Consiglio di Stato Sez. II n. 640 del 18 gennaio 2023
Sviluppo sostenibile.Artato frazionamento degli impianti

Il divieto di artato frazionamento costituisce, quindi, un principio generale dell’ordinamento (solo esemplificato per gli impianti fotovoltaici dall'art. 12 del D.M. 5.5.2011) che opera a prescindere da una espressa e puntuale previsione normativa ed è applicabile a tutti gli impianti che percepiscono incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili.

Pubblicato il 18/01/2023

N. 00640/2023REG.PROV.COLL.

N. 05254/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5254 del 2019, proposto da
Emmanuele Bianchini, rappresentato e difeso dall'avvocato Andrea Sticchi Damiani, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

contro

Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, non costituiti in giudizio;
Gestore dei Servizi Energetici – G.S.E. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Stefano Crisci e Antonio Pugliese, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato Stefano Crisci in Roma, piazza Giuseppe Verdi, n. 8;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Terza ter, n. 02877/2019, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Gestore dei Servizi Energetici – G.S.E. S.p.A.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 ottobre 2022 il Cons. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le parti gli avvocati Andrea Sticchi Damiani e Stefano Crisci;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.L’appellante ha gravato la sentenza segnata in epigrafe che ha rigettato il suo ricorso (R.G. n. 8642/2017) per l’annullamento:

- del provvedimento prot. GSE/P20170046752 del 09.06.2017 recante la conclusione del “procedimento di verifica ai sensi del DM 28 luglio 2005, dell’art. 42 del D.Lgs. 28/2011 e del DM 31.01.2014, relativo all’impianto fotovoltaico n. 850, di potenza pari a 49,98 kW, sito in via Fornace, snc, località Casalvelino Scalo, nel Comune di Castelnuovo Cilento”;

- della comunicazione di sospensione del procedimento di verifica e richiesta di integrazioni prot.

GSE/P20160075586 del 19.09.2016;

- della nota prot. GSE/P20170064482- 28/08/2017, con la quale il G.S.E. aveva comunicato gli importi degli incentivi percepiti e le relative modalità di recupero;

- nonché, per quanto occorrer possa e nei limiti fatti valere con il presente ricorso: i) del D.M. del 31 gennaio 2014 (adottato dal Ministro dello sviluppo economico); ii) del D.M. del 23 giugno 2016 (adottato dal Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali); iii) del D.M. del 5 maggio 2011 (adottato dal Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare); iv) delle Procedure applicative del D.M. 23 giugno 2016 adottate in data 15 luglio 2016 dal GSE;

- di ogni altro atto comunque connesso, presupposto o consequenziale.

2. In punto di fatto deve osservarsi che in data 28.9.2005 con istanza prot. GRTN/A2005038883 il sig. Piero Oggioni richiedevao l’ammissione alle tariffe incentivanti del I Conto per un impianto fotovoltaico da realizzarsi nel Comune di Castelnuovo Cilento (Fg. 15, p.lla 47) di potenza pari a 49,50 kW (individuato con il n. prot. 850 GRTN).

Con provvedimento del 29.12.2005 il Gestore del Sistema Elettrico – GRTN comunicava l’ammissibilità della domanda.

Con scrittura privata del 2.11.2006 il sig. Oggioni cedeva al sig. Emanuele Bianchini la titolarità del

diritto all’incentivazione relativo alla realizzazione dell’impianto in questione. Era poi formalizzata la richiesta di trasferimento del decreto di ammissione alle tariffe incentivanti e il GSEcon nota 12.12.2006 comunicava di aver provveduto alla variazione.

Il sig. Bianchini depositava una D.I.A. al Comune in data 11.1.2007 per la realizzazione dell’impianto sul terreno catastalmente identificato al F. 15 p.lla 47.

Il predetto sig. Bianchini aveva acquisito dal Sig. Pietro Oggioni anche un altro impianto, identificato dal n. 849, la cui D.I.A. recava quale sito di installazione, la p.lla 48 del Foglio 15: tale impianto tuttavia per ragioni tecniche veniva effettivamente istallato sulla p.lla 1178, originata dalla p.lla 47; di talchè entrambi gli impianti risultavano installati sulla originaria p.lla 47.

Con nota del 09.07.2008 (trasmessa a mezzo fax il 10.07.2008 – prima del riconoscimento della tariffa incentivante da parte del GSE, con comunicazione del 31.10.2009) il nuovo titolare comunicava al GSE che “ai fini dell’ottimizzazione per l’installazione dell’impianto in oggetto, è stata occupata la particella n. 1178 (frutto del frazionamento della p.lla 47, ndr) confinante con la p.lla n. 48 del medesimo foglio e indicata nel decreto originario”.

Dopo aver comunicato l’avvenuta conclusione dei lavori e l’entrata in esercizio dell’impianto, con nota prot. GSE/P20090029486 del 17.04.2009 il GSE, sempre senza nulla obiettare in merito all’utilizzo della p.lla 1178, trasmetteva la copia firmata della Convenzione per il riconoscimento delle tariffe incentivanti n. D05B02611606 ai sensi del DM 28.07.2005.

3. A distanza di circa cinque anni dalla stipula della Convenzione in data 05.03.2015 il GSE comunicava l’avvio del procedimento di verifica (prot. GSE/P20150015431) e poi con nota prot. GSE/P20160075586 del 19.09.2016 sospendeva il procedimento di verifica (e l’erogazione della tariffa incentivante) con concessione del termine per la produzione di osservazioni a fronte delle criticità rilevate, espressamente richiamando a sostegno dell’apertura del procedimento l’art. 29 del d.m. 23 giugno 2016.

Il GSE contestava che “presso lo stesso sito” sarebbero stati installati altri otto impianti di potenza prossima a 50 kW e che dall'analisi della visura catastale del sito in esame era emerso che tutti gli impianti erano stati installati sul Foglio 15, P.lla 47 (in seguito frazionata), in difformità da quanto indicato sui titoli autorizzativi relativi agli impianti nn. 846, 848, 849 e 854, che si riferivano al sito individuato al Foglio 15 e P.lla 48.

Secondo il GSE era risultato che la dichiarazione di “non aver presentato, oltre alla presente domanda ed entro la medesima scadenza di cui all'art. 7, comma 1 del D.M. 28 luglio 2005, altre domande di ammissione alle tariffe incentivanti previste dal D.M. 28 luglio 2005 relative ad impianti fotovoltaici da realizzare nel medesimo sito, anche tramite società controllate o collegate”, resa dal Sig. Oggioni Piero, in qualità di Soggetto Responsabile, nella domanda di ammissione alle tariffe incentivanti ai sensi del Decreto, non era veritiera.

Il GSE quindi riqualificava la potenza degli impianti, con la conseguenza che gli stessi:

i) avrebbero dovuto seguire la procedura di ammissione agli incentivi per impianti di potenza superiore a 50 kW;

ii) avrebbero dovuto essere assentiti con l’autorizzazione unica e non con D.I.A..

4. Il GSE, in ragione della documentazione autorizzativa presentata, avviava anche un’interlocuzione con il Comune di Castelnuovo e la Regione Campania, Enti territorialmente competenti al rilascio, al controllo e al monitoraggio delle autorizzazioni ex art. 12 del d.lgs. n. 387/2003 per verificare la correttezza dell’iter autorizzativo seguito per la realizzazione degli impianti.

Il sig. Bianchini presentava una prima nota di osservazioni parziali e richiesta di proroga del termine concesso per reperire altra documentazione (trasmessa in data 17.10.2016) e una successiva nota di osservazioni (trasmessa in data 17.11.2016).

5. Con provvedimento prot. GSE/P20170046752 del 9.6.2017 il GSE disponeva la decadenza dalle tariffe incentivanti, avendo accertato le seguenti violazioni rilevanti di cui all'Allegato 1 del D.M. 31 gennaio 2014:

- lett. a): "presentazione al GSE di dati non veritieri o di documenti falsi, mendaci o contraffatti, in relazione alla richiesta di incentivi, ovvero mancata presentazione di documenti indispensabili ai fini della verifica della ammissibilità agli incentivi”;

- lett. j): "insussistenza dei requisiti per la qualificazione dell'impianto, per l’accesso agli incentivi ovvero autorizzativi”.

Con lo stesso provvedimento di decadenza riqualificava anche la potenza dell’impianto, pari a 99,88 kW (ossia la somma degli impianti nella titolarità dell’odierno ricorrente installati “nella stessa area”) contestando:

i) l’illegittimità del titolo autorizzativo, in quanto era necessaria l’acquisizione dell’autorizzazione unica ex art. 12 del D.lgs. 387/2003, affermando che il Comune di Castelnuovo Cilento e la Regione Campania non avevano fornito alcun riscontro alla comunicazione del 19 settembre 2016, con ciò inducendo a ritenere che l’impianto non fosse debitamente autorizzato;

ii) l’assenza di elementi sufficienti per nuove e diverse valutazioni in ordine alle ulteriori difformità indicate nella comunicazione del 19 settembre 2016 (prot. GSE/P20160075586), nella quale era stato tra l’altro rappresentato che erano non veritiere la dichiarazione di “non aver presentato, oltre alla presente domanda ed entro la medesima scadenza di cui all'art. 7, comma 1 del D.M. 28 luglio 2005, altre domande di ammissione alle tariffe incentivanti previste dal D.M. 28 luglio 2005 relative ad impianti fotovoltaici da realizzare nel medesimo sito, anche tramite società controllate o collegate, resa dal Sig. Oggioni Piero, in qualità di Soggetto Responsabile, nella domanda di ammissione alle tariffe incentivanti e la dichiarazione del soggetto cessionario di non aver acquisito o di non aver chiesto di acquisire i diritti all'incentivazione da altri soggetti responsabili che siano stati ammessi ai benefici dell'incentivazione - ai sensi del D.M. 28 luglio 2005 e successive modifiche e integrazioni - a seguito di domande d'ammissione presentate nel medesimo trimestre e per impianti da costruire nel medesimo sito oggetto del presente trasferimento di titolarità”;

iii) la violazione delle regole di accesso agli incentivi, non avendo il sig. Oggioni partecipato alla procedura competitiva di cui all’art. 7, comma 3, del I Conto e versato la cauzione correlata alla realizzazione dell’impianto.

Seguiva la nota prot. GSE/P20170064482-28/08/2017 con la quale venivano quantificate le somme percepite a titolo di tariffa incentivante, intimandosene la restituzione entro il termine di 30 giorni.

6. Il Sig. Bianchini impugnava tali provvedimenti dinanzi al T.A.R. Lazio, lamentando:

i) l’illegittima applicazione retroattiva dell’art. 29 del d.m. 23.6.2016 con cui era stata introdotta per la prima volta la fattispecie dell’artato frazionamento dell’impianto;

ii) l’assenza di una base normativa a fondamento del potere di decadenza esercitato dal GSE;

iii) l’illegittimità della riqualificazione della potenza dell’impianto che si traduceva in una indebita disapplicazione del titolo autorizzativo, tanto più che gli enti competenti non avevano mai esercitato poteri di autotutela e anzi avevano espressamente confermato la perdurante validità ed efficacia della D.I.A.;

iv) la violazione dei principi che governano l’esercizio del potere di autotutela;

v) l’infondatezza in fatto e in diritto delle contestazioni svolte dal Gestore;

vi) in via subordinata, l’illegittimità del provvedimento di decadenza per violazione del principio di proporzionalità in quanto il GSE avrebbe al più potuto disporre lo slittamento al II Conto Energia.

Con successivo ricorso per motivi aggiunti il ricorrente censurava il provvedimento di decadenza alla luce della sopravvenienza normativa di cui all’art. 1, comma 960, della legge n. 205/2017 (che aveva precluso al Gestore di adottare provvedimenti di decadenza).

7. L’adito T.A.R. Lazio con la sentenza segnata in epigrafe rigettato il ricorso.

8. L’interessato ha impugnato la suddetta sentenza chiedendone la riforma per i seguenti motivi:

1. Illegittimità della sentenza in relazione al primo e terzo motivo del ricorso introduttivo. Omessa pronuncia. Manifesto deficit istruttorio. Incompetenza del gestore a sindacare i titoli autorizzativi.

Secondo l’appellante l’operato del GSE, secondo cui l’impianto doveva considerarsi in modo unitario con un altro impianto di sua titolarità, e il soggetto responsabile avrebbe dovuto presentare una richiesta di incentivazione ai sensi dell’art. 7, comma 1, del Decreto relativamente all’unico impianto di potenza complessiva pari a 99,88 kW (somma delle potenze degli impianti nn. 849 e 850)”, avrebbe dato luogo a un non consentito sindacato sul titolo autorizzativo per la realizzazione dell’impianto senza neppure tener conto che il Comune competente aveva confermato la piena validità ed efficacia della DIA.

La sentenza sarebbe poi errata nella parte in cui aveva affermato che “Inoltre, come già più volte affermato dalla giurisprudenza della sezione (cfr. 2355/2018), ai soli fini della concessione delle incentivazioni, il GSE è autorizzato dalla legge ad effettuare tutte le opportune ed adeguate verifiche sia tecniche che amministrative, tra cui rientra anche quella relativa alla idoneità del titolo edilizio” asserendo altresì che il medesimo GSE “ha correttamente ritenuto che agli stessi avrebbe dovuto trovare applicazione il procedimento unico di cui all’art. 12 del d.lgs. 387/2003” (p. 21 Sentenza): infatti il GSE non avrebbe un così penetrante potere di verifica del titolo autorizzatorio dell’impianto, in quanto il controllo sarebbe di carattere meramente formale, ossia di verifica della sussistenza del titolo, non potendosi spingere sino alla verifica della legittimità dello stesso a pena di stravolgimento del riparto di competenza fissato dal legislatore (Cons. Stato n. 2859 del 14.5.2018 e n. 2085 del 29 marzo 2019).

In definitiva il T.A.R. non avrebbe rilevato che il provvedimento del GSE sarebbe stato viziato da un lato per eccesso di potere, essendo stato affermato un fatto (il mancato riscontro degli enti competenti) incontrovertibilmente non corrispondente al vero; dall’altro per aver il GSE sostituito le proprie valutazioni a quelle spettanti in via esclusiva alle amministrazioni territoriali di riferimento;

2. Illegittimità della sentenza in relazione al secondo motivo del ricorso introduttivo. Difetto di base normativa. Violazione del principio di irretroattività degli atti normativi e regolamentari.

Secondo l’appellante il T.A.R. avrebbe erroneamente respinto la censura di violazione e applicazione retroattiva dell’art. 42 del d.lgs. n. 28 del 2011, del d.m. 31.1.2014 in materia di controlli e dell’art. 29 del d.m. 23.6.2016 (Frazionamento della potenza degli impianti), peraltro richiamato nell’atto di avvio del procedimento, ma non nella parte motiva del provvedimento di decadenza.

L’appellante ha dedotto inoltre l’inapplicabilità dell’art. 12, comma 5, del d.m. 5.5.2011 che per la prima volta aveva introdotto una fictio di unicità degli impianti nell’ambito del fotovoltaico, agli impianti in questione entrati in esercizio nell’anno 2009. Ciò senza contare che in ogni caso la predetta disposizione non attribuiva espressamente al GSE il potere di comminare la decadenza nell’ipotesi di violazione della fictio di “presunzione di unicità dell’impianto”.

Sotto tale profilo il GSE avrebbe quindi violato anche l’art. 1 del 1° Protocollo addizionale alla CEDU (tutela della proprietà), che attrae nel suo alveo tutti i diritti patrimoniali, ivi compresi i crediti (Corte EDU, Maurice c. Francia, n. 11810 del 2003), e che, secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, va interpretato nel senso che l’aspettativa ingenerata dallo Stato sulla effettiva spettanza del “bene” è idonea a configurare, laddove a distanza di tempo venga adottata una determinazione di segno contrario, una vera e propria espropriazione (Corte EDU, Beieler c. Italia, 5 gennaio 2000, Ricorso n. 33202/96).

Inoltre il riconoscimento della natura retroattiva evidenzierebbe l’incostituzionalità per le stesse ragioni dell’art. 42, del d.lgs. n. 28 del 2011 (imponendo al Giudice amministrativo di sollevare la q.l.c., per violazione dell’art. 117, comma 1, Cost.) e illegittimi, a cascata, il d.m. 31.1.2014, l’art. 12 del d.m. 5.5.2011 e l’art. 29 del d.m. 23.6.2016;

3. Illegittimità della sentenza impugnata in relazione al terzo motivo del ricorso introduttivo. Insussistenza delle “violazioni rilevanti” contestate dal GSE.

L’appellante lamenta l’erroneità della sentenza per aver rigettato la censura di insussistenza delle violazioni rilevanti contestate dal GSE (anche a ritenere applicabile il d.m. 31.1.2014), contestandi che non vi sarebbe stato alcun artato frazionamento di impianti e l’elusione degli adempimenti previsti dal I Conto.

Secondo l’appellante il T.A.R. non avrebbe considerato che gli interessati non avevano mai celato l’effettivo stato di fatto, avviando persino il procedimento conferenziale per il rilascio dell’AU e che gli impianti in questione erano dotati di un distinto codice POD e punto di connessione.

L’appellante ha poi sottolineato di essere subentrato soltanto in un momento successivo al riconoscimento della spettanza del diritto agli incentivi ai sensi del richiamato art. 7, comma 7, del Decreto e di non poter essere chiamato a rispondere di un intento elusivo posto in essere da altri e rispetto era comunque del tutto estraneo.

Quanto al preteso mancato versamento della cauzione richiesta dall’art. 7 del d.m. 28.7.2005 e dalla delibera n. 188/05, essa era “costituita a titolo di penale in caso di mancata realizzazione dell’impianto nei termini conclusivi di cui all’art. 8, comma 3, nonché di mancato rispetto dei termini per l’entrata in esercizio dell’impianto medesimo, di cui all’art. 8, comma 4” (art. 7, comma 9); sarebbe pertanto irragionevole, secondo l’appellante, contestargli l’elusione di una previsione che in concreto era priva di effetti. Erroneamente, sempre secondo l’appellante, la sentenza avrebbe rigettato le censure appuntate al provvedimento di decadenza per la non veridicità delle dichiarazioni rese dal titolare dell’impianto e dal suo dante causa, rilevando che tali dichiarazioni avrebbero dovuto essere valutate tenendo in considerazione lo stato di fatto e di diritto del momento in cui erano state rese.

Sulla questione dell’assenza dell’autorizzazione unica l’appellante ha osservato che il progetto dell’impianto fotovoltaico era stato presentato dall’originario istante alla Regione Campania con istanza di rilascio dell’Autorizzazione Unica e che proprio la Regione Campania all’esito del procedimento aveva confermato che la competenza spettava alle amministrazioni comunali, escludendo così la necessità dell’autorizzazione unica.

L’Amministrazione comunale competente da parte sua aveva confermato la piena validità ed efficacia della DIA;

4. Illegittimità della sentenza impugnata in relazione al quarto motivo del ricorso introduttivo. Violazione dei principi che governano l’esercizio del potere di autotutela.

L’appellante ha dedotto rileva l’erroneità per aver disatteso il quarto motivo di censura del ricorso introduttivo, rilevando che “relativamente alla dedotta violazione dei principi disciplinanti i cd. “poteri di autotutela” della P.A., la giurisprudenza amministrativa è notoriamente ferma nel ritenere che l’attività di verifica svolta dal GSE ai sensi dell’art. 42 d.lgs. 28/2011 non sia riconducibile ad un’ipotesi di annullamento d’ufficio di cui all’art. 21-nonies l. n. 241/90, ma è espressiva, come già detto, di un potere immanente di verifica della spettanza dei benefici erogati dal Gestore” (p. 23 della sentenza).

A suo avviso una simile conclusione poteva ritenersi corretto solo nelle ipotesi in cui il GSE ravvisasse un’irregolarità accertata all’esito di un controllo a campione rispetto a circostanze non preventivamente valutate, non essendo al contrario ammissibile in tutti quei casi in cui l’operato del Gestore si fosse risolto in una mera rivalutazione dei medesimi dati e dei documenti già positivamente apprezzato in occasione dell’atto di ammissione agli incentivi.

In subordine, l’appellante ha chiesto di rimettere tale questione all’Adunanza plenaria, avendo essa dato luogo a contrasti giurisprudenziali.

Sotto altro profilo l’appellante ha sottolineato la lesione del legittimo affidamento ingenerato dal GSE nell’arco degli ultimi 10 anni, lesione che configurava una violazione del diritto di proprietà della medesima, come tutelato dall’art. 1, del 1° protocollo addizionale alla CEDU che comprende qualunque diritto avente un valore patrimoniale, ivi compresi i crediti, o non patrimoniale, indipendentemente dalla qualificazione della posizione giuridica dell’interessato alla stregua di interesse legittimo o di diritto soggettivo;

5. In via subordinata. Illegittimità della sentenza impugnata in relazione al quinto motivo del ricorso introduttivo. Violazione del principio di proporzionalità. Mancato riconoscimento delle tariffe incentivanti del II conto energia.

Ad avviso dell’appellante la sentenza sarebbe errata anche quanto al rigetto del quinto motivo di censura del ricorso introduttivo, con cui era stato chiesto, in via subordinata, di annullare il provvedimento di decadenza per violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza – che trovano fondamento nella costituzione e nei principi dell’ordinamento dell’Unione Europea – per avere il GSE omesso di valutare la possibilità di disporre l’ammissione dell’impianto alle tariffe del II Conto Energia (ossia al D.M. 19.2.2007). Infatti il Gestore aveva disposto la più grave delle sanzioni, senza prendere in considerazione la misura adeguata rispetto al fine perseguito (c.d. principio del minimo mezzo), costituito nella specie dal d.m. 19.2.2007 che, a differenza del d.m. 28.7.2005, non prevede alcuna distinzione di potenza degli impianti, né diverse modalità di accesso agli incentivi (registro GSE piuttosto che asta a ribasso), né tantomeno il versamento di una cauzione a garanzia dell’entrata in esercizio degli impianti stessi;

6. In via subordinata, illegittimità della sentenza in relazione al ricorso per motivi aggiunti.

L’appellante si è lamentato del mancato accoglimento della censura inerente all’illegittimità degli atti impugnati anche alla luce di quanto previsto dall’art. 1, comma 960, della legge n. 205/2017, che ha modificato il comma 3 dell’art. 42 del D.Lgs. 03/03/2011, n. 28, che ha escluso, dall’ambito dei poteri attribuiti al GSE, quello di disporre la decadenza tout court dalle tariffe incentivanti, ammettendo unicamente, in omaggio al principio di proporzionalità, la possibilità di disporre una rimodulazione della tariffa tra il 20% e l’80% al fine di salvaguardare la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile, la cui implementazione è oggetto, come noto, di un obbligo internazionale recepito in sede eurounitaria.

7. Si è costituito in giudizio il Gestore dei Servizi Energetici - GSE S.p.a. resistendo all’appello.

8. L’appellante con apposita memoria ha evidenziato come il testo del comma 3 dell’art. 42 del D.Lgs. 03/03/2011, n. 28, è stato modificato dall’art. 1, comma 960, lett. a) della legge n. 205/2017, con l’introduzione dell’inciso secondo cui “al fine di salvaguardare la produzione di energia da fonti rinnovabili, l’energia termica e il risparmio energetico, conseguente agli interventi di efficientamento, degli impianti che al momento dell’accertamento della violazione percepiscono incentivi, il GSE dispone la decurtazione dell'incentivo in misura ricompresa fra il 10 e il 50 per cento in ragione dell’entità della violazione”.

L’art. 13-bis, comma 2, del d.l. n. 101/2019, convertito in legge n. 128/2019, ha chiarito che la sopra riportata previsione ha natura retroattiva applicandosi “agli impianti realizzati e in esercizio oggetto di procedimenti amministrativi in corso e, su richiesta dell’interessato, a quelli definiti con provvedimenti del Gestore dei servizi energetici (GSE) di decadenza dagli incentivi, oggetto di procedimenti giurisdizionali pendenti nonché di quelli non definiti con sentenza passata in giudicato”.

9. Nelle more del giudizio di appello l’appellante in data 1.9.2020 ha presentato istanza di riesame ai sensi della sopravvenuta novella all’art. 42 D. Lgs. 23/2011, di cui all’art. 56, comma 8, del D.L. 76/2020; istanza respinta con provvedimento prot. GSE/P20210011948 del 22.4.2021 di rigetto, confermativo dei provvedimenti del 12 giugno 2017 (prot. GSE/P20170046750 e prot. GSE/P20170046752), che l’odierna appellante ha impugnato con autonomo ricorso innanzi al T.A.R. Lazio, iscritto al n. R.G. 6611/2021.

Alla luce di quest’ultima circostanza il GSE ha eccepito l’improcedibilità dell’appello per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto la statuizione amministrativa a fondamento del presente appello sarebbe stata superata dal nuovo provvedimento emesso del GSE.

L’appello è stato trattenuto in decisione all’udienza pubblica dell’11.10.2022.

DIRITTO

1. In via preliminare deve rilevarsi l’infondatezza dell’eccezione di improcedibilità formulata dal GSE in seguito al rigetto dell’istanza di riesame proposta, ex art. 56, commi 7 e 8 del D.L. n. 76 del 2020 convertito in Legge n. 120 del 2020, ai sensi dei quali “7… All'articolo 42 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, sono apportare le seguenti modificazioni:… a) al comma 3, dopo le parole "Nel caso in cui le violazioni riscontrate nell'ambito dei controlli di cui ai commi 1 e 2 siano rilevanti ai fini dell'erogazione degli incentivi, il GSE" sono aggiunte le seguenti: "in presenza dei presupposti di cui all'articolo 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241… 8. Le disposizioni di cui al comma 7 si applicano anche ai progetti di efficienza energetica oggetto di procedimenti amministrativi di annullamento d'ufficio in corso e, su richiesta dell'interessato, a quelli definiti con provvedimenti del GSE di decadenza dagli incentivi, oggetto di procedimenti giurisdizionali pendenti nonché di quelli non definiti con sentenza passata in giudicato alla data di entrata in vigore del presente decreto-legge…".

In via generale l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse presuppone il sopravvenuto mutamento, in pendenza di giudizio, dell'assetto di interessi attuato tra le parti, in maniera da impedire la realizzazione dell'interesse sostanziale sotteso al ricorso, rendendo inutile la prosecuzione del giudizio per l'impossibilità sopravvenuta del conseguimento del bene della vita ambito dal ricorrente (cfr. Cons. Stato, sez. II, 29 gennaio 2020, n. 742).

Con specifico riferimento all’adozione di nuovi provvedimenti in pendenza del giudizio, è stato precisato (Cons. Stato, sez. VI, 15 gennaio 2018, n. 195) che l´improcedibilità del ricorso può verificarsi soltanto qualora:

a) il rapporto giuridico sotteso all´impugnato provvedimento sia oggetto, in pendenza di giudizio, di una nuova regolazione intervenuta in via amministrativa, sostitutiva dell’assetto di interessi attuato con l’originario provvedimento;

b) l´atto impugnato abbia di conseguenza esaurito la propria efficacia, non risultando più idoneo a conformare il rapporto amministrativo in contestazione.

L'adozione di un nuovo provvedimento, ostativo alla realizzazione della pretesa sostanziale azionata in giudizio in particolare è idonea a integrare una causa di improcedibilità del ricorso soltanto qualora l’atto sopravvenuto non sia meramente confermativo del provvedimento impugnato (originariamente assunto), ma rappresenti una rinnovata manifestazione della volontà dispositiva dell’Amministrazione procedente, resa all’esito di una nuova istruttoria e sulla base di un arricchito apparato motivazionale.

In tali ipotesi l´interesse del ricorrente si trasferisce dall´annullamento dell´atto originariamente impugnato all’annullamento dell'atto sopravvenuto, con conseguente improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse del ricorso, ormai rivolto contro un provvedimento non più efficace e dunque non più lesivo, in quanto sostituito ex tunc nella regolazione del rapporto sostanziale.

Nel caso in esame si deve escludere che l’atto di rigetto del GSE dell’istanza di riesame del provvedimento impugnato integri un autentico provvedimento di conferma in senso proprio, sostitutivo della determinazione impugnata in prime cure.

Invero si è in presenza di un nuovo provvedimento con cui il GSE, pure richiamando i fatti alla base del provvedimento impugnato in prime cure e l’andamento del giudizio contro lo stesso introdotto dall’operatore economico – al riguardo, valorizzando la prevalenza dell’interesse pubblico al corretto e razionale utilizzo delle risorse della collettività sull’interesse privato alla percezione di incentivi indebiti (peraltro riscossi da un operatore in favore del quale non avrebbe potuto riscontrarsi una posizione di legittimo affidamento per asserita carenza del requisito della buona fede) - ha rilevato che dalla lettura del D.L. n. 76/2020 non si rinvenivano elementi idonei a consentire un’applicazione retroattiva dell’inciso introdotto all’art. 42, comma 3, primo periodo del D. Lgs. n. 28/2011, riguardante il rispetto dei presupposti di cui all'articolo 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Con il provvedimento di rigetto pertanto il GSE, anziché rivalutare la situazione sostanziale originaria all’esito di una nuova istruttoria e sulla base di una nuova motivazione riferite alla legittimità dell’atto originariamente assunto, ha negato l’integrazione dei (sopravvenuti) presupposti di applicazione dell’art. 42, comma 3, D. Lgs. n. 28/2011, come modificato dall’art. 56, commi 7 e 8, D.L. n. 76 del 2020 convertito in Legge n. 120 del 2020.

Ai sensi di tali previsioni le imprese destinatarie di provvedimenti del GSE di decadenza dagli incentivi ancora sub iudice al momento di entrata in vigore del D.L. 16 luglio 2020, n. 76 potevano presentare apposita richiesta, volta a consentire l’applicazione, a regolazione del rapporto sostanziale, dello ius superveniens, come recato dall’art. 56, comma 7.

Il GSE, pronunciando sull’istanza ex art. 56, comma 8, D.L. n. 76/20, non è stato chiamato a scrutinare la legittimità del provvedimento di decadenza per cui è causa, possibile alla stregua del principio del tempus regit actum, soltanto tenendo conto dello stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione, bensì è stato investito di una diversa questione, relativa cioè alla sussistenza dei (peculiari) presupposti delineati dallo ius superveniens (art. 42, comma 3, D. Lgs. n. 28/2011, come modificato dall’art. 56, comma 7, D.L. n. 76/2020 convertito in Legge n. 120 del 2020), ai fini di una diversa regolazione del rapporto sostanziale.

In tali ipotesi - in cui non si fa questione del riesame di un precedente provvedimento al fine di valutarne l’originaria legittimità, ma di una verifica di nuovi e diversi presupposti idonei a giustificare una differente regolazione del rapporto amministrativo – a prescindere dal nomen iuris in concreto utilizzato (non vincolante l’interprete nella qualificazione degli atti giuridici), si assiste:

- in caso di accoglimento dell’istanza di parte, al ritiro dell’originario provvedimento con la sostituzione dell’assetto di interessi ivi divisato con una nuova regolazione definita in via amministrativa, in applicazione della disciplina sopravvenuta in costanza di rapporto; ciò determinando, in caso di realizzazione della pretesa sostanziale sottesa all’originaria azione giudiziaria, la cessazione della materia del contendere in relazione al giudizio inter partes pendente;

- in caso di rigetto dell’istanza di parte, alla (sola) negazione dei nuovi e diversi presupposti delineati dallo ius superveniens.

Rigettando l’istanza ex art. 56, comma 8, D.L. n. 76/2020 convertito in Legge n. 120 del 2020 dunque si impedisce la modifica (in senso favorevole all’istante) del rapporto sostanziale in ragione dell’insussistenza dei presupposti di applicazione della disciplina sopravvenuta, ma non si conferma la legittimità del provvedimento di decadenza all’esito di un riesame dello stato di fatto e di diritto originario – esistente al tempo della sua adozione - , con la conseguenza che tale ultimo atto non viene sostituito, continuando a conformare l’assetto di interessi divisato tra le parti.

In definitiva, persistendo un provvedimento lesivo efficace, fonte di regolazione del rapporto sostanziale, non può ravvisarsi una sopravvenuta carenza di interesse al suo annullamento, permanendo in capo all’operatore economico la possibilità di trarre un’utilità concreta da una sentenza di accoglimento dell’impugnazione, data dalla rimozione di un atto lesivo (di decadenza), ostativo alla conservazione degli incentivi economici per cui è causa.

2. Nel merito l’appello è infondato.

3. Il provvedimento di decadenza si presenta come atto plurimotivato, in particolare giustificato da quattro differenti circostanze, più dettagliatamente indicate nella parte in fatto, di per sé autonome a giustificarne l’adozione, salvo quanto verrà specificato in seguito:

- la necessità, quale titolo abilitativo, dell’autorizzazione unica ai sensi dell’art. 12 del D.lgs. 387/2003, non essendo sufficiente la D.I.A.;

- la presentazione di dichiarazioni non veritiere sia da parte dell’originario titolare nella domanda di ammissione alle tariffe incentivanti (di “non aver presentato, oltre alla presente domanda ed entro la medesima scadenza di cui all'art. 7, comma 1 del D.M. 28 luglio 2005, altre domande di ammissione alle tariffe incentivanti previste dal D.M. 28 luglio 2005 relative ad impianti fotovoltaici da realizzare nel medesimo sito, anche tramite società controllate o collegate”), sia dal soggetto cessionario (di non aver acquisito o di non aver chiesto di acquisire i diritti all'incentivazione da altri soggetti responsabili che siano stati ammessi ai benefici dell'incentivazione a seguito di domande d'ammissione presentate nel medesimo trimestre e per impianti da costruire nel medesimo sito oggetto del presente trasferimento di titolarità);

- la mancata partecipazione alla procedura competitiva di cui all’art. 7, comma 3, del I Conto;

- il mancato versato della cauzione correlata alla realizzazione dell’impianto.

In sostanza il provvedimento di decadenza ha rilevato un duplice profilo di violazioni rilevanti di cui all’allegato 1 del D.M. 31 gennaio 2014: - “presentazione al GSE di dati non veritieri o di documenti falsi, mendaci o contraffatti in relazione alla richiesta di incentivi, ovvero mancata presentazione di documenti indispensabili ai fini della verifica della ammissibilità degli incentivi”; - insussistenza dei requisiti per la qualificazione dell’impianto, per l’accesso agli incentivi ovvero autorizzativi”.

Il presupposto di fatto che sorregge tutte le rilevate motivazioni di decadenza è l’artato frazionamento di un impianto unitario in due impianti al fine di conseguire i vantaggi derivanti - in termini non solo di maggiori incentivi, ma anche di semplificazione autorizzatoria – dal possesso di più impianti fotovoltaici di potenza inferiore a 50 kW, piuttosto che un solo impianto di potenza superiore alla suddetta soglia.

Altri profili, logicamente connessi, che assumono valenza in sede di scrutinio sono la rilevanza giuridica dell’artato frazionamento, la sussistenza del potere del GSE di rilevarlo e di comminare la decadenza, anche in relazione alla normativa applicabile ratione temporis.

Vanno pertanto esaminati in tale ottica i motivi di appello anche tenendo presente:

- che in caso di atto c.d. plurimotivato, “è sufficiente la legittimità di una sola delle giustificazioni per sorreggere l'atto in sede giurisdizionale" (ex multis cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 17 settembre 2019, n. 6190): anche in caso di fondatezza degli ulteriori motivi di doglianza, riferiti alle distinte rationes decidendi poste a fondamento del provvedimento amministrativo, quest’ultimo non potrebbe comunque essere annullato in quanto sorretto da un'autonoma ragione giustificatrice confermata in sede giurisdizionale;

- la possibilità da parte del giudice, per ragioni di economia processuale, priorità logica e chiarezza espositiva di procedere all’esame degli stessi in un ordine diverso rispetto a quello proposto dall’appellante e di decidere la controversia secondo il “principio della ragione più liquida”, corollario del già indicato principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5 gennaio 2015 n. 5 nonché Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014 n. 26242).

4. Tanto premesso, passando all’esame del merito non vi è motivo di discostarsi dall’indirizzo giurisprudenziale formatosi su questioni analoghe a quelle di specie (cfr. Cons. Stato, sez. II, 4 aprile 2022, n. 2484, 2485, 2486, 2487, 2488, 2490, 2491, 2492, 2493, 2494, 2495, 2496, 2497, 2499, 2500, 2501; 5 aprile 2022, n. 2536; 14 aprile 2022, n. 2743, 2744, 2745, 2746, 2747, 20 aprile 2022, n. 2992, n. 2993), da intendersi richiamate anche ai sensi dell’art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a..

5. Deve essere in primo luogo esaminata la questione concernente l’esistenza del potere del GSE di dichiarare la decadenza. Deve rilevarsi che il fondamento normativo di tale potere si rinviene nell’art. 42, comma 3, D.Lgs. n. 28/2011 - richiamato nel provvedimento impugnato - costituente la disciplina ratione temporis applicabile alla specie, in quanto vigente non soltanto al momento di adozione del provvedimento, ma anche di avvio del procedimento di decadenza, con conseguenziale infondatezza della tesi circa una applicazione retroattiva.

Al riguardo si osserva infatti che il procedimento di verifica dei requisiti per le tariffe incentivati è stato avviato in data 5.3.2015, come risulta dalla relativa comunicazione di avvio del procedimento (prot. GSE/P20150015431), ossia in data successiva all’entrata in vigore del D. Lgs. n. 28 del 2011 (cfr. art 47 D. Lgs. n. 28/2011) e del D.M. 31 gennaio 2014, che disciplinano i poteri di controllo, verifica e decadenza del GSE.

La pretesa inapplicabilità temporale non può trovare fondamento negli artt. 24 e 25 D. Lgs. n. 28/2011, trattandosi di previsioni che si riferiscono esclusivamente ai meccanismi di incentivazione (disciplinati dai successivi Quarto e Quinto Conto Energia) e non ai poteri di verifica, controllo e decadenza del soggetto attuatore.

L’art. 25, comma 9, inoltre, si limita a prevedere che le disposizioni del D.M. 6 agosto 2010 (Terzo Conto Energia) si applicano alla produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici che entrino in esercizio entro il 31 maggio 2011.

Non può neppure invocarsi la giurisprudenza formatasi sull’inapplicabilità del richiamato decreto legislativo n. 28/2011 a impianti entrati in esercizio prima della data 31 maggio 2011, in quanto priva nel caso di specie di rilevanza, afferendo, come indicato, all’applicazione delle meno favorevoli tariffe incentivanti previste dal Quarto Conto Energia agli impianti autorizzati durante la vigenza del Terzo Conto Energia ed entrati in esercizio dopo la data del 31 maggio 2011 prevista dall’art 25, comma 9, D.Lgs. n. 28/2011 (Cons. Stato, sez. VI 3 marzo 2015, n. 1043).

Si tratta pertanto di un aspetto irrilevante rispetto al procedimento di verifica e decadenza di cui si discute.

Né è possibile sovrapporre e confondere il procedimento di ammissione alle tariffe incentivanti, concluso con l’ammissione all’incentivo, con il procedimento di verifica e decadenza avviato dal GSE in data 5.3.2015 e concluso con il provvedimento del 9.6.2017, che ha disposto la decadenza di cui è causa.

Ne discende che l’esercizio dei poteri di verifica e decadenza non rappresenta un’illegittima applicazione retroattiva dell’art 42 D.Lgs. n. 28/2011, ma una coerente esplicazione del principio tempus regit actum in quanto il procedimento ha avuto inizio e si è concluso successivamente all’entrata in vigore della nuova normativa.

Ciò consente di assorbire per difetto di interesse le censure (sostanziali e procedimentali) riguardanti l’illegittimità della delibera n. 188/05 nella parte in cui, nel regolare la decadenza dal diritto degli incentivi de quibus, attribuiva il relativo potere al GSE, non potendo in ogni caso l’appellante non potrebbe ricavare alcuna utilità concreta dall’accoglimento di tali doglianze, discendendo il potere di decadenza, esercitato con il provvedimento impugnato in prime cure, da una disciplina (combinato disposto dell’art 42 D.Lgs. 28/2011 e del D.M. 31 gennaio 2014), vigente al momento di avvio del procedimento di decadenza, non attinta da una eventuale sentenza di annullamento della delibera n. 188/05.

In ogni caso, con intento di completezza, si osserva che la delibera n. 188/05 non avrebbe potuto comunque ritenersi illegittima per difetto di attribuzione dell’Autorità, trovando un tale atto giustificazione nel delineato quadro normativo.

L’art. 7 del D.Lgs. n. 387/2003 (oggi abrogato dall’art. 25, comma 11, lett. b, n. 3, D.Lgs. 3 marzo 2011, n. 28) demandava invero ad appositi decreti ministeriali la definizione dei criteri per l’incentivazione della produzione di energia elettrica, ivi compresa la fissazione dei requisiti soggettivi, di quelli tecnici minimi dei componenti e degli impianti, delle condizioni di cumulabilità con altri incentivi e delle modalità di determinazione della tariffa incentivante.

In attuazione di tale disciplina l’art. 9 D.M. 28 luglio 2005 affidava all’Autorità di regolazione l’individuazione del soggetto erogatore delle tariffe incentivanti, delle modalità e delle condizioni di erogazione, “ivi inclusa la verifica del rispetto delle disposizioni degli articoli 4 e 10, tenuto conto di quanto disposto agli articoli 12 e 13”.

L’Autorità per l’energia elettrica e il gas con delibera AEEG n. 188/2005 ha individuato nel GSE il soggetto erogatore delle tariffe, a cui competono anche poteri di verifica dei requisiti di ammissione, prevedendo che l’esisto negativo della verifica avrebbe comportato la non ammissione alle tariffe incentivanti, la decadenza dalle tariffe incentivanti già ammesse o l’obbligo di restituzione delle tariffe già percepite (art. 6 punto 6.7 della delibera).

Tra le modalità e le condizioni per l’erogazione del beneficio, che l’art. 7 del D.Lgs. n. 387/2003 demandava alla fonte secondaria, era logicamente compresa anche la verifica in concreto dei requisiti, soggettivi e oggettivi, per l’incentivazione, in assenza dei quali il beneficio non avrebbe potuto essere erogato o, se erogato, avrebbe dovuto essere recuperato, secondo le regole generali della ripetizione dell’indebito.

Il potere di concessione di benefici economici non poteva, infatti, essere dissociato dal potere di verifica della ricorrenza dei presupposti e dei requisiti a cui la legge subordina l’erogazione, con il corollario della non ammissione, della decadenza e del recupero delle somme in caso di esito negativo della verifica.

A ragionare diversamente infatti sarebbe stata frustrata l’intera finalità del D.Lgs. n. 387/2003, unitamente al principio di derivazione comunitaria della massima diffusione degli impianti di energia a fonte rinnovabili (direttiva 2001/77/CE e direttiva 2009/28/CE), in quanto si sarebbe consentita la percezione e il mantenimento degli incentivi anche in assenza dei requisiti soggettivi o per impianti inidonei, a discapito di altri aventi diritto e, in definitiva, dell’intera collettività a carico della quale sono posti gli extracosti per incentivi nell’ambito degli oneri di sistema dell’energia elettrica.

Il provvedimento di decadenza è pertanto un atto vincolato di natura accertativa dell'assodata mancanza dei requisiti condizionanti l'ammissione al finanziamento pubblico (Cons. Stato, sez. IV, 12 gennaio 2017, n. 50; 15 ottobre 2020, n. 6241).

Il potere di verifica e di conseguente decadenza è dunque strumentale al potere di ammissione al finanziamento, con la conseguenza che il riconoscimento del primo è inscindibilmente connesso all’attribuzione del secondo, anche in coerenza con la teoria dei poteri impliciti, elaborata in relazione alle Autorità indipendenti (Cons. Stato, sez. VI, 14 dicembre 2020 n. 7972, id. 4 febbraio 2020 n. 879).

Pur non essendo disciplinato in maniera puntuale dalla normativa previgente all’art. 42, comma 3, D.Lgs. n. 28/2011 (si ripete, ratione temporis applicabile alla specie), il potere esercitato dal GSE non è sfornito di base positiva, in quanto era proprio la legge a demandare all’Autorità di settore la definizione nel dettaglio dei meccanismi incentivanti, l’individuazione del soggetto attuatore, la determinazione delle modalità di ammissione, di verifica e di conseguente decadenza.

Con l’art 42, comma 3, D.Lgs. n. 28/2011 non è stato attribuito al GSE un potere prima inesistente, ma è stato disciplinato in maniera più puntuale un potere di cui il gestore era già titolare.

Né può argomentarsi diversamente sulla base del riferimento, contenuto nell’art. 9 comma 2 D.M. 28 luglio 2005, alla “verifica del rispetto delle disposizioni degli articoli 4 e 10, tenuto conto di quanto disposto agli articoli 12 e 13”, ritenendo che l’Autorità di settore fosse abilitata a regolare il solo potere di verifica riferito alla ricorrenza delle condizioni previste dagli artt. 4 e 10, inconferenti rispetto al caso di specie.

L’art. 9, comma 2, infatti, aveva attribuito all’Autorità il potere di definire le “modalità e le condizioni per l’erogazione”, precisando che in tale ampio potere era “inclusa la verifica del rispetto delle disposizioni degli articoli 4 e 10…”, con la conseguenza che tale specifica attività di verifica non esauriva l’oggetto del potere di regolazione all’uopo conferito, ma rappresentava uno degli ambiti da disciplinare, costituendo una materia riconducibile (“inclusa”) alle modalità e alle condizioni per l’erogazione: trova conferma così che la locuzione “modalità e .. condizioni per l’erogazione” era riferibile non soltanto alle regole da rispettare all’atto del pagamento dell’incentivo, ma anche a quelle da osservare ex post, nella verifica della correttezza dell’erogazione, non potendo consolidarsi in capo all’accipiens un pagamento indebitamente erogato, in assenza dei presupposti idonei a giustificare il relativo spostamento patrimoniale.

Tale potere regolatorio è stato correttamente esercitato attraverso l’emanazione della delibera n. 188/05, il cui art. 6 ha previsto da un lato, il potere del soggetto attuatore di eseguire “verifiche sugli impianti fotovoltaici in esercizio che percepiscono le “tariffe incentivanti”…” (punto 6.3), dall’altro, in caso di esito negativo delle verifiche, “la restituzione delle “tariffe incentivanti”, maggiorate degli interessi legali, percepite a partire dalla data della precedente verifica, ai sensi del comma 6.3, con esito positivo o, in mancanza, dalla data di entrata in esercizio dell’impianto, oltre a qualunque azione legale e segnalazione che il soggetto attuatore ritenga opportuna” (punto 6.7, lett. c).

Parimenti non può ritenersi che il D.M. 28 luglio 2005, nell’attribuire il potere regolatorio all’Autorità, comprensivo della disciplina dell’attività di verifica in funzione della decadenza dal diritto alle tariffe incentivanti e dell’intimazione del recupero di quanto indebitamente riscosso, sia incompatibile con la fonte primaria.

Come osservato, l’art. 7 del D.Lgs. n. 383/2003, nel demandare alla disciplina secondaria la definizione dei criteri riguardanti sul piano soggettivo e oggettivo l’ammissione all’incentivazione, non poteva che includere anche la verifica del rispetto di siffatti criteri, tendendo la disciplina primaria ad assicurare l’incentivazione delle sole iniziative economiche rispettose del quadro normativo di riferimento.

Né il completamento della fattispecie regolatoria attraverso un atto dell’Autorità di settore risultava precluso dalla disciplina primaria.

Neppure può sostenersi l’illegittimità del provvedimento di decadenza per violazione della delibera n. 188/05, in specie per la dedotta assenza della previa informativa ex art. 6 delibera n. 188/05.

Le norme in materia di partecipazione procedimentale devono essere intese, non in senso formalistico, bensì avendo riguardo all'effettivo e oggettivo pregiudizio che la loro inosservanza abbia causato alle ragioni del soggetto privato nello specifico rapporto con la pubblica amministrazione (Consiglio di Stato, sez. II, 18 marzo 2020, n. 1925).

L’omessa informativa all’Autorità non può condurre all’annullamento del provvedimento finale ai sensi dell'art. 21-octies, comma 2, L. n. 241/90, trattandosi di un vizio procedimentale non incidente sulla legittimità sostanziale dell’atto di decadenza: tale disposizione, attraverso la dequotazione dei vizi formali dell'atto, mira a garantire una maggiore efficienza all'azione amministrativa, risparmiando antieconomiche ed inutili duplicazioni di attività, laddove il riesercizio del potere non potrebbe comunque portare all'attribuzione del bene della vita richiesto dall'interessato.

Nel caso di specie, a fronte di un atto di decadenza dal contenuto interamente vincolato (come verrà infra osservato), l’informativa preventiva all’Autorità circa le verifiche all’uopo da compiere non può in alcun modo influire sul contenuto dispositivo del provvedimento in concreto adottato.

L’asserita violazione di una tale disposizione procedimentale, da un lato, risulta inidonea ad influire sul diritto di difesa in sede amministrativa dell’operatore economico, cui la comunicazione non era neppure diretta; dall’altro, è insuscettibile di condizionare il quid della verifica, ancorata alla ricorrenza dei presupposti di ammissione alla pubblica contribuzione.

6. Infondate sono anche le censure inerenti alla dedotta inapplicabilità dell’art. 29 del d.m. 23.6.2016 e dell’art. 12, comma 5, del d.m. 5.5.2011, ai fini della valenza del divieto di artato frazionamento della potenza degli impianti sulla base del quale è stata comminata la decadenza.

Il divieto di artato frazionamento degli impianti costituisce una declinazione, nello specifico settore dei meccanismi di incentivazione per la produzione di energia da fonti rinnovabili, del generale divieto di abuso del diritto, quale principio generale dell’ordinamento giuridico.

L’elusione delle regole di settore al fine di conseguire vantaggi non spettanti infatti non può assurgere a fattispecie costitutiva del diritto all’incentivazione (o del diritto a un’incentivazione superiore a quella spettante), in quanto pregiudica gli altri operatori economici che quelle regole hanno rispettato, vanifica l’imposizione, ad opera dei vari “conti energia”, di specifici requisiti di potenza per l’ammissione al beneficio e frustra, in ultima analisi, la stessa finalità perseguita attraverso la distribuzione delle risorse scarse in questione.

E’ stato condivisibilmente precisato che il divieto dell’abuso degli istituti giuridici – cui è funzionale la nozione di “artato frazionamento” – è un valore ordinamentale diffuso e di portata generale, che non richiede specifiche e puntuali disposizioni settoriali, posto che consegue all’intrinseca necessità di rispettare la ratio dell’istituto volta per volta in considerazione (Cons. Stato Sez. II, 12 aprile 2022, n. 2747; Cons. Stato, sez. IV, 25 gennaio 2021, nr. 739, 746, 747, 748, 749).

Per tale ragione, l’art. 29 D.M. 23 giugno 2016 e l’art. 12, comma 5, D.M. 5.5.2011 non hanno natura costitutiva del divieto di artato frazionamento, ma hanno soltanto chiarito, sul piano positivo, in relazione al rispettivo ambito applicativo, gli elementi connotanti una fattispecie elusiva (più impianti riconducibili ad un’unica iniziativa imprenditoriale) comunque operante in materia - a prescindere dalla disciplina dettata dai relativi decreti ministeriali - con l’indicazione di taluni indizi, di carattere non tassativo, da cui desumere l’artato frazionamento nei casi di impianto a media-alta tensione.

Anche sul piano delle conseguenze che derivano dall’accertamento in concreto, il decreto del 23 giugno 2016 si limita a positivizzare un principio immanente nel sistema, consistente nel disconoscimento di qualunque effetto giuridico a fattispecie che, pur rispettose sul piano formare della regola, ne frustrano nella sostanza la ratio: di qui la previsione che considera gli impianti artatamente frazionati come un unico impianto di potenza cumulata e che, in caso di violazione delle norme per l’accesso agli incentivi, ne dispone la decadenza con recupero integrale delle somme (art 29 comma 2 e 3 del decreto).

In coerenza il “decreto controlli” del 31 gennaio 2014 sancisce, con formula aperta, che al di fuori delle fattispecie di violazioni rilevanti espressamente contemplate nell’allegato 1 il rigetto dell’istanza e la decadenza dagli incentivi può derivare, oltre che da “violazioni” e “inadempimenti”, anche da “elusioni” a cui consegua un indebito accesso agli incentivi (art 11).

Il frazionamento degli impianti deve comunque essere esclusivamente finalizzato, mediante un contegno elusivo, a limitare la potenza degli impianti e, per l’effetto, a sfruttare procedure autorizzative più snelle ovvero a conseguire incentivi non spettanti o superiori a quelli spettanti (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 febbraio 2022 n. 1393, ord. 15/06/2020 n. 3520 e 12/06/2020 n. 3428; in ambito penale, nel caso in cui l’artato frazionamento sia strumentale a far apparire sufficiente il rilascio di dichiarazione di inizio attività in luogo della prescritta autorizzazione unica, cfr. Cass. pen. sez. III, 1 ottobre 2014, n. 40561; 13 marzo 2014, n. 11981; non risultano, invece, conferenti le sentenze della Cassazione penale n. 32942 e 32943 del 2021, pure invocate dall’appellante, trattandosi di pronunce di mero rito, dichiarative dell’inammissibilità del ricorso perché limitato “alla critica di una sola delle diverse "rationes decidendi" poste a fondamento della decisione…”, come tali non recanti un accertamento di merito su questioni analoghe a quelle di specie).

Il divieto di artato frazionamento costituisce, quindi, un principio generale dell’ordinamento (solo esemplificato per gli impianti fotovoltaici dal suindicato art. 12 del D.M. 5.5.2011) che opera a prescindere da una espressa e puntuale previsione normativa ed è applicabile a tutti gli impianti che percepiscono incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili.

7. Infondate risultano anche le censure circa l’insussistenza dell’artato frazionamento dell’impianto, che ha comportato l’assenza “dei requisiti per la qualificazione dell’impianto, per l’accesso agli incentivi ovvero autorizzativi”, che è una delle ragioni in grado di motivare in via autonoma l’atto di decadenza gravato, che come indicato si presenta come plurimotivato.

In particolare il divieto di abuso del diritto osta a costruzioni meramente artificiose, prive di effettività economica, realizzate al solo scopo di ottenere un vantaggio altrimenti non dovuto.

Nel caso in esame risulta che l’originario titolare: a) ha programmato la realizzazione di due impianti della potenza molto prossima ai 50 kW (n. 849 e 850); b) ha chiesto la loro ammissione all’incentivazione; c) ha progettato la realizzazione di entrambi gli impianti in particelle catastali contigue (n. 47 e 48 del foglio 15) per poi installarli nella stessa particella catastale (per come risultante al momento della domanda, oggetto di un successivo frazionamento); d) ha destinato gli impianti in esame allo svolgimento della medesima attività economica (produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare).

La loro titolarità è stata poi ceduta all’attuale appellante.

Gli elementi indicati depongono per il carattere unitario degli impianti, in quanto relativi a una stessa iniziativa economica, per come apprezzabile sul piano temporale (stante la presentazione delle domande di ammissione all’incentivazione nel medesimo arco temporale), soggettivo (trattandosi di impianti di titolarità del medesimo operatore), oggettivo (in ragione dell’identità dell’attività programmata) e territoriale (considerata l’identità anche del luogo di esercizio).

Di contro gli indici richiamati dall’appellante, incentrati pure sulla presenza di autonomi punti di connessione alla rete di distribuzione, riguardano aspetti di mera separazione formale che non impediscono di ravvisare, sul piano sostanziale, un progetto complessivamente unitario, espressivo di una potenza nominale superiore a 50 kW (derivante dalla sommatoria della potenza nominale di ciascun impianto), teso ad avviare nel medesimo sito la stessa attività produttiva usufruendo di pubbliche incentivazioni (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, 12 aprile 2022, n. 2743 che non ritiene determinante il dato formale dell’esistenza di punti di connessione distinti - c.d. POD).

8. La delineata sussistenza dell’artato frazionamento in due impianti del progetto unitario conferma la fondatezza della causa di decadenza, correttamente rilevata dal GSE, concernente la “insussistenza dei requisiti per la qualificazione dell’impianto, per l’accesso agli incentivi ovvero autorizzativi”, riferito gli impianti aventi potenza superiore a 50 kW.

Il gestore ha infatti correttamente rilevato che il progetto attuato dal soggetto responsabile non poteva essere ammesso alla pubblica incentivazione senza osservare le regole e le condizioni prescritte per gli impianti di potenza nominale superiore a 50 kW, che nel caso di specie implica il duplice aspetto della necessità della prestazione di apposita cauzione definitiva pari a 1.500 euro per ogni kW di potenza nominale dell'impianto e della necessità di sottoporsi al confronto competitivo con altri concorrenti sulla base del livello di incentivazione proposto (art. 7, comma 5, D.M. 28 luglio 2005)

Di contro nella specie l’ammissione alla pubblica incentivazione è avvenuta sulla base di un regime semplificato e agevolato, che non ha previsto la prestazione della cauzione e non ha richiesto alcun confronto concorrenziale sui valori di tariffa incentivante proposti.

Pertanto, come correttamente rilevato nel provvedimento di decadenza, nel caso concreto:

- da un lato è stato operato un artato frazionamento di un’iniziativa economica unitaria, essendo stato considerato in maniera frazionata un progetto di investimento unitario, riferito a due impianti realizzati nello stesso sito, esprimenti complessivamente una potenza nominale superiore a 50 kW;

- dall’altro tale frazionamento, diversamente da quanto dedotto dall’appellante, ha influito sull’ammissione alla pubblica incentivazione, che non avrebbe potuto essere riconosciuta in assenza della prestazione di una cauzione definitiva e del previo confronto concorrenziale sui valori della tariffa incentivante effettivamente richiesta.

Difettavano quindi nella specie le condizioni e i requisiti di accesso alla pubblica incentivazione.

A diversa conclusione non può giungersi, sostenendo che nella specie:

- difetterebbe l’elemento soggettivo in capo all’appellante in quanto al momento dello svolgimento dei fatti non esisteva nell’ordinamento una fictio legis di unicità degli impianti;

- la situazione di unicità dell’iniziativa imprenditoriale e la dichiarazione inerente alla sua assenza aveva un ambito temporale limitato alla domanda di incentivazione, non prevedendo l’ipotesi di subentro nella titolarità degli incentivi; ciò in quanto sarebbe irrilevante l’intervenuto subentro dell’appellante che non potrebbe essere chiamato a rispondere di un intento elusivo rispetto al quale è comunque del tutto estraneo;

- l’ottimizzazione del progetto e il frazionamento della P.lla 47 sono avvenuti in data successiva tanto all’acquisizione del diritto agli incentivi da parte dell’originario soggetto responsabile, quanto alla presentazione delle D.I.A.;

- né il D.Lgs. n. 387 del 2003, né il D.M. 28.7.2005, né la deliberazione n. 188/2005 recano

una definizione di “sito”, sicché ancorare la nozione di “sito”, come fa il GSE, a quella di

“particella catastale”, sarebbe privo di fondamento normativo e non univoco a dimostrare la sovrapposizione dei progetti.

Fermo quanto già evidenziato circa il divieto di frazionamento, in relazione all’elemento soggettivo si rileva che nella fattispecie in esame non si fa questione di provvedimento sanzionatorio, bensì di atto vincolato, volto a verificare la ricorrenza dei requisiti di ammissione alla pubblica contribuzione, con la conseguenza che l’operatore economico, pure ove fosse incorso in errore scusabile, non potrebbe ambire alla conservazione di benefici oggettivamente non dovuti.

Peraltro non può ravvisarsi un errore scusabile nel frazionamento artato degli impianti, trattandosi, come detto, di una fattispecie rientrante nel più generale divieto di abuso del diritto, immanente all’ordinamento non soltanto nazionale ma anche unionale (cfr. Corte di Giustizia, 29 aprile 2021, in causa -617/19, secondo cui “il principio del divieto di frode e di abuso di diritto è un principio generale del diritto dell'Unione che i soggetti dell'ordinamento devono rispettare” – punto 63), che un operatore prudente e accorto del sistema non potrebbe non conoscere.

La circostanza del subentro nella titolarità degli incentivi è del tutto irrilevante innanzitutto perché la decadenza non è una sanzione e poi perché il subentrante è soggetto a tutte gli effetti negativi imputabili dal cessionario in ordine all’assenza dei requisiti per ottenere gli incentivi, essendo la posizione giuridica trasferita nello stato di fatto e diritto esistente in capo al cedente, né il trasferimento può “sanare” i vizi inerenti al diritto all’incentivazione.

Infine, il soggetto cessionario deve operare con diligenza e assicurarsi della validità e integrità della posizione acquisita e restando le eventuali questioni inerenti a “vizi” di quanto ceduto, eventuali invalidità, come anche l’assenza dei presupposti per il conseguimento di incentivi, nell’ambito dei rapporti tra cedente e cessionario.

Ciò che rileva in definitiva è la concreta realizzazione di un intervento unitario espressivo di una potenza nominale superiore a kW 50 e la sua non incentivabilità secondo le regole in concreto applicate, con conseguente carenza dei requisiti di accesso ai benefici economici de quibus; ciò, a prescindere dalle cessioni intervenute nelle more della realizzazione del progetto originario.

Non trattandosi nella specie di sanzioni amministrative per le quali occorre ravvisare anche il coefficiente psicologico di colpevolezza, ma di integrazione dei presupposti per la concessione di benefici economici pubblici, l’accertata assenza di tali presupposti si traduce nella mancanza della causa giustificativa dell’attribuzione patrimoniale e dunque nel carattere indebito dell’erogazione, all’uopo da ripetere.

Quanto alla nozione di unicità del sito, lungi dall’essere indeterminata, si identifica nell’identità dell’area territoriale di installazione degli impianti, venendo integrata qualora due o più impianti siano tra loro prossimi e, dunque, siano concepibili come parti di un progetto unitario, teso al perseguimento del medesimo scopo concreto.

Un tale presupposto può certamente riscontrarsi a fronte di impianti ubicati, come nel caso di specie, nella stessa particella, ma peraltro può inverarsi anche in presenza di particelle catastali contigue (cfr. Cons. Stato, sez. II, 12 aprile 2022, n. 2747 che valorizza proprio la localizzazione sulla medesima particella catastale o su particelle catastali contigue).

Allo stesso modo non rileva che l’ottimizzazione del progetto e il frazionamento della P.lla 47 sono avvenuti in data successiva tanto all’acquisizione del diritto agli incentivi da parte dell’originario soggetto responsabile, quanto alla presentazione delle D.I.A., dal momento che ciò che conta è la concreta realizzazione di un intervento unitario espressivo di una potenza nominale superiore a kW 50 e il frazionamento della particella non ha influito sulla contiguità territoriale degli impianti, pur sempre riferiti alla stessa porzione territoriale.

Giustificata è, quindi, la decadenza per l’assenza del confronto competitivo con altri concorrenti sulla base del livello di incentivazione proposto (art. 7, comma 5, D.M. 28 luglio 2005), così per la mancata prestazione della cauzione definitiva.

Rispetto a quest’ultima l’appellante rileva come la sua assenza debba essere considerata irrilevante ai fini della decadenza, sul presupposto che lo scopo della cauzione è garantire la realizzazione dell’impianto entro i termini previsti e, nel caso di specie, l’impianto era stato già interamente realizzato ed era entrato in esercizio al momento in cui è stata dichiarata l’impugnata decadenza.

Secondo l’appellante in sostanza l’assenza della cauzione definitiva non avrebbe assunto quindi alcun concreto rilievo e non avrebbe potuto giustificare la decadenza in forza dei principi del raggiungimento dello scopo, ragionevolezza, proporzionalità e buon andamento ex artt. 3 e 97 Cost..

La censura è infondata, in quanto cerca di riportare nell’ambito dei requisiti necessari per ottenere un incentivo (la cauzione è prevista a pena di inammissibilità) il (diverso) principio del raggiungimento dello scopo che opera nel (diverso) campo processuale, peraltro in base a una valutazione ex post del concreto risultato della violazione della disposizione che impone il requisito.

Il principio del raggiungimento dello scopo, come quello di irrilevanza dei vizi formali in campo procedimentale, non può operare nella fattispecie in questione in quanto i requisiti per ottenere un beneficio devono essere presenti al momento di concessione.

Inoltre l’assenza di una garanzia, quale una cauzione definitiva, non può essere considerata né un mero vizio formale, né un vizio sanabile dal raggiungimento dello scopo in base alla circostanza che ex post non si è verificato l’evento negativo che tale garanzia andava a “coprire”.

La funzione della cauzione è quella di garantire il beneficiario rispetto alla possibile realizzazione di un evento negativo e pertanto assume valenza per il periodo in cui l’evento temuto risulti possibile, non prestandosi a valutazioni di irrilevanza ex post sulla base del rilievo che l’evento temuto, pur possibile, non si è verificato.

Nessuna violazione anche dei principi di ragionevolezza, proporzionalità e buon andamento ex artt. 3 e 97 Cost. si rinviene nell’impugnato provvedimento di decadenza da un beneficio a fronte della mancata prestazione della richiesta cauzione.

9. E’ infondato anche l’altro autonomo profilo di asserita illegittimità del provvedimento impugnato inerente alla falsità delle dichiarazioni.

E’ da osservare che il carattere non veritiero di una dichiarazione è predicabile rispetto a un dato di realtà, ovvero ad una "situazione fattuale per la quale possa alternativamente porsi l'alternativa logica vero/falso", rispetto alla quale valutare la dichiarazione presa in esame (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., n. 16 del 2020),

A tali fini una dichiarazione potrebbe essere reputata non veritiera soltanto accertando un difetto di corrispondenza tra quanto dichiarato e quanto realmente esistente al momento della dichiarazione (altrimenti emergendo, in relazione ai fatti sopravvenuti difformi da quelli dichiarati, più che una falsità, da riferire a quanto già esistente, un inadempimento della parte, per violazione di un impegno già assunto e dunque all’uopo dichiarato).

Nel caso di specie, se deve riconoscersi che, al momento della presentazione delle dichiarazioni ai fini dell’ammissione all’incentivazione pubblica il richiedente aveva progettato la realizzazione dei due impianti su due particelle distinte (foglio 15, particelle 47 e 48), è pur vero che si trattava di particelle contigue.

Lo stesso appellante ha rilevato che “Sulla scorta del progetto che prevedeva l’insediamento di un impianto produttivo sulla p.lla 48 Foglio 15 il dichiarante ha affermato il vero allorquando ha dichiarato di non aver presentato istanza per il medesimo sito, posto che l’ulteriore e diversa istanza presentata al GSE medesimo dichiarante era inerente ad altra e diversa particella catastale del Foglio 15. Successivamente alla originaria dichiarazione (che non può ritenersi a posteriori non veritiera, tenuto conto che la veridicità deve essere valutata al momento in cui fu resa), le particelle catastali interessate dai diversi interventi nella zona sono state frazionate”.

La nozione di unicità del sito, lungi dall’essere indeterminata, si identifica nell’identità dell’area territoriale di installazione degli impianti, venendo integrata qualora due o più impianti siano tra loro prossimi e, dunque, siano concepibili come parti di un progetto unitario, teso al perseguimento del medesimo scopo concreto: un tale presupposto, se può certamente riscontrarsi a fronte di impianti ubicati nella stessa particella, non si esaurisce in una tale circostanza fattuale, potendo inverarsi anche in presenza di particelle catastali contigue (cfr. Cons. Stato, sez. II, 12 aprile 2022, n. 2747 che valorizza proprio la localizzazione sulla medesima particella catastale o su particelle catastali contigue).

Ne deriva che il precedente titolare, presentando due domande di accesso agli incentivi e al contempo dichiarando in ciascuna domanda di non avere presentato entro la medesima scadenza di cui all’articolo 7, comma 1, del DM 28 luglio 2005, altre domande di ammissione alle “tariffe incentivanti” previste dal DM 28 luglio 2005 relative ad impianti fotovoltaici da realizzare nel medesimo sito, ha effettivamente prospettato un dato non corrispondente alla realtà, in quanto per gli impianti facenti parte di un’iniziativa economica unitaria da collocare su particelle catastali contigue; il che rileva ai fini dell’integrazione della causa di decadenza dal diritto agli incentivi in contestazione (data dalla presentazione di una dichiarazione non veritiera).

Né potrebbe argomentarsi diversamente, rilevando che il GSE avrebbe identificato la nozione di unicità del sito in quella di identità della particella catastale, con la conseguenza che al tempo della dichiarazione discorrendosi di particelle distinte, nessuna falsità avrebbe potuto essere contestata.

Invero, nel provvedimento di decadenza il GSE, pure rilevando che gli impianti nn. 849 e 850 risultavano in concreto installati “presso lo stesso sito identificato al Fg. 15, P.lla 47”, ha dato espressamente atto che l’operatore economico aveva presentato richieste di ammissione alle tariffe incentivanti in relazione ad impianti da installare su particelle differenti (cfr. tabella pag. 4).

Per l’effetto, il GSE, riconoscendo che le domande riguardavano originariamente particelle diverse e al contempo ravvisando in relazione alla domanda di ammissione alla pubblica incentivazione l’esposizione di dati non veritieri, non ha identificato la nozione di unicità del sito in quella di unicità della particella, riscontrando l’unicità del sito territoriale anche a fronte di particelle (originariamente) distinte, ma contigue.

Il riferimento alla unicità della particella catastale, per come esistente al tempo della domanda, pure contenuto nel provvedimento di decadenza, deve essere inteso come un rafforzamento della unicità del sito di installazione - già emergente dalla contiguità territoriale delle particelle indicate nelle domande di ammissione all’incentivazione - in quanto la parte richiedente non soltanto aveva programmato l’installazione in particelle contigue, ma aveva pure nei fatti realizzato l’impianto nell’ambito della stessa particella, in tale modo confermando ulteriormente l’unicità del sito di installazione.

L’esistenza di una dichiarazione non veritiera non potrebbe essere esclusa neppure facendo leva sulla corretta rappresentazione del luogo di progettata installazione degli impianti, soltanto per esigenze sopravvenute mutato dall’operatore economico: la circostanza non veritiera afferiva, anziché alla corretta rappresentazione dei luoghi, all’assenza di altra domanda (invero presente) per la stessa iniziativa economica, da realizzare nello stesso sito.

Il fatto che l’organo accertatore disponesse poi di elementi per verificare la veridicità di quanto dichiarato (perché in possesso di altre domande riguardanti lo stesso sito o perché informato nel corso del rapporto della modifica della particella di installazione) non può escludere che la dichiarazione fosse non veritiera e che sulla base di tale dichiarazione fosse stata delibata l’ammissione alla pubblica incentivazione.

Stesso discorso è valido per il subentrante appellante rispetto alla rilasciata dichiarazione di “non avere acquisito o di non aver chiesto di acquisire i diritti all'incentivazione da altri soggetti responsabili che siano stati ammessi ai benefici dell'incentivazione - ai sensi del D.M. 28 luglio 2005 e successive modifiche e integrazioni - a seguito di domande d'ammissione presentate nel medesimo trimestre e per impianti da costruire nel medesimo sito oggetto del presente trasferimento di titolarità”

Pertanto, una volta verificata la non veridicità delle dichiarazioni rese, si imponeva la decadenza dal diritto agli incentivi.

10. Per ciò che concerne i motivi di appello in ordine alle circostanze inerenti alla concreta localizzazione dell’impianto, si osserva che le vicende riguardanti il frazionamento delle particelle catastali e la traslazione dell’installazione di uno dei due impianti dalla particella 48 alla particella 47 risultano inconferenti ai fini del decidere.

Come osservato, ciò che rileva è la concreta realizzazione di un intervento unitario espressivo di una potenza nominale superiore a kW 50, non incentivabile secondo le regole in concreto applicate, con conseguente carenza dei requisiti di accesso ai benefici economici de quibus; ciò, a prescindere dalle cause, sopravvenute nel corso del rapporto, ostative alla realizzazione del progetto originario (in particelle distinte).

Peraltro, il frazionamento della particella, sopravvenuto rispetto alla domanda di ammissione, non poteva minare la contiguità territoriale degli impianti, pur sempre riferiti alla stessa porzione territoriale.

Le comunicazioni del direttore dei lavori al GSE in ordine al luogo di installazione degli impianti, lungi dall’asseverare i presupposti per il riconoscimento del diritto ai pubblici incentivi, ne confermavano ulteriormente l’inesistenza.

E’ emerso infatti che gli impianti non solo afferivano a particelle contigue, ma risultavano pure installati nella stessa particella, ad ulteriore conferma dell’unitarietà dell’iniziativa economica in concreto attuata, non incentivabile in applicazione delle regole riguardanti gli impianti di potenza nominale inferiore a 50 kW (sulla cui base, invece, l’interessato aveva indebitamente ottenuto i benefici economici per cui è causa).

Tali comunicazioni pertanto non impedivano, ma giustificavano ulteriormente l’adozione del provvedimento di decadenza.

Inoltre, la circostanza che il Comune di Castelnuovo Cilento era stato messo a conoscenza nella situazione da tempo e avrebbe potuto esercitare i suoi poteri inibitori sulla D.I.A. non modifica la situazione dell’assenza dei requisiti per ottenere l’incentivo e la conseguente dichiarazione di decadenza.

11.1. Fermo che i motivi di decadenza finora esaminati sono di per sé sufficienti a fondare il plurimotivato provvedimento impugnato, si passa comunque all’esame dei profili di censura sull’insufficienza della D.I.A. ad assentire l’impianto, essendo necessaria l’autorizzazione unica regionale, ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003, e al contestato sindacato del GSE sui titoli abilitativi.

Al riguardo, si deve dare atto che il GSE ha effettivamente richiamato nelle premesse del provvedimento di decadenza:

- la necessità di reputare l’idoneità e l’efficacia dei titoli autorizzativi in capo al soggetto responsabile e la piena rispondenza dell’intervento autorizzato a quanto effettivamente realizzato quali requisiti essenziali per il riconoscimento degli incentivi in regime di conto energia;

- la deliberazione n. 1955/06 della Regione Campania, recante le linee guida per lo svolgimento del procedimento unico relativo alla installazione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, in specie il par. 3.2 riferito all’esclusione dal suo ambito di applicazione delle procedure relative ad impianti di potenza fino a 50 kW.

Tuttavia, il gestore, all’atto dell’individuazione delle ragioni sottese alla decadenza, non ha fatto leva sulla fattispecie di cui alla lett. i) dell’Allegato 1 al D.M. 31 gennaio 2014, riguardante l’ “inefficacia del titolo autorizzativo per la costruzione ed esercizio dell'impianto”, ravvisando le diverse ipotesi di cui:

- alla lett. a), in ordine alla presentazione di dati non veritieri e, dunque, all’attività dichiarativa del richiedente, non condizionata dall’attività amministrativa riguardante la formazione dei titoli per la realizzazione e l’esercizio degli impianti; nonché

- alla lett. j), per l’ “insussistenza dei requisiti per la qualificazione dell'impianto, per l'accesso agli incentivi ovvero autorizzativi”, tenuto conto che “Non sono state rispettate… le condizioni e le procedure previste dall’art. 7 del D.M. 28 luglio 2005, così come riportate nelle premesse del presente provvedimento”.

Tali premesse inoltre richiamavano espressamente le previsioni relative alla: a) presentazione di una busta chiusa sigillata in cui riportare il valore della tariffa incentivante richiesta (comma 3 dell’art. 7 cit.; b) formazione di una graduatoria delle domande sulla base del valore della tariffa incentivante richiesta (comma 5); c) presentazione di una cauzione definitiva a pena di inammissibilità della domanda di ammissione alle tariffe incentivanti (commi 9 e 10).

Ne deriva che le vicende riguardanti l’esistenza, la legittimità e l’efficacia dei titoli autorizzativi per la costruzione ed esercizio degli impianti – le D.I.A. presentate all’Amministrazione comunale - non hanno condizionato l’esercizio del potere di decadenza, incentrato su diversi presupposti, correlati all’esposizione di dati non veritieri in ordine all’attività dichiarativa dell’istante e all’iter procedurale osservato per ottenere (anziché il titolo autorizzativo della realizzazione e dell’esercizio degli impianti) l’accesso alla pubblica incentivazione, avvenuto senza che l’interessato avesse prestato la cauzione definitiva, avesse indicato il valore di tariffa incentivante proposto e si fosse sottoposta al confronto concorrenziale sui valori di tariffa incentivante indicati dai concorrenti.

Del resto la nota del Comune di Castelnuovo Cilento del 18.10.2016, prot. 4014, in risposta delle richieste di chiarimento del GSE, rileva che “gli impianti fotovoltaici realizzati in forza di DIA prot. n. 225, 346, 393 e 395 del 2007, sebbene possano ritenersi debitamente autorizzati, risultano realizzati su particelle (ex 47) diverse dalla particella 48 indicata nelle suddette DIA; i titoli abilitativi presentati a corredo delle rispettive richieste d’incentivazione devono considerarsi idonei alla realizzazione e all’esercizio degli stessi impianti in forza della Deliberazione della Giunta Regionale Campania n. 1955 del 30/11/2006”.

Di tale nota il provvedimento del GSE non dà conto ed è stata invocata dalla parte appellante a dimostrazione della sufficienza ai fini abilitativi della presentata D.I.A.

La stessa però non si esprime in termini ultimativi e conferma la circostanza per cui gli impianti nn. 849 e 850 in contestazione fossero stati realizzati nel medesimo sito, in tale modo rafforzandosi la non veridicità di quanto dichiarato ai fini dell’ammissione alla pubblica incentivazione, ovverosia uno degli effettivi motivi di decadenza.

In altri termini la decadenza non è stata motivata sulla base dell’inefficacia dei titoli autorizzativi relativi alla realizzazione e all’esercizio degli impianti e, per l’effetto, il GSE non ha invaso la competenza di altre Amministrazioni decidendo sulla validità ed efficacia dei titoli autorizzativi riferiti agli impianti de quibus, questioni non rilevanti ai fini del disconoscimento del diritto agli incentivi in contestazione.

Le ragioni sostanziali alla base del provvedimento di decadenza non hanno riguardato l’insussistenza o l’invalidità di titoli autorizzativi degli impianti, ma la non veridicità delle dichiarazioni rese dall’istante e l’attuazione di un progetto di investimento da considerare unitariamente ai fini dell’accesso alla pubblica incentivazione, mentre alcun sindacato sui titoli autorizzativi è stato in concreto compiuto dal GSE.

Non potrebbe diversamente argomentarsi rilevando che il GSE, negando i requisiti di accesso all’incentivazione, ha risolto in senso differente una questione pregiudiziale, relativa al frazionamento artato degli impianti, in ipotesi rilevante anche per l’esercizio delle competenze di altre Amministrazioni (Regione, per il rilascio dei titoli autorizzativi, nonché Comune, per la repressione delle attività denunciate, attività amministrative suscettibili di essere condizionate dall’emersione di impianti da considerare unitariamente sul piano sostanziale, suscettibili di esprimere nel complesso una potenza superiore a 50 kW).

Per completezza si osserva inoltre che:

- da un lato, come rilevato dalla stessa Amministrazione comunale, le D.I.A. erano state presentate per due impianti da realizzare su due particelle distinte, mentre, in fase esecutiva, gli impianti sono stati realizzati sulla stessa particella, con conseguente emersione di un progetto unitario diverso da quello in origine denunciato (anziché due impianti su due particelle distinte, due impianti sulla stessa particella), in relazione al quale non sussistevano provvedimenti amministrativi abilitativi assunti dalle Amministrazioni competenti. Né potrebbe discorrersi nella specie di DIA in sanatoria, costituente un istituto tipico con cui la parte manifesta la volontà di denunciare un abuso e di ottenere la sua sanatoria: caratteri non riscontrabili in relazione ad una mera comunicazione del direttore dei lavori con cui si rappresentava una divergenza tra quanto assentito dal titolo e quanto in concreto realizzato;

- dall’altro, l’ipotetica valorizzazione ai fini decisori dell’inesistenza di titoli autorizzativi riferiti agli impianti si sarebbe aggiunta all’assenza degli ulteriori ed autonomi requisiti di accesso all’incentivazione, con la conseguenza che, pure prescindendo dall’asserita inefficacia dei titoli, l’operatore economico non avrebbe potuto comunque conseguire i benefici in contestazione, non avendo prestato la prescritta cauzione definitiva e non essendosi sottoposto al previo confronto concorrenziale sulla base dei livelli di tariffa proposti (profili, si ripete, indipendenti dal rilascio dei titoli autorizzativi).

Inoltre, sempre per completezza, sul profilo del capo decisorio con cui il T.A.R. ha escluso la sussistenza di vizi propri del provvedimento di decadenza assunto dal GSE, in specie riferiti all’indebita invasione di competenze riservate alle Amministrazioni locali, deve rilevarsi che è ben possibile che più enti siano titolari di attribuzioni diverse, il cui esercizio implica la soluzione di questioni pregiudiziali, giuridiche o fattuali, comuni: ciò, tuttavia, non significa che la soluzione alla questione comune fornita da un’Amministrazione nell’adozione di un proprio provvedimento vincoli altra Amministrazione nell’esercizio di una diversa attribuzione.

L’invasione delle altrui attribuzioni (causa di nullità del provvedimento ex art. 21 septies L. n. 241/90) è ravvisabile soltanto nei casi in cui un’Amministrazione eserciti un potere alla stessa non spettante, adottando ovvero sindacando la legittimità e l’efficacia di titoli autorizzativi (di competenza e) rilasciati da altra Amministrazione; una tale invasione di attribuzioni non potrebbe, invece, manifestarsi qualora un’Amministrazione, nell’esercizio di un proprio potere, risolva questioni pregiudiziali, rilevanti per definire la regula iuris del caso concreto, in senso difforme rispetto a quanto statuito da altra Amministrazione nell’esercizio di un diverso potere pubblico.

Nella fattispecie in esame la sussistenza di un artato frazionamento degli impianti poteva rilevare al fine:

- di valutare la necessità dell’autorizzazione regionale per la realizzazione e l’esercizio degli impianti e, correlativamente, di verificare la legittimità delle DIA in concreto presentate in maniera atomistica dall’istante; nonché

- di accertare la spettanza degli incentivi riconosciuti all’odierna appellante.

Ciò non comportava tuttavia che la valutazione svolta al riguardo dall’Amministrazione comunale (competente ad esercitare i poteri repressivi di un’attività oggetto di DIA) o dall’Amministrazione regionale (competente ad autorizzare impianti di potenza nominale superiore a 50 kW) in ordine all’esistenza di impianti sostanzialmente autonomi impedisse al GSE, ai fini dell’esercizio di un diverso potere pubblico (nella specie, di decadenza), di pervenire ad una diversa conclusione sulla medesima questione giuridica, per escludere la ricorrenza, anziché dei titoli autorizzativi, dei requisiti di accesso alla pubblica incentivazione.

Una tale differente decisione non si risolve in un sindacato del GSE sui titoli autorizzativi allo svolgimento dell’attività produttiva (il che non sarebbe in effetti ammesso – cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18 novembre 2019, n. 7883, secondo cui “qualora il GSE dubiti della legittimità di un atto rilasciato da altra amministrazione deve interloquire con quest’ultima, invitandola ad esercitare i propri poteri di controllo e a trasmettere tempestivamente l’esito degli accertamenti effettuati”), non provvedendo il gestore al ritiro in autotutela o alla disapplicazione di tali titoli; ma si traduce nell’esercizio di un differente potere (di decadenza) di competenza del GSE, per ragioni indipendenti dall’inefficacia dei titoli abilitativi in concreto formati, ancorato alla verifica della veridicità delle dichiarazioni rese dall’istante e al regime applicabile per l’accesso agli incentivi in esame.

Peraltro, come osservato, nella specie le D.I.A. risultavano riferite ad un progetto (riguardante due impianti da localizzare in due particelle catastali distinte) diverso da quello concretamente attuato (riferito ad impianti installati nella stessa particella), con emersione di una diversa attività realizzativa su cui le Amministrazioni (regionale e comunale) non erano state chiamate a decidere.

12. Con il quarto motivo di appello è stato censurato il capo decisorio con cui il T.A.R. ha negato la violazione dei principi in materia di autotutela.

Secondo quanto sostenuto dall’appellante l’attività di verifica svolta dal GSE ai sensi dell’art. 42 d.lgs. 28/2011 non sarebbe riconducibile a un’ipotesi di annullamento d’ufficio di cui all’art. 21-nonies l. n. 241/90, ma sarebbe espressiva di un potere immanente di verifica della spettanza dei benefici erogati dal Gestore, solo nelle ipotesi in cui il GSE ravvisi un’irregolarità accertata all’esito di un controllo a campione rispetto a circostanze non preventivamente valutate, mentre tale conclusione risulterebbe errata in tutte quelle ipotesi in cui l’operato del Gestore si risolva, come nel caso di specie, in una mera rivalutazione dei medesimi dati e dei documenti già positivamente apprezzati in occasione dell’atto di ammissione agli incentivi.

In quest’ultimo caso troverebbero applicazione le regole in materia di autotutela decisoria, controvertendosi in ordine all’esistenza di requisiti originari già valutati al momento dell’ammissione agli incentivi.

Nel caso di specie si verserebbe in tale ipotesi, in cui il GSE a sostegno del provvedimento di decadenza ha dedotto documenti e circostanze di cui aveva già avuto contezza nella fase procedimentale precedente all’erogazione delle tariffe e pertanto in applicazione del già richiamato all’art. 21-nonies l. n. 241/90, risulterebbe superato il termine ragionevole entro cui provvedere in autotutela, oltre che il termine di 18 mesi previsto dalla normativa di riferimento; mancherebbe inoltre una motivazione in ordine all’interesse pubblico specifico e alla comparazione tra l’interesse pubblico perseguito e l’interesse privato inciso.

Sempre secondo l’appellante, risulterebbe violato anche il diritto di proprietà della ricorrente, in conseguenza della violazione del legittimo affidamento ingenerato dal GSE, con conseguente violazione dell’art. 1, 1° protocollo addizionale alla CEDU; inoltre ritenere il potere di decadenza slegato dai presupposti dell’autotutela, configurerebbe una sanzione, con conseguente incostituzionalità della norma di copertura (art. 42, comma 3, d. lgs. n. 28/11).

Il motivo di appello è infondato.

Secondo i principi espressi dall’Adunanza Plenaria n. 18/2020, i provvedimenti di decadenza del GSE non sono riconducibili al paradigma dell’autotutela, in quanto espressione di un potere di verifica, accertamento e controllo, di natura doverosa ed esito vincolato (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 20 gennaio 2021 n. 594).

La richiesta di restituzione dei benefici già erogati non è espressione di una distinta e automa volontà provvedimentale rispetto a quella oggetto dei provvedimenti di decadenza dai benefici concessi, bensì rappresenta un atto esecutivo, conseguente alla qualifica di indebito oggettivo assunta dalle somme erogate per effetto della determinazione di decadenza (Cons. Stato, Sez. IV, 15 ottobre 2020, n. 6241)

Nella specie, la verifica di cui si controverte non si è tradotta nel riesame di requisiti e presupposti già positivamente valutati in fase di vaglio di ammissibilità della domanda, ma nel controllo per la prima volta della veridicità delle dichiarazioni rese e della natura dell’intervento realizzato in fase esecutiva, risultato differente rispetto a quanto dichiarato ai fini del riconoscimento degli incentivi de quibus, stante l’emersione di più impianti sulla stessa particella catastale (e non, come in origine rappresentato nelle due domande, di impianti su distinte particelle catastali).

Non facendosi questione di riesame di una precedente decisione amministrativa, non può riconoscersi alla decadenza la natura di atto di autotutela.

La natura di tale potere non è,peraltro mutata nemmeno a seguito della modifica all’art 42, comma 3, d.lgs. n. 28/2011, introdotta dall’art 56, comma 7, del d.l. n. 76/2020 - in ogni caso non applicabile ratione temporis al caso in esame - che subordina l’esercizio del potere di decadenza alla presenza dei presupposti di cui all'articolo 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Il potere in esame rimane di decadenza (cfr. Ad. Plen. 18/2020 e giurisprudenza sopra richiamata), venendo accomunato a quello di autotutela limitatamente ai presupposti per il legittimo esercizio. La disposizione inoltre non ha natura di norma di interpretazione autentica e per espressa previsione si applica, come già osservato, ai procedimenti pendenti o, se già definiti, solo a seguito di apposita istanza dell’interessato, alle condizioni indicate dall’art 56, comma 8, d.l. 76/2020.

L’appellante, conformemente a quanto previsto dall’articolo da ultimo citato, ha chiesto il riesame dei provvedimenti di decadenza, a cui è seguito il provvedimento di diniego del G.S.E. (non sostitutivo dell’atto impugnato in prime cure) oggetto di successivo ricorso al T.A.R. Lazio, con la conseguenza che i profili di legittimità del diniego ai sensi della novella citata non possono che essere valutati nell’ambito del giudizio pendente davanti al T.A.R.

Non potrebbero trarsi diverse argomentazioni dalle istruzioni applicative del GSE di attuazione del D.M. 5.5.2011, riguardanti un atto inconferente rispetto al caso di specie (regolato dal D.M. 28.7.2005), peraltro successivo alla presentazione della domanda di ammissione e alla realizzazione dell’impianto per cui è causa, come tale inidoneo a fungere da orientamento su attività che risultavano già svolte.

Sul punto peraltro non può essere accolta l’istanza di rimessione della questione ai sensi dell’art. 99 del c.p.a. all’Adunanza plenaria, formulata sul presupposto che si tratterebbe di una questione che ha dato luogo a contrasti giurisprudenziali in seno al Consiglio di Stato (l’appellante ha citato la decisione di questo Consiglio sez. VI, sent. n. 5609/2014 e la circostanza che con ordinanza n. 1934 del 25.3.2019, sia stata già ha rimessa alla Plenaria una questione simile concernente la natura giuridica dei poteri di verifica del GSE).

Invero non è più controversa la questione della natura dell’atto di comminazione di decadenza da parte del GSE, anche a seguito della già citata pronuncia dell’Adunanza Plenaria Ad. Plen. n. 18/2020.

Del pari infondata è la lamentata violazione dell’art. 1 del 1° Protocollo addizionale alla CEDU, in quanto l’ampiezza della nozione di bene elaborata dalla giurisprudenza della CEDU non consente la tutela di vantaggi patrimoniali indebitamente conseguiti.

La Corte europea, pur ritenendo che la nozione di bene non si limiti alla proprietà di beni tangibili, ma che anche diritti e interessi che costituiscono elementi patrimoniali possano ritenersi «diritti patrimoniali», compresi i crediti (Corte EDU, 22 giugno 2004, Broniowski c. Polonia; 28 settembre 2004, Kopecký c. Slovacchia), ha previsto l’irripetibilità per i soli pagamenti ricevuti in buona fede in caso di indebito retributivo o previdenziale (sentenza Casarin c. Italia, 11 febbraio 2021 e la giurisprudenza ivi richiamata).

In generale, uno degli elementi valutati dalla Corte per accertare se vi sia stata un’ingiustificata ingerenza nel diritto al rispetto dei propri beni è la posizione del ricorrente in rapporto agli interventi dello Stato limitativi della proprietà, sotto il profilo della condotta, della qualifica posseduta, dell’effettiva conoscenza o della conoscibilità di future restrizioni nel godimento della proprietà (Grande camera, sent. 28 giugno 2018 G.I.E.M. S.r.l. e altri c. Italia in tema di confisca).

Nel solco della giurisprudenza della Corte europea, la Corte di Giustizia ha statuito che gli incentivi alla produzione dell’energia fotovoltaica rientrano nella nozione di beni elaborata dalla giurisprudenza della Corte europea relativa all’art. 1 prot. 1 CEDU e devono, ai sensi dell’art 52 paragrafo 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, essere oggetto delle garanzie in materia di proprietà previste dall’art 17 della Carta (Corte di Giustizia, sent. 15 aprile 2021, cause riunite C 798/18 e C 799/18, Athesia Energy Srl e a.).

La Corte tuttavia ha limitato la tutela prevista dal citato art 17 (avente, ai sensi dell’art 52 par. 3, lo stesso significato e la stessa portata dell’art 1 prot. 1 CEDU) ai casi in cui sussista in capo all’interessato un legittimo affidamento a conseguire il valore patrimoniale.

Per la giurisprudenza sovranazionale è rilevante, ai fini della tutela della proprietà, la situazione soggettiva dell’interessato che deve aver ricevuto il beneficio in circostanze da cui emerga la buona fede o il legittimo affidamento, in quanto solo in questo caso, pur essendo l’ingerenza legittima, è carente il requisito di proporzionalità.

Fermo quanto si osserverà infra sul tema del legittimo affidamento, nel caso di specie l’appellante è un operatore professionale che ha agito al dichiarato scopo di effettuare un ampio investimento nel settore delle energie rinnovabili, sicché non potrebbe invocare un errore scusabile in ordine all’esistenza di un divieto di artato frazionamento degli impianti (in concreto violato), rispondente ad un principio generale dell’ordinamento unionale e nazionale (come sopra osservato), che vieta l’abuso del diritto.

In un settore connotato da scarsità delle risorse, come quello degli incentivi di cui si discute, l’azione di recupero nei confronti dei non legittimati, peraltro, è, oltre che obbligatoria, anche essenziale al corretto funzionamento dei regimi di sostegno che devono essere riconosciuti solo in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi richiesti dalla legge.

La non ripetibilità dell’incentivo fondato sulla sola circostanza dell’avvenuto pagamento introduce una ipotesi di soluti retentio che muta la causa dell’erogazione da sostegno alla produzione di energia da fonte rinnovabile a mero finanziamento a fondo perduto dell’operazione imprenditoriale, suscettibile di porsi in contrasto con il divieto di aiuti di Stato.

13. Con il quinto motivo di appello, articolato in via subordinata, è stato censurato il capo della sentenza che ha escluso l’illegittimità del provvedimento impugnato nonostante il GSE non avesse valutato la possibilità di disporre l’ammissione dell’impianto alle tariffe del II Conto energia (DM. 19.2.2007).

In tale modo – secondo l’appellante - il GSE avrebbe violato il principio del minimo mezzo, dato dall’applicazione del D.M. 19.2.2007 che, a differenza del D.M. 28.7.2005, non prevedeva alcuna distinzione in ragione della potenza degli impianti, né diverse modalità di accesso agli incentivi o la prestazione di una cauzione a garanzia dell’entrata in esercizio degli impianti.

Ciò sarebbe stato imposto anche dall’art. 11 D.M. 31.1.2014 e dall’art. 42, comma 5, D.Lgs. n. 28/11; il che avrebbe pure consentito di mantenere in vita l’impianto, nel rispetto del principio di legalità.

Il motivo è infondato.

Il richiesto slittamento dal primo al secondo conto energia è, come affermato nella sentenza di prime cure, privo di base normativa.

I criteri e le modalità di erogazione degli incentivi devono essere predeterminati anche sul piano temporale a tutela dei principi di imparzialità, trasparenza e parità di trattamento (art 12 l. 241/1990).

Nel caso di specie l’art. 6 d.m. 19.2.2007 ha indicato il periodo di diritto, senza prevedere alcuna possibilità di “slittamento” per gli impianti entrati in esercizio sotto la vigenza del precedente conto energia.

14. Con il sesto motivo di appello, sempre formulato in via subordinata, è stato censurato il rigetto dei motivi aggiunti incentrati sulla violazione dell’art. 1, comma 960, L. n. 205/2017, che avrebbe escluso dall’ambito dei poteri attribuiti al GSE, quello di disporre la decadenza tout court dalle tariffe incentivanti, ammettendo unicamente, in omaggio al principio di proporzionalità, la possibilità di disporre una rimodulazione della tariffa tra il 20% e l’80% al fine di salvaguardare la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile, la cui implementazione è oggetto di un obbligo internazionale recepito in sede euro-unitaria. .

L’appellante ha infatti rimarcato che il comma 3 dell’art. 42 del D.Lgs. 03/03/2011, n. 28, è stato modificato dall’art. 1, comma 960, lett. a) della legge n. 205/2017, con l’inciso che “al fine di salvaguardare la produzione di energia da fonti rinnovabili degli impianti che al momento dell'accertamento della violazione percepiscono incentivi, il GSE dispone la decurtazione dell'incentivo in misura ricompresa fra il 20 e l'80 per cento in ragione dell'entità della violazione”. Secondo l’appellante, sarebbe irragionevole applicare in via retroattiva una normativa sfavorevole, quale quella risultante dalla precedente formulazione dell’art. 42 cit., e applicare irretroattivamente la nuova normativa favorevole, pure tenuto conto del principio di retroattività della norma sopravenuta più favorevole al soggetto agente.

Qualora si dovesse opinare in senso contrario l’appellante sostiene possa divenire rilevante la questione di incostituzionalità dell’art. 42, comma 3, D.Lgs. n. 28/2011 in ragione della contestata natura sanzionatoria del potere esercitato.

L’appellante ha successivamente rilevato come l’art. 13-bis, comma 2, del d.l. 101/2019, convertito in legge n. 128/2019, ha previsto che la decurtazione sia nella misura “fra il 10 e il 50 per cento” (comma 1 lett. a) e ha contestualmente chiarito che la sopra riportata previsione ha natura retroattiva applicandosi “agli impianti realizzati e in esercizio oggetto di procedimenti amministrativi in corso e, su richiesta dell’interessato, a quelli definiti con provvedimenti del Gestore dei servizi energetici (GSE) di decadenza dagli incentivi, oggetto di procedimenti giurisdizionali pendenti nonché di quelli non definiti con sentenza passata in giudicato” (comma 2).

Il motivo è infondato.

La disposizione invocata dall’appellante prevede, in luogo della decadenza, una decurtazione dell’incentivo in misura compresa tra il 20 e l’80 per cento, poi modificato, come indicato, in misura ricompresa fra il 10 e il 50 per cento dall’art. 13-bis, comma 1, lettera a), del D.L. 3 settembre 2019, n. 101, dalla l. 2 novembre 2019, n. 128, in ragione dell’entità della violazione.

Secondo l’appellante la modifica sarebbe applicabile alla fattispecie per cui è causa.

La giurisprudenza tuttavia ha chiarito che la novella non ha portata interpretativa, ma innovativa e dunque non può che applicarsi alle violazioni accertate dopo il 1 gennaio 2018, data di entrata in vigore della legge che l’ha introdotta (Cons. Stato, sez. IV, 14 aprile 2020 n. 2396; 2 ottobre 2019 n. 6583; sez VI 03 gennaio 2022 n. 9).

La rimodulazione dell’incentivo, inoltre, presuppone che non si tratti di violazioni rilevanti ai fini dell’ottenimento, come accaduto nel caso di specie (Cons. Stato, sez. IV, 24 gennaio 2022 n. 462).

Quanto all’applicazione dell’art. 13-bis, comma 2, del d.l. n. 101/2019, la norma prevede ai fini della sua applicazione alle fattispecie sub iudice, la necessità di una istanza di parte, nel caso di specie non formalmente presentata.

Inoltre la medesima disposizione stabilisce che la presentazione di tale istanza equivale ad “ammissione delle violazioni e rinuncia alla domanda giudiziale”, circostanza che il ricorrente non ha indicato di volere o accettare.

Non è quindi possibile operare un’automatica applicazione in sede giudiziale del solo effetto della decurtazione dell’incentivo, in quanto non conforme al testo, nè alla ratio, della medesima disposizione, che ha anche un intento deflattivo del contenzioso, su espressa richiesta di parte.

15) In ultimo devono essere esaminate le ulteriori questioni di compatibilità unionale e di costituzionalità poste dall’appellante.

In primo luogo devono ritenersi irrilevanti le questioni di compatibilità unionale e di legittimità costituzionale fondate sul presupposto della natura sanzionatoria del potere esercitato con il provvedimento impugnato in primo grado.

Invero, la natura non sanzionatoria del potere di decadenza del G.S.E. è stata chiarita dalla già citata sentenza dell’Adunanza Plenaria n.18/2020, che ha evidenziato come la decadenza si differenzi dalla sanzione sia sul piano dell’elemento soggettivo, non richiedendo né dolo, né colpa, sia sul piano dell’effetto ablatorio, che è limitato e coincide “al massimo” con l’utilità già concessa mediante il provvedimento ampliativo.

Il discrimine fra la decadenza dal beneficio incentivante e la sanzione per la violazione delle norme che disciplinano il rapporto con la pubblica amministrazione inoltre “è segnato dallo stesso art. 42 del d.lgs. n. 28 del 2011, che specificatamente demanda al GSE il compito di trasmettere gli atti, a base del provvedimento di decadenza, all’Autorità indipendente di settore (ARERA) per l’eventuale irrogazione delle sanzioni” (Consiglio di Stato, Ad. Plen., 11 settembre 2020 n. 18)

Ne discende che “la decadenza non ha natura sanzionatoria, ma ripristinatoria di un assetto procedimentale alterato dalla erronea asseverazione della presenza di requisiti viceversa mancanti. Invero, le sanzioni vere e proprie vengono applicate unicamente dall’Autorità di settore, con la conseguenza che risulta inconferente la questione della applicazione dei c.d. Engel criteria e del principio di non retroattività delle sanzioni, proprio in applicazione degli argomenti e principi sviluppati dalle richiamate sentenze della Corte costituzionale n. 237 del 2020 e n. 51 del 2017” (Cons. Stato, sez. IV, 20 gennaio 2021, n. 594).

In secondo luogo deve rilevarsi parimenti l’irrilevanza dei dubbi di compatibilità unionale posti in relazione alla direttiva 2009/28/CE che prevede che l’incentivazione pubblica debba garantire condizioni di stabilità per gli investitori.

La lettura della direttiva 2009/28, in particolare dei considerando n. 8 e 14, manifesta che l’obiettivo nazionale obbligatorio è costituito per ogni Stato membro da una quota percentuale di energia sul consumo finale lordo che deve essere necessariamente prodotta da fonti rinnovabili, nell’ambito dell’obiettivo complessivo del 20% fissato a livello comunitario.

La fissazione di un obiettivo obbligatorio a livello nazionale consente “di creare la stabilità a lungo termine di cui le imprese hanno bisogno per effettuare investimenti razionali e sostenibili nel settore delle energie rinnovabili” (considerando 8).

Tra le principali finalità dell’obiettivo nazionale obbligatorio vi è quella di creare certezza per gli investitori nonché stimolare lo sviluppo costante di tecnologie capaci di generare energia a partire da ogni tipo di fonte rinnovabile (considerando 14).

La certezza degli investitori si realizza, quindi, mediante l’obbligatorietà della quota percentuale di energia da fonti rinnovabili che lo Stato membro è tenuto a raggiungere, obiettivo a cui sono strumentali sia le misure di sostegno erogate da G.S.E.-imperniate sul c.d. effetto incentivazione- sia il connesso potere di verifica, controllo e decadenza.

La medesima direttiva (considerando 25) sancisce, infatti, che “per il corretto funzionamento dei regimi di sostegno nazionali è essenziale che gli Stati membri possano controllare gli effetti e i costi dei rispettivi regimi in funzione dei loro diversi potenziali”.

Il potere di verifica e di decadenza, garantendo la distribuzione degli incentivi ai soli operatori economici in possesso dei requisiti di legge secondo la logica incentivante sopra indicata, lungi dal pregiudicare le finalità della direttiva, è invece funzionale al raggiungimento all’obiettivo nazionale obbligatorio e alla creazione di un quadro di certezza per gli investitori, come previsto dalla direttiva medesima.

Parimenti non può ravvisarsi alcuna violazione del legittimo affidamento sul diritto all’incentivo.

Al riguardo la Corte di Giustizia- dopo aver ricordato la non obbligatorietà dei regimi di sostegno che gli Stati membri sono liberi di prevedere o meno, e ponendosi nel solco della giurisprudenza sopra richiamata in tema di tutela ex art 1 prot 1 CEDU e art 17 CDFUE- ha precisato che, qualora un operatore economico prudente ed avveduto sia in grado di prevedere l'adozione di un provvedimento idoneo a ledere i suoi interessi, esso non può invocare detto principio nel caso in cui il provvedimento venga adottato.

Inoltre gli operatori economici non possono fare legittimamente affidamento sul mantenimento di una situazione esistente che può essere modificata nell'ambito del potere discrezionale delle autorità nazionali (Corte giustizia UE, sez V 15 aprile 2021, in cause C 798/18 e C 799/18, Federazione nazionale delle imprese elettrotecniche ed elettroniche).

I principi elaborati dalla Corte valgono a maggior ragione nel caso di specie, ove non vi è stata una modifica in senso peggiorativo del regime di sostegno a cui l’operatore aveva diritto, ma difettavano in capo all’interessato, al momento della presentazione della domanda (stante la non veridicità della dichiarazione resa) , comunque al momento della realizzazione degli impianti de quibus (per l’emersione di un progetto unitario, pure diverso, in punto di localizzazione, da quello dichiarato), i requisiti per beneficiare dell’incentivo (cfr., sul punto, Cons. Stato, sez. VI, 03 gennaio 2022 n. 9: “fino allo svolgimento dell’attività di controllo e al suo positivo superamento nessun legittimo affidamento può crearsi nella parte privata in relazione alla sussistenza e alla debenza degli incentivi, tenuto conto che le verifiche hanno proprio la finalità di appurare tale situazione”).

Il quadro normativo e giurisprudenziale sopra richiamato esclude che possa ravvisarsi un contrasto con la normativa europea nel caso in cui la decadenza sia stata disposta a causa di riscontrate violazioni, che devono, in ogni caso, essere rilevanti ai sensi dell’art 11 d.m. 31 gennaio 2014.

La decadenza dalla tariffa incentivante, anche se applicata a distanza di un certo lasso di tempo dal provvedimento di ammissione, non può rappresentare un rimedio incompatibile con gli obiettivi di corretto funzionamento dei regimi di sostegno nazionali, poiché l’istituzione di procedure di controllo non è idonea a ingenerare la sfiducia negli operatori in possesso dei requisiti per il conseguimento degli incentivi e non produce alcuna situazione di instabilità, non determinando una sopravvenuta modifica della normativa. (Cons. Stato, sez IV, 20 gennaio 2021 n. 594).

In conclusione, sia la direttiva che la giurisprudenza della Corte di Giustizia escludono che la previsione di un potere di verifica e decadenza in capo al GSE sia, di per sé, in contrasto con il legittimo affidamento e la fiducia degli investitori la quale viene, per contro, tutelata, attraverso il corretto funzionamento dei regimi di sostegno che impongono un controllo non limitato alla mera fase iniziale di incentivazione, con conseguente manifesta infondatezza delle questioni poste dall’appellante (Corte giustizia UE grande sezione – 6 ottobre 2021, in causa C-561/19, Catania Multiservizi e SpA e Rete Ferroviaria Italiana SpA, punto 47).

Infine, devono ritenersi irrilevanti questioni inerenti all’incompatibilità unionale di una normativa nazionale che consenta a una Amministrazione pubblica di disporre la decadenza dalle tariffe incentivanti a distanza di un ingente lasso di tempo dal formale ed espresso provvedimento di ammissione, sulla base dell’asserita esistenza di una limitazione consistente nell’essere proprietario di singoli impianti fotovoltaici tra loro adiacenti.

Invero, la normativa nazionale non ricollega alla differente potenza nominale degli impianti alcun limite al libero svolgimento dell’attività economica, né osta all’incentivazione di impianti aventi una potenza nominale superiore a 50 kW, bensì prevede, a fronte di risorse in quantità limitata e in applicazione dei principi unionali di parità di trattamento e non discriminazione, l’osservanza di talune regole procedurali per la concessione dei benefici pubblici, in specie, richiedendo per gli impianti di potenza nominale superiore a 50 kW una selezione comparativa in ragione dei valori di tariffa incentivante proposti da ciascun richiedente.

Viene meno, dunque, il presupposto alla base della richiesta di rinvio pregiudiziale, facendosi questione di disciplina interna che, contrariamente a quanto ritenuto dall’appellante, non limita ma promuove, incentivandola, l’attività di produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare, anche attraverso impianti di potenza nominale superiore a 50 kW.

Peraltro, nella specie, la decadenza non è stata disposta in ragione della mera vicinanza territoriale di due impianti, ma per l’artato frazionamento di impianti al fine di conseguire benefici economici non dovuti.

La normativa nazionale impedisce che un progetto di investimento unitario, riferito a impianti sostanzialmente unitari espressivi di una potenza complessivamente superiore a 50 kW, sia sottoposto ad un regime semplificato e maggiormente agevolato, riservato ad impianti minori di potenza inferiore a 50 kW; non si tratta, tuttavia, di una limitazione dell’attività di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, ma soltanto di un divieto di costruzioni artificiose, fondate su una separazione di impianti meramente formali, al fine di trarre benefici altrimenti non dovuti.

Non potrebbe argomentarsi diversamente neppure facendo leva su un’incertezza del quadro normativo di riferimento, tenuto conto che il divieto di frazionamento artato degli impianti, come più volte precisato, discende chiaramente dal divieto di abuso del diritto, immanente all’ordinamento non soltanto nazionale ma anche unionale (cfr. Corte di Giustizia, 29 aprile 2021, in causa -617/19), che un operatore prudente e accorto del sistema non potrebbe non conoscere.

17) Per le suesposte ragioni l’appello va rigettato.

La presente decisione è stata assunta tenendo conto dell’ormai consolidato “principio della ragione più liquida”, corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5 gennaio 2015 n. 5 nonché Cass., Sez. un., 12 dicembre 2014 n. 26242), e le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663 e per il Cons. Stato, Sez. VI, 19 gennaio 2022, n. 339), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Le specifiche circostanze inerenti al ricorso in esame costituiscono elementi che militano per l’applicazione dell’art. 92 c.p.c., come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a. e depongono per la compensazione delle spese del grado di giudizio di appello tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati:

Carlo Saltelli, Presidente

Cecilia Altavista, Consigliere

Carla Ciuffetti, Consigliere

Francesco Guarracino, Consigliere

Fabrizio D'Alessandri, Consigliere, Estensore