Una norma di troppo

di Mauro SANNA

I rifiuti contenenti amianto sono rifiuti pericolosi assoluti e non necessitano di ulteriori caratterizzazioni per essere classificati.

Premessa

A seguito degli eccezionali eventi sismici di agosto 2016 furono emanati specifici atti normativi per assicurare l’allontanamento delle macerie, garantendo:

    la rimozione delle situazioni di rischio;
    la messa in sicurezza delle aree interessate dagli eventi calamitosi;
    la eliminazione delle situazioni di pericolo.

In tale contesto, particolare rilevanza è stata data alla gestione del materiale contenente amianto riscontrato nelle macerie, rappresentato principalmente, se non quasi esclusivamente, da eternit. In particolare l’articolo 28 comma 11 del decreto-legge 17 ottobre 2016. n. 189, nella sua versione originaria, stabiliva che ai materiali derivanti dal crollo o dalla demolizione disposta dai soggetti competenti, nei quali fosse rinvenuto, anche a seguito di ispezione visiva, la presenza di amianto era attribuito il codice CER 17.06.05*.

Nel caso che l’amianto fosse rilevato in fase di raccolta, il rifiuto residuato dalla sua separazione ottenuta mediante eventuale cernita e separazione, poteva mantenere la classificazione di rifiuto urbano non pericoloso con CER 20.03.99 che come tale, poteva essere gestito per l’avvio alle successive operazioni di recupero o smaltimento. Comunque i siti di deposito temporaneo potevano essere adibiti, in aree separate ed appositamente allestite, anche a deposito di rifiuti di amianto.

Condizione essenziale quindi per individuare e isolare i materiali contenenti amianto era la ispezione visiva delle macerie raccolte.

Successivamente il comma 11 dell’articolo 28 del decreto-legge 17 ottobre 2016. n. 189, convertito dalla legge 15 dicembre 2016, n. 229, è stato modificato dall’art. 24 della legge n.55/19, pubblicata il 17.6.2019, prevedendo che:

    “a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, i materiali nei quali si rinvenga, anche a seguito di ispezione visiva, la presenza di amianto (oltre i limiti contenuti al punto 3.4 dell’allegato D alla parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,) non rientrano nei rifiuti di cui al comma 4 ( cioè i rifiuti solidi urbani con CER 20.03.99). Ad essi è attribuito il codice CER 17.06.05* e sono gestiti secondo le indicazioni di cui al presente comma”.

E’ opportuno ricordare che l’eternit è un materiale di fibrocemento, realizzato appunto a base di amianto ed è un marchio registrato dalla società belga Etex produttrice a partire dai primi anni del 1900 in cui il contenuto di amianto varia dal 10 al 15% ed è in generale costituito da crisotilo.

L’eternit fu impiegato per molti anni nella costruzione di lastre e tegole per i tetti delle abitazioni private e dei capannoni industriali, ma venne utilizzato anche per la produzione di tubi per gli acquedotti e per la produzione di manufatti. Nell’amianto, quando è allo stato compatto come nel caso di materiali in cemento amianto, quale l’eternit originario, le fibre sono legate in una matrice solida da cui si liberano con difficoltà, infatti anche il D.M. 6/9/94 Min. Sanità al punto 7 riporta:

    “Le lastre piane o ondulate di cemento-amianto, impiegate per coperture in edilizia, sono costituite da materiale non friabile che, quando è nuovo o in buono stato di conservazione, non tende a liberare fibre spontaneamente.”

Diversamente, se l’amianto è allo stato friabile, le fibre di amianto sono libere o debolmente legate, ed esse sono talmente sottili da poter rimanere in sospensione nell’aria anche a lungo e risultare facilmente inalabili.

D’altra parte il materiale che contiene amianto può essere facilmente sbriciolato o ridotto in polvere con la semplice pressione manuale perciò anche i materiali contenenti amianto compatto possono diventare un rischio se abrasi o danneggiati.

Pertanto il distinguo fondamentale che si deve fare quando si parla di eternit e quindi di amianto riguarda il suo stato: se esso é presente in forma compatta o friabile.

Nel caso della gestione delle macerie del sisma 2016, è evidente che per le manipolazioni successive subite dalle macerie, gli eventuali materiali contenenti amianto, quale eternit, sono costituiti di fatto da materiale friabile, frammentato, eroso o abraso.

Poiché, come detto, l’eternit è generalmente costituito da una percentuale di amianto variabile dal 10 al 15%, la concentrazione di fibre in esso contenute sarà nettamente superiore allo 0,1%, cioè superiore ai limiti contenuti al punto 3.4 dell’allegato D alla parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 [1] per definire le sostanze cancerogene.

Infatti nel caso di materiali contenenti amianto il codice assoluto previsto dal Catalogo Europeo dei Rifiuti è esclusivamente quello dei rifiuti pericolosi CER 17.06.05* materiali da costruzione contenenti amianto, cioè un codice assoluto pericoloso.

Pertanto la integrazione apportata dall’art. 24 della legge n. 55/19, all’articolo 28, comma 11 del decreto-legge 17 ottobre 2016 n. 189, per il materiale contenente amianto rinvenuto nelle macerie, costituito da eternit, è del tutto ininfluente per due validi motivi:

    si tratta di un codice pericoloso assoluto, non è prevista né necessaria la sua caratterizzazione per verificare se vi è presenza di amianto oltre i limiti contenuti al punto 3.4 dell’allegato D alla parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152
    l’eternit, allo stato friabile, come appunto è quello contenuto nelle macerie, in quanto tale, contiene concentrazioni di amianto superiori allo 0,1%.

Pertanto l’ispezione visiva che accerti la presenza di parti di eternit sarà sufficiente ed adeguata ad individuare la presenza di materiale contenente amianto, nel quale, per origine, esso è presente oltre i limiti previsti dal punto 3.4 dell’allegato D alla parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

Diversa sarebbe la situazione nel caso che il rifiuto non fosse da amianto, in questo caso infatti, per verificare che la concentrazione della eventuale sostanza pericolosa sia oltre i limiti contenuti al punto 3.4 dell’allegato D alla parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, cioè superiori allo 0,1%, prima di classificare il rifiuto come pericoloso, si dovrà procedere alla sua caratterizzazione.

Riferimenti normativi

Fatta salva la normativa relativa alla dismissione dei beni contenenti amianto prevista dalla L. 257/1992, anche i rifiuti contenenti amianto sono stati assoggettati nel tempo a varie norme specifiche.

La prima norma che li ha presi in considerazione è quella relativa alla loro classificazione contenuta nel Catalogo Europeo dei rifiuti:

    Decisione 2000/532/CE modificata ed integrata dalla Decisione della Commissione Ue2014/955/Ue

Sezione 17
17 RIFIUTI DELLE OPERAZIONI DI COSTRUZIONE E DEMOLIZIONE (COMPRESO IL TERRENO PROVENIENTE DA SITI CONTAMINATI)
17 06 materiali isolanti e materiali da costruzione contenenti amianto
17 06 01* materiali isolanti contenenti amianto
17 06 03* altri materiali isolanti contenenti o costituiti da sostanze pericolose
17 06 04 materiali isolanti diversi da quelli di cui alle voci 17 06 01 e 17 06 03
17 06 05* materiali da costruzione contenenti amianto

Successivamente, i materiali da demolizione, sono stati poi presi in considerazione dalla normativa in deroga relativa al recupero dei rifiuti, contenente l’individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero, tra quelli derivanti da costruzione e demolizione costituiti da laterizi, intonaci e conglomerati di cemento armato e non:

    D. M. 5.2.98 All. 1 Suball. 1

7. Rifiuti ceramici e inerti
7.1. Tipologia: rifiuti costituiti da laterizi, intonaci e conglomerati di cemento armato e non, comprese le traverse e traversoni ferroviari e i pali in calcestruzzo armato provenienti da linee ferroviarie, telematiche ed elettriche e frammenti di rivestimenti stradali, purché privi di amianto [101303] [170101] [170102] [170103] [170104] [170701] [200301].
7.1.1. Provenienza: attività di demolizione, frantumazione e costruzione; selezione da RSU e/o RAU; manutenzione reti; attività di produzione di lastre e manufatti in fibrocemento.
7.1.2. Caratteristiche del rifiuto: materiale inerte, laterizio e ceramica cotta anche con presenza di frazioni metalliche, legno, plastica, carta e isolanti escluso amianto.
7.1.3. Attività dì recupero:
a) messa in riserva di rifiuti inerti [R13] per la produzione di materie prime secondarie per l’edilizia, mediante fasi meccaniche e tecnologicamente interconnesse di macinazione, vagliatura, selezione granulometrica e separazione della frazione metallica e delle frazioni indesiderate per l’ottenimento di frazioni inerti di natura lapidea a granulometria idonea e selezionata, con eluato del test di cessione conforme a quanto previsto in allegato 3 al presente decreto [R5];
b)utilizzo per recuperi ambientali previo trattamento di cui ai punto a) (il recupero è subordinato all’esecuzione del test di cessione sul rifiuto tal quale secondo ii metodo in allegato 3 ai presente decreto [R10];
c) utilizzo per la realizzazione di rilevati e sottofondi stradali e ferroviari e aeroportuali, piazzali industriali previo trattamento di cui ai punto a) (il recupero è subordinato all’esecuzione del test di cessione sui rifiuto tal quale secondo il metodo in allegato 3 ai presente decreto [R5].
7.1.4 Caratteristiche delle materie prime e/o dei prodotti ottenuti: materie prime secondarie per l’edilizia con caratteristiche conformi all’allegato C della Circolare del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio 15 luglio 2005, n. UL/2005/5205.

Sulla base di tale norma, gli aggregati riciclati prodotti in seguito alle operazioni di recupero dei rifiuti non pericolosi non contenenti amianto devono far riferimento, per quanto concerne le caratteristiche chimico-fisiche, oltre che alle norme tecniche di settore (es. UNI 11531, UNI EN 13242, ecc.) anche al Regolamento UE 305/2011, nonché a quanto specificato nell’Allegato C della Circolare n. 5205 del 15/07/2005 del Ministero dell’Ambiente.

La compatibilità ambientale del prodotto “aggregato riciclato”, deve essere valutata inoltre ai sensi del Test di cessione di cui dell’Allegato 3 al DM 05.02.1998, destinato a simulare il contatto dell’aggregato riciclato con l’acqua piovana che permette di valutare il grado di rilascio nel tempo di alcuni inquinanti verso l’ambiente, in particolare la concentrazione limite stabilita per l’amianto è pari a 30 mg/l.

Il rispetto di queste prescrizioni oltre ad essere condizione indispensabile per accedere alla procedura di recupero è anche condizione necessaria per definire la cessazione dello stato di rifiuto (End of Waste) per il prodotto “aggregato riciclato” una volta che sia terminato il processo di recupero.

Per la gestione dei rifiuti contenenti amianto, un altro valore limite previsto è quello relativo alla Concentrazione Soglia di Contaminazione stabilita per definire lo stato di contaminazione del suolo/sottosuolo dalla normativa relativa alla bonifica dei suoli:

    Allegato 5, Tabella 1, Allegato 5,Titolo V Parte Quarta D.Lgs. 152/2006:

La Concentrazione Soglia di Contaminazione CSC prevista per l’amianto è pari a 1000 mg/kg sia per i suoli destinati ad uso verde pubblico/privato e residenziale (colonna A), che per quelli destinati ad uso industriale (colonna B).

Sono poi da ricordare i regolamenti che scaturiscono dalla L. 257/1992 già citata:

    D.M. 12 febbraio 1997 Requisiti da rispettare per il materiale ottenuto dal trattamento di sostanze contenenti amianto
    D.M. 29/07/2004, n. 248 Regolamento relativo alla determinazione e disciplina delle attività di recupero dei prodotti e beni di amianto e contenenti amianto (emanato in base all’art. 5, c. 1° lett. c) e art. 6, c. 4° del L. 257/1992).

Non risulta invece applicabile ai materiali di demolizione il DPR n. 120 del 13 giugno 2017 recante la disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo, ai sensi dell’articolo 8 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, che esclude dal suo campo di applicazione i rifiuti provenienti direttamente dall’esecuzione di interventi di demolizione di edifici o di altri manufatti preesistenti, la cui gestione è disciplinata ai sensi della Parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

Infine, come già evidenziato, con l’art. 24 della legge n.55/19, pubblicata il 17.6.2019 è stata emanata la integrazione dell’articolo 28 comma 11 del decreto-legge 17 ottobre 2016. n. 189 che ha previsto che: “a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, i materiali nei quali si rinvenga, anche a seguito di ispezione visiva, la presenza di amianto (oltre i limiti contenuti al punto 3.4 dell’allegato D alla parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,) non rientrano nei rifiuti di cui al comma 4. Ad essi è attribuito il codice CER 17.06.05* e sono gestiti secondo le indicazioni di cui al presente comma”.

Di fatto quindi con tale modifica il testo iniziale che prevedeva la individuazione dei materiali contenenti amianto mediante ispezione visiva, è stato integrato prescrivendo che, perché l’amianto sia considerato presente, esso deve anche risultare oltre i limiti contenuti al punto 3.4 dell’allegato D alla parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.[1]

Considerazioni

Ai fini della classificazione dei rifiuti, è opportuno ricordare che i rifiuti elencati nel Catalogo Europeo dei Rifiuti sono distinti in rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi.

I rifiuti contrassegnati dal codice seguito da asterisco (*) sono i rifiuti classificati come pericolosi, quelli senza asterisco indicano invece i rifiuti non pericolosi.
Da alcune attività produttive deriva una solo categoria di rifiuto, pericoloso o non pericoloso e quindi conseguentemente per quella determinata attività il rifiuto che si origina, solo sulla base della sua origine, acquisisce il codice CER che gli compete e quindi, di fatto, viene ad essere automaticamente classificato in rifiuto pericoloso o non pericoloso.

I codici di questi rifiuti saranno perciò:

    codici assoluti relativi a rifiuti pericolosi
    codici assoluti relativi a rifiuti non pericolosi Vi sono poi rifiuti classificati con i cosiddetti codici speculari per i quali il catalogo prevede che da una determinata attività possano scaturire due categorie di rifiuti, uno pericoloso ed uno non pericoloso.[2]

Sulla base della modifica apportata all’articolo 28 comma 11 del decreto-legge 17 ottobre 2016 n. 189, dall’art. 24 della legge n.55/19, la presenza di amianto deve risultare oltre i limiti contenuti al punto 3.4 dell’allegato D alla parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

Di fatto quindi con tale modifica il testo iniziale che prevedeva la individuazione dei materiali contenenti amianto mediante ispezione visiva, è stato integrato prescrivendo anche che perché l’amianto sia considerato presente esso deve anche risultare oltre i limiti contenuti al punto 3.4 dell’allegato D alla parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

In considerazione però del fatto che il punto 3.4 dell’allegato D alla parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, stabilisce quali siano le caratteristiche che devono essere possedute dai rifiuti per essere classificati come pericolosi,[1] sulla base della modifica apportata, il rifiuto contenente amianto dovrebbe qualificarsi come tale solo quando in esso le sostanze pericolose risultassero in concentrazioni superiori a quelle fissate dal punto 3.4 dell’allegato D, dovrebbero cioè risultare presenti in esso delle fibre di amianto in concentrazioni uguali o superiori allo 0,1% (1 per 1000), solo in tal caso il rifiuto potrebbe qualificarsi come contenente amianto e classificarsi come rifiuto pericoloso con il codice CER: 17.06.05* materiali da costruzione contenenti amianto. Solo in tal caso questi rifiuti non potrebbero rientrare tra quelli di cui al comma 4 dell’articolo 28 del decreto-legge 17 ottobre 2016. n. 189 come macerie “generiche” ed essere classificati come rifiuti urbani non pericolosi con codice CER 20.03.99, ma dovrebbero essere gestiti come rifiuti pericolosi secondo le indicazioni di cui al comma 11. [3]

A questo punto si deve però evidenziare che i codici CER che interessano i rifiuti contenenti amianto sono quelli previsti dalla sezione 17 del Catalogo Europeo dei Rifiuti

17 RIFIUTI DELLE OPERAZIONI DI COSTRUZIONE E DEMOLIZIONE (COMPRESO IL TERRENO PROVENIENTE DA SITI CONTAMINATI)
17 06 materiali isolanti e materiali da costruzione contenenti amianto
17 06 01* materiali isolanti contenenti amianto
17 06 03* altri materiali isolanti contenenti o costituiti da sostanze pericolose
17 06 04 materiali isolanti diversi da quelli di cui alle voci 17 06 01 e 17 06 03
17 06 05* materiali da costruzione contenenti amianto

Da tale elenco, come risulta evidente, il codice che compete ai materiali da costruzione contenenti amianto è un codice assoluto il 17 06 05* e quindi per la sua classificazione non vi è necessità di verificare la concentrazione delle fibre di amianto presenti e quindi non si dovrà procedere ad alcuna caratterizzazione del rifiuto da classificare.

Cioè nel caso in esame non ricorrono le condizioni per la verifica dei limiti contenuti al punto 3.4 dell’allegato D alla parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come invece previsto dalla modifica apportata dall’art. 24 della legge n.55/19, pubblicata il 17.6.2019, all’articolo 28 comma 11 del decreto-legge 17 ottobre 2016. n. 189.

Una caratterizzazione del materiale contenente amianto può perciò essere considerata solo aggiuntiva dell’accertamento visivo e non sostitutiva di questo. Infatti nei rifiuti separati dalle macerie destinati al recupero, in ossequio a quanto previsto dall’art. 28 comma 11 del D.L. 17/10/2016 n. 189, anche a vista, non possono essere comunque presenti frammenti di eternit, qualificati in quanto tali come rifiuti pericolosi codice CER 17.06.05*.

Né d’altra parte è possibile alcuna connessione tra la nuova previsione di verificare la concentrazione di fibre presenti nel materiale rinvenuto al fine di poterlo qualificare come amianto e quanto già previsto dal D M 5.2.98 che vincola la possibilità di recuperare il materiale contenente amianto al fatto che la concentrazione di fibre nell’eluato determinato mediante il Test di Cessione, prescritto al punto 7.1.3 del’ all.1 suball.1, risulti inferiore a 30 mg/l. Infatti, mentre la nuova prescrizione introdotta dall’art. 24 della legge n.55/19, riguarda i rifiuti pericolosi ed è contenuta nella normativa ordinaria, il limite 30 mg/l previsto dal punto 7.1.3 ( all.1 suball. 1) del DM 05.02.1998 per l’aggregato riciclato, a differenza di quanto previsto dal decreto-legge 17 ottobre 2016. n. 189. è contenuto in una normativa di deroga e riguarda i rifiuti non pericolosi.

Pertanto, la previsione che dal trattamento dei rifiuti provenienti dalle attività dì costruzione e demolizione si ottengano aggregati riciclati che, in base alla destinazione di utilizzo devono essere sottoposti a:

    verifica dei requisiti tecnico-merceologici;
    verifica dei requisiti ambientali;
    marcatura CE prima di essere immessi nel mercato ai sensi dei Reg. UE n, 305/2011,

non ha nulla a che fare con la procedura prevista per classificare come pericoloso un rifiuto come l’amianto qualificato dal catalogo europeo come pericoloso in assoluto.

E’ pertanto fuorviante individuare una relazione tra quanto stabilito per la classificazione dell’amianto e quanto prescritto per qualificare i materiali recuperati che possono essere contaminati dallo stesso.

La classificazione di un rifiuto deve basarsi sulla sua origine e, se necessaria, sulla sua caratterizzazione, questa è relativa al rifiuto tal quale ed è quella prevista dal punto 3.4 dell’allegato D alla parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e non può quindi basarsi sulle caratteristiche dell’eluato del test di cessione di cui all’Allegato 3 del DM 05.02.1998 previsto per il recupero dei rifiuti non pericolosi.

Né tanto meno è possibile trovare alcuna connessione o riferimento con il valore limite di 1000 mg/kg fissato dal DPR 120/2017 contenente la normativa per la caratterizzazione/gestione delle terre e rocce da scavo.

Infatti un materiale contenente amianto, in quanto rifiuto pericoloso non può essere sottoposto a recupero e tanto meno può quindi costituire un materiale recuperato da utilizzare in sostituzione di materie prime.

Conclusione

Poiché da una parte i rifiuti di amianto sono classificati dal Catalogo Europeo dei Rifiuti esclusivamente con un codice assoluto CER 17.06.05* materiali da costruzione contenenti amianto, essi non necessitano comunque di alcuna caratterizzazione che verifichi il rispetto dei limiti contenuti al punto 3.4 dell’allegato D alla parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, dall’altra, l’eternit, costituente, se non l’unico, il principale rifiuto di amianto presente nelle macerie del sisma, essendo costituito per sua natura da una percentuale di amianto variabile dal 10 al 15%, ha di per sé una concentrazione di fibre nettamente superiore allo 0,1%.

Pertanto la integrazione introdotta il 17.6.2019 al comma 11 dell’articolo 28 del decreto-legge 17 ottobre 2016. n. 189, dall’art. 24 della legge n.55/19 con riferimento all’amianto presente nelle macerie del sisma del 26 e 30 ottobre 2016 è del tutto superflua.

Né la verifica della concentrazione di fibre contenute nell’amianto tal quale può essere giustificata dal fatto che per qualificare l’idoneità di un rifiuto speciale destinato al recupero è necessario verificare la concentrazione delle fibre nell’eluato.

Infatti non è possibile sia per i rifiuti di amianto sia per altri rifiuti pericolosi la commistione della normativa ordinaria prevista per la classificazione giuridica dei rifiuti pericolosi (D. Lgs. 152/06), con quella semplificata di deroga (DM 05.02.1998), destinata alla qualificazione dei rifiuti speciali destinati al recupero, perché la classificazione giuridica di un rifiuto, in generale, deve riferirsi solo alla concentrazione delle sostanze pericolose contenute nel rifiuto tal quale e non a quella riscontrata nell’eluato del Test di Cessione di cui all’Allegato 3 del DM 05.02.1998 previsto per il recupero dei rifiuti speciali, test che perciò non può essere sostitutivo né dell’analisi visiva né della caratterizzazione del rifiuto tal quale.

Né quindi si deve ritenere che vi sia alcuna incongruenza tra la necessità di procedere all’analisi del prodotto finale recuperato verificando il rispetto del limite di 30 mg/l di fibre di Amianto stabilito per l’eluato ed il fatto che il rifiuto in ingresso al medesimo impianto di trattamento, deve esserne privo.

Errore fondamentale alla base di un tale approccio è infatti quello di applicare per la classificazione di un rifiuto pericoloso, non la normativa ordinaria specifica, ribadita anche dalla legge n. 55/19, ma la normativa di deroga destinata esclusivamente per individuare i rifiuti speciali ammessi al recupero in procedura semplificata (DM 05.02.1998) comportamento del tutto ingiustificato. Un tale approccio potrebbe prevedere in un altro contesto che un rifiuto pericoloso assoluto non possa essere classificato come tale, perché le concentrazioni di sostanze pericolose rilevate nel suo eluato sono tali da renderlo ammissibile ad una discarica di rifiuti non pericolosi.

Pertanto, nella gestione delle macerie del sisma la presenza del frammento di materiale contenente amianto, rilevata dall’ispezione visiva nel materiale “tal quale” non può essere sostituita e tanto meno vanificata dalla concentrazione delle fibre di Amianto determinate sul rifiuto tal quale né da quella rilevata con il Test di cessione di cui all’Allegato 3 del DM 05.02.1998.



Riferimenti

[1] Punto 3.4 dell’allegato D alla parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 3.4. I rifiuti contrassegnati nell’elenco con un asterisco “*” sono rifiuti pericolosi ai sensi della direttiva 2008/98/CE e ad essi si applicano le disposizioni della medesima direttiva, a condizione che non trovi applicazione l’articolo 20. Si ritiene che tali rifiuti presentino una o più caratteristiche indicate nell’Allegato III della direttiva 2008/98/CE e, in riferimento ai codici da H3 a H8, H10 e H11 del medesimo allegato, una o più delle seguenti caratteristiche:

    punto di infiammabilità < o = 55 °C,
    una o più sostanze classificate come molto tossiche in concentrazione totale > o = 0,1%,
    una o più sostanze classificate come tossiche in concentrazione totale > o = 3%,
    una o più sostanze classificate come nocive in concentrazione totale > o = 25%,
    una o più sostanze corrosive classificate come R35 in concentrazione totale > o = 1%,
    una o più sostanze corrosive classificate come R34 in concentrazione totale > o = 5%,
    una o più sostanze irritanti classificate come R41 in concentrazione totale > o = 10%,
    una o più sostanze irritanti classificate come R36, R37 e R38 in concentrazione totale > o = 20%,
    una sostanza riconosciuta come cancerogena (categorie 1 o 2) in concentrazione > o = 0,1%,
    una sostanza riconosciuta come cancerogena (categoria 3) in concentrazione > o = 1%,
    una sostanza riconosciuta come tossica per il ciclo riproduttivo (categorie 1 o 2) classificata come R60 o R61 in concentrazione > o = 0,5%,
    una sostanza riconosciuta come tossica per il ciclo riproduttivo (categoria 3) classificata come R62 o R63 in concentrazione > o = 5%,
    una sostanza mutagena della categoria 1 o 2 classificata come R46 in concentrazione > o = 0,1%,
    una sostanza mutagena della categoria 3 classificata come R40 in concentrazione > o = 1%;

Ai fini del presente Allegato per “sostanza pericolosa” si intende qualsiasi sostanza che è o sarà classificata come pericolosa ai sensi della direttiva 67/548/CEE e successive modifiche; per “metallo pesante” si intende qualunque composto di antimonio, arsenico, cadmio, cromo (VI), rame, piombo, mercurio, nichel, selenio, tellurio, tallio e stagno, anche quando tali metalli appaiono in forme metalliche classificate come pericolose.

[2] Per questa attività, il codice CER che compete al rifiuto non potrà essere determinato solo sulla base della sua origine essendo la medesima comune sia al codice relativo al rifiuti pericoloso che al codice relativo al rifiuto non pericoloso. Queste due categorie di rifiuti, aventi come origine la medesimi attività produttiva, sono definiti nel catalogo mediante due metodologie differenti. Infatti per classificare un rifiuto identificato con il codice relativo al rifiuto pericoloso, si fa riferimento in modo specifico o generico alle sostanze pericolose in esso contenute. Per classificare un rifiuto identificato con il codice relativo al rifiuto non pericoloso, la sua definizione è rovesciata in una negazione e quindi il rifiuto speciale è definito come diverso dal corrispondente rifiuto pericoloso avente origine dalla medesima attività, cioè il rifiuto speciale, diversamente dal rifiuto pericoloso corrispondente, non contiene in modo specifico o generico le sostanze pericolose contenute in questo. Pertanto la condizione che distingue i due rifiuti con codice speculare aventi origine da una medesima attività è la presenza o meno in essi di sostanze pericolose specifiche o generiche che dovranno essere rilevate con la procedura definita dalla Decisione 2000/532/CE e s.m.i. Il punto 6 della Decisione stabilisce:

Se un rifiuto è identificato come pericoloso mediante riferimento specifico o generico a sostanze pericolose, esso è classificato come pericoloso solo se le sostanze raggiungono determinate concentrazioni (ad esempio percentuale rispetto al peso), tali da conferire al rifiuto in questione una o più delle proprietà di cui all’allegato III della direttiva 91/689/CEE del Consiglio. Per le considerazioni sopra svolte, tale procedura è l’unica ed è quella indispensabile per attribuire ad un rifiuto il CER che gli compete, adottando il CER di un rifiuto pericoloso se in esso sono presenti sostanze pericolose specifiche o generiche oppure il CER del rifiuto non pericoloso se in esso non sono presenti tali sostanze. Perciò, solo la conoscenza certa che nel rifiuto siano o no presenti sostanze pericolose specifiche o generiche può garantire la classificazione corretta del rifiuto con il codice che gli compete sia che esso sia quello del rifiuto pericoloso che quello del rifiuto non pericoloso.

In ossequio a quanto previsto dal punto 6 dalla Decisione 2000/532/CE e s.m.i., perciò, quando da una medesima attività derivi un rifiuto a cui possa essere attribuito il CER di un rifiuto pericoloso o il CER del rifiuto non pericoloso a seconda che in esso siano presenti o meno sostanze pericolose specifiche o generiche che conferiscono al rifiuto le caratteristiche di pericolo, esso dovrà essere oggetto delle necessarie indagini per verificare con certezza se esse siano presenti o meno.

 

[3] Tali materiali non possono essere movimentati, ma perimetrati adeguatamente con nastro segnaletico. L’intervento di bonifica e’ effettuato da una ditta specializzata. Qualora il rinvenimento avvenga durante la raccolta, il rifiuto residuato dallo scarto dell’amianto, sottoposto ad eventuale separazione e cernita di tutte le matrici recuperabili, dei rifiuti pericolosi e dei RAEE, mantiene la classificazione di rifiuto urbano non pericoloso con codice CER 20.03.99 e e’ gestito secondo le modalità di cui al presente articolo. Qualora il rinvenimento avvenga successivamente al conferimento presso il sito di deposito temporaneo, il rimanente rifiuto, privato del materiale contenente amianto, e sottoposto ad eventuale separazione e cernita delle matrici recuperabili, dei rifiuti pericolosi e dei RAEE, mantiene la classificazione di rifiuto urbano non pericoloso.