Cass. Sez. III n.23081 del 10 giugno 2008 (Ud. 16 apr.2008)
Pres. Altieri Est. Sensini Ric. Centurione
Rifiuti. Falso per induzione e procedure semplificate

E’ configurabile il reato di cui all’articolo 483 c.p. nel caso in cui il legale rappresentante di una società, al fine di poter usufruire della procedura semplificata per il recupero di rifiuti presenti all\'autorità una comunicazione in cui attesti falsamente di svolgere attività di recupero (messa in riserva) di rifiuti speciali non pericolosi, consistenti in materiali inerti derivanti da demolizioni edili, depositandoli su un\'area di circa 3.000 mq., su basamenti pavimentati e protetti dall\'azione del vento, nell\'area indicata, mentre, in seguito ad un controllo effettuato dalla polizia giudiziaria, si accertava che l\'area adibita alla messa in riserva dei predetti rifiuti misurava solamente 50 mq. circa e che i rifiuti erano depositati in cumuli, su terreno nudo, in assenza di qualsiasi pavimentazione, in assenza di un dispositivo di
raccolta delle acque piovane, a cielo aperto e senza alcuna protezione dall\'azione del vento.
Svolgimento del processo
1 - Centurione Antonio, a seguito di tre decreti di citazione per altrettanti procedimenti penali poi riuniti, veniva tratto a giudizio del Tribunale di Roma per rispondere del reato di violazione di sigilli (art. 349 c.p.), falso per induzione (art. 483 c.p.), reati ambientali (artt. 50 e 51 comma 1 lett. a) D.Lgs. n. 22/1997), reato di cui all’art. 734 c.p.
Al Centurione, nella sua qualità di legale rappresentante della società immobiliare “Altedo s.r.l.” con sede in Roma, venivano addebitati fatti riferibili ad un’attività di trattamento di inerti da lavorazione edilizia (calcinacci), che veniva svolta in maniera complementare alla principale attività di rivendita di materiali per l’edilizia, di cui si occupava la società amministrata dal prevenuto. In particolare, al Centurione era stato contestato il reato di cui all’art. 349 c.p. perché quale custode giudiziario di un’area ubicata in Roma via Tuscia ed accesso da via Flaminia, sottoposta a sequestro con provvedimento del Giudice per le Indagini Preliminari in data 20 ottobre 1998, violava i sigilli apposti all’area stessa, continuando l’attività di raccolta e deposito di calcinacci, mentre l’attività di trattamento avveniva nel sito di via di S. Cornelia - Fatti accertati il 2 aprile 2001 ed il 24 aprile 2002.
Il prevenuto veniva, inoltre, ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 483 c.p. perché, nella sua veste di legale rappresentante della ”Immobiliare Altedo s.r.l.”, al fine di poter usufruire della procedura semplificata prevista dagli artt. 31 e 33 D.Lgs. n. 22/1997 per il recupero dei rifiuti individuati, presentava all’autorità una comunicazione in cui attestava falsamente di svolgere attività di recupero (messa in riserva) di rifiuti speciali non pericolosi, consistenti in materiali inerti derivanti da demolizioni edili, depositandoli su un’area di circa 3.000 mq., su basamenti pavimentati e protetti dall’azione del vento, in un’area ubicata a Roma via S. Cornelia n. 149, mentre, in seguito ad un controllo effettuato dalla polizia giudiziaria, si accertava che l’area adibita alla messa in riserva dei predetti rifiuti misurava solamente 50 mq. circa e che i rifiuti erano depositati in cumuli, su terreno nudo, in assenza di qualsiasi pavimentazione, in assenza di un dispositivo dì raccolta delle acque piovane, a cielo aperto e senza alcuna protezione dall’azione del vento.
Accertato in Roma il 18 maggio 1998 ed il 30 marzo 1999.
Il Centurione veniva anche condannato per il reato di cui all’art. 51 comma I lett. a) D.Lgs. n. 22/1997 perché effettuava con l’autocarro Fiat Iveco tg. Roma 21391V, di proprietà della ditta, attività di trasporto di rifiuti speciali non pericolosi prodotti da terzi, costituiti da inerti derivanti dalla frantumazione dei materiali edili, senza l’apposita iscrizione all’Albo Nazionale delle imprese effettuanti la gestione dei rifiuti medesimi. Accertato in Roma il 24 aprile 2002.
2 - Con sentenza in data 5 marzo 2007 la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale del 28 novembre 2005, confermava la responsabilità del Centurione in ordine al reato di violazione di sigilli; dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione in relazione ai restanti reati e, per l’effetto, rideterminava la pena residua in mesi sei di reclusione ed euro quattrocento di multa. Confermava la dichiarazione di falsità delle comunicazioni della “Immobiliare Altedo s.r.l.” in data 18 maggio 1998 e 30 marzo 1999, con riferimento al reato di cui all’art. 483 c.p. Confermava altresì la confisca dell’autocarro in relazione al reato di cui all’art. 51 comma I lett. a) D.Lgs. n. 22/1997, per il quale era stata dichiarata la prescrizione del reato.
3 - Avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma ha proposto ricorso per Cassazione il difensore del prevenuto, deducendo: I) difetto di motivazione in ordine alla affermata responsabilità per il reato di cui all’art. 349 c.p., ritenuta soltanto per la diversa conformazione del cumulo dei rifiuti accertati dai verbalizzanti. Per contro, non era stata effettuata una misurazione scientifica, ma la condanna si era basata sulla valutazione effettuata “ad occhio” da un carabiniere, che aveva notato una differenza tra il cumulo sequestrato nel 1998 e quelli rinvenuti nel corso dei successivi sopralluoghi;
2) insussistenza dei reati dichiarati prescritti e violazione dell’art. 537 c.p.p. in relazione alle dichiarazioni rese dal prevenuto in data 18 maggio 1998 e 30 marzo 1999. La motivazione della sentenza era assolutamente fuorviante, in quanto non era stato contestato al Centurione di aver affermato falsamente di essere in possesso dei requisiti di legge per lo svolgimento dell’attività di trattamento dei rifiuti (dichiarazione mai effettuata), ma di aver dichiarato di svolgere attività di recupero di rifiuti, depositandoli su un’area di circa 3.000 mq., su basamenti pavimentati e protetti dall’azione del vento, laddove si era accertato che l’area adibita alla messa in riserva misurava soltanto 50 mq., che i rifiuti erano posti sul terreno nudo e non protetti dall’azione del vento. In nessuna delle due dichiarazioni il Centurione aveva affermato di essere in possesso dei requisiti richiesti dalla normativa. I Giudici di merito avevano ritenuto la falsità delle dichiarazioni sulla base di una generale inidoneità del sito allo svolgimento dell’attività di trattamento dei rifiuti. Pertanto, si chiedeva l’annullamento della sentenza con riferimento alla declaratoria di falsità delle dichiarazioni rese in data 18 maggio 1998 e 30 marzo 1999;
3) inosservanza ed erronea applicazione della legge laddove la Corte di Appello, nel dichiarare estinto per prescrizione il reato di cui all’art. 51 lett. a) D.Lgs n. 22/1997, aveva confermato la confisca dell’autocarro, del quale, invece, doveva essere disposta la restituzione.
Si chiedeva l’annullamento della sentenza.

Motivi della Decisione
3.1 - Il primo motivo di ricorso, concernente la ritenuta responsabilità del Centurione in relazione al reato di violazione di sigilli, è infondato. Lamenta il ricorrente che la condanna nei suoi confronti poggerebbe su meri indizi ed, in particolare, sulla sola valutazione approssimativa effettuata dai verbalizzanti, che avevano notato, nel corso dell’ultimo sopralluogo, una diversa consistenza e conformità del cumulo dei rifiuti. In realtà, l’assunto difensivo è immediatamente contraddetto dalla semplice lettura delle due sentenze di merito, che indugiano analiticamente nella descrizione di quanto percepito direttamente dagli agenti di p.g. Bizzarri e Vessilli. In particolare, rilevano la sentenza di primo grado (cfr. pag. 7) e quella di appello (cfr. pag. 4) che “l’attività di sequestro delle aree, operata in unione alle diffide ed agli ordini di ripristino, non comportò, tuttavia, la sospensione dell’attività di smaltimento, tanto che in data 24aprile 2002, nel corso di specifica operazione di polizia, svolta contemporaneamente presso i due siti, si constatò direttamente lo scarico in via di Santa Cornelia n. 149 di circa un migliaio di metri cubi di inerti, trasportati da un camion partito da via Flaminia”. Può, pertanto, ritenersi congrua e corretta la motivazione posta dai primi Giudici a fondamento del proprio convincimento di colpevolezza in relazione al reato di cui all’art. 349 c.p., convincimento fondato non già su mere illazioni dei verbalizzanti - come sostenuto dalla difesa - ma sugli esiti di una ben precisa operazione di polizia.
3.2 - Il secondo motivo di gravame è palesemente infondato.
Nel giudizio di legittimità, in presenza di una già dichiarata prescrizione del reato, l’obbligo del Giudice di immediata declaratoria ex art. 129 c.p.p. postula che le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la rilevanza penale di esso e la non commissione del medesimo da parte dell’imputato, emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, con la conseguenza che la valutazione che in proposito deve essere compiuta appartiene più al concetto di “constatazione” che a quello di “apprezzamento” (cfr. Cass. Sez. VI, 9 luglio 1998 n. 12320, P.G. in proc. Maccan ed altro).
Nella specie, le corrette argomentazioni sviluppate dai Giudici di merito con riferimento ai reati di falso ed ai reati di cui al D.Lgs. n. 22/1997, come contestati al ricorrente, implicano, ex se, l’esclusione anche del solo apprezzamento di elementi favorevoli al prevenuto.
Né alcuna rilevanza, ai fini di una ipotetica esclusione del delitto di cui all’ art. 483 c.p., può assumere - come, per contro, sostenuto dal ricorrente - la circostanza che non gli sia stato contestato di aver falsamente affermato di essere in possesso dei requisiti di legge per lo svolgimento dell’attività dei trattamento dei rifiuti, ma, piuttosto, di aver dichiarato (contrariamente al vero) di svolgere attività di recupero di rifiuti, depositandoli su area idonea a riceverli, secondo i requisiti prescritti dalla normativa a riguardo (cfr. produzione documentale della difesa all’udienza 11 novembre 2003, doc. su 3) e 4).
Quanto al reato di falso, la sussistenza della fattispecie è, tra l’altro, comprovata dalla natura pubblica della iscrizione dell’impresa dell’imputato nell’albo speciale. Trattandosi di falso per induzione, è proprio alla predetta iscrizione che deve farsi riferimento per connotare la non veridicità delle comunicazioni fatte in merito dal Centurione. Comunicazioni che egli non era facoltizzato ad effettuare in modo veridico, avendo, al contrario, il ben preciso dovere giuridico di effettuarle in modo fedele e secondo verità, giacché le stesse concernevano il possesso dei requisiti di legge per poter usufruire della procedura semplificata prevista dagli artt. 31 e33 del D.Lgs. n. 22/l997.
Nessuna violazione del disposto di cui all’art. 537 c.p.p. può, pertanto, configurarsi in relazione alle dichiarazioni firmate dal prevenuto in data 18 maggio 1998 e 30 marzo 1999. Invero, secondo il costante orientamento di questa Corte, nel caso di estinzione del reato, la declaratoria di falsità documentale, non potendo meccanicamente conseguire alla declaratoria di estinzione del reato, postula che le risultanze processuali siano tali da consentire di affermare che tale falsità sia stata positivamente accertata, sulla base delle norme che regolano l’acquisizione e la valutazione della prova nel processo penale (cft. Cass. V, 23 ottobre 2007 n. 1060, Maccatrozzo; Sez. 3, 6 novembre 2003 n. 47437, Ratano). Nella specie, con motivazione coerente ed esaustiva, i Giudici del merito hanno esaminato tutti gli elementi decisivi ai fini della integrazione della ipotesi di falso contestata e, pur correttamente dichiarandone l’estinzione per prescrizione, hanno pronunciato la falsità delle comunicazioni, a firma del ricorrente, in data 18 maggio 1998 e 30 marzo 1999.
3.3 - Fondato, è, invece, il terzo motivo di ricorso, relativo alla conferma della confisca dell’autocarro, malgrado la declaratoria di proscioglimento per il relativo reato (art. 51 D.Lgs. n. 22/1997).
Infatti, la confisca prevista dall’art. 53 D.Lgs. citato (ora art. 259 comma 2 [D.Lgs. n. 152/2006) non configura un’ipotesi di confisca obbligatoria, ai sensi dell’art. 240 comma 2 c.p., in quanto la norma prevede espressamente che (solo) “alla sentenza di condanna o a quella emessa ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, per i reati relativi al traffico illecito di cui al comma 1 o al trasporto illecito di cui agli artt. 51 e 52 comma 3, consegue obbligatoriamente la confisca del mezzo di trasporto”. La sentenza di condanna (ovvero la sentenza di “patteggiamento”, ad essa equiparata) costituisce, pertanto, il presupposto per l’applicabilità della misura di sicurezza patrimoniale, con la conseguenza che non è possibile disporre la confisca, ove, come nella specie, sia intervenuta una sentenza di proscioglimento per estinzione del reato (cfr. Cass. Sez. Un. 25 marzo 1992 n. 5, Carlca; Sez. 3, 9 novembre 1999 n. 13984, P.M. in proc. Zaecherini ed altro).
Sul punto, la sentenza va, conseguentemente, annullata senza rinvio.