondo questa interpretazione - cfr. Cass. Pen.
1991, I, 600, Profili della organizzazione della polizia giudiziaria nel nuovo
codice di procedura penale” di F.Tagliente - l’art. 57 c. 3°, infatti,
riconoscendo la qualifica di p.g. anche alle persone cui le leggi ed i
regolamenti attribuiscono le funzioni previste dall’art. 55, avrebbe ristretto
la categoria dei soggetti esercenti funzioni di p.g. rispetto al previgente art.
221 c. 3° c.p.p., richiedendosi un conferimento normativo espresso delle
funzioni elencate all’art. 55, quindi i doveri di prendere conoscenza dei reati
anche di propria iniziativa, impedire che vengano portati a conseguenze
ulteriori, ricercarne gli autori, assicurare le fonti di prova e raccogliere in
generale quanto utile e necessario all’applicazione della legge penale. Di
conseguenza, con l’entrata in vigore del nuovo codice, tutta una serie di
soggetti ritenuti nella vigenza del precedente codice di procedura penale
esercenti funzioni di polizia giudiziaria non potrebbe più essere considerata
tale: in particolare l’autore citato si riferisce a quei soggetti che, proprio
perché incaricati di ricercare ed accertare determinate fattispecie di reato,
potevano rivestire la qualità di agenti di p.g., ai sensi dell’art. 221 c. 3°
c.p.p. abrogato; si tratta di figure quali, ad esempio, l’ufficiale sanitario
che aveva l’obbligo di denunciare al medico provinciale ogni trasgressione alle
leggi e regolamenti sanitari i base all’art. 40 c.1 lett. c) del R.D: 1265/34; i
funzionari del Ministero delle finanze e degli uffici dipendenti , ai quali sono
attribuiti compiti di accertamento in materia di imposta di bollo ex art. 35 L.
633/72 e 41 D.P.R. 600/73; i funzionari dell’A.N.A.S., Ispettorato della
Viabilità del Ministero dei trasporti per quanto riguarda la prevenzione ed
accertamento dei reati in materia di circolazione stradale ex art. 136 D.P.R.
393/59; le guardie comunali e campestri preposte all’osservanza di polizia
urbana e locale (alle quali, peraltro, il codice del 1913 riconosceva
espressamente la qualifica di agenti di p.g.); gli impiegati addetti alla
coltivazione del tabacco ex art. 104 L.17.6.42 n. 907; ed infine le stesse
guardie particolari giurate.
Che l’intenzione del legislatore nella formulazione dell’art. 57 c. 3° del nuovo
codice di procedura sia stata proprio quella di tagliare fuori dalla previsione
tutti i soggetti che non avessero ricevuto qualifica espressa di agenti di p.g.
dalla legge o dai regolamenti - anche mediante la diversa formula del
riconoscimento espresso dell’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria - si
desumerebbe anche dai lavori preparatori, nei quali il Governo osserva, al
progetto preliminare, che “l’emendamento contenuto nel comma terzo soddisfa
esigenze formali volte a chiarire che le funzioni di polizia giudiziaria sono
svolte dagli agenti e ufficiali di polizia giudiziaria” e non da altri soggetti,
stabilendone quindi l’esclusività dell’esercizio e la necessaria espressa
investitura normativa.
La soddisfazione di esigenze di certezza, risolte con l’esplicito requisito
della formalità dell’attribuzione della qualifica - o delle funzioni -, ha come
logica conseguenza la precisa distinzione della polizia giudiziaria rispetto a
tutti i pubblici ufficiali ed incaricati di pubblico servizio che pure sono
tenuti alla denuncia dei reati di cui prendano conoscenza in forza dell’art. 331
c.p.p.. Si è anticipato che le conclusioni cui giunge l’autore citato non sono
condivise da tutti, in particolare da coloro i quali ritengono che il mutamento
lessicale del nuovo art. 57 non abbia apportato mutamenti sostanziali rispetto
al passato in quanto riferito all’attribuzione delle funzioni di cui all’art. 55
c.p.p., in quanto l’ attribuzione delle medesime funzioni potrebbe dedursi anche
dal fatto che le leggi od i regolamenti indichino dei soggetti cui spettino
compiti di vigilanza e di accertamento delle infrazioni della legge tra le quali
possano vi siano fattispecie di reato. Ma al di là dell’opzione per l’una o
l’altra tesi, deve ritenersi che in materia faunistico ambientale il problema
sia risolto proprio dalla presenza di leggi che espressamente attribuiscono la
qualifica di p.g. solo ad alcuni soggetti, mentre ad altri riconoscono il più
lato potere di vigilanza e di segnalazione di infrazioni.
La normativa più recente che consideri anche i corpi volontari delle
associazioni di protezione ambientale è quella di cui alla L. 157/92, la quale,
disciplinando all’art. 27 la vigilanza venatoria, distingue:
alla lettera a) del primo comma, gli agenti dipendenti degli enti locali
delegati dalle regioni, cui è riconosciuta espressamente la qualifica di agenti
di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza;
alla lettera b), le guardie volontarie delle associazioni venatorie, agricole e
di protezione ambientale nazionali e presenti nel Comitato tecnico faunistico
venatorio, e quelle delle associazioni di protezione ambientale riconosciute dal
Ministero dell’ambiente, alle quali sia riconosciuta la qualifica di guardia
giurata ai sensi del T.U. di P.S.;
il secondo comma prevede l’esercizio delle funzioni di vigilanza venatoria anche
in capo a ufficiali, sottufficiali e guardie del Corpo forestale di Stato, alle
guardie addette ai parchi nazionali, agli agenti ed ufficiali di p.g. (tout
court), alle guardie giurate comunali, forestali e campestri, ed alle guardie
private riconosciute dal T.U.L.P.S., oltrechè alle guardie zoofile ed ecologiche
riconosciute dal leggi regionali.
La netta distinzione tra le previsione delle lettere a) e b) del primo comma in
ordine al riconoscimento della qualifica di agente di p.g. ha indotto a
ritenere, da parte della giurisprudenza, che ai corpi previsti nella lettera b)
non possa essere riconosciuta tale qualifica; sicuramente infatti tutti i
soggetti di cui all’art. 27 della legge possono venire a conoscenza di
determinate fattispecie di reato, ed in particolare di quelle previste e
sanzionate dall’art. 30, ma solo per alcuni di tali soggetti viene espressamente
riconosciuta la qualifica di agente di p.g.. Tale interpretazione trova
ulteriore conforto nel quinto comma dell’art. 28 che disciplina i compiti degli
organi di vigilanza non esercitanti funzioni di p.g. - redazione di verbali di
segnalazione delle contravvenzioni da inviare all’ente dal quale dipendono ed
all’autorità competente -. In tal senso possono prendersi a riferimento le
pronunce di Cass. Pen. Sez. III, 29.9.94, n. 2109, Cass.Pen. sez. III 30.3.95 n.
613, Cass. Pen. sez.III, 6.5.96 e Cass.Pen. sez. V, 23.5.97, n. 4898; quest’ultima
pronuncia, peraltro, riconosce alle guardie venatorie la qualifica di pubblici
ufficiali con conseguente possibilità di integrazione del reato di cui all’art.
651 c.p. per il rifiuto delle generalità su loro richiesta.
Le autorità amministrative interpellate sul problema della qualificazione della
natura delle funzioni svolte dalle associazioni volontarie di protezione
ambientale e venatorie hanno sempre negato, sulla base della interpretazione
sopra esposta, la qualifica di agenti di p.g.: in tal senso, tra i provvedimenti
più recenti, sono il parere del Consiglio di Stato, sez. VI, 2.4.82 n. 168, la
circolare n.559 del 1993 del Ministero dell’Interno ed il parere del Consiglio
di Stato n. 2296 del 29.8.94. La soluzione scelta assorbe il problema del
riconoscimento della qualifica di agente p.g. alla guardia particolare giurata
in sé - nel T.U.L.P.S. e nel regolamento di attuazione, per quanto già sopra
esposto, si potrebbero rinvenire semmai elementi per ritenere il contrario - ed
evidenzia che non possono richiamarsi norme generali, quali l’art. 55 c.p.p.,
senza tener conto delle leggi speciali disciplinanti le materie specifiche, le
stesse cui d’altronde fa riferimento proprio il codice di procedura all’art. 57
c. 3°.
Quindi, per quanto riguarda le associazioni volontarie di protezione ambientale
o venatoria di cui all’art. 27 c. 1 lett. b), nemmeno per il limitato esercizio
delle funzioni di vigilanza in materia di caccia può riconoscersi la qualifica
di agenti di p.g., mentre non esiste alcuna specifica previsione di legge che
attribuisca a tali corpi la medesima qualifica nella prevenzione e repressione
dei reati ambientali disciplinati dalle L. 319/76 e D.Lvo 22/97. Ogni tentativo
di fondare l’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria per queste materie che
faccia riferimento al T.U.L.P.S. deve ritenersi improprio, in quanto tale
normativa disciplina e considera le guardie particolari giurate poste a tutela
di proprietà di enti privati o pubblici, con inibizione dell’esercizio di
funzioni pubbliche. Ed a quali funzioni poteva riferirsi il legislatore se non a
quelle generali funzioni di pubblica sicurezza nelle quali certamente deve
ritenersi ricompresa - seppure distinta - la funzione di polizia giudiziaria?
Anche per quanto riguarda i corpi nominati o istituiti da enti locali quali le
regioni, le province ed i comuni, si è già visto come alla luce dei testi di
legge in materia - a prescindere dal riferimento all’art. 57 c. 3° c.p.p. - non
possa più ritenersi sufficiente il conferimento di compiti di vigilanza in
materie nelle quali sono previste fattispecie di reato; laddove la legge ha
ritenuto di attribuire competenze di polizia giudiziaria in materia faunistico
ambientale lo ha fatto espressamente; l’interpretazione formalista è anche
maggiormente rispettosa delle garanzie del cittadino, considerato che si tratta
di potestà di particolare cogenza, il cui esercizio può incidere in modo diretto
ed irreversibile su beni primari come la libertà di movimento, di
autodeterminazione e quella di riservatezza. Che il conferimento di tali poteri
possa avvenire in base a normative regionali o locali appare quantomeno
discutibile, vertendosi in materia che sembrerebbe logico ritenere di esclusiva
competenza statale: non contrasta con tale conclusione la previsione
costituzionale di cui all’art. 117 della competenza regionale ad emanare
normative di polizia urbana e locale, perché né le regioni né gli enti
territoriali delegati avrebbero necessità di istituire o riconoscere quei poteri
e qualifiche quando pacificamente la normativa regionale non può prevedere nuove
fattispecie di reato, ma al più sanzioni amministrative, per l’irrogazione delle
quali, ai sensi dell’art. 13 della L. 689/81, possono procedere gli organi
amministrativi addetti ai controlli con facoltà anche di sequestro delle cose
confiscabili, esercitando così funzioni di polizia amministrativa e non
giudiziaria; la qualifica di incaricato di pubblico servizio certamente
spettante ai dipendenti delle amministrazioni locali, consente comunque
l’esercizio dei poteri di denuncia dei reati di cui all’art. 331 c.p.p.. Né, per
gli stessi motivi, si può ritenere che laddove le funzioni di p.g. siano state
riconosciute espressamente dalla legge, queste possano estendersi a materie e
competenze differenti rispetto a quelle per le quali furono conferite. Non pare
inoltre che l’attribuzione di materie nelle quali vi è potestà legislativa
primaria da parte delle regioni - all’interno dei principi delle leggi quadro
statali - possa di per sé comportare la possibilità da parte di questi enti ad
attribuire qualifica o funzioni che sistematicamente attengono, come già detto,
alla materia dell’ordinamento della sicurezza pubblica e che nella L. 121/81
trovano una compiuta disciplina organizzativa. L’esigenza di distinzione tra le
materie nelle quali è attribuita competenza normativa agli enti locali e la
materia del conferimento di funzioni di polizia giudiziaria potrebbe poi bene
accordarsi con la tesi del mutamento di disciplina apportato dalla formulazione
dell’art. 57 c. 3° c.p.p., tesi che evidenzia una maggiore delineazione di
confini rispetto al passato, non a caso nel segno della generale riforma della
struttura del processo e delle prassi operative della polizia e dell’autorità
giudiziaria, improntate - dichiaratamente - a maggiore rispetto delle garanzie
di difesa dei diritti del cittadino.
Comunque, per quanto riguarda la legislazione della regione Liguria, non si
rinvengono leggi che abbiano attribuito qualifica o funzioni di agenti di
polizia giudiziaria ai corpi volontari di vigilanza ambientale: la L. 29/94
sulla protezione della fauna omeoterma, si riporta esattamente agli artt. 27, 28
e 29 della L. 157/92, prevedendo per gli stessi la qualifica di agenti di
polizia amministrativa e l’esercizio dei poteri di cui all’art. 13 della L.
689/81, così come anche la L.R. 30/90 sulla istituzione delle Guardie Ecologiche
Volontarie.
3. L’USO DI DISPOSITIVI DI SEGNALAZIONE VISIVA E DI SIMBOLI O ISCRIZIONI IN USO
ALLA POLIZIA GIUDIZIARIA.
E’ frequente da parte dei corpi volontari di cui si discute e ricorre anche nel
caso del procedimento instaurato nei confronti di appartenenti all’A.I.L.P.,
l’uso di palette segnaletiche per l’intimazione dell’alt ai conducenti di
veicoli e quindi per l’agevolazione dello svolgimento delle funzioni d’istituto.
L’unica normativa valida di riferimento sull’uso e la detenzione di tali
strumenti appare essere il codice della strada: in particolare l’art. 12
disciplina l’espletamento dei servizi di polizia stradale, attribuendolo
oltreché al corpo speciale di Polizia Stradale, anche alla Polizia di Stato,
Carabinieri, G.d.F., corpi e servizi di polizia municipale e, in via residuale,
ai rimanenti ufficiali ed agenti di p.g. indicati negli artt. 57 c. 1 e 2 c.p.p..
Al comma terzo della medesima norma sono elencati appartenenti al personale di
varie amministrazioni, centrali, periferiche ed enti locali, i quali possono
svolgere compiti di prevenzione ed accertamento di violazioni in materia di
circolazione stradale solo previo superamento di un esame di qualificazione
disciplinato dal regolamento di esecuzione. Il quinto comma prevede che tutti i
soggetti indicati, quando non siano in uniforme, per espletare i propri compiti
di polizia stradale devono fare uso di apposito segnale distintivo, conforme al
modello stabilito dal regolamento; l’art. 24 del regolamento, come sostituito
dall’art. 21 del D.P.R. 610/96, individua le caratteristiche di forma e colore
delle palette di segnalazione, prevedendo che rechino, al centro il simbolo
della Repubblica Italiana; al secondo comma viene delimitato l’uso delle stesse
alla sola intimazione dell’alt agli utenti della strada in movimento e, in
situazioni di emergenza, per le segnalazioni manuali di regolamentazione del
traffico, con espressa previsione di perseguibilità disciplinare di eventuali
casi di abuso.
La dettagliata disciplina delle forme e modalità d’uso di tali dispositivi di
segnalazione porta ad escludere che il loro uso sia consentito da soggetti
estranei a quelli contemplati dalla normativa e per ipotesi dalla stessa non
considerate: è sintomatico che per ben due volte nell’art. 24 del regolamento e
nell’art. 12 c. 5° si precisi che l’uso delle palette debba avvenire
obbligatoriamente quando l’agente non sia in uniforme; la rigorosa
interpretazione dell’ambito applicativo è confortata anche dalla espressa
previsione di sanzione disciplinare per usi impropri. Che a fronte di un rigore
che potrebbe sembrare quasi eccessivo nei confronti di soggetti che senza dubbio
rivestono la qualifica di agenti ed ufficiali di p.g., possa ritenersi
ammissibile un uso indiscriminato dei medesimi strumenti o di loro imitazioni da
parte di soggetti per i quali tale qualifica sia del tutto carente o
riconosciuta per finalità che non implicano certamente lo svolgimento di servizi
di polizia stradale, appare alquanto incoerente con il sistema normativo. Così
come non sembra ipotizzabile che enti locali possano autorizzare l’uso di tali
strumenti al di fuori di quanto già previsto per legge. Già il Consiglio di
Stato, con la medesima pronuncia più sopra richiamata - n. 2296 del 29.8.94 -
aveva ritenuto la legittimità del divieto stabilito da circolare del Ministero
dell’Interno, per le associazioni venatorie e guardie volontarie ad esse
appartenenti, di installare dispositivi di segnalazione di emergenza acustica e
visiva sulle proprie autovetture e di munirsi delle palette di segnalazione,
proprio sul presupposto di una interpretazione non estensiva della normativa -
previgente - sull’uso di tali strumenti. Le norme del Nuovo Codice della strada
non hanno aperto spazi maggiori rispetto al passato. Quindi, seppure sulle
palette venga specificata la dizione di polizia amministrativa ed indicato
l’ente di dipendenza funzionale, ciò non appare sufficiente a legittimarne l’uso
e la detenzione; il cittadino sa che quel segnale gli impone un dovere di
comportamento, che trae forza coercitiva dall’esercizio di funzioni pubbliche,
chiaramente riconoscibili, legislativamente previste e disciplinate e quindi per
lui garantite; garanzia che manca nell’uso da parte di soggetti non autorizzati
e non investiti della qualifica e delle funzioni che legittimano l’uso stesso.
Una parziale deroga potrebbe porsi in modo legittimo per quelle funzioni di
accertamento di infrazioni amministrative - pacificamente esercitabili da agenti
di polizia amministrativa - ricollegabili alla materia della circolazione dei
fuoristrada, potendosi peraltro argomentare che in tali situazioni, ove vige la
disciplina dell’ente locale per espressa previsione legislativa ed attribuzione
di materia, lo stesso ente locale possa prevedere e disciplinare l’uso di
dispositivi atti a rispondere alle “...identiche esigenze di formalizzazione
dell’intimazione di fermata” cui sono finalizzati gli strumenti previsti dal
codice della strada. In questo senso sono ad esempio i pareri del 27.2.95 della
XI Ripartizione “Caccia e Pesca/Agricoltura” della Provincia di Genova, così
come il parere espresso il 12.12.94 dall’ufficio Servizi Affari Istituzionali e
Legislativi della Regione Liguria. In particolare quest’ultimo parere ha
interpretato l’art. 12 del regolamento al codice della strada in senso tassativo
ma non esclusivo, ritenendo pertanto legittimo l’uso degli stessi dispositivi in
materia di disciplina della circolazione fuoristradistica, da parte soggetti
titolari delle funzioni di polizia amministrativa in base ad espressa previsione
di legge, come le Guardie Ecologiche Volontarie; l’autorità interpellata ritiene
in tal modo di aver interpretato la normativa disciplinante l’uso delle palette
di segnalazione in consonanza con quanto espresso dal Consiglio di Stato con il
parere n. 2296 del 29.8.94 proprio perché le G.E.V. non sono privati
appartenenti ad associazioni volontarie ma organi di polizia amministrativa per
espresso riconoscimento di legge regionale (n. 30/90).
Peraltro, se è corretto ritenere che per le funzioni inerenti alla vigilanza
sulla disciplina dei fuoristradisti di cui alla L. R. 38/92 sia necessario
prevedere l’uso di strumenti formali idonei a rendere ufficiale ed obbligatoria
l’intimazione dell’alt, al fine di evitare ogni tipo di confusione sarebbe forse
possibile ed opportuno differenziare tali strumenti da quelli disciplinati dal
codice della strada, rendendoli chiaramente identificativi della natura della
funzione amministrativa svolta e della sua provenienza dall’ente competente per
la vigilanza - si possono ipotizzare palette recanti anziché il simbolo dello
Stato quello della Provincia o della Regione dai quali funzionalmente dipendono
gli agenti cui sia demandato il controllo sul rispetto delle normative locali -.
Comunque, anche secondo il parere espresso dalla Provincia di Genova, e ribadito
in una recentissima comunicazione datata 18.9.98, non pare ammissibile un uso di
tali dispositivi al di fuori delle funzioni per le quali risultano strettamente
necessari, quindi per intimare l’alt in operazioni di vigilanza non inerenti la
circolazione dei fuoristradisti.
In conclusione, alle guardie particolari giurate appartenenti ad associazioni
con finalità di protezione faunistico ambientale può senz’altro riconoscersi la
qualifica di agenti di polizia amministrativa per l’accertamento delle
infrazioni di cui all’art. 13 della L. 689/81 (cfr. art. 6 c. 13 L.R. Liguria n.
30/90); dovrebbe altresì riconoscersi la qualifica di incaricati di pubblico
servizio e non di pubblici ufficiali, in quanto personale funzionalmente
dipendente dagli enti delegati della vigilanza sulle materie di rispettiva
attribuzione e competenza, peraltro privo di poteri autoritativi od anche
certificativi - v. art. 28 c. 5 L. 157/92 ed artt. 6 c. 13 e 10 lett. g) della
L.R. Liguria 30/90 -; a meno di non ritenere che, in quanto soggetti incaricati
dalla pubblica amministrazione di svolgere attività disciplinate da norme di
diritto pubblico ed estrinsecanti la volontà della P.A. con esplicazione di
potere discrezionale, le stesse partecipino di poteri autoritativi - più che
certificativi - in senso lato, ad esempio nella rilevazione delle infrazioni
amministrative e nel potere di identificazione e di ordinare l’esibizione della
licenza di caccia di cui all’art. 28 c. 1° L. 157/92; va comunque segnalata la
recente pronuncia, specifica rispetto alla materia ambientale, di sez. V, 8.4.97
n. 4898, che riconosce agli agenti venatori la qualifica di pubblici ufficiali,
non agenti di p.g., con conseguente ipotizzabilità del reato di cui all’art. 651
c.p. in caso di rifiuto delle proprie generalità, confermante una precedente
pronuncia nello stesso senso ci Cass. 26.9.90, Antonelli.
L’uso di dispositivi di segnalazione quali le palette utilizzate per
l’intimazione dell’alt agli autoveicoli dovrebbe ritenersi consentito nei limiti
della disciplina della circolazione fuoristradistica da parte dei soggetti
investiti dalle leggi locali e di settore del potere di vigilanza in materia, ma
limitatamente a tali funzioni. Non pare osti alcuna previsione di legge
all’utilizzo di strumenti che si differenzino da quelli previsti e disciplinati
in modo tassativo dal regolamento al codice della strada, ad esempio
nell’indicazione del simbolo dell’ente di appartenenza funzionale - Regione o
Provincia - in vece del sigillo dello Stato.