Cass. Sez. III sent. 13676 del 3 aprile
2007 (c.c. 15 dic. 2007)
Pres. Vitalone Est. Fiale Ric. Lovato ed altri
Rifiuti. Illegittimità del titolo
abilitativo e poteri del giudice penale
1. La valutazione della configurabilità di reati
in materia ambientale non esclude il giudizio sulla legittimità di atti
amministrativi autorizzatori eventualmente rilasciati ma anzi comporta
necessariamente tale giudizio (ovviamente non esteso ai profili di
discrezionalità) allorché quegli atti costituiscano presupposto o elemento
costitutivo o integrativo del reato . Una determinata attività incidente sullo
stato dell'ambiente, infatti, seppure formalmente assentita, non può svolgersi
in contrasto con la disciplina di settore risultante dal complesso delle norme
statali e regionali e degli ulteriori strumenti di pianificazione settoriale
vigenti;
2. il giudice penale, allorquando accerta
profili di illegittimità sostanziale dì un titolo autorizzatorio amministrativa,
procede ad un'identificazione in concreto della fattispecie sanzionata e non
pone in essere alcuna "disapplicazione" del provvedimento medesimo,
né incide, con indebita ingerenza sulla sfera riservata alla pubblica
amministrazione, poiché esercita un potere che trova fondamento e
giustificazione nella stessa previsione normativa incriminatrice.
3. l'accertata esistenza di
profili assolutamente eclatanti di illegalità (anche a prescindere da eventuali
collusioni dolose con organi dell'amministrazione) costituisce un significativo
indice di riscontro dell'elemento soggettivo del reato contestato pure riguardo
all'apprezzamento della colpa.
4. spetta in ogni caso al giudice
del merito, e non certo a quello del riesame di provvedimenti di sequestro, la
individuazione, in concreto, di eventuali situazioni di buona fede e di
affidamento incolpevole.
Udienza in Camera di Consiglio del
15.12.2006
SENTENZA N. 1336
REG. GENERALE n. 39698/2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill. mi Signori
1. Dott. Claudio
Vitalone
Presidente
2. Dott. Claudia Squassoni
Componente
3. Dott. Aldo
Fiale
Componente
4. Dott. Amedeo
Franco
Componente
5. Dott. Margherita
Marmo
Componente
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1. - LOVATO Roberto, n.a. xxx il xxx;
2. - COZZI Walter, n.a. xxx il xxx;
avverso l'ordinanza 3.10.2006 del Tribunale del riesame di Udine;
Sentita la relazione fatta dal Consigliere dr. Aldo Fiale;
Udito il Pubblico Ministero nella persona del dr. Mario Fraticelli che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore, avv.to Giuseppe Capeis, il quale ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
FATTO E DIRITTO
Il G.I.P. del Tribunale di Udine, in data 12.8.2006, disponeva il
sequestro preventivo di un impianto di termodistruzione di rifiuti
speciali destinati all'incenerimento con produzione in cogenerazione di
energia elettrica e calore, sito nel Comune di Manzano e gestito dalla
s.p.a. "Nuova Romano Bolzicco".
Detto sequestro veniva disposto in relazione ai seguenti reati,
ipotizzati nei confronti di Lovato Roberto e Cozzi Walter, nelle
rispettive qualità di presidente del consiglio di
amministrazione della società e di responsabile di gestione
dell'impianto:
- reato di cui all'art. 256, comma 1°, n. 1, D.Lgs, 3.4.2006,
n. 152 (già art. 51, 1° comma, lett. b, D.Lgs.
5.2.1997, n. 22), per avere disposto ovvero non impedito
l'effettuazione, in assenza di legittima autorizzazione, di
un'attività di smaltimento di rifiuti non pericolosi propri
e di terzi, a mezzo la loro termodistruzione;
- reato di cui all'art. 256, comma 1°, n. 1, D.Lgs. 3.4.2006,
n. 152 (già art. 51, 1° comma, lett. a, D.Lgs.
5.2.1997, n. 22), per avere disposto ovvero non impedito
l'effettuazione, in assenza di legittima autorizzazione, di
un'attività di trattamento termico e di recupero energetico,
a mezzo la termovalorizzazione di rifiuti non pericolosi
illegittimamente svolta secondo le procedure semplificate in assenza
dei relativi presupposti;
- reato dì cui all'art. 279, comma 2°, D.Lgs.
3.4.2006, n, 152 (già art. 24, comma 4, D.P.R. 24.5.1988, n.
203), per avere, nell'esercizio dell'impianto di termovalorizzazione di
rifiuti, omesso di osservare le limitazioni imposte dal decreto
autorizzativo ministeriale in relazione alle emissioni, provvedendo in
particolare alla termodistruzione di tipologie di rifiuti per i quali
non era stata attivata la comunicazione per procedere a recupero
energetico;
- reato di cui all'art. 279, comma 2°, D.Lgs. 3.4.2006, n. 152,
per avere (in data 6.3.2006 e 25.5.2006) superato i valori limite di
emissione autorizzati, con riferimento alle policlorodibenzodiossine
(PCDD) ed ai policlorodibenzofurani (PCDF);
reato di cui all'art. 260 D.Lgs. 3.4.2006, n. 152 (già art.
53 bis D.Lgs. 5.2.1997, n. 22), per avere, al fine di conseguire un
ingiusto profitto, con più operazioni ed attraverso
l'allestimento di mezzi ed attività continuative
organizzate, gestito abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti non
pericolosi prodotti da più aziende facenti capo a
società diverse, alcune delle quali riconducibili al Lovato
o alla sua famiglia.
Con riferimento ai medesimi reati veniva altresì disposto
sequestro probatorio di documentazione varia in data 11.9.2006.
Il Tribunale di Udine - con ordinanza del 3.10.2006 - rigettava
l'istanza di riesame proposta nell'interesse degli anzidetti indagati.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso la difesa del Lovato e del
Cozzi, eccependone la illegittimità:
- per omessa valutazione di documenti difensivi decisivi, dai quali
emergeva la prova della mera occasionalità dei due
contestati superamenti dei limiti di emissione di diossine in atmosfera
(che, anche a non considerarli conseguenze di anomalie di rilevazione,
sarebbero dipesi da un cattivo funzionamento dell'impianto di natura
eccezionale), nonché la dimostrazione che, successivamente
al 23.5.2006, nonostante l'impianto avesse continuato ad operare,
episodi di quel tipo non si erano più verificati, avendo la
società posto in essere - anche in ottemperanza ad una
determinazione provinciale del 18.8.2006 - significativi interventi di
miglioramento del processo di combustione e di quello di trattamento
degli effluenti, considerati dall'ARPA "idonei a portare ad una
riduzione delle concentrazioni di PCDD e PCDF presenti nei fumi".
Il Tribunale aveva altresì del tutto omesso di valutare, al
riguardo, il parere del professore Carlo Malinconico (ordinario di
diritto dell'Unione europea presso l'Università di Udine),
rilasciato su richiesta della Provincia di Udine, attestante la
legittimità della procedura semplificata di rilascio
dell'autorizzazione alla realizzazione dell'impianto di
termovalorizzazione;
- per l'insussistenza dell'elemento oggettiva dei reati di cui agli
artt. 256 e 260 del D.Lgs. n. 152/2006, essendo stata erroneamente
affermata la "macroscopica illegittimità"
dell'autorizzazione all'attività di recupero e gestione di
rifiuti rilasciata alla società (ex art. 28 del D.Lgs. n.
22/1997) con provvedimento 27.1.1998 della Provincia dì
Udine, successivamente integrato con determinazioni dirigenziali del
24.3.1998 e del 3(14.2004.
Secondo la prospettazione difensiva, in ogni caso, per il principio si
stretta legalità in diritto penale, "non è
ammissibile l'equiparazione dell'assenza di autorizzazione
all'illegittimità della stessa" ed il giudice non deve
trasformare il controllo di legittimità in un sindacato di
merito sull'atto amministrativo;
- per l'insussistenza dell'elemento soggettivo dei medesimi reati di
cui agli artt. 256 e 260 del D.Lgs. n. 152/2006, dovendosi escludere
una qualsiasi collusione criminosa in danno della pubblica
Amministrazione e risultando ad evidenza la buona fede degli indagati a
fronte di un provvedimento autorizzatorio amministrativo che non
presenta elementi di illegittimità macroscopica;
- per la violazione dell'art. 407, comma 3°, c.p.p., in quanto
nella specie sono stati riuniti due procedimenti penali,
rispettivamente iscritti negli anni 2001 e 2006. Il secondo di tali
procedimenti riguarda esclusivamente le emissioni in atmosfera eppure
risultano effettuate indagini, riferite a tutti i reati ipotizzati,
sino alla data del 4.7.2006, cioè oltre il termine di durata
massima fissato appunto dall'art. 407, 1° comma, c.p.p. per il
compimento delle indagini preliminari;
- per la mancata declaratoria di nullità delle analisi dei
fumi conseguenti ai campionamenti effettuati in data 6.3.2006 e
25.5.2006 con mancato rispetto delle prescrizioni poste dall'art. 223
disp. att. c.p.p., non essendo stata concessa alle parti la
facoltà di intervenire alla fase delle analisi dei campioni,
poiché non avvisate della data e del luogo di svolgimento
delle stesse.
I difensori degli indagati hanno poi depositato tre memorie ad
ulteriore illustrazione e specificazione delle doglianze dianzi
compendiate.
**********
Il ricorso deve essere rigettato, poiché le eccezioni in
esso svolte non valgono ad inficiare la legittimità della
misura cautelare reale adottata.
1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema:
- l'art. 321 c.p.p. non menziona gli indizi di colpevolezza fra le
condizioni di applicabilità del sequestro, né
può ritenersi applicabile l'art. 273 dello stesso codice di
rito, dettato per le misure cautelari personali e non richiamato in
materia di misure cautelari reali. Ne consegue che, ai fini
dell'adozione del sequestro, è sufficiente la presenza di un
"fumus boni iuris" e cioè
l'ipotizzabilità in astratto della commissione di un reato.
Pertanto, il decreto che dispone il sequestro preventivo non deve
essere motivato in ordine alla sussistenza degli indizi di
colpevolezza, alla fondatezza dell'accusa ed alla
probabilità di condanna dell'indagato (vedi Cass., Sez. I,
31.5.1997, n. 2396);
- ai fini dell'applicazione di un provvedimento di sequestro,
è necessario accertare la configurabilità di un
reato nella sua accezione naturalistica e "prima facie", senza l'esame
di questioni attinenti al giudizio di cognizione (vedi Casa., Sez. III,
16.1.1993, n. 2321).
Alla stregua dei principi anzidetti va valutata la legittimità dell'ordinanza impugnata.
2. Quanto ai reati ipotizzati in relazione all'attività di
raccolta e gestione di rifiuti non pericolosi con trattamento termico e
di recupero energetico, il Tribunale ha evidenziato l'effettiva
esistenza di un'autorizzazione, rilasciata alla società
"Nuova Romano Bolzicco" (ex art. 28 del D.Lgs. n. 22/1997) con
provvedimento 27.1.1998 della Provincia di Udine, successivamente
integrata con determinazioni dirigenziali del 24.3.1998 e del 30.4.2004.
Detti provvedimenti sono stati ritenuti: "macroscopicamente
illegittimi" per violazione di legge", in quanto adottati in contrasto
con la disposizione di cui all'art. 43 del Piano provinciale per lo
smaltimento dei rifiuti (adottato dalla Provincia di Udine in data
20.12.1993), che impone per gli impianti di incenerimento il rispetto
della distanza minima di un chilometro dai centri abitati (distanza
minima che, nella specie, pacificamente non risulta osservata,
poiché l'impianto dista circa 530 mt. da una zona
abitativa); nonché "inefficaci", in quanto non preceduti
dalla preventiva procedura di V.I.A. regionale.
Secondo la prospettazione accusatoria, inoltre, la costruzione e
l'esercizio dell'impianto in oggetto risulta illegittimamente
autorizzata con le procedure semplificate di cui all'art. 31 e segg.
del D.Lgs. n. 22/1997, alle quali non può farsi ricorso per
impianti non previsti dal piano regionale, tranne che non vengano
stipulati appositi accordi di programma con il coinvolgimento dei
Ministeri dell'ambiente e dell'industria e della Regione (accordi di
pianificazione inesistenti nel caso in esame).
2.1 La Provincia di Udine:
- ha ritenuto che la prescrizione della distanza minima di un
chilometro dal centro abitato, quale vincolo territoriale di
localizzazione posto dal Piano di smaltimento dei rifiuti, dovesse
applicarsi esclusivamente agli impianti (diversi da quello in esame)
"aventi valenza comprensoriale", a quelli cioè posti "a
servizio di uno o più bacini e, quindi, necessariamente,
operanti in conto terzi";
- ha considerato che la s.p.a. "Nuova Romano Bolzicco" non
soggiacerebbe a tale vincolo, perché avrebbe smaltito
nell'impianto in oggetto soltanto i rifiuti derivanti dalla produzione
delle proprie sedi operative nonché da quelle di altre
società nelle quali la "Nuova Romano Bolzicco" aveva
partecipazioni azionarie o che partecipavano alle azioni di essa;
- ha ritenuto che nella specie, dunque, si fosse in presenza di un
impianto di smaltimento di rifiuti "per conto proprio", la cui
localizzazione non deve essere effettuata dal piano provinciale di
smaltimento dei rifiuti ai sensi dell'art. 23 bis della legge regionale
n. 30 del 1987, realizzandosi la finalità di consentire lo
smaltimento dei rifiuti in loco, senza la loro movimentazione;
- ha considerato valida la comunicazione di inizio
dell'attività, prevista dal regime semplificato di cui agli
arti 31 e 33 del D.Lgs. 22/1997, anche con riferimento a rifiuti non
indicati dall'autorizzazione originaria, purché contemplati
nel D.M. previsto dallo stesso art. 31, pure se provenienti da
"società azioniste della Nuova Romano Bolzicco e, come tali,
comproprietarie dell'impianto di termodistruzione": tali
società - anche secondo il parere reso dal prof. Malinconico
- farebbero comunque parte di un unico "gruppo", "in quanto concorrono
al medesimo obiettivo comune di produzione".
2.2 La illegittimità delle determinazioni provinciali,
invece, nell'impugnata ordinanza, è stata razionalmente
configurata secondo i seguenti essenziali profili:
- esse si fondano su una pretesa "interpretazione" del piano di
smaltimento dei rifugi, che sostanzialmente ne restringe l'ambito di
applicabilità pur in assenza dell'adozione del necessario
procedimento di modifica dello strumento pianificatorio;
- la distanza di 1 km. dai centri abitati, prescritta perentoriamente
dal piano, si giustifica per motivi igienico-sanitari, che rimangono
invariati sia che l'impianto smaltisca rifiuti dalla stessa
società o dalle società facenti parte di un
"gruppo" sia che smaltisca rifiuti prodotti da terzi;
- nella specie non si rientra nella nozione di "gruppo",
posta dall'ari 2359 cod. civ., né è
ravvisabile alcuna situazione di "controllo" o "collegamento
societario" da cui possano scaturire effetti rilevanti sotto
i profili civilistici od amministrativi. Alcune società (una
delle quali avente sede anche filali del territorio regionale) -
addirittura - erano state ricondotte alla nozione di "gruppo", e quindi
autorizzate a conferire i propri rifiuti presso l'impianto in oggetto,
sul presupposto che esse "avevano acquistato ciascuna una sola azione
per l'importo di 0,52 curo" [eclatantemente erroneo appare, al
riguardo, l'assunto secondo il quale anche il legittimo titolare di
un'unica azione societaria sarebbe "comproprietario" delle strutture
aziendali della stessa società].
2.3 A fronte dei profili di illegittimità dianzi
compendiati, ritiene questo Collegio [pure a fronte delle
argomentazioni svolte nella memoria presentata dal difensore avv.to
Padovani] di dover affermare e ribadire i principi secondo i quali:
a) la valutazione della configurabilità di reati in materia
ambientale non esclude il giudizio sulla legittimità chi
atti amministrativi autorizzatori eventualmente rilasciati ma anzi
comporta necessariamente tale giudizio (ovviamente non esteso ai
profili di discrezionalità) allorché quegli atti
costituiscano presupposto o elemento costitutivo o integrativo del
reato. Una determinata attività incidente sullo stato
dell'ambiente, infatti, seppure formalmente assentita, non
può svolgersi in contrasto con la disciplina di settore
risultante dal complesso delle norme statali e regionali e degli
ulteriori strumenti di pianificazione settoriale vigenti;
b) il giudice penale, allorquando accerta profili di
illegittimità sostanziale di un titolo autorizzatorio
amministrativo, procede ad un'identificazione in concreto della
fattispecie sanzionata e non pone in essere alcuna "disapplicazione"
del provvedimento medesimo, né incide, con indebita
ingerenza, sulla sfera riservata alla Pubblica Amministrazione,
poiché esercita un potere che trova fondamento e
giustificazione nella stessa previsione normativa incriminatrice;
c) l'accertata esistenza di profili assolutamente eclatanti di
illegalità (anche a prescindere da eventuali collusioni
dolose con organi dell'amministrazione) costituisce un significativo
indice di riscontro dell'elemento soggettivo del reato contestato pure
riguardo all'apprezzamento della colpa;
d) spetta in ogni caso al giudice del merito, e non certo a quello del
riesame di provvedimenti di sequestro, la individuazione, in concreto,
di eventuali situazioni di buona fede e di affidamento incolpevole.
3. Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, il pubblico
ministero può chiedere al giudice l'applicazione del
sequestro preventivo anche dopo la scadenza del termine delle indagini
preliminari, purché tale richiesta non sia fondata sul
risultato di atti di indagine compiuti dopo la scadenza del medesimo
termine, in quanto la sanzione di inutilizzabilità di cui
all'art. 407, comma 3, c.p.p. concerne solo gli atti di indagine aventi
efficacia probatoria, nel cui ambito non sono compresi i sequestri
preventivi, che mirano ad impedire la prosecuzione della, condotta
vietata (Cass.: Sez. III, 21.6.2003, n. 27153, P.M. in proc. Falduto;
Sez. II, 2.12.2003, n. 46278, Marchi).
Nella specie il Tribunale ha rilevato che non si configura l'invocata
ipotesi di intervenuta scadenza del termine delle indagini preliminari,
avendo la (seconda) notizia di reato trasmessa in data 15.5.2006
(relativa all'inquinamento atmosferico cagionato dall'impianto)
determinato la decorrenza di nuovi termini a norma dell'art. 407 c.p.p.
La giurisprudenza di questa Corte Suprema è orientata, al
riguardo, nel senso che la sanzione di inutilizzabilità
prevista dall'art. 407, 3° comma, c.p.p. non opera in relazione
agli atti che siano stati assunti nell'ambito di indagini diverse volte
ad individuare i soggetti responsabili di altri reati, trattandosi di
sanzione geneticamente connessa alle indagini endoprocessuali (vedi
Cass., Sez. 28.5.2004, n. 24564).
In ogni caso, per quanto qui interessa, la misura di cautela reale
risulta essenzialmente correlata al pericolo di inquinamento
atmosferico (individuato sulla base di investigazioni sicuramente
tempestive), sicché in questa fase è irrilevante
effettuare un accertamento precipuo degli atti di indagine,
singolarmente considerati, utilizzabili in concreto ai fini della
valutazione della legittimità dell'installazione e della
gestione dell'impianto.
4. In relazione alla denunciata irregolarità dei due
campionamenti, il Tribunale ha rilevato che effettivamente il primo di
essi venne eseguito senza il rispetto delle formalità di cui
all'art. 223 disp. att. c.p.p., in quanto pertinente ad
attività di controllo di natura amministrativa. Il secondo
prelievo, invece (che non risulta disposto dal P.M.), venne effettuato
alla presenza del Lovato e di un consulente della società e
le parti vennero messe in condizione di interloquire e di formulare
eventuali richieste ed osservazioni anche di carattere tecnico e
procedurale.
5. Quanto al "periculum in mora", infine, con
argomentazioni logiche e coerenti il Tribunale ha ritenuto che il
sequestro preventivo è stato legittimamente emesso (oltre
che per interrompere la prosecuzione dell'attività di
smaltimento e recupero di rifiuti in carenza dei presupposti di legge)
fondamentalmente allo scopo di interrompere l'attività
illecita dell'impianto in questione con riferimento all'emissione di
diossine, quanto meno fino al sicuro accertamento delle cause ed
all'adozione dei rimedi occorrenti anche in ottemperanza alla
determinazione dirigenziale della Provincia emessa in data 18.8.2006.
La suddetta determinazione provinciale del 18.8.2006 ha fatto seguito
ad una nota dell'ARPA, con la quale quell'Agenzia aveva comunicato che
la società "Nuova Romano Bolzicco" aveva già
posto in essere interventi che "possono risultare significativi per
quanto riguarda il miglioramento del processo di combustione e di
trattamento degli effluenti e possano, quindi, portare ad una riduzione
delle concentrazioni di PCDD e PCDF presenti nei fumi".
Trattasi, pertanto, di una valutazione espressa in termini di mera
"possibilità", che deve trovare riscontri e conferme alla
stregua delle misure successivamente prescritte dalla Provincia ed in
particolare dopo la presentazione e l'attuazione di "un organico
progetto di adeguamento/revisione dell'impianto al fine di garantire il
rispetto dei limiti imposti dalla normativa vigente in qualunque
situazione operativa".
Razionalmente perciò il Tribunale ha ritenuto sussistente,
all'epoca della propria delibazione, il "rischio" di una reiterazione
dell'inquinamento atmosferico già constatato e
ciò vale anche in seguito alla constatazione, da parte della
stessa ARPA (vedi nota del 29.11.2006, depositata con la memoria del
4.12.2006), della conformità alla determinazione provinciale
delle soluzioni tecniche proposte fina non ancora attuate né
sperimentate].
Giova ricordare da ultimo, in proposito, che la società
è stata autorizzata dal Tribunale di Udine, "fermo restando
per il rimanente il sequestro preventivo, alle operazioni necessarie a
dare attuazione alla Determinazione dirigenziale della Provincia di
Udine in data 18.8.2006, a condizione che tanto possa avvenire in
assenza di qualsiasi pericolo di inquinamento ambientale
che sarà oggetto di costante verifica a cura dell'ARPA"
(vedi l'ordinanza del 7.11.2006, allegata alla memoria difensiva
depositata il 24 novembre).
6. L'ulteriore approfondimento e la compiuta verifica spettano ai
giudici del merito ma, allo stato, a fronte dei prospettati elementi,
della cui sufficienza in sede di cautela non può dubitarsi,
le contrarie argomentazioni svolte dai ricorrenti non valgono certo ad
escludere la legittimità della misura adottata.
Al rigetto del ricorso segue l'onere solidale delle spese del
procedimento.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione,
visti gli artt. 127 e 325 c.p.p.,
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento
delle spese processuali.
Così deciso in ROMA, nella camera di consiglio del
15.12.2006.