Cass. Sez. III n.14747 del 9 aprile 2008 (Ud. 11 mar. 2008)
Pres. Grassi Est. Petti Ric. Clementi
Rifiuti. Ordinanza di rimozione e criterio della inesigibilità
Il principio della non esigibilità di una condotta diversa - sia che lo si voglia ricollegare alla "ratio" della colpevolezza riferendolo ai casi in cui l\'agente operi in condizioni soggettive tali da non potersi da lui "umanamente" pretendere un comportamento diverso, sia che lo si voglia ricollegare alla "ratio" dell\'antigiuridicita\' riferendolo a situazioni in cui non sembri coerente ravvisare un dovere giuridico dell\'agente di uniformare la condotta al precetto penale - non può trovare collocazione e spazio al di fuori delle cause di giustificazione e delle cause di esclusione della colpevolezza espressamente codificate, in quanto le condizioni e i limiti di applicazione delle norme penali sono posti dalle norme stesse senza che sia consentito al giudice di ricercare cause ultralegali di esclusione della punibilità attraverso l\' "analogia juris". Il reato di cui all\'articolo 50 comma secondo decreto legislativo n 22 del 1997,ora sostituito dall\'articolo 255 comma terzo decreto legislativo n 152 del 2006, può essere punito sia a titolo di dolo che di colpa per negligenza, imprudenza, ecc - La punibilità dell\' agente è esclusa solo dall\'ignoranza incolpevole sull\'esistenza dell\'ordine ovvero dall\'errore incolpevole sul contenuto dell\'ordine stesso e ciò anche a seguito della nota sentenza della Corte Costituzionale n. 364 del 1988. Se invece l\'errore è colposo residua una responsabilità dell\' agente per colpa
Pres. Grassi Est. Petti Ric. Clementi
Rifiuti. Ordinanza di rimozione e criterio della inesigibilità
Il principio della non esigibilità di una condotta diversa - sia che lo si voglia ricollegare alla "ratio" della colpevolezza riferendolo ai casi in cui l\'agente operi in condizioni soggettive tali da non potersi da lui "umanamente" pretendere un comportamento diverso, sia che lo si voglia ricollegare alla "ratio" dell\'antigiuridicita\' riferendolo a situazioni in cui non sembri coerente ravvisare un dovere giuridico dell\'agente di uniformare la condotta al precetto penale - non può trovare collocazione e spazio al di fuori delle cause di giustificazione e delle cause di esclusione della colpevolezza espressamente codificate, in quanto le condizioni e i limiti di applicazione delle norme penali sono posti dalle norme stesse senza che sia consentito al giudice di ricercare cause ultralegali di esclusione della punibilità attraverso l\' "analogia juris". Il reato di cui all\'articolo 50 comma secondo decreto legislativo n 22 del 1997,ora sostituito dall\'articolo 255 comma terzo decreto legislativo n 152 del 2006, può essere punito sia a titolo di dolo che di colpa per negligenza, imprudenza, ecc - La punibilità dell\' agente è esclusa solo dall\'ignoranza incolpevole sull\'esistenza dell\'ordine ovvero dall\'errore incolpevole sul contenuto dell\'ordine stesso e ciò anche a seguito della nota sentenza della Corte Costituzionale n. 364 del 1988. Se invece l\'errore è colposo residua una responsabilità dell\' agente per colpa
In fatto
Con sentenza del 21 giugno del 2007, il tribunale di Tivoli, sezione distaccata di Castelnuovo di Porto, assolveva Clementi Antonio dal reato di cui all’articolo 50 del decreto legislativo n. 22 del 1997, per non avere ottemperato a quanto disposto con ordinanza n. 13 del 15 ottobre del 2003 del Comune di Magliano Romano, con cui si era imposta la rimozione dei rifiuti abbandonati in un fondo di sua proprietà, per l’insussistenza del fatto.
A fondamento della decisione il tribunale osservava che non si poteva esigere dal prevenuto l’osservanza dell’ordinanza perché il fondo era stato sequestrato e perciò, se avesse dato esecuzione all’ordinanza, avrebbe commesso il reato di violazione dei sigilli.
Ricorre per cassazione il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Tivoli deducendo la violazione della norma incriminatrice per l’insussistenza di una situazione di inesigibilità della condotta.
Resiste al ricorso il prevenuto con memoria depositata il 28 febbraio del 2008.
In diritto
Il ricorso va accolto, non sussistendo alcuna causa di giustificazione legislativamente prevista.
Va premesso che l’articolo 14 del decreto legislativo n. 22 del 1997, ora sostituito dall’articolo 192 comma terzo decreto legislativo n. 152 del 2006, ha escluso in radice qualsiasi ipotesi di responsabilità a carico del proprietario o del possessore dell’area sulla quale altri hanno depositato i propri rifiuti per il semplice fatto di essere proprietario o possessore. Invero l’articolo 14 citato al terzo comma disponeva che, fatta salva l’applicazione delle sanzioni di cui agli artt. 50 e 51, chiunque avesse violato i divieti di cui ai commi 1 e 2 era tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario o con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione fosse imputabile a titolo di dolo o colpa. Quindi il proprietario o il possessore dell’area, secondo la giurisprudenza amministrativa e secondo l’orientamento di questa sezione, era ed è tenuto a bonificare l’area solo se a suo carico sia configurabile quanto meno la colpa (Cfr. Consiglio di Stato sez. V 2 aprile 2001 n 1904, Cass. sez. III 2 luglio 1997, Gargani: Cass. 23 marzo 1998 Fiacco; Cass. 1° luglio del 2002, Ponzio). Pertanto non può essere destinatario di un’ordinanza di rimessione in pristino o di rimozione ex articolo 14 citato, con sanzione penale in caso d’inosservanza, un soggetto se non viene individuato a suo carico quanto meno un profilo di colpa, per omessa recinzione del suolo, per omessa denuncia all’autorità, ecc, altrimenti si configurerebbe una responsabilità oggettiva. Nella fattispecie, poiché la legittimità dell’ordinanza non è stata contestata e non viene contestata neppure con la memoria difensiva depositata davanti a questa corte, si deve presumere che sia stata accertata quanto meno la colpa del destinatario dell’ordinanza stessa ovvero l’esistenza di una posizione di garanzia.
Si deve altresì premettere che, secondo l’orientamento espresso da questa corte, il principio della non esigibilità di una condotta diversa - sia che lo si voglia ricollegare alla “ratio” della colpevolezza riferendolo ai casi in cui l’agente operi in condizioni soggettive tali da non potersi da lui “umanamente” pretendere un comportamento diverso, sia che lo si voglia ricollegare alla “ratio” dell’antigiuridicità riferendolo a situazioni in cui non sembri coerente ravvisare un dovere giuridico dell’agente di uniformare la condotta al precetto penale - non può trovare collocazione e spazio al di fuori delle cause di giustificazione e delle cause di esclusione della colpevolezza espressamente codificate, in quanto le condizioni e i limiti di applicazione delle norme penali sono posti dalle norme stesse senza che sia consentito al giudice di ricercare cause ultralegali di esclusione della punibilità attraverso l’“analogia juris”.(cfr Cass. n 973 del 1993).
Ciò precisato, si rileva che il reato di cui all’articolo 50 comma secondo decreto legislativo n. 22 del 1997, ora sostituito dall’articolo 255 comma terzo decreto legislativo n. 152 del 2006, può essere punito sia a titolo di dolo che di colpa per negligenza, imprudenza, ecc - La punibilità dell’agente è esclusa solo dall’ignoranza incolpevole sull’esistenza dell’ordine ovvero dall’errore incolpevole sul contenuto dell’ordine stesso e ciò anche a seguito della nota sentenza della Corte Costituzionale n. 364 del 1988. Se invece l’errore è colposo residua una responsabilità dell’agente per colpa.
La presenza del vincolo del sequestro non impediva l’osservanza dell’ordinanza poiché il proprietario del fondo o il possessore dello stesso avrebbe potuto chiedere al giudice l’autorizzazione ad accedere al fondo per effettuare la rimozione dei rifiuti imposta con l’ordinanza sindacale. Anzi la bonifica del sito poteva costituire l’occasione per chiedere ed ottenere la definitiva restituzione del bene. Il sequestro probatorio è destinato a cessare una volta espletato l’accertamento per il quale è stato imposto il vincolo. Solo se l’autorità giudiziaria si fosse rifiutata di aderire alla richiesta dell’istante, l’inosservanza dell’ordine sarebbe stata incolpevole.
La circostanza dedotta nella memoria difensiva, secondo la quale il destinatario del provvedimento sindacale non sarebbe l’attuale imputato ma il proprio genitore Clementi Roberto, non emerge dagli atti accessibili a questa corte, ossia dalla sentenza impugnata e dai motivi di ricorso. Questa Corte ha accesso agli atti del processo solo se viene dedotta una nullità processuale ex articolo 606 lettera c) c.p.p. Dalla sentenza impugnata e dai motivi di ricorso risulta che l’imputato è stato assolto, non perché estraneo all’ordinanza sindacale o per la sua illegittimità, ma perché si è considerata l’inosservanza dell’ordine giustificata dal sequestro dell’area. Pertanto la circostanza dedotta nella memoria difensiva, implicando accertamenti di fatto preclusi a questa corte, potrà essere accertata dal giudice del merito avuto però riguardo al fatto che l’ordinanza sindacale può essere pronunciata, sia nei confronti del proprietario che di colui il quale ha la materiale disponibilità del fondo.
Alla stregua delle considerazioni svolte la sentenza impugnata va annullata con rinvio alla corte d’appello di Roma ex art 569 comma quarto c.p.p. trattandosi di ricorso per saltum.
Con sentenza del 21 giugno del 2007, il tribunale di Tivoli, sezione distaccata di Castelnuovo di Porto, assolveva Clementi Antonio dal reato di cui all’articolo 50 del decreto legislativo n. 22 del 1997, per non avere ottemperato a quanto disposto con ordinanza n. 13 del 15 ottobre del 2003 del Comune di Magliano Romano, con cui si era imposta la rimozione dei rifiuti abbandonati in un fondo di sua proprietà, per l’insussistenza del fatto.
A fondamento della decisione il tribunale osservava che non si poteva esigere dal prevenuto l’osservanza dell’ordinanza perché il fondo era stato sequestrato e perciò, se avesse dato esecuzione all’ordinanza, avrebbe commesso il reato di violazione dei sigilli.
Ricorre per cassazione il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Tivoli deducendo la violazione della norma incriminatrice per l’insussistenza di una situazione di inesigibilità della condotta.
Resiste al ricorso il prevenuto con memoria depositata il 28 febbraio del 2008.
In diritto
Il ricorso va accolto, non sussistendo alcuna causa di giustificazione legislativamente prevista.
Va premesso che l’articolo 14 del decreto legislativo n. 22 del 1997, ora sostituito dall’articolo 192 comma terzo decreto legislativo n. 152 del 2006, ha escluso in radice qualsiasi ipotesi di responsabilità a carico del proprietario o del possessore dell’area sulla quale altri hanno depositato i propri rifiuti per il semplice fatto di essere proprietario o possessore. Invero l’articolo 14 citato al terzo comma disponeva che, fatta salva l’applicazione delle sanzioni di cui agli artt. 50 e 51, chiunque avesse violato i divieti di cui ai commi 1 e 2 era tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario o con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione fosse imputabile a titolo di dolo o colpa. Quindi il proprietario o il possessore dell’area, secondo la giurisprudenza amministrativa e secondo l’orientamento di questa sezione, era ed è tenuto a bonificare l’area solo se a suo carico sia configurabile quanto meno la colpa (Cfr. Consiglio di Stato sez. V 2 aprile 2001 n 1904, Cass. sez. III 2 luglio 1997, Gargani: Cass. 23 marzo 1998 Fiacco; Cass. 1° luglio del 2002, Ponzio). Pertanto non può essere destinatario di un’ordinanza di rimessione in pristino o di rimozione ex articolo 14 citato, con sanzione penale in caso d’inosservanza, un soggetto se non viene individuato a suo carico quanto meno un profilo di colpa, per omessa recinzione del suolo, per omessa denuncia all’autorità, ecc, altrimenti si configurerebbe una responsabilità oggettiva. Nella fattispecie, poiché la legittimità dell’ordinanza non è stata contestata e non viene contestata neppure con la memoria difensiva depositata davanti a questa corte, si deve presumere che sia stata accertata quanto meno la colpa del destinatario dell’ordinanza stessa ovvero l’esistenza di una posizione di garanzia.
Si deve altresì premettere che, secondo l’orientamento espresso da questa corte, il principio della non esigibilità di una condotta diversa - sia che lo si voglia ricollegare alla “ratio” della colpevolezza riferendolo ai casi in cui l’agente operi in condizioni soggettive tali da non potersi da lui “umanamente” pretendere un comportamento diverso, sia che lo si voglia ricollegare alla “ratio” dell’antigiuridicità riferendolo a situazioni in cui non sembri coerente ravvisare un dovere giuridico dell’agente di uniformare la condotta al precetto penale - non può trovare collocazione e spazio al di fuori delle cause di giustificazione e delle cause di esclusione della colpevolezza espressamente codificate, in quanto le condizioni e i limiti di applicazione delle norme penali sono posti dalle norme stesse senza che sia consentito al giudice di ricercare cause ultralegali di esclusione della punibilità attraverso l’“analogia juris”.(cfr Cass. n 973 del 1993).
Ciò precisato, si rileva che il reato di cui all’articolo 50 comma secondo decreto legislativo n. 22 del 1997, ora sostituito dall’articolo 255 comma terzo decreto legislativo n. 152 del 2006, può essere punito sia a titolo di dolo che di colpa per negligenza, imprudenza, ecc - La punibilità dell’agente è esclusa solo dall’ignoranza incolpevole sull’esistenza dell’ordine ovvero dall’errore incolpevole sul contenuto dell’ordine stesso e ciò anche a seguito della nota sentenza della Corte Costituzionale n. 364 del 1988. Se invece l’errore è colposo residua una responsabilità dell’agente per colpa.
La presenza del vincolo del sequestro non impediva l’osservanza dell’ordinanza poiché il proprietario del fondo o il possessore dello stesso avrebbe potuto chiedere al giudice l’autorizzazione ad accedere al fondo per effettuare la rimozione dei rifiuti imposta con l’ordinanza sindacale. Anzi la bonifica del sito poteva costituire l’occasione per chiedere ed ottenere la definitiva restituzione del bene. Il sequestro probatorio è destinato a cessare una volta espletato l’accertamento per il quale è stato imposto il vincolo. Solo se l’autorità giudiziaria si fosse rifiutata di aderire alla richiesta dell’istante, l’inosservanza dell’ordine sarebbe stata incolpevole.
La circostanza dedotta nella memoria difensiva, secondo la quale il destinatario del provvedimento sindacale non sarebbe l’attuale imputato ma il proprio genitore Clementi Roberto, non emerge dagli atti accessibili a questa corte, ossia dalla sentenza impugnata e dai motivi di ricorso. Questa Corte ha accesso agli atti del processo solo se viene dedotta una nullità processuale ex articolo 606 lettera c) c.p.p. Dalla sentenza impugnata e dai motivi di ricorso risulta che l’imputato è stato assolto, non perché estraneo all’ordinanza sindacale o per la sua illegittimità, ma perché si è considerata l’inosservanza dell’ordine giustificata dal sequestro dell’area. Pertanto la circostanza dedotta nella memoria difensiva, implicando accertamenti di fatto preclusi a questa corte, potrà essere accertata dal giudice del merito avuto però riguardo al fatto che l’ordinanza sindacale può essere pronunciata, sia nei confronti del proprietario che di colui il quale ha la materiale disponibilità del fondo.
Alla stregua delle considerazioni svolte la sentenza impugnata va annullata con rinvio alla corte d’appello di Roma ex art 569 comma quarto c.p.p. trattandosi di ricorso per saltum.