Cass. Sez. III n. 39544 del 30 novembre 2006 (ud. 11 ott. 2006)
Pres. Papa Est. Onorato Ric. Tesolat ed altro
Rifiuti. Deposito temporaneo (irregolarità)
Quando il deposito esula dai confini di quello temporaneo, deve farsi
riferimento agli elementi specifici della fattispecie concreta, con la
conseguenza che si configura un deposito preliminare se esso
è
realizzato in vista di successive operazioni di smaltimento, una messa
in riserva se realizzato in vista di successive operazioni di recupero,
mentre si realizza un deposito incontrollato o un abbandono di rifiuti
quando non prelude ad alcuna operazione di smaltimento o recupero
Svolgimento del processo
1 - Accogliendo l’impugnazione del p.m. contro la sentenza
assolutoria resa il 29 luglio 2004 dal tribunale monocratico di
Pordenone, sezione distaccata di San Vito al Tagliamento, la corte di
appello di Trieste, ha dichiarato Daniele Tesolat e Matteo Trevisan
colpevoli del reato di cui all’art. 51, comma 1, D.Lgs. 5
febbraio 1997 n. 22 - così riqualificato il fatto contestato
- condannando il primo alla pena di € 2.700 e il
secondo a quella di € 1.800 di ammenda.
In linea di fatto, la corte ha premesso che in un terreno denominato
“ex-Bonfada”, dove erano in corso lavori edilizi da
parte della ditta di Alessandro Toneguzzo per conto della proprietaria
Immobiliare Valbruna s.r.l., terreno dapprima sequestrato e poi
dissequestrato a condizione che fossero previamente smaltiti i rifiuti
giacenti, durante un sopralluogo del 26 febbraio 2002, una pattuglia di
guardie forestali aveva rilevato che il Tesolat, alla guida di un
escavatore, e il Trevisan, alla guida di un autocarro, stavano
provvedendo a trasportare nell’area del precedente deposito
di rifiuti materiale derivante dalla demolizione di un capannone
ubicato nello stesso cantiere.
I due, quali artigiani esperti nel settore, avevano ricevuto
l’incarico di demolire il capannone e di movimentare e
trasportare il materiale di risulta (il Tesolat da due giorni, e il
Trevisan da poche ore) da parte del Toneguzzo e del titolare
dell’Immobiliare Vaibruna, Giuseppe Casonato, senza che
fossero state previamente ottenute le necessarie autorizzazioni.
Sicuramente i materiali di risulta così movimentati e
depositati nel cantiere erano superiori ai 200 metri cubi.
In linea di diritto, la corte di merito ha osservato:
- che non sussisteva l’ipotesi di deposito temporaneo di
rifiuti non pericolosi, giacché era stata superata la soglia
dei 20 mc. richiesta dalla lett. m) n. 3 dell’art. 6 D.Lgs.
22/1 997;
- che ricorreva pertanto la materialità del reato di cui
all’art. 51, comma 1, D.Lgs. 22/1997, per gestione di rifiuti
non autorizzata, invece che quella del reato di cui al comma 2 dello
stesso art. 51, per deposito incontrollato di rifiuti, risultante dalla
contestazione formulata dal pubblico ministero;
- che sussisteva altresì l’elemento soggettivo del
reato, giacché gli artigiani imputati avevano colposamente
omesso di verificare che esistessero le necessarie autorizzazioni.
2 - Il difensore degli imputati ha proposto ricorso per cassazione,
chiedendo l’annullamento della sentenza in base a tre motivi.
In particolare deduce:
2.1 - erronea applicazione degli artt. 6 lett. m) e 51 D.Lgs. 22/1997,
e mancanza o illogicità di motivazione sul punto.
Sostiene che lo smaltimento degli inerti da demolizione avveniva
pacificamente entro i tre mesi prescritti dalla predetta lettera m); e
che inoltre le operazioni svolte da Tesolat e Trevisan erano del tutto
estranee all’attività di stoccaggio eventualmente
imputabile a Casonato e Toneguzzo in vista dello smaltimento o del
recupero;
2.2 - violazione degli artt. 516 e 521 e conseguente nullità
della sentenza ex ari 522 c.p.p., giacché difettava la
correlazione tra il reato contestato (art. 51, comma 2) e quello
ritenuto nella sentenza di condanna (art. 51, comma 1);
2.3 - inosservanza degli artt. 42 e 43 c.p. e mancanza o
illogicità di motivazione sul punto.
Sostiene che la sentenza impugnata non ha tenuto in considerazione il
fatto pacifico che Tesolat e Trevisan erano stati incaricati solo della
demolizione e della movimentazione dei materiali di risulta in altra
area dello stesso cantiere; e che tale limitato incarico non poteva
implicare che i medesimi fossero consapevoli che la società
appaltante e la ditta appaltatrice erano privi di abilitazione allo
stoccaggio in vista dello smaltimento o del recupero finale.
3 - Con motivo aggiunto depositato il 23 settembre 2006, il difensore
ha chiesto in via subordinata l’annullamento della sentenza
per prescrizione del reato.
Motivi della decisione
4 - Va preliminarmente disattesa l’eccezione di prescrizione
formulata col motivo nuovo (aggiunto).
Come già accennato in narrativa, il reato sarebbe stato
commesso sino al 26 febbraio 2002, data del sopralluogo, nel corso del
quale le guardie forestali colsero gli imputati nell’atto di
movimentare i rifiuti provenienti dalla demolizione di un capannone che
esisteva in loco. Il periodo prescrizionale scadeva quindi il 26 agosto
2006.
Com’è noto, peraltro, al fine della prescrizione
devono essere calcolate anche le sospensioni processuali disposte su
istanze di parte non strettamente funzionali all’esercizio
del diritto di difesa o del diritto alla prova (Cass. Sez. Un. 28
novembre 2001, Cremonese, rv. 220509), e quindi - nel caso di specie -
la sospensione di 3 mesi e 14 giorni dal 30 settembre 2003 al 13
gennaio 2004, sicché la prescrizione massima
maturerà soltanto in data 10 dicembre 2006.
5 - In secondo luogo va respinto il secondo motivo di ricorso (2.2),
con cui è stato contestato il difetto di correlazione tra il
reato contestato dal pubblico ministero (art. 51, comma 1, D.Lgs.
22/1997) e quello ritenuto dal giudice d’appello nella
sentenza di condanna (art. 51, comma 2, stesso decreto).
Invero, nel capo di imputazione ai predetti Tesolat e Trevisan era
stato contestato di aver depositato in modo incontrollato e/o di aver
smaltito senza autorizzazione rifiuti non pericolosi provenienti da
demolizioni edili.
Orbene, se si considera che nello smaltimento dei rifiuti è
compreso anche il deposito preliminare prima del trasporto in discarica
o di altre operazioni di smaltimento propriamente detto (lettera D 15
dell’Allegato B al D.Lgs. 22/1997), e che il giudice
d’appello ha sostanzialmente ritenuto sussistere un deposito
preliminare, invece che il deposito temporaneo controllato di cui alla
lettera m) dell’art. 6 D.Lgs. 22/1997, si deve concludere che
non si è configurata alcuna immutazione del fatto, tanto
meno una immutazione sulla quale gli imputati non hanno potuto
difendersi. In altre parole, contestando lo smaltimento si è
contestato anche il deposito preliminare che il giudice ha ritenuto in
sentenza.
6 - E’ invece fondato per quanto di ragione il primo motivo
di ricorso relativo alla sussistenza materiale del reato (n. 2.1),
mentre resta per conseguenza assorbito il terzo motivo sulla
sussistenza dell’elemento psicologico (n. 2.3).
Premesso che la movimentazione e il deposito dei rifiuti de quibus
avvenivano pacificamente nello stesso luogo di produzione (cantiere
edile), thema decidendum nel presente processo è stabilire
se l’attività compiuta dagli imputati configura un
deposito preliminare o un deposito temporaneo.
Va precisato a questo riguardo che quando il deposito esula dai confini
di quello temporaneo, esso può integrare alternativamente:
a) gli estremi del deposito incontrollato o abbandono, sanzionato a
seconda dei casi come illecito amministrativo ai sensi
dell’art. 50 D.Lgs. 22/1997 (ora 255 D.Lgs. 152/2006) o come
reato contravvenzionale ai sensi dell’art. 51, comma 2,
D.Lgs. 22/1997 (ora art. 256, comma 2, D.Lgs. 152/2006); b) gli estremi
del deposito preliminare (o stoccaggio), che, essendo una forma di
gestione dei rifiuti, in assenza della prescritta autorizzazione o
comunicazione in procedura semplificata, è sanzionato come
contravvenzione dall’art. 51, comma 1, D.Lgs. 22/1997 (ora
art. 256, comma 1, D.Lgs. 152/2006); c) una messa in riserva (o
stoccaggio) in attesa di recupero, che è sempre soggetta ad
autorizzazione, in quanto configura un ulteriore forma di gestione dei
rifiuti (punto R.13 allegato C dei D.Lgs. 22/1997 e 152/2006).
Alcune sentenze hanno adottato la prima soluzione (Cass. Sez. III, n.
20780 dell’11 aprile 2002, Brustia, rv. 221883; Cass. Sez.
III, n. 9057 del 22 gennaio 2003, Costa, rv. 224172), altre hanno
adottato la seconda (Cass. Sez. III, n. 7140 del 21 marzo 2000, Eterno,
iv. 216977; Cass. Sez. III, n. 14762 del 5 marzo 2002, Arnadori, rv.
221576).
Ritiene il collegio che la scelta tra le varie opzioni dipende soltanto
dagli elementi specifici della fattispecie concreta, sicché,
quando non ricorre un deposito temporaneo, si configura un deposito
preliminare se esso è realizzato in vista di successive
operazioni di smaltimento, ovvero una messa in riserva se è
realizzato in vista di successive operazioni di recupero, mentre si
realizza un deposito incontrollato o abbandono quando è -
per dir così - definitivo, nel senso che non prelude ad
alcuna operazione di smaltimento o di recupero.
Nel caso di specie, la corte territoriale, con valutazione
incensurabile in questa sede, ha ritenuto che il deposito fosse
preliminare perché era propedeutico a successive operazioni
di smaltimento di tutti i rifiuti esistenti nel cantiere de quo, che
dovevano essere effettuate dalla società Immobiliare
Valbruna.
7 - Per affrontare il thema decidendum, va ricordato che, ai sensi
delle direttive comunitarie in materia e del D.Lgs. 22/1997 attuativo
delle medesime, si intende per deposito temporaneo, ogni raggruppamento
di rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono
prodotti, quando siano rispettate precise condizioni di
qualità, di tempo, di quantità, di organizzazione
tipologica e di rispetto delle norme tecniche, elencate nella lett. m)
dell’art. 6 D.Lgs. 22/1 997.
Si intende invece per deposito preliminare (o stoccaggio), quello
effettuato in qualsiasi luogo prima di una delle operazioni di
smaltimento elencate nei punti da Dl a D14 dell’allegato B al
D.Lgs. 22/1997, senza il rispetto delle predette condizioni (v. Cass.
Sez. III, n. 21024 del 25 febbraio 2004, Eoli, rv. 229225/6).
Le stesse definizioni sono ora contenute nel D.Lgs. 3 aprile 2006 n.
152, che con la parte quarta ha sostituito il citato D.Lgs. 22/1977;
precisamente nell’art. 183 lett. m) per il deposito
temporaneo, e nell’allegato E alla parte quarta, punto D15,
per il deposito preliminare.
Più precisamente, il deposito preliminare è
incluso nelle operazioni di smaltimento dei rifiuti, e - come tale -
è soggetto ad autorizzazione o a comunicazione in procedura
semplificata; mentre il deposito temporaneo esula dalle operazioni di
smaltimento e in genere da tutta l’attività di
gestione dei rifiuti, costituendo una operazione preliminare o
preparatoria alla gestione, e - come tale - è libero, anche
se è pur sempre soggetto al rispetto dei principi di
precauzione e di azione preventiva che le direttive comunitarie
impongono agli stati nazionali in forza dell’art. 130 R (ora
art. 174) del Trattato CE (v. Corte di Giustizia Europea, Quarta
Sezione, del 5 ottobre 1999, Lirussi e Bizzaro, cause riunite C-l75/98
e 177/98).
In linea con siffatto principio precauzionale del diritto comunitario,
l’art. 28, comma 5, del D.Lgs. 22/1997 (ora art. 208, comma
17, D.Lgs. 152/2006) assoggetta anche il deposito temporaneo al divieto
di miscelazione di cui all’art. 9 (ora art. 187 D.Lgs.
152/2006) e all’obbligo di tenuta dei registri di carico e
scarico di cui all’art. 12 (ora art. 190 D.Lgs. 152/2006).
In quanto deroga ai principi comunitari di protezione
dell’ambiente, la nozione di deposito temporaneo deve essere
interpretata in senso restrittivo (così la Commissione nelle
cause riunite Lirussi e Bizzarro, succitate; v. anche Cass. Sez. III,
n. 4957 del 21 gennaio 2000, Rigotti, rv. 215946).
8 - Si tratta quindi di definire quali sono le condizioni necessarie
richieste dalla legge per configurare un deposito temporaneo, in
assenza delle quali si configura un deposito preliminare soggetto ad
autorizzazione (quando il deposito prelude a una successiva operazione
di smaltimento o di recupero), una messa in riserva ugualmente soggetta
ad autorizzazione (quando il deposito prelude a una successiva
operazione di recupero), ovvero un abbandono o deposito incontrollato,
amministrativamente o penalmente sanzionato (quando il deposito
è definitivo perché non prelude ad alcuna
attività di recupero o smaltimento).
Al riguardo, il legislatore nazionale ha fissato precise disposizioni
che impongono l’assenza di determinati elementi chimici
nocivi alla salute, l’organizzazione per tipi omogenei dei
rifiuti, il rispetto delle norme tecniche e di quelle che disciplinano
l’imballaggio e l’etichettatura dei rifiuti
pericolosi, nonché i tempi e la quantità del
deposito (art. 6, lett. m), D.Lgs. 22/1997, ora art. 183, lett. m),
D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152).
L’infelice formulazione della disposizione relativa al
requisito quantitativo e temporale, contenuta nel numero 3 del
più volte citato art. 6 lett. m), ha indotto questa corte,
in alcune sue sentenze, a una interpretazione
“rigorista” che la dottrina ha fondatamente
criticato, e che, dopo l’entrata in vigore del D.Lgs.
152/2006, ha perso ormai qualsiasi aggancio testuale (v. Sez. III, n.
4957 del 21 gennaio 2000, Rigotti, iv. 215946; Sez. III, n. 41520 del
29 ottobre 2002, Guarracino, rv. 223045; Sez. III, n. 13113
dell’11 febbraio 2003, Rofi, rv. 223860; Sez. III, n. 22063
del 25 marzo 1003, Mascheroni, rv. 224485).
Invero, dopo che la legge 15 dicembre 2004 n. 308 aveva delegato il
Governo a provvedere al riordino, coordinamento e integrazione della
legislazione in materia ambientale, il legislatore delegato, con il
citato D.Lgs. 152/2006, ha adottato una formulazione più
chiara, dalla quale risulta inconfutabilmente che - conformemente alla
interpretazione del testo previgente offerta dalla migliore dottrina -
il produttore dei rifiuti può alternativamente e
facoltativamente scegliere di adeguarsi al criterio quantitativo o a
quello temporale per ottemperare alle condizioni del deposito
temporaneo. Infatti, l’art. 183 D.Lgs. 152/2006, lett. m) n.
3, stabilisce che:
“3) i rifiuti non pericolosi devono essere raccolti ed
avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento, secondo le
seguenti modalità alternative, a scelta del produttore:
3.1) con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalla
quantità in deposito; oppure
3.2) quando il quantitativo di rifiuti non pericolosi in deposito
raggiunga i 20 metri cubi. In ogni caso, allorché il
quantitativo di rifiuti non superi i 20 metri cubi, il deposito
temporaneo non può avere durata superiore ad un anno;
3.3) limitatamente al deposito temporaneo effettuato in stabilimenti
localizzati nelle isole minori, entro il termine di durata massima di
un anno, indipendentemente dalle quantità “.
In tal modo, attraverso l’inserimento della frase
“secondo le seguenti modalità alternative, a
scelta del produttore” e della congiunzione
“oppure”, che sostituiscono la frase
“ovvero, in alternativa” contenuta nel testo
precedente, resta definitivamente chiarito che il produttore, ferme le
altre condizioni qualitative, può decidere di conservare i
rifiuti in deposito per tre mesi in qualsiasi quantità,
prima di avviarli allo smaltimento o al recupero (privilegiando
così il limite temporale), oppure può scegliere
di conservare i rifiuti in deposito per un anno, purché la
loro quantità non raggiunga i venti metri cubi (assumendo
così come decisivo il limite quantitativo). Solo per le
isole minori è eccezionalmente consentito che il deposito
sia protratto per un anno anche se il quantitativo depositato supera il
limite predetto. Non può quindi condividersi la tesi della
citata sentenza Rigotti, alla quale aderisce la sentenza impugnata,
secondo cui il deposito potrà essere mantenuto per la durata
di un anno solo se “in tutto il detto arco temporale, e
cioè complessivamente” non venga superato il
limite dei venti metri cubi, sicché il limite temporale di
tre mesi assume rilievo, o - per così dire - entra in gioco
solo quando “i vari conferimenti di rifiuti siano tutti
inferiori al venti metri cubi”.
Una simile esegesi, infatti, non è consentita dal tenore
letterale della disposizione (sia nel testo previgente sia nel testo
vigente), la quale non si riferisce mai ai singoli conferimenti, ma ha
riguardo solo alla quantità complessiva dei rifiuti
esistenti in un dato momento e alla durata complessiva del loro
deposito.
Va inoltre notato che siffatta esegesi è esplicitamente
basata sulla lettura di “ovvero” in chiave
esplicativa, anziché disgiuntiva, cioè come
sinonimo di “ovverosia”; mentre tutta la frase
“ovvero, in alternativa” indicava chiaramente che
la congiunzione doveva essere letta secondo il suo normale senso
disgiuntivo. Al riguardo, il nuovo testo toglie ogni possibile dubbio
residuo quando sostituisce la congiunzione “ovvero”
con la congiunzione “oppure”, giacché
quest’ultima, a differenza della prima, non sopporta altro
significato che quello disgiuntivo.
Questa tesi giurisprudenziale, peraltro, sembra entrare in
contraddizione con se stessa quando ammette che il limite trimestrale
vale indipendentemente dalla quantità di rifiuti in
deposito, ma poi esige che non venga superato il limite dei venti metri
cubi nel corso dell’intero anno. Non può dirsi,
insomma, che se questo limite quantitativo non è raggiunto
è possibile mantenere il deposito per la durata di un anno,
e nello stesso tempo affermare che il limite trimestrale vale
indipendentemente dalla quantità sempre che i vari
conferimenti siano inferiori ai venti metri cubi.
9 - In conclusione, la corte di merito doveva valutare la posizione
degli imputati alla luce dei principi sopra esposti. Invece, seguendo
la sentenza Rigotti, ha espresso il suo giudizio di colpevolezza sulla
base di una errata interpretazione della nozione di deposito
temporaneo, sostanzialmente violando quei principi.
Se poteva infatti riconoscersi che il Tesolat e il Trevisan erano
produttori dei rifiuti ai sensi dell’art. 6 lett. b) D.Lgs.
22/1997 (ora art. 183 lett. b) D.Lgs. 152/2006), in quanto avevano
proceduto alla demolizione del capannone da cui erano derivati i
rifiuti stessi, non poteva però affermarsi, senza ulteriore
istruzione probatoria e adeguata motivazione, che i due imputati,
movimentando e raccogliendo i materiali di risulta
nell’ambito dello stesso cantiere, avessero superato i limiti
del deposito temporaneo, e quindi fossero responsabili (a titolo di
concorso con i loro committenti) di avere effettuato uno smaltimento
(deposito preliminare) senza il dovuto titolo autorizzatorio.
Invero, per esulare dai confini del deposito temporaneo, non bastava
che il quantitativo depositato nel luogo di produzione superasse i
venti metri cubi, ma occorreva contemporaneamente accertare se fosse
stato superato anche il limite trimestrale del tempo di giacenza,
atteso che - secondo la corretta esegesi della disposizione - il
produttore può scegliere di conservare qualsiasi
quantità di rifiuti in deposito temporaneo per la durata di
tre mesi, prima di avviarli allo smaltimento o al recupero,
purché osservi le altre condizioni prescritte riguardo alla
qualità dei rifiuti, al rispetto delle norme tecniche e al
raggruppamento per tipi omogenei (nn. 1, 2 e 4 delle citate lett. m)
art. 6 D.Lgs. 22/1997 e art. 183 D.Lgs. 152/2006).
Nel caso di specie, poi, l’accertamento del limite temporale
dei tre mesi assumeva un particolare rilievo, dal momento che la stessa
sentenza impugnata ha incidentalmente riconosciuto che il
raggruppamento dei materiali di risulta era durato solo pochi giorni,
atteso che il Tesolat col suo escavatore era all’opera solo
da due giorni, mentre il Trevisan col suo autocarro era in
attività soltanto dalla mattina in cui fu effettuato il
sopralluogo.
La sentenza va quindi annullata con rinvio, perché il nuovo
giudice di merito rivaluti alla luce di tutti i principi sopra esposti
se il raggruppamento dei rifiuti da demolizione edile di cui trattasi
aveva superato i limiti del deposito temporaneo.
Rifiuti. Deposito temporaneo irregolare
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