Cass. Sez. III n. 3952 del 4 febbraio 2022 (PU 6 ott 2021)
Pres. Di Nicola Est. Cerroni Ric. Giannechini
Rumore.Pubblico esercizio

Risponde del reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone il gestore di un pubblico esercizio che non impedisca i continui schiamazzi provocati dagli avventori in sosta davanti al locale anche nelle ore notturne, essendogli imposto l’obbligo giuridico di controllare, anche con ricorso allo ius excludendi o all’Autorità, che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell’ordine e della tranquillità pubblica


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 27 novembre 2020 il Tribunale di Rieti ha condannato Giorgio Giannecchini, nella qualità di amministratore della s.a.s. John Silver, alla pena – riconosciute le attenuanti generiche - di euro seicento di ammenda per il reato di cui agli artt. 81 e 659 cod. pen.. Alla costituita parte civile erano altresì liquidati il risarcimento del danno e le spese di giudizio.
2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione articolato su quattro motivi di impugnazione.
2.1. Col primo motivo il ricorrente ha invocato violazione di legge in relazione agli artt. 6 par. 1 e 4 Cedu nonché 516 e 521 cod. proc. pen., assumendo che l’originaria contestazione circa il preteso disturbo del riposo delle persone si era trasformata nella misurazione del rumore effettuata presso l’abitazione della parte civile Riccardo Massimiliano Menotti. In tal senso il supposto superamento dei limiti di emissioni sonore integrava la fattispecie al più del comma 2 dell’art. 659 cit., ossia un fatto diverso che esula dal contestato disturbo indifferenziato del riposo delle persone risolvendosi in una valutazione ad personam e solo in relazione alle misurazioni effettuate dall’Arpa Lazio nell’abitazione della parte civile. La condanna era così intervenuta per un fatto diverso, nonostante fosse stato dato atto che alla situazione concorreva l’ubicazione del locale in zona che attirava persone anche in ora notturna, con affollamento esteso altresì all’esterno dei locali.
2.2. Col secondo motivo il ricorrente ha osservato che il semplice superamento del parametro acustico stabilito dalla legge non appariva costituire requisito sufficiente ad integrare la capacità di disturbo della pubblica quiete, attesa la necessità di un’attitudine al disturbo di numero indeterminato di persone.
Al riguardo, il luogo dove il ricorrente esercitava la propria attività era posto al centro della cd. movida reatina estiva, sì che appariva inverosimile che la sola attività di somministrazione ai tavoli, condotta sull’area golenale del fiume Velino, fosse tale da provocare addirittura un inquinamento acustico, a fronte delle diverse centinaia, se non migliaia di persone che ivi si assembravano, e della presenza di altri esercizi commerciali in tesi ancor più rumorosi per tipologia di clientela e carenza di spazi interni.
In particolare, quanto alla zonizzazione acustica, il locale doveva rientrare nella classe III concernente aree di tipo misto, ossia aree urbane interessate da traffico veicolare locale o di attraversamento con media densità di popolazione, con presenza di attività commerciali, uffici, con limitata presenza di attività artigianali e con assenza di attività industriali. In tal senso, ed anche per merito dell’attività del pub e della solidarietà ricevuta da parte di privati e di commercianti, era emersa evidente la necessità di rivedere il vigente piano di zonizzazione acustica del Comune di Rieti, tenuto conto dell’effettiva destinazione dell’area lungo il fiume Velino, dove appunto insistevano le attività legate agli assembramenti serali.
In realtà vi era una congerie di fonti acustiche, idonee a disturbare il riposo e le occupazioni delle persone, estranee all’attività del pub del ricorrente, come era emerso nel corso dei rilievi, che non avevano mai individuato il differenziale acustico relativo all’attività commerciale. Né era stata determinata la base di calcolo per evidenziare il dato differenziale, tenuto conto che il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose era sempre relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo.
In realtà non era stata operata mappatura acustica della zona, e non erano state compiute rilevazioni in occasione della chiusura del locale. Dette misurazioni, operate dal consulente di parte, avevano dato conto dell’esistenza di zona fortemente antropizzata e il livello medio di emissione era superiore a quanto previsto dall’esistente zonizzazione acustica, palesemente dovuto al rumore antropico derivante dalla moltitudine di persone che affollavano la zona nel periodo estivo. Tant’è che tutti i testimoni, fatta eccezione della parte civile e del cognato della compagna, avevano escluso di avere ricevuto disturbo dall’attività del pub, frequentato da persona adulte per un aperitivo.
2.3. Col terzo motivo, in riferimento a tutte le attività comunque poste in essere dal ricorrente per venire incontro alle esigenze della parte civile, anche tramite l’installazione di doppi vetri ed impianto di condizionamento, era stato in tal modo documentato l’esercizio del potere di controllo da parte dell’imputato, mentre l’idoneità del rumore avrebbe dovuto essere accertato indistintamente e indipendentemente dalla singola eventuale lesione, essendo stato invece accertata dai testimoni l’irrilevanza, al riguardo, dell’apertura ovvero della chiusura del locale, trattandosi della zona più frequentata della città.
2.4. Col quarto motivo infine è stata censurata l’ordinanza del 5 ottobre 2020 in forza della quale il Tribunale aveva inteso genericamente ritenere la superfluità degli ulteriori testi in precedenza ammessi, consistenti in altri abitanti della zona, frequentatori del locale ovvero gestori altre attività esistenti nei pressi.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso del rigetto del ricorso.
4. La parte civile ha depositato memoria insistendo per il rigetto ovvero per l’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Il ricorso è infondato.
5.1. In ordine al primo motivo di impugnazione, questa Corte di legittimità – proprio in fattispecie pressoché sovrapponibile – ha avuto modo di osservare che l’effettiva idoneità delle emissioni sonore ad arrecare pregiudizio ad un numero indeterminato di persone costituisce un accertamento di fatto rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, il quale non è tenuto a basarsi esclusivamente sull’espletamento di specifiche indagini tecniche, ben potendo fondare il proprio convincimento su altri elementi probatori in grado di dimostrare la sussistenza di un fenomeno in grado di arrecare oggettivamente disturbo della pubblica quiete (Sez. 3, n. 11031 del 05/02/2015, Montoli e altro, Rv. 263433).
 Ciò posto, in realtà il primo Giudice ha dato seguito ad indagini tecniche proprio in ragione degli esiti incerti dell’indagine istruttoria testimoniale, che si era risolta in definitiva nella contrapposizione tra le deposizioni rese dai testi rispettivamente introdotti dalle parti e nell’originaria conflittualità esistente tra parte civile ed imputato (sì da avere reso impraticabile ogni ipotesi di bonaria definizione della vicenda, v. anche infra).
Al riguardo, pertanto, alcuna indebita modifica dell’ipotesi di accusa risulta intervenuta nel corso del giudizio.
5.2. In ordine poi al secondo motivo di doglianza, è nozione comune che, in tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (ex multis, Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601).
Del pari, è stato ricordato dalla parte civile nella memoria conclusiva che resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, per cui era stato ritenuto inammissibile il ricorso volto a sindacare proprio l’accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito circa la diffusività delle emissioni sonore e la loro idoneità ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone, in relazione al reato di cui all’art. 659 cod. pen. (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217).
Al riguardo, da un lato va osservato che in effetti la sentenza impugnata – quasi interamente costruita sulla trasposizione delle dichiarazioni del tecnico incaricato dei rilievi dell’Arpa – ha dato ampio conto degli esiti degli accertamenti, nonché della situazione dei luoghi e della manifesta rumorosità dell’attività gestita dall’odierno ricorrente in relazione al vociare e agli schiamazzi provenienti dall’esercizio, che in definitiva si poneva come unica fonte del disagio per la parte civile ma non solo per questa, come è emerso dall’istruttoria orale e dalle stesse dichiarazioni del ricorrente, che aveva evocato anche una raccolta di firme organizzata contro di lui e la sua attività commerciale.
In tal senso, è nozione ribadita che per la configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 659 cod. pen. non sono necessarie né la vastità dell’area interessata dalle emissioni sonore, né il disturbo di un numero rilevante di persone, essendo sufficiente che il disturbo venga arrecato a un gruppo indeterminato di persone e non solo a un singolo, anche se raccolte in un ambito ristretto, come, ad esempio in un condominio (cfr. Sez. 1, n. 45616 del 14/10/2013, Vírgillito, Rv. 257345). In proposito le conclusioni complessivamente tratte dal Tribunale non possono ritenersi illogiche, laddove in definitiva è stato dato atto che anche i testi introdotti dalla difesa non hanno in realtà negato i rumori, limitandosi a ricondurli alle altre e diverse attività commerciali che nella zona – deputata in qualche modo alla movida reatina – si affacciavano. Dette valutazioni, peraltro, sono state smentite dalle risultanze degli accertamenti tecnici, che hanno dato conto della maggiore distanza di tali attività e quindi della loro sostanziale ininfluenza rispetto all’immobile occupato dalla parte civile. Tant’è che la sentenza impugnata – contrariamente ai rilievi del ricorrente - ha parimenti ricordato come le misurazioni effettuate in momenti o periodi di chiusura del pub dell’imputato avevano fornito esiti del tutto opposti.
5.2.1. Né rilevano, per quanto di interesse, le considerazioni del ricorrente circa una diversa classificazione dell’area ai fini acustici, atteso che esse si sono limitate ad un auspicio futuro, legato alla destinazione della zona all’animazione e al divertimento serali nella città di Rieti.
5.3. Del pari, quanto al terzo motivo di censura, è stato già ribadito da questa Corte che risponde del reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone il gestore di un pubblico esercizio che non impedisca i continui schiamazzi provocati dagli avventori in sosta davanti al locale anche nelle ore notturne, essendogli imposto l’obbligo giuridico di controllare, anche con ricorso allo ius excludendi o all’Autorità, che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell’ordine e della tranquillità pubblica (Sez. 3, n. 14750 del 22/01/2020, Comelli, Rv. 279381). In proposito, preso atto altresì della totale indisponibilità della parte civile ad accettare soluzioni di compromesso che la coinvolgessero (atteggiamento che ha espressamente indotto il primo Giudice a particolare moderazione nel trattamento sanzionatorio e nella definizione delle statuizioni civili), incombeva semmai comunque all’odierno ricorrente assumere autonome adeguate iniziative per adempiere all’obbligo di controllo della propria clientela, e dette iniziative si sono concretizzate con la posa di ombrelloni che in qualche modo avrebbero dovuto separare l’area dell’esercizio pubblico dall’appartamento della parte civile, che ivi si affacciava.
Non illogicamente siffatta condotta non è stata ritenuta esimente, al pari dei blandi richiami alla moderazione rivolti alla clientela più rumorosa. Tant’è che comunque il ricorrente risulta essere stato sanzionato anche in via amministrativa.
5.4. In relazione infine al quarto motivo di censura, va osservato, con rilievo all’evidenza assorbente, che la revoca dell’ordinanza ammissiva di testi della difesa, resa in difetto di motivazione sulla superfluità della prova, produce una nullità di ordine generale che deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen., con la conseguenza che, in caso contrario, essa è sanata (Sez. 6, n. 53823 del 05/10/2017, D. M., Rv. 271732). In specie, come è stato correttamente rilevato dalla parte civile nella memoria di conclusioni, alcuna eccezione risulta essere stata in effetti sollevata in proposito all’udienza istruttoria, come si evince dalla lettura del verbale del Tribunale (cui questa Corte ha avuto accesso in ragione della natura processuale della questione).
5.4.1. In ogni caso, per vero il Giudice – senza suscitare reazioni processuali - aveva comunque ritenuto la superfluità della prova assumendo che le deposizioni dei restanti testi della difesa riguardavano i medesimi capitoli di prova.
A fronte di ciò, la violazione del diritto di difesa, sub specie di mancata ammissione delle prove dedotte, esige che ne sia precisata la portata indicando specificamente le prove che l’imputato non ha potuto assumere e le ragioni della loro rilevanza ai fini della decisione nel contesto processuale di riferimento, considerato che il diritto dell’imputato di difendersi citando e facendo esaminare i propri testi trova un limite nel potere del giudice di escludere le prove superflue ed irrilevanti, ex art. 495 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 10425 del 28/10/2015, dep. 2016, Lanzafame, Rv. 267559).
In definitiva, il ricorrente – anche a tacere dell’assorbente rilievo processuale - non ha comunque neppure specificato l’apporto probatorio che sarebbe stato arrecato dai testi non ammessi in quanto superflui, limitandosi ad affermare, in maniera all’evidenza apodittica, che l’emersione definitiva dei fatti avrebbe comportato una pronuncia di assoluzione per insussistenza del fatto.
5.5. Anche l’ultima doglianza proposta, pertanto, non appare meritevole di accoglimento.
6. Alla stregua di quanto precede, pertanto, l’impugnazione deve ritenersi complessivamente infondata sotto tutti i profili, col conseguente rigetto del ricorso.
Ne deriva quindi la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, liquidate nei termini di cui al dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 3000, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 06/10/2021