Cass. Sez. III n. 39781 del 26 settembre 2016 (Ud 13 apr. 2016)
Pres. Ramacci Est. Riccardi Ric. Pajardi
Rifiuti.Discarica abusiva e termine di prescrizione del reato

In tema di discarica, il mancato esercizio dell'attività di controllo e vigilanza della stessa, anche dopo la cessazione dei conferimenti, lungi dal rientrare in un generico obbligo di eliminare le conseguenze del reato già perfezionato ed esaurito o dall'integrare il reato ex art. 257 del D.Lgs. n. 252 del 2006, relativo alla bonifica dei siti inquinati, é parte costitutiva del reato di gestione di discarica ambientale; pertanto, ai fini dell'integrazione del reato di gestione di discarica non autorizzata, rientrano nella nozione di gestione anche la fase post-operativa, successiva alla chiusura, e di ripristino ambientale. La conseguenza, in tema di individuazione del dies a quo del termine di prescrizione, è che la permanenza del reato previsto per la gestione abusiva o irregolare della fase post-operativa di una discarica, cessa o con il venir meno della situazione di antigiuridicità per rilascio dell'autorizzazione amministrativa, la rimozione dei rifiuti o la bonifica dell'area o con il sequestro che sottrae al gestore la disponibilità dell'area, o, infine, con la pronuncia della sentenza di primo grado. RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 8 giugno 2015 la Corte di Appello di Milano confermava la sentenza dì condanna emessa dal Tribunale di Milano nei confronti di Pajardi Marco, per il reato di deposito incontrollato di rifiuti pericolosi e non, per avere,
in qualità di legale rappresentante della Creafin s.p.a., depositato circa 200 tonnellate di macerie derivanti dalla demolizione di una cascina, di cui 80 mc. di eternit, realizzando una discarica abusiva.
2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso P.M., deducendo il vizio di violazione di legge sostanziale, in quanto il reato contestato sarebbe estinto per prescrizione: lamenta che la demolizione della cascina è avvenuta il 6 agosto 2009, e dunque il deposito incontrollato dei rifiuti risale a quella data; avendo il reato natura istantanea, si perfeziona con il sequestro o con l'ultimo atto di conferimento; pertanto, la prescrizione sarebbe decorsa il 6 giugno 2014, prima della sentenza di 1 grado.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. La censura proposta concerne esclusivamente l'intervenuta estinzione per prescrizione del reato.

E' pacifico, essendo ammesso dallo stesso ricorrente, che lo sgombero della cascina e la demolizione siano avvenuti il 6 agosto 2009; dalla sentenza impugnata emerge, altresì, che, dopo la demolizione, il Comune di Pioltello riscontrava la presenza di amianto tra le macerie, e, il 24/08/2009, chiedeva alla Creafin di provvedere alla messa in sicurezza dei luoghi ed alla rimozione dell'amianto; in seguito all'inerzia della società, il 17/03/2010 veniva emesso ordine di provvedere immediatamente alla bonifica; dal successivo sopralluogo del 24/03/2011 si evinceva, inoltre, che la cascina era divenuta un deposito incontrollato di rifiuti speciali pericolosi (amianto) e non pericolosi (macerie da demolizione).

3. Tanto premesso, giova rammentare i principi espressi da questa Corte a proposito della consumazione dei reati, oggetto di contestazione nel presente procedimento, di deposito incontrollato di rifiuti (D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2) e di realizzazione di discarica non autorizzata (art. 256, comma 3 cit.).

Al riguardo, in ordine alla natura giuridica, è stato affermato che i reati di abbandono di rifiuti e di discarica abusiva sono reati commissivi eventualmente permanenti, la cui antigiuridicità cessa con l'ultimo abusivo conferimento di rifiuti o con il vincolo reale del bene ovvero con la sentenza di primo grado, conseguendo da uno di tali momenti la cessazione della decorrenza del termine di prescrizione (Sez. 3, n. 38662 del 20/05/2014, Convertino, Rv. 260380); in particolare, il reato di abbandono incontrollato di rifiuti ha natura istantanea con effetti permanenti, in quanto presuppone una volontà esclusivamente dismissiva dei rifiuti che, per la sua episodicità, esaurisce i propri effetti al momento della derelizione, mentre il reato di deposito incontrollato, integrato dal mancato rispetto delle condizioni dettate per la sua qualificazione come temporaneo, ha natura permanente, perchè la condotta riguarda un'ipotesi di deposito "controllabile" cui segue l'omessa rimozione nei tempi e nei modi previsti dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. bb), la cui antigiuridicità cessa con lo smaltimento, il recupero o l'eventuale sequestro (Sez. 3, n. 7386 del 19/11/2014, dep. 2015, Cusini, Rv. 262410; in tal senso, altresì, Sez. 3, n. 48489 del 13/11/2013, Fumuso, Rv. 258519: "Il reato di deposito incontrollato di rifiuti è reato permanente poichè, integrando la condotta da esso prevista una forma di gestione del rifiuto preventiva rispetto al recupero od allo smaltimento, la sua consumazione perdura sino allo smaltimento o al recupero"; Sez. 3, n. 25216 del 26/05/2011, Caggiano, Rv. 250969).

In tema di gestione dei rifiuti, il reato di deposito incontrollato di rifiuti ha natura "permanente" se l'attività illecita è prodromica al successivo recupero o smaltimento, delle cose abbandonate, e, quindi, la condotta cessa soltanto con il compimento delle fasi ulteriori rispetto a quella del rilascio, o, invece, natura "istantanea con effetti eventualmente permanenti", se l'attività illecita si connota per una volontà esclusivamente dismissiva dei rifiuti, che, per la sua episodicità, esaurisce gli effetti della condotta fin dal momento dell'abbandono e non presuppone una successiva attività gestoria volta al recupero o allo smaltimento. (Sez. 3, n. 30910 del 10/06/2014, Ottonello, Rv. 260011, che, in motivazione, ha precisato che, ai fini dell'accertamento della natura giuridica della condotta e, conseguentemente, del "dies a quo" per il decorso del termine di prescrizione, costituiscono significativi indici rivelatori della permanenza la sistematica pluralità di azioni di identico o analogo contenuto ovvero la pertinenza del rifiuto al circuito produttivo dell'agente).

4. Con riferimento alla individuazione del momento di consumazione del reato, che, nel caso dei reati c.d. di durata, è diverso da quello di perfezionamento, va premesso che l'art. 256, comma 3, cit. sanziona la realizzazione e la gestione di discarica abusiva, al di fuori dei casi sanzionati dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 29-quattuordecies, comma 1; la fattispecie incriminatrice è, dunque, formulata mediante rinvio a due elementi normativi extrapenali - il concetto di discarica e quello di gestione -, la cui nozione e disciplina è contenuta nel D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, recante la "attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti".

In particolare, il D.Lgs. n. 36 del 2003, art. 2, comma 1, lett. g), definisce la discarica come un'area "adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonchè qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno (...) sono esclusi da tale definizione gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno", in tal senso distinguendo la discarica da altre attività di gestione.

Al riguardo, è sufficiente rammentare la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo la quale si ha discarica abusiva tutte le volte in cui, per effetto di una condotta ripetuta, i rifiuti vengono scaricati in una determinata area, trasformata di fatto in deposito o ricettacolo di rifiuti con tendenziale carattere di definitività, in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato (Sez. 3, n. 47501 del 13/11/2013, Caminotto, Rv. 257996; Sez. 3, n. 27296 del 12/5/2004, Micheletti, Rv. 229062). La discarica abusiva dovrebbe presentare, orientativamente, una o più tra le seguenti caratteristiche, la presenza delle quali costituisce valido elemento per ritenere configurata la condotta vietata: accumulo, più o meno sistematico, ma comunque non occasionale, di rifiuti in un'area determinata; eterogeneità dell'ammasso dei materiali; definitività del loro abbandono; degrado, quanto meno tendenziale, dello stato dei luoghi per effetto della presenza dei materiali in questione.

Si è ulteriormente precisato che il reato di discarica abusiva è configurabile anche in caso di accumulo di rifiuti che, per le loro caratteristiche, non risultino raccolti per ricevere nei tempi previsti una o più destinazioni conformi alla legge e comportino il degrado dell'area su cui insistono, anche se collocata all'interno dello stabilimento produttivo (Sez. 3, n. 41351 del 18/9/2008, Fulgori, Rv. 241533; Sez. 3, n. 2485 del 9/10/2007, dep. 2008, Marchi, non massimata sul punto).

4.1. Le condotte sanzionate dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 3, dunque, riguardano la realizzazione e la gestione della discarica abusiva: secondo quanto chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 12753 del 5/10/1994, Zaccarelli, Rv. 199385), la realizzazione "consiste nella destinazione e allestimento a discarica di una data area, con la effettuazione, di norma, delle opere a tal fine occorrenti: spianamento del terreno impiegato, apertura dei relativi accessi, sistemazione, perimetrazione, recinzione, ecc.", mentre la gestione "presuppone l'apprestamento di un'area per raccogliervi i rifiuti e consiste, nell'attivazione di una organizzazione, articolata o rudimentale non importa, di persone, cose e/o macchine (come, ad esempio, quelle per il compattamento dei rifiuti) diretta al funzionamento della discarica". La differenza concettuale tra le due condotte si riflette, altresì, sulla individuazione del momento consumativo del reato, atteso che, secondo quanto precisato dalle Sezioni Unite, la realizzazione di una discarica "per la sua struttura, ricorda da vicino il reato di costruzione abusiva, che è permanente fino all'ultimazione dell'opera. Dopodichè diventa ad effetti permanenti"; la gestione, invece, "è permanente per tutto il tempo in cui l'organizzazione è presente e attiva".

4.2. Tanto premesso, per enucleare correttamente il perimetro di tipicità della condotta di "gestione" della discarica, non può omettersi di considerare il riferimento all'intero ciclo di vita della discarica contenuto nel D.Lgs. n. 36 del 2003, art. 8, a proposito del contenuto della domanda di autorizzazione; dalla lettura delle lett. f), g), h), i) ed l) di tale articolo emerge, infatti, che la "vita della discarica" si articola in tre fasi: la fase di progettazione, di preparazione e strutturazione del sito e degli impianti; quella di gestione operativa che si protrae fino alla chiusura; quella di gestione post-operativa e di ripristino ambientale.

Del resto, nel disciplinare la procedura di chiusura, il D.Lgs. n. 36 del 2003, art. 12 prevede che questa abbia luogo solo con l'esito positivo dell'ispezione conclusiva, aggiungendo: "L'esito dell'ispezione non comporta, in alcun caso, una minore responsabilità per il gestore relativamente alle condizioni stabilite dall'autorizzazione. Anche dopo la chiusura definitiva della discarica, il gestore è responsabile della manutenzione, della sorveglianza e del controllo nella fase di gestione post-operativa per tutto il tempo durante il quale la discarica può comportare rischi per l'ambiente"; specificazione che va coordinata con la disciplina della gestione post-operativa contenuta nel successivo art. 13.

La conferma, del resto, si evince, altresì, dalla definizione di "gestore" della discarica, contenuta nel D.Lgs. n. 36 del 2003, art. 2, lett. o), che lo individua nel "soggetto responsabile di una qualsiasi delle fasi di gestione di una discarica, che vanno dalla realizzazione e gestione della discarica fino al termine della gestione post-operativa compresa".

Alla stregua di tale disciplina, che integra l'elemento normativo extrapenale della "gestione della discarica" contenuto nella fattispecie incriminatrice di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 3, dunque, la fase post-operativa, i relativi controlli e precauzioni, ed il ripristino ambientale costituiscono parte del ciclo di vita della discarica e sono oggetto della disciplina autorizzatoria, così che la violazione della relativa disciplina integra gli estremi del reato di discarica abusiva.

Invero, che la nozione normativa di gestione della discarica debba essere individuata mediante il riferimento al d.lgs. 36/2003 si evince, altresì, dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 182, comma 5, secondo cui "le attività di smaltimento in discarica dei rifiuti sono disciplinate secondo le disposizioni del D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36", e dall'art. 183, norma generale sulle definizioni, che, alla lett. n), individua come "gestione" le attività di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento dei rifiuti, "compresi il controllo di tali operazioni e gli interventi successivi alla chiusura dei siti di smaltimento".

Ebbene, nel solco di tale ricostruzione è stato condivisibilmente affermato che, in tema di discarica, il mancato esercizio dell'attività di controllo e vigilanza della stessa, anche dopo la cessazione dei conferimenti, lungi dal rientrare in un generico obbligo di eliminare le conseguenze del reato già perfezionato ed esaurito o dall'integrare il reato D.Lgs. n. 252 del 2006, ex art. 257, relativo alla bonifica dei siti inquinati, è parte costitutiva del reato di gestione di discarica ambientale (Sez. 3, n. 32797 del 18/03/2013, Rubegni, Rv. 256663, che, in applicazione del principio, ha annullato la sentenza che aveva ritenuto di fissare la cessazione della permanenza del reato di gestione di discarica non autorizzata in coincidenza con l'ultimo conferimento); pertanto, ai fini dell'integrazione del reato di gestione di discarica non autorizzata, rientrano nella nozione di gestione anche la fase post-operativa, successiva alla chiusura, e di ripristino ambientale. (Sez. 3, n. 32797 del 18/03/2013, Rubegni, Rv. 256662).

La conseguenza, in tema di individuazione del dies a quo del termine di prescrizione, è che la permanenza del reato previsto dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 51, comma 3, (oggi sostituito dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 3), per la gestione abusiva o irregolare della fase post-operativa di una discarica, cessa o con il venir meno della situazione di antigiuridicità per rilascio dell'autorizzazione amministrativa, la rimozione dei rifiuti o la bonifica dell'area o con il sequestro che sottrae al gestore la disponibilità dell'area, o, infine, con la pronuncia della sentenza di primo grado. (Sez. 3, n. 32797 del 18/03/2013, Rubegni, Rv. 256664).

La sentenza richiamata ha dunque chiarito che la disciplina vigente ha abbandonato l'impostazione che esaurisce il concetto di discarica nel solo processo di accumulo di rifiuti e che per questo giunge a ritenere cessata la condotta tipica con l'ultimo conferimento, dovendo, invece, affermarsi che la condotta tipica prevista dalla prima parte dell'art. 256 risulta coincidere con la predisposizione e con la gestione illecita dei rifiuti, a partire dal momento in cui il deposito e i conferimenti integrano gli estremi della realizzazione della discarica, per proseguire per tutto il tempo in cui il deposito e l'accumulo di rifiuti conservano il carattere di realtà contrastante con l'ordinamento.

In altri termini, la disciplina sulle discariche contenuta nel D.Lgs. 36 del 2003, che prevede espressamente la "gestione operativa" e la "gestione post-operativa", impedisce di restringere l'interpretazione della condotta criminosa alla sola discarica "in esercizio", dovendo, invece, ritenersi attratta nell'ambito della tipicità anche la fase successiva alla chiusura, finchè non sopraggiunga una causa, naturalistica (rimozione, ecc.) o giudiziale (sequestro, sentenza di condanna, ecc.), di cessazione della permanenza.

La "gestione" organizzata di rifiuti che assumano dimensioni quantitative, presenza temporale e caratteristiche proprie rilevanti non si esaurisce nella fase di raccolta, movimentazione e deposito, ma ricomprende anche le attività di controllo che sono necessarie per evitare pericoli e offese ai beni protetti.

Del resto, la disciplina in tema di bonifiche (D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 257), non si pone in diretta continuità con quella contenuta nel D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, in quanto il concetto di "degrado" dell'area che fonda l'illiceità dell'accumulo di rifiuti integrante gli estremi della discarica non necessariamente coincide con i concetti di "contaminazione" del sito e di "inquinamento", che fondano l'obbligo di bonifica.

Il principio è stato ribadito anche nella giurisprudenza successiva, allorquando è stato chiarito che la permanenza del reato previsto dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 51, comma 3, (oggi sostituito dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 3), anche nel caso di gestione abusiva o irregolare riguardante la fase post-operativa di una discarica, cessa o con il venir meno della situazione di antigiuridicità per rilascio dell'autorizzazione amministrativa, la rimozione dei rifiuti o la bonifica dell'area o con il sequestro che sottrae al gestore la disponibilità dell'area, o, infine, con la pronuncia della sentenza di primo grado (Sez. 3, n. 45931 del 09/10/2014, Cifaldi, Rv. 260873; Sez. 3, n. 12970 del 05/03/2015, Milesi, non massimata).

5. Alla stregua dei principi richiamati, dunque, va affermata la manifesta infondatezza del motivo di ricorso proposto: in assenza di sequestro, ovvero di rimozione dei rifiuti (pure disposta dall'autorità amministrativa), la consumazione del reato non può essere individuata nell'ultimo conferimento; la cessazione giudiziale della permanenza del reato, infatti, coincide, nel caso in esame, con la pronuncia della sentenza di primo grado, emessa il 24/10/2014.

Non può, pertanto, ritenersi decorso il termine di prescrizione dei reati accertati.

6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 1.500,00: infatti, l'art. 616 c.p.p. non distingue tra le varie cause di inammissibilità, con la conseguenza che la condanna al pagamento della sanzione pecuniaria in esso prevista deve essere inflitta sia nel caso di inammissibilità dichiarata ex art. 606 c.p.p., comma 3, sia nelle ipotesi di inammissibilità pronunciata ex art. 591 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2016.