Cass. Sez. III n. 44279 del 28 novembre 2007 (Cc 7 nov. 2007)
Pres. Postiglione Est. Lombardi Ric. PM in proc. Mazzotta
Rifiuti. Discarica abusiva e confisca (applicabilità articolo 324, comma 7 c.p.p.)


Il divieto di restituzione previsto dall'art. 324, comma settimo, c.p.p, si riferisce testualmente alle cose soggette a confisca obbligatoria, ai sensi dell'art. 240, comma secondo, c.p. L'art. 256, terzo comma, del D. L.vo n. 152/06, invece, stabilisce l'obbligo di confisca dell'area adibita a discarica abusiva esclusivamente quale conseguenza di una sentenza di condanna o di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p . Orbene, l'estensione della disposizione di cui all'art. 324, comma settimo, c.p.p, a tutti i casi di confisca obbligatoria, diversi da quelli ricadenti nella previsione dell'art. 240, comma secondo, c.p., costituisce un'applicazione analogica della norma; estensione analogica che non si palesa corretta sul piano ermeneutico, pur trattandosi di disposizione processuale, dovendo essere considerata la particolare funzione che il divieto di restituzione assolve con riferimento alle cose indicate dalla disposizione espressamente richiamata dalla norma che regola il procedimento di riesame

In fatto e in diritto

Con la impugnata ordinanza il Tribunale di Lecce, quale giudice del riesame, ha annullato il decreto di convalida del sequestro probatorio di un’area di circa 100 mq. adibita a deposito di copertoni usati, emesso dal P.M. nei confronti di Mazzotta Ornella, indagata del reato di cui all’art. 256, comma primo, del D.L.vo n. 152/2006.

Il tribunale del riesame ha osservato che nel provvedimento di convalida del sequestro non erano state indicate le specifiche esigenze probatorie, in funzione delle quali era stata adottata la misura reale, essendosi affermato solo che l’area in questione costituisce elemento probatorio pertinente al reato, sicché ne doveva essere mantenuto il sequestro al fine di consentire l’acquisizione della prova del reato nella fase dibattimentale; che la citata motivazione del decreto si palesa del tutto generica ed apparente, in quanto non risulta soddisfatte l’esigenza, imposta dalla legge, che la pubblica accusa espliciti la concreta finalità probatoria perseguita, che giustifica l’apposizione del vincolo di indisponibilità sulla cosa.

Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica, che la denuncia per violazione di legge.

Con un unico motivo di gravame la pubblica accusa ricorrente osserva, in sintesi, che l’area della quale era stato disposto il sequestro aveva natura di discarica abusiva, sicché la stessa, unitamente ai rifiuti ivi esistenti, costituisce corpo del reato di cui deve essere disposta obbligatoriamente la confisca ai sensi del D.L.vo n. 152/06, confisca peraltro già prevista dal D.L.vo n. 22/97; che, pertanto, ai sensi dell’art. 324, comma settimo, c.p.p., non poteva essere disposta la restituzione delle cose sequestrate alla indagata.

Il ricorso non è fondato.

Nella specie, dall’ordinanza impugnata risulta che le indagini avevano ad oggetto il reato di cui all’art. 256, comma primo, del D.L.vo 3 aprile 2006 n. 152 (gestione abusiva di rifiuti), e non l’ipotesi di cui al terzo comma del medesimo articolo (gestione di una discarica).

Né la pubblica accusa ricorrente può dolersi per la mancata configurazione da parte dei giudici del riesame del reato di cui al terzo comma di detto articolo, in assenza di indicazioni in ordine a detta fattispecie nel decreto di convalida del sequestro.

In detto provvedimento, infatti, è stata genericamente configurata la violazione del disposto di cui all’art. 256 del D.L.vo n. 152/06 in relazione alla attività di deposito non controllato di rifiuti speciali non pericolosi, violazione ricondotta dal comma 2 del predetto articolo all’ipotesi di cui al comma primo.

In ogni caso è, altresì, opportuno precisare in punto di diritto che il divieto di restituzione previsto dall’art. 324, comma settimo, c.p.p. si riferisce testualmente alle cose soggette a confisca obbligatoria, ai sensi dell’art. 240, comma secondo, c.p., e, cioè, alle cose: 1) che costituiscono il prezzo del reato; 2) (alle cose) la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna.

L’art. 256, terzo comma, del D.L.vo n. 152/06, invece, stabilisce l’obbligo di confisca dell’area adibita a discarica abusiva esclusivamente quale conseguenza di una sentenza di condanna o di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p.. (cfr. per la non confiscabilità nell’ipotesi di sentenza di proscioglimento con riferimento ad un’analoga previsione della confisca obbligatoria nel caso di sentenza condanna: sez. un. 199300005, Carnea ed altri, 1W 193119).

Orbene, l’estensione della disposizione di cui all’art. 324, comma settimo, c.p.p. a tutti i casi di confisca obbligatoria, diversi da quelli ricadenti nella previsione dell’art. 240, comma secondo, c.p., costituisce un’applicazione analogica della norma; estensione analogica che non si palesa corretta sul piano ermeneutico, pur trattandosi di disposizione processuale, dovendo essere considerata la particolare funzione che il divieto di restituzione assolve con riferimento alle cose indicate dalla disposizione espressamente richiamata dalla norma che regola il procedimento di riesame (cfr. per una decisione conforme con riferimento alla previsione della confisca obbligatoria relativa a fattispecie analoga sez. III, 200502949, Gazziero, RV 230868).

La confisca obbligatoria richiamata dall’art. 324, comma 7, c.p.p., infatti, si riferisce, salva la particolare ipotesi di cui al numero i del secondo comma, dell’art. 240 c.p., certamente non riferibile al caso di cui ci si occupa, a cose intrinsecamente pericolose o illecite, la cui mera detenzione o uso assume carattere criminoso, sicché la restituzione delle stesse determinerebbe la prosecuzione ovvero la ripresa dell’attività illecita, che, pertanto, il divieto di restituzione mira ad impedire.

Diversamente accade nelle ipotesi di confisca prevista dalla legge quale conseguenza della sentenza di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p., poiché in dette ipotesi la confisca consegue solo all’accertamento che l’uso di determinate cose sia avvenuto illecitamente, mentre la detenzione ovvero la disponibilità delle stesse, se debitamente autorizzate, non costituisce reato, sicché la confisca assolve ad una funzione repressiva dell’uso illecito delle medesime cose nei confronti dell’autore della violazione (l’art. 256, comma terzo, del D.L.vo n. 152/06, infatti, esclude dalla confisca obbligatoria la cosa che non sia di proprietà dell’autore o del compartecipe del reato).

Orbene, nella fattispecie di cui si tratta la gestione dì una discarica, se debitamente autorizzata, non costituisce reato e, peraltro, la restituzione dell’area su cui la discarica è stata realizzata alla persona indagata non determina di per sé la prosecuzione dell’attività criminosa., configurandosi quest’ultima solo quale conseguenza della ripresa dell’attività illecita di smaltimento dei rifiuti nella medesima area, pericolo la cui prevenzione deve essere realizzata mediante la diversa misura del sequestro preventivo.

Sicché, in ogni caso, il divieto di restituzione di cui all’art. 324, comma 7, c.p.p. non poteva essere esteso alla ipotesi di confisca obbligatoria citata dal P.M. con riferimento alla gestione di una discarica abusiva, né tanto meno ai rifiuti speciali, soggetti solo a confisca facoltativa ex art. 240, comma primo, c.p..

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.