Deposito temporaneo di rifiuti e COVID. Contrordine compagni
di Gianfranco AMENDOLA
Questa maledetta pandemia non nuoce solo alla nostra salute ma sta anche impietosamente evidenziando la totale inadeguatezza di questo Governo (e non solo) per quanto riguarda i riflessi ambientali. La migliore riprova viene da due recenti novità, una proveniente dalla Commissione ecomafia e l’altra da un precipitoso voltafaccia di Governo e Parlamento.
Ma andiamo con ordine.
All’insorgere della pandemia e del conseguente blocco, molte aziende e consorzi interessati alla gestione dei rifiuti si affrettarono a lanciare alti gridi di allarme prospettando il pericolo di un pesante arresto nella loro attività connesso con l’aumento di rifiuti e la chiusura di sbocchi terminali per il recupero e lo smaltimento.
A solo titolo esemplificativo, si ricorda una richiesta formale per « individuare al più presto rilevanti spazi a termovalorizzazione e/o a smaltimento » in deroga alla legge, inoltrata il 19 marzo 2020 al Ministero dell’ambiente da COREPLA (Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclaggio e il recupero degli imballaggi in plastica) perché « il principale problema operativo, al momento, riguarda la gestione degli scarti non riciclabili prodotti dai Centri di selezione (il c.d. plasmix) essendo venuti meno, pressoché subitaneamente, rilevanti sbocchi sia italiani che esteri », rafforzata da numerose dichiarazioni stampa provenienti soprattutto dal CONAI (Consorzio nazionale imballaggi), il quale paventava che la emergenza COVID, comportando un notevole aumento di rifiuti urbani, metteva a repentaglio tutta la loro gestione, e, in particolare, la raccolta differenziata ed il riciclo, con « il rischio di non poter più procedere neppure al ritiro di questi rifiuti »; precisando, peraltro che il problema riguardava soprattutto la « plastica che, per buona parte oggi non è riciclabile, il c.d. plasmix », normalmente destinato a termocombustione.
Questo grido di dolore veniva prontamente raccolto dal Ministero dell’ambiente, il quale, il 27 marzo, emanava una corposa circolare per suggerire alle Regioni di ricorrere allo strumento delle ordinanze contingibili ed urgenti (art. 191, d.lgs. n. 152/06) al fine di « prefigurare la possibilità di addivenire a regimi straordinari, temporalmente circoscritti alla durata dell’emergenza » per quanto concerne capacità di stoccaggio impianti (aumento fino al 50 per cento), deposito temporaneo di rifiuti (aumento quantità fino al doppio, temporale fino a diciotto mesi), deposito di rifiuti urbani presso i centri di raccolta comunali (aumento capacità stoccaggio fino al 20 per cento, temporale fino al doppio), impianti di incenerimento (massima capacità termica) e smaltimento in discarica (aumento tipologia di rifiuti consentite). Regimi straordinari che, ovviamente, aumentano i rischi per ambiente e salute specie per il potenziamento di attività di discariche e inceneritori.
Ma c’è di più. Perché nel decreto legge c.d. «Curaitalia» (d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con l. 24 aprile 2020, n. 27) veniva introdotto ed approvato un art. 113 bis ( Proroghe e sospensioni di termini per adempimenti in materia ambientale ) con il quale si triplicava per sempre (a prescindere dall’emergenza) la quantità di rifiuti, anche pericolosi, che si possono depositare presso le aziende, senza alcuna autorizzazione – e, quindi, senza le prescrizioni dell’autorizzazione e senza comunicazione alla P.A. ai fini della tracciabilità – in «deposito temporaneo»; la cui durata massima veniva aumentata a ben diciotto mesi 1.
E, se pure è vero che questo articolo era frutto di un emendamento presentato dall’opposizione, è anche vero che esso otteneva il parere favorevole del Governo. Anzi, il Ministro dell’ambiente, audito dalla Commissione ecomafia il 5 maggio 2020, ne rivendicava il merito perché « di fronte all’emergenza, occorre superare qualsiasi contrapposizione per il bene del Paese ».
Di parere diametralmente opposto era, invece, la Commissione ecomafia, la quale, nella sua relazione finale, evidenzia, tra l’altro, che questo art. 113 bis appare incompatibile con la nozione di discarica prevista dall’art. 2, lett. g), del decreto legislativo n. 36 del 2003, che definisce tale «qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno».
In sostanza, quindi, l’operato del Governo in tema di rifiuti di fronte alla emergenza COVID si è estrinsecato in una circolare alle Regioni dove si ricordava alle stesse che possono emettere ordinanze contingibili ed urgenti per aumentare le capacità di stoccaggio e di gestione dei rifiuti e nella entusiastica condivisione di una disposizione che, a prescindere dall’emergenza, aumentava in modo rilevante quantità e termini di durata del deposito temporaneo di rifiuti, senza alcuna autorizzazione preventiva e senza alcuna comunicazione per garantirne la tracciabilità.
Di questo operato si occupava approfonditamente, come già anticipato, la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati (c.d. « Commissione ecomafia») con una serie di audizioni che coinvolgevano tutte le istituzioni ed i soggetti interessati, a livello politico, tecnico, economico e giudiziario, sfociate l’8 luglio nella approvazione all’unanimità di una relazione (a firma Vignaroli, Berutti e Vianello) intitolata « Emergenza epidemiologica COVID-19 e ciclo dei rifiuti» che vale la pena di leggere integralmente dal sito della Commissione.
In sintesi, il quadro che emerge dalle indagini della Commissione sconfessa pesantemente il comportamento governativo sia per quanto non fatto sia per quanto (poco) fatto 2.
Ed infatti, « il Ministero dell’ambiente avrebbe potuto rendersi maggiormente attivo, superando lo schema della circolare – unico atto adottato durante l’emergenza epidemiologica – e proponendo soluzioni normative volte a contenere una serie di singoli atti amministrativi e provvedimentali di carattere locale »; in tal modo, peraltro, « si è prodotta una disciplina derogatoria non uniforme in tutto il territorio nazionale che ha suscitato qualche perplessità sin dalla fase iniziale e qualche incertezza negli operatori ».
Quanto al contenuto, la relazione evidenzia senza mezzi termini la totale erroneità dei presupposti alla base della circolare. Infatti, «l ’emergenza epidemiologica non ha aumentato in maniera decisiva la produzione di rifiuti in generale anzi l’ha diminuita: e semmai i provvedimenti hanno corrisposto a esigenze di risposta alla percezione di deficit strutturali del sistema impiantistico nazionale, che nella fase dell’emergenza hanno acuito gli effetti della carenza di possibili destinazioni per specifiche tipologie di rifiuti, attualmente non gestite sul territorio nazionale per l’assenza di una specifica dotazione impiantistica ovvero di una filiera economica di trattamento della materia, correttamente costruita. L’esempio di temporanea –e presto superata – criticità derivante dalla chiusura di alcuni mercati esteri non segnala un’“emergenza” bensì la circostanza che allo stato vi sono alcune esportazioni di rifiuti [di materia] razionali in una logica di mercato globale e altre invece frutto di mancanza di impianti dedicati o conseguenti a raccolta di rifiuto scadente: il che rende necessario, in prospettiva anche a breve e medio termine, creare le condizioni normative ed economiche per investimenti in innovazione ambientalmente compatibile ».
Insomma, la circolare non serve affatto ai fini della emergenza che viene formalmente richiamata, ma, in realtà, serve a far fronte ad una diversa esigenza di tipo strutturale che nulla ha a che vedere con la pandemia. Anzi, – rileva la relazione, utilizzando le affermazioni dei magistrati auditi – « il combinato disposto di deroga alle autorizzazioni, modifica delle stesse e segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) come disciplina derogatoria generale operante in senso generale e non limitata ad alcune categorie di rifiuti potrebbe favorire fenomeni di gestione illegale. (...) Consentire un regime derogatorio per tutte le tipologie di rifiuti ostacola un reale tracciamento dei rifiuti, aprendo così la strada al rischio di sistemi di gestione illeciti (...) ».
Conclusioni che, a maggior ragione, valgono per la modifica legislativa valida erga omnes, relativa alla dilatazione del deposito temporaneo. Tanto è vero che – conclude la Commissione – « le norme derogatorie statali e le ordinanze derogatorie regionali dovranno essere superate ».
Auspicio prontamente raccolto in sede legislativa in quanto poco dopo, ad appena due mesi dalla sua approvazione, lo stesso Parlamento faceva marcia indietro ed abrogava seccamente l’art. 113 bis con l’art. 228 bis del decreto legge «rilancio» (d.l. 19 maggio 2020, n. 34 convertito con l. 17 luglio 2020, n. 77) su emendamento proposto in Commissione bilancio dall’on. Giovanni Vianello (5 Stelle), firmatario anche della citata relazione dell’ecomafia.
Vale la pena, in proposito, di riportare testualmente quanto dichiarato l’11 luglio proprio dall’on. Vianello a VillaggioGlobale.it:
« Consentire un regime derogatorio per tutte le tipologie di rifiuti ne ostacola il tracciamento, si apre così la strada al rischio di sistemi di gestione illeciti. Voglio quindi sottolineare che il regime derogatorio è una scelta quanto mai ingiustificata, considerato che l’emergenza epidemiologica non ha aumentato la produzione di rifiuti bensì l’ha ridotta di circa mezzo milione di tonnellate in appena un paio di mesi. Faccio solo un esempio, il procuratore generale presso la Corte di cassazione, nell’audizione in Commissione ecomafie svolta nell’ambito dell’inchiesta sulla gestione rifiuti legata al Covid-19, ha riferito che in alcuni casi specifici sono state segnalate emergenze investigative da cui emerge una particolare appetibilità, per la criminalità organizzata, degli impianti i cui limiti quantitativi sono stati aumentati con le ordinanze regionali già citate, e il conseguente interesse alla loro acquisizione ».
Ed è pertanto auspicabile che, proprio per queste considerazioni, il Ministro dell’ambiente, che è persona certamente sensibile quando si parla di criminalità, si affretti a revocare, prima che faccia altri danni, la sua circolare del 27 marzo, dimostratasi non solo superflua ma anzi errata e fuorviante sia nei presupposti che nei contenuti.
E, nel contempo, si affretti anche a dare attuazione all’art. 229 bis del citato decreto rilancio, il quale demanda al Ministero dell’ambiente il compito di dettare linee guida volte a definire specifiche modalità di raccolta dei dispositivi di protezione individuale (mascherine ecc.) usati per l’emergenza; e di « definire con proprio decreto i criteri ambientali minimi, ai sensi dell’articolo 34 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, relativi alle mascherine filtranti e, ove possibile, ai dispositivi di protezione individuale e ai dispositivi medici, allo scopo di promuovere, conformemente ai parametri di sicurezza dei lavoratori e di tutela della salute definiti dalle disposizioni normative vigenti, una filiera di prodotti riutilizzabili più volte e confezionati, per quanto possibile, con materiali idonei al riciclo o biodegradabili ».
1 Per approfondimenti e richiami si rinvia ad Amendola, COVID-19 e gestione dei rifiuti. Cosa cambia. Emergenza permanente? , in www.questione giustizia.it, 13 maggio 2020 e in www.lexambiente.it, 22 maggio 2020.
2 Critiche evidentemente apprezzate anche dallo stesso Ministro dell’ambiente il quale, il 15 luglio 2020, in sede di presentazione della relazione, dichiarava: « Ritengo davvero utile il lavoro presentato oggi della Commissione perché aiuta Governo e Parlamento a definire strumenti normativi adeguati alla fase post emergenziale ».
Pubblicato su osservatorioagromafie.it si ringraziano Autore ed Editore