Sez. 3, Sentenza n. 27282 del 17/06/2004 (Ud. 26/03/2004 n.00579 ) Rv. 229008
Presidente: Vitalone C. Estensore: Fiale A. Imputato: Celli. P.M. Passacantando G.
(Conf.)
(Rigetta, Trib. Rieti, 18 dicembre 2001).
SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - Attività di raccolta di veicoli fuori uso - Finalizzata all'attività di autoriparatore - Autorizzazione - Necessità - Assenza - Reato di cui all'art. 51 del
D.Lgs. n. 22 del 1997.
CON MOTIVAZIONE
Massima (Fonte CED Cassazione)
L'attività di raccolta di veicoli fuori uso costituisce attività di gestione di rifiuti anche se finalizzata alla attività di autoriparatore, e se svolta in assenza di autorizzazione configura il reato di cui all'art. 51, comma primo, del D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, atteso che anche a seguito della entrata in vigore del D.Lgs. 24 giugno 2003 n. 209, attuazione della Direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, il centro di raccolta deve essere previamente autorizzato
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. VITALONE Claudio - Presidente - del 26/03/2004
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - SENTENZA
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - N. 579
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 13205/2002
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CELLI PASQUALINO, n. Rieti il 16.4.1960;
avverso la sentenza 18.12.2001 del Tribunale di Rieti in composizione monocratica;
visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dr. Aldo Fiale;
udito il Pubblico Ministero in persona del Dr. Passacantando Guglielmo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 18.12.2001 il Tribunale monocratico di Rieti affermava la penale responsabilità di Celli Pasqualino in ordine al reato di cui:
- all'art. 51, 1^ comma - lett. a), D.Lgs. n. 22/1997, per avere, senza la prescritta autorizzazione, esercitato l'attività di raccolta e recupero di rifiuti non pericolosi (autoveicoli destinati alla rottamazione e parti di essi) - acc. in località Casagrande di Rieti, il 29.9.1999;
e, con la contestata recidiva, lo condannava alla pena di lire 6 milioni di ammenda.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Celli, il quale, sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, ha eccepito anche con "motivi aggiunti":
- la insussistenza del reato, in quanto nella specie non potrebbe configurarsi l'esistenza di "rifiuti" destinati all'abbandono, bensì di autovetture e parti meccaniche destinati all'utilizzazione nello svolgimento della propria attività di autoriparazione: alcuni di tali veicoli, inoltre, erano sottoposti a sequestro ed egli non poteva disfarsene poiché affidatigli in custodia giudiziale;
- l'incongruità del diniego di circostanze attenuanti generiche. MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere rigettato, perché le doglianze anzidette sono infondate.
1. Deve premettersi, in punto di fatto, che, il Celli era munito di autorizzazione prefettizia per lo svolgimento di attività di custodia giudiziaria, di soccorso stradale e di autoriparazione, ma non anche dell'autorizzazione alla raccolta e smaltimento di rifiuti ai sensi del D.Lgs. n. 22/1997 e che, su un terreno da lui condotto in locazione, vennero rinvenuti (tra l'altro): n. 3 veicoli affidati in custodia giudiziale, n. 5 veicoli poi conferiti presso un centro di rottamazione e n. 7 veicoli privi di targa che, secondo le dichiarazioni dello stesso imputato, venivano utilizzati per ricavarne pezzi di ricambio.
Vennero rinvenuti, altresì, numerosi motori, componenti meccaniche e parti di carrozzeria.
Già a norma dell'art. 46 del D.Lgs. n. 22/1997, il proprietario di un veicolo a motore che intendeva procedere alla demolizione dello stesso doveva consegnarlo ad un centro di raccolta per la messa in sicurezza, la demolizione, il recupero dei materiali e la rottamazione. Tali centri di raccolta potevano "ricevere anche rifiuti costituiti da parti di veicoli a motore" e dovevano comunque essere autorizzati ai sensi degli artt. 27 e 28 dello stesso D.Lgs. n. 22/1997.
I veicoli "fuori uso" assumevano il carattere di rifiuti fin dal momento in cui venivano dimessi dal proprietario, che se ne disfaceva proprio attraverso la consegna al demolitore.
Nella vicenda in esame - a prescindere dalla autorizzata ma del tutto marginale attività di custodia giudiziaria - l'imputato ha esercitato sostanzialmente un centro di raccolta e di rottamazione, sia pure finalizzato alla propria attività di autoriparatore, e tale attività, che rientra senza alcun dubbio nell'ambito del recupero e dello smaltimento, non poteva (e tuttora non può) essere esercitata senza autorizzazione (vedi Cass., Sez. 6^, 6.7.1999, n. 1899, Archidiacono ed altro; nonché Sez. 3^: 25.1.1999, n. 902, Convertini, 21.10.1998, n. 10952, Boccanera e 24.7.1998, n. 8572, Pontone).
Appare opportuno ricordare, in proposito, che il 22 agosto 2003 è entrato in vigore il i D.Lgs. 24.6.2003, n. 209 (Attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso) con cui è stata introdotta in Italia una nuova normativa concernente il recupero e il riciclaggio di materiali provenienti da veicoli a fine vita. Detto D.Lgs. non contiene norme più favorevoli e, all'art. 3, considera il veicolo "fuori uso" un rifiuto sia il veicolo di cui il proprietario si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi sia quello destinato alla demolizione, ufficialmente privato delle targhe di immatricolazione, anche prima della consegna ad un centro di raccolta, nonché quello che risulti in evidente stato di abbandono ancorché giacente in area privata. Il centro di raccolta deve essere autorizzato alla stessa stregua dei soggetti che effettuino il trasporto destinato al centro stesso. 2. La concessione o il diniego delle attenuanti generiche rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere bensì motivato ma nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (vedi Cass., Sez. 1^, 16.6.1992, n. 6992).
Le attenuanti generiche, nel nostro ordinamento, hanno lo scopo di allargare le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole al reo, in considerazione di situazioni e circostanze particolari che effettivamente incidano sull'apprezzamento dell'entità del reato e della capacità di delinquere dell'imputato, n riconoscimento di esse richiede, dunque, elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente il Tribunale ha fatto derivare il diniego della loro concessione.
Il Tribunale, inoltre, nel corretto esercizio del potere discrezionale riconosciutole in proposito dalla legge ha dedotto logicamente prevalenti significazioni negative della personalità dell'imputato da quei precedenti penali, di rilevante entità, che egli non può non ammettere.
3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 26 marzo 2004.
Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2004