Cass. Sez. III n. 21774 del 5 giugno 2007 (Ud. 27 mar. 2007)
Pres. Onorato Est. Sarno Ric. Pizzotti ed altro
Rifiuti. Fanghi da attività di autolavaggio

E’da escludere che, per quanto concerne gli autolavaggi, solo le soluzioni acquose possano rientrare nella categoria dei rifiuti. Oltre ad esse vanno certamente ricompresi, infatti, nella categoria dei rifiuti anche i fanghi prodotti.

Svolgimento del processo

Pizzotti Angiolino e Lanni Sonia, imputati dei reati di cui agli artt. A) 110 cp e 51 comma 1 D.L.vo 22/97 per avere, in concorso tra loro, riversato un ingente quantitativo di reflui dalle vasche a tenuta dell’autolavaggio in un terreno nelle vicinanze di proprietà di terzi (accertato in Mercallo il 23 aprile 2003); B) del reato di cui agli articoli 51 comma 1 D.L.vo 22/97 perché svolgevano l’attività di scarico di reflui provenienti dall’attività della ditta Ispra Gomme snc con sede in Mercallo senza avere conseguito l’autorizzazione prevista per l’effettuazione delle operazioni di scarico (accertato il 19 maggio 2003), propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza con la quale il tribunale di Varese li ha condannati alla pena di giustizia per il solo reato di cui al capo A) ritenendo, tuttavia, l’ipotesi del comma 2 dell’art. 51 - e, cioè, abbandono di rifiuti.

I ricorrenti eccepiscono:

1) inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche in relazione all’articolo 51 comma 2 D.L.vo n. 22/97.

Assumono al riguardo l’insussisten.za del reato ravvisato dal tribunale in quanto il materiale prelevato dalla vasca dell’autolavaggio non era qualificabile come rifiuto liquido - trattandosi di ghiaia mista a fanghiglia oramai solidificata - e non era, pertanto, collocabile nell’allegato A dell’art. 6 del D.L.vo 22/97.

2) mancanza e/contraddittorietà della motivazione in quanto le contrastanti dichiarazioni rese dai testi avrebbero reso necessario un accertamento tecnico sulla natura del rifiuto invano sollecitato al tribunale.

 

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

In relazione al primo motivo è anzitutto da escludere che, per quanto concerne gli autolavaggi, solo le soluzioni acquose possano rientrare nella categoria dei rifiuti. Oltre ad esse vanno certamente ricompresi, infatti, nella categoria dei rifiuti anche i fanghi prodotti.

Ed invero i fanghi di spurgo degli autolavaggi sono certamente riconducibili alla categoria dei fanghi da trattamento sul posto degli effluenti - recanti in origine il codice CER 07.06.02 - e, a seguito della Direttiva del Ministero dell’Ambiente 9 aprile 2002, i codici 07.06.11 (fanghi prodotti dal trattamento in loco degli effluenti, contenenti sostanze pericolose) e 07.06.12 (fanghi prodotti dal trattamento in loco degli effluenti, diversi da quelli di cui alla voce 070611).

Ciò posto, osserva il Collegio che correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto qualificabili come rifiuti speciali i fanghi derivanti dall’attività di autolavaggio e, cioè, il materiale che si deposita per decantazione nelle vasche ove confluisce l’acqua utilizzata per il lavaggio.

Si sofferma anche in motivazione il tribunale sulla composizione del materiale rinvenuto precisando che lo stesso odorava di olio e benzina.

Anche la ulteriore obiezione dei ricorrenti secondo cui si trattava, invece, di semplici sassi, non è accoglibile incontrando in questa sede un limite insuperabile nell’impossibilità di richiedere al giudice della legittimità una diversa lettura degli elementi probatori ove adeguatamente supportata sul piano logico e motivazionale.

2) Quanto al secondo motivo di ricorso va anzitutto rilevato che la natura di rifiuto del materiale rinvenuto è dedotta dal giudice di merito, previo riscontro con quanto affermato da altri testimoni, dalle dichiarazioni rese da personale dell’ARPA intervenuto in loco.

In presenza di motivazione congrua, giuridicamente corretta e logica circa il significato concludente degli elementi probatori acquisiti, si deve ritenere correttamente rigettata dal tribunale la richiesta di accertamento tecnico - in quanto ritenuta evidentemente superflua - sulla natura del materiale rinvenuto. Peraltro, come già affermato da questa Corte, l’obbligo del giudice di disporre perizia deve ritenersi sussistere non già tutte le volte che, astrattamente e teoricamente, sia possibile un’indagine di natura tecnica - perché, se così fosse, il giudice sarebbe vincolato ad attività anche dispersive e inutili al fine dell’accertamento della verità, ma soltanto quando vi sia necessità dell’accertamento riguardante particolari cognizioni scientifiche o tecniche. (Sez, 4 n. 6749 del 07 marzo 1983 Rv. 159971).

Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento in solido delle spese processuali e, per ciascuno di essi, inoltre, della somma di euro mille in favore della Cassa delle Ammende.