La pratica è più complessa? Una buromitologia! Per migliorare la consulenza e la burocrazia sui rifiuti (Parte I)

di Roberto QUARESMINI e Alberto PIEROBON

pubblicato su osservatorioagromafie.it. Si ringaziono Autori ed Editore

Una doccia fredda per riaprire gli occhi.

In generale, uno dei problemi che più angustiano gli interessati (come pure i cittadini) nel rapporto con la burocrazia in Italia, è la complessa interazione fra i vari procedimenti ed endoprocedimenti dovuti alla frammentazione, talvolta necessaria, delle competenze 1. Parlando di ambiente, segnatamente dei rifiuti, la questione assume una complicazione ancor maggiore, dovuta com’è noto ad un quadro normativo complesso ed in continuo divenire, che spesso costituisce per la burocrazia un alibi, se non una selva oscura dove nascondersi, mimetizzarsi e/o muoversi meglio, non sempre nel pubblico interesse. In questo desolante scenario cercheremo di offrire alcuni modesti spunti di riflessione sul mondo amministrativo che «governa» il nostro Paese, un mondo fatto non solo di carte, di comportamenti e di persone, ma anche di avvolgenti mitologie che, nel caso, diventano, per l’appunto, «buromitologie», valevoli, reciprocamente, anche per il c.d. «mondo consulenziale». Per comodità espositiva e per meglio comprenderne la critica, assumiamo come paradigmatico lo svolgersi dell’iter amministrativo concernente una autorizzazione in materia ambientale.

Veterani si nasce?

Sembra che nelle «osterie» consulenziali non si abbia tempo per studiare, perché – questa la giustificazione – si deve solo lavorare, fare, produrre e fatturare. In un atteggiamento saccente alcuni vogliono sapere qualcosa di più degli altri, soprattutto di coloro – funzionari pubblici e/o esperti incaricati – che sono adibiti all’esame, alla valutazione e alla decisione che riguarda i documenti presentati dai suddetti consulenti alle amministrazioni competenti, come pure – quando capita – in sede giudiziale. In realtà la situazione sembra essere... peggiore! Perché sono molti burocrati a soffrire questi vizi, ove diventa fastidiosa e sgradita – nel miglior dei casi tacciandola come «eccentrica» – la critica, l’approfondimento, il porsi fuori dal coro. Qualcuno facilmente contesterà come apodittica questa nostra – si badi: estrema e provocatoria – ricostruzione, osservando che nel panorama dottrinario, consulenziale e formativo – in una catena di trasmissione dove non mancano alleanze, si strizza l’occhiolino tra i diversi attori – ci sono interpretazioni e attuazioni quantomeno varie e diverse.

Ciò è vero, ma esse posizioni-manifestazioni vanno valutate anche nella loro indipendenza, non nel loro ammucchiarsi per rispondere (corrispondere?) ai desiderata e agli interessi dei committenti (o di chi sta loro dietro). Senza poi dire dei luoghi comuni e delle banalità perlopiù propinate per persuadere la gente e creare consenso, nella domanda di prestazioni. Lo stesso «male» viene vissuto dai burocrati che spesso leggono le carte nel ruolo dei Maigret di turno alla ricerca del crimine, come pure spesso si chiedono e richiedono carte e riscontri al privato per sfuggire alle proprie responsabilità (vedremo oltre), irrigidendosi nei loro vetri di bottiglia, in programmi facili se non insulsi, trovando le «soluzioni» talvolta a tavola, prevalendo chi spaccia retoriche soluzioni e vantandosi di «preziosi» rapporti, confidando nella altrui dabbenaggine. A seconda, si nascondono o si enfatizzano, le difficoltà trovando accomodamenti formali e accantonando le contraddizioni di sostanza, accontentandosi di soluzioni, appunto, «comode», in sapore di marketing. Così vengono gettati soldi ed energie per l’attività di professionisti incaricati di avviare e curare le famose «pratiche», accompagnandole da piramidi documentali, da pareri, ecc. oppure per seguire l’eccesso difensivo (talvolta può avvenire il contrario) di una intransigente burocrazia. Tutti però cercano una «parte», cercano di lusingare e farsi lusingare, in una costante attività di confusione che pare far comodo. Il senso dell’inutilità di tutto questo incide sulla nostra esistenza. Che fare fuori da questa apparente agitazione tecnicistica che spesso copre una indolenza professionale? Sulla base delle nostre esperienze, estraendo alcune casistiche paradigmatiche, vorremmo contrastare quel vile sentimento che è all’origine di tanti atti nefandi, nella persuasione che tutto sia lecito e giusto e che quindi non possa esistere serietà e giustizia, nemmeno per coloro che si affaticano quotidianamente in quella laboriosa attività artigianale, toccando i problemi e cercando di risolverli concretamente.

Ideazione o complottismo? Tra fumo e arrosto.

Anzitutto, sulla c.d. «procedibilità» di una istanza richiesta da un soggetto interessato, serve chiarire il rapporto tra il già articolato piano regionale di gestione dei rifiuti (urbani e speciali: d’ora in poi «PRGR»)2 e altri obiettivi, vincoli ed elementi 3. In particolare, vogliamo soffermarci su taluni aspetti soventemente trascurati dalle amministrazioni, ovvero sulla mancata presa di posizione sia legislativa che da parte degli organi politici, nell’avviare (o meno) dei procedimenti amministrativi che – come vedremo – potrebbero già considerarsi «inutili» ponendosi essi in contrasto (vedremo come) con lo strumento pianificatorio.

Ad esempio, il consumo di suolo, gli aspetti economico-finanziari legati ad un surplus impiantistico, ecc., in un panorama che teoricamente, laddove sia frutto di serie e franche analisi, consente di formulare (e di «provare» anche in altre sedi) il giudizio circa la iniziativa posta all’esame degli uffici autorizzativi, ovvero se essa sia stata (o meno) progettata (se non ideata) in un orizzonte concreto di investimento e di reddittività, ovvero abbia una sua complessiva sostenibilità.

Ed è nella fase dell’avvio procedimentale, sin dalla presentazione della istanza (la «domanda» che dà inizio ai «giochi» tra labirinti procedimentali ed operazionali), dove contenuti, metodi ed esternalità fanno a nascondino, tra fumo e arrosto. Infatti, la chance (o meno) del successo della istanza, si considera non solo con riferimento alla normativa applicabile e agli uffici da compulsare, poiché non mancano strategie e scelte tattiche sul «come» approcciarsi e scrivere ai funzionari destinatari, nel delirio o nel paradiso burocratico. Oltre alle questioni già di per sé rilevanti, occorre chiedersi cos’è veramente e a che cosa serve un buon PRGR. Essendo anche un piano di governo, possono venire tirati in ballo più elementi e nodi, quali i flussi quali-quantitativi, non solo dei rifiuti urbani, ma anche dei rifiuti speciali, il catasto degli impianti, la valutazione ambientale strategica (VAS) e il monitoraggio che include la verifica dell’attuazione del programma, il raggiungimento degli obiettivi e la valutazione degli effetti ambientali nella loro ricaduta a medio e lungo termine. Ciò perché una interpretazione dei risultati, cioè degli effetti della iniziativa di cui trattasi, implica valutazioni sull’opportunità di risintonizzare (o meno), se non riorientare il medesimo PRGR. Un esempio ipotetico potrebbe riguardare l’autosufficienza nella gestione dei rifiuti di vetro. Qui andrebbe anzitutto evidenziata la produzione storica del vetro a livello di bacino, con riferimento all’utenza pubblica (domestica e non), dopo di che andrebbero incrociati i dati ottenuti con la potenzialità impiantistica, talché si potrà valutare se esiste (o meno) un’adeguata capacità di trattamento. Ma tutto questo non basta. Se pensiamo, ad esempio, alle Regioni dove esiste un unico impianto regionale, non baricentrico, che costringe i produttori (Comuni o EGATO) a trasportare il vetro per centinaia di chilometri, potrebbero generarsi impatti ambientali mal contabilizzati, dovuti alla sottostima del traffico veicolare indotto, nella necessità di raggiungere l’impianto in parola. Infatti, un buon PRGR, deve ricercare l’ottimalità logistica assieme al risparmio di risorse ambientali (es. CO2) tenendo conto di altri elementi, quali: viabilità orografia territoriale; taglia impiantistica; costi di investimento e di esercizio; prossimità di impianti di riciclaggio, ecc. Ove le valutazioni di impatto lo consentano, potrebbe rimanere anche l’unico impianto nell’ambito regionale o bacinale.

Ecco quindi la necessità di acquisire – nel corso dell’applicazione del PRGR – i dati che vanno non solo capiti, bensì rappresentati e valutati nei loro risultati. Ciò retroagisce sul piano proprio per capire se esso deve rimanere com’è oppure se va modificato. E tanto dovrà auspicabilmente avvenire periodicamente. Ulteriori elementi che si intersecano e che non sono solamente giuridici, ma che certamente vanno ponderati nella loro diversa «obbedienza» riguardano: l’autosufficienza bacinale, la prossimità, la specializzazione e la libera circolazione dei rifiuti speciali. E ancora, occorre distinguere tra l’avvio alle operazioni di recupero e quelle dello smaltimento, approfondendo in progress la situazione impiantistica (pubblica e/o privata che sia), in particolare analizzando se gli impianti intermedi flirtino (o peggio) con gli impianti finali, guardando alla loro diversità processistica (recupero o smaltimento) e al coinvolgimento di eventuali commercianti e intermediari. Infatti, è soprattutto dagli impianti intermedi (se non, addirittura, dalle carte dei «colletti bianchi») che escono o cambiano quali-quantitativamente i flussi «offerti» e quindi la «domanda» che si incrocia con altri soggetti, potendo creare anche la domanda e l’offerta di flussi (se non hidden flows ) da una base di dati fisici esistenti 4. I princìpi dianzi cennati rilevano anche per le iniziative di realizzazioni impiantistiche nuove o per il potenziamento degli impianti esistenti, ecc.

Chiediamoci quindi se in questo «mercato» stabilito dal piano (siamo ancora in presenza di rifiuti urbani?) 5 può esserci e se sia possibile (e come) una vera concorrenza, quantomeno tale da consentire un miglioramento, se non un abbassamento dei costi e come vadano intese queste economie gestionali e/o riduzioni. Secondo i metodi efficientistici di ARERA, oppure con logiche marginaliste o, ancora, con altri sistemi? Pervero nel mercato dei rifiuti urbani sono perlopiù le utilities e gli appalti a dettare le regole... nella pseudo logica dei «migliori della classe» 6.

È ovvio che gli investimenti e i servizi si fanno nell’orizzonte di un ritorno (non tanto il break-even di scolastica memoria), altrimenti perché mai questi soggetti entrerebbero in un siffatto mercato. E qui non si possono non valutare le «esternalità», e, altresì, la gestione che non rimane solo sulla carta; diversamente gli imprenditori dovranno risparmiare su altri costi: personale, aspetti ambientali, sicurezza, ecc.

Non siamo certo tra i fautori (anzi!) dei piani dei vetero sistemi sovietico-cinesi (i famosi «piani quinquennali» 7) con i quali si imponeva dirigisticamente un mercato, soffocando altre iniziative. Ma diventa chiaro che in una pianificazione pubblica che guarda agli interessi pubblici della gestione dei rifiuti, bisogna pensare a contingentare gli impianti, altrimenti si assisterà all’assalto alla diligenza di improvvisati imprenditori o di affaristi avventurieri, a tacer d’altro.

Per cui le istanze presentate per realizzare degli impianti di trattamento di rifiuti vanno quivi contestualizzate ed esaminate con una chiara metodica. Ad es. il soggetto «X» inoltra l’istanza per un impianto di trattamento di «aggregati» e quindi di rifiuti inerti; ma se nella Regione è già stato raggiunto il fabbisogno necessario per ritrattare tutte le quantità di aggregati che vengono ivi prodotte, non è forse più corretto e rispettoso nei confronti degli interessati (la cui iniziativa non va mortificata) chiarire subito, come dire... senza «tirarla lunga» nei tempi di risposta, né spostare «a valle» tramite riscontri legali, che la medesima iniziativa dev’essere subitamente negata proprio perché non rientrante – secondo queste valutazioni – nell’anzidetta pianificazione regionale?

Diversamente lavoreranno, inutilmente, una pletora di consulenti e gli apparati burocratici. Bisogna altresì capire se gli imprenditori si siano mossi su un terreno conosciuto e sul quale confidavano nel buon esito tanto da aver ideato e avviato l’iniziativa, oppure se esistano altri e diversi motivi dell’istante. Paradossalmente ciò potrebbe essere solo per.... «sbloccare» (sic!) il suolo. Sviluppiamo l’esempio: con una richiesta di autorizzazione ordinaria (art. 208 del TUA) è possibile andare in variante allo strumento urbanistico poiché gli impianti di trattamento rifiuti sono qualificati come «impianti di pubblica utilità»; ma quale sarebbe questa «pubblica utilità» ove questi impianti siano stati ideati e progettati al di fuori delle logiche del PRGR? La Provincia o la Regione autorizzano e modificano lo strumento urbanistico in maniera temporanea ex art. 208 TUA. Epperò essi impianti, una volta ottenuta l’autorizzazione regionale/provinciale, si apprestano a chiedere la modifica allo strumento urbanistico, «allettando» il Comune che coltiva l’aspettativa di introitare i previsti oneri per le aree industriali. Indi il Comune effettua una variante del PGT (Piano di governo del territorio -ex PRGC) rendendo definitivo l’intento in parola 8 . In tal senso si potrebbe forse realizzare una sorta di «connivenza» tra l’istante (imprenditore e suo apparato, anche consulenziale) e il referente (tecnico o politico) comunale i quali ultimi sposano il laissez faire, laissez passer procedimental-autorizzativo, per cui nella conferenza dei servizi, per dirla lapidariamente, magari si esprimono col «va tutto bene».

In tal modo il Comune incassa le somme dovute per l’urbanizzazione e l’imprenditore comunque realizza una propria capitalizzazione, perché se il capannone adibito ai rifiuti crea dei cosiddetti «valori negativi», attualizzando l’attività di trattamento per riportarlo al suolo, in questo modo si aggirano bellamente le discipline sul consumo del suolo, riuscendo l’imprenditore a costruire un capannone che altrimenti non avrebbe potuto fare e che ha un valore economico (tra il terreno e l’immobile).

Ecco perché il PRGR deve essere davvero uno strumento di pianificazione, evitando la costruzione di immobili e di impianti quantomeno «inutili». Rimane ferma la prefigurazione degli scenari economici e tariffari di questi impianti, nonché della complessiva situazione impiantistica, anche perché esistono più operatori che cercano di ottimizzare i propri impianti, «accapparandosi» (sic!) i rifiuti abbassando i prezzi-corrispettivi formulati ai clienti, pur di non perderli. Epperò abbassandosi i prezzi, l’impresa deve ridurre i propri interventi, tagliando i costi dal piano industriale, oppure dovrà lavorare secondo diversi (rectius, minori) standard qualitativi e quantitativi, con il rischio di un dumping dei prezzi e di una concorrenza sleale.

Ecco che la procedibilità di una istanza va opportunamente collegata alla coerenza e alla logica rispetto a una pianificazione e alla situazione impiantistica esistente per i flussi che si intendono intercettare e trattare. Per consentire in capo agli uffici competenti questo modus operandi, non occorre che i funzionari impazziscano o si smarriscano tra il dedalo di documenti e bizantinismi, poiché è bastevole adottare e chiedere la diligente compilazione, da parte degli istanti, di una sorta di scheda di fattibilità dimostrante p.c.d. lo «allineamento» della loro iniziativa col PRGR.

Qui chi vuole fare il «furbo», assieme ai propri consulenti, potrebbe replicare che il flusso dei loro rifiuti proviene da fuori bacino, da fuori Regione, invocando e riparandosi nell’usbergo della libera circolazione delle merci e del principio di prossimità, per cui – secondo questa superficiale lettura – il PRGR non può essere dirigistico e quind’anche deprimere le iniziative private e il mercato 9.

Anche qui si rimettono in campo le valutazioni di impatto ambientale che vanno collocate, nell’esistenza o inesistenza di un impianto, sia per i flussi input che output, pensando ad una valutazione più allargata e che guardi alla complessiva sostenibilità.

Ma questa valutazione non può essere certo rimessa al privato, bensì dev’essere svolta dall’apparato burocratico, già in sede di PRGR, svolgendo puntuali valutazioni economiche, ad es. ove i rifiuti «inerti» vengano gestiti con tariffe-corrispettivi modesti, ad esempio nel range di 10-12 €/metro cubo, se dalle analisi svolte emerge che la marginalità minima per il funzionamento dell’impianto, comprendente anche l’abbattimento delle emissioni, il trattamento delle acque, l’assicurazione del trasporto dei flussi dei rifiuti entro un certo raggio chilometrico (indicando i percorsi via gomma o altri), e cosi via, rientra nella soglia – ammissibile di quei costi che sono ivi internalizzati – di 12 €/metro-cubo allora si avranno elementi tali da poter affermare che la iniziativa ha proprie gambe.

Ovviamente nello scenario attuale dove il costo energetico per tonnellata di rifiuto trattato è legato a più aspetti quali, esemplificativamente: la taglia dell’impianto; la tecnologia (che non è sempre così innovativa); le eventuali economie di scala ecc. occorre preventivamente esplicitare anche quel costo, in modo da poter adeguare agevolmente i costi in caso di rialzo o ribasso delle tariffe energetiche e dei carburanti. In tal modo si ridurranno, tra altro, gli impatti ambientali nell’obiettivo di un bilancio ambientale vieppiù sostenibile, per cui le valutazioni terranno conto non solo di quanto avviene all’interno dell’impianto, bensì di tutta la gestione collegata, che va dalla raccolta allo stoccaggio, aggiungendo i costi e le rispettive lavorazioni, al fine di comprendere, anche nei loro impatti ambientali, la complessiva sostenibilità e il «senso» di tutte queste operazioni, ciò sia per l’imprenditore, che per l’autorità competente.

Ad esempio, se parliamo di un rifiuto «povero» come il materiale da costruzione e demolizione (C&D) destinato alla produzione di aggregati riciclati, che hanno un valore commerciale basso, la valutazione del risparmio/contributo in termini di CO2 per poter capire (appunto) se esista (o meno) un «senso», dovrebbe basarsi non solo sul confronto con i contributi effettivi quali prodotti dalle operazioni e negli scenari relativi al processo di produzione/trattamento dell’aggregato naturale; il costo di escavazione, il costo di lavaggio e selezione, poiché si devono anche confrontare i costi di abbancamento e poi di vendita che entrano a far parte delle valutazioni ai fini del computo delle quote CO 2. Una siffatta valutazione colmerebbe quella degli «impatti indiretti», difficilmente quantificabili, sulla qualità del territorio e del paesaggio: una valutazione questa ultima che manca, considerata da sempre una «Cenerentola» nel nostro Paese.

Dormire con un occhio solo.

Prendendo ad esempio il recentissimo decreto sulla produzione di EoW, già firmato dal Ministro della transizione ecologica (prot. 278 del 15 luglio 2022), in via di pubblicazione sulla G.U., risulta ancora più nitida la confusione ingenerata su questi aspetti.

Il tentativo ministeriale di regolamentare questo settore, da sempre particolarmente delicato ed importante, si è infatti scontrato con una miriade di distinguo mossi dalle Associazioni di categoria e dai loro consulenti: per quale motivo? Probabilmente per il rischio di questi operatori di vedersi sequestrati i cantieri di lavoro e di venire rinviati a giudizio con l’accusa di traffico di rifiuti. Occorre quindi chiedersi, solo per fare un esempio, perché avendo a disposizione uno specifico decreto per il recupero di fresato (d.m. 28 marzo 2018, n. 69 - EoW conglomerato bituminoso) ci sia la necessità di riportare il codice EER 170302 fra i codici ammessi al trattamento, bisogna pensare che si tratta verosimilmente un refuso, poiché la possibilità di recuperare tale rifiuto come parte di miscele non legate per la produzione di aggregati riciclati è già prevista dal cit. d.m. n. 69/2018.

Una questione assai più delicata è l’introduzione di analisi sul «tal quale» e non solo sull’eluato. Sinora la conformità degli aggregati riciclati veniva dimostrata attraverso il rispetto del test di cessione, oggi l’aggregato soggiace, ad esempio, a dei limiti specifici sul tal quale per esempio idrocarburi aromatici, IPA (idrocarburi policiclici aromatici), idrocarburi (C>12), PCB, fenoli, cromo esavalente. Se poi riconduciamo questa previsione alle «norme transitorie» presenti nel nuovo decreto, si comprende che la volontà del legislatore è quella di ridurre il più possibile i tempi di adeguamento per evitare, per quanto possibile, la circolazione sul mercato degli aggregati riciclati (conformi solo al test di cessione) e degli aggregati riciclati che devono rispettare anche i limiti sul «tal quale».

Una altra riflessione può svolgersi sull’estensione/espansione dei rifiuti ammessi alla produzione di aggregati, attività che deve essere oggetto di attente valutazioni onde evitare l’occultamento di rifiuti, anche se di soli «rifiuti non pericolosi». Infatti, i rifiuti non pericolosi, dal punto di vista prestazionale, potrebbero migliorare, ma poco o niente, le prestazioni degli aggregati riciclati; ciò fa sorgere il dubbio che trattasi di un escamotage per disfarsi di questi rifiuti. Il decreto, giustamente, non ha poi affrontato la «diluizione» da intendersi quale volontà di declassificazione di un rifiuto e cioè il passaggio del medesimo rifiuto da «pericoloso» a «non pericoloso» poiché, certamente, l’unione di due rifiuti non pericolosi non è definibile come «miscelazione di rifiuti ai fini della diluizione»

Invece, ove si consideri il recupero di materie plastiche tramite un impianto sperimentale a tecnologia innovativa che permette ad esempio la produzione di combustibile liquido, con produzione di sottoprodotti quali SinGas e TAR (olio di pirolisi), nel bilancio della CO2 devono essere incluse anche i risparmi delle quote di CO2 emesse dall’impiego dei sottoprodotti ottenuti, appunto dal SinGas e TAR. Oggi per il recupero delle plastiche si delineano sostanzialmente due sbocchi:a) nel recupero dei polimeri per la produzione di nuovi oggetti; b) nel recupero di energia mediante combustione. Sul primo permangono molti limiti sulla separazione/cernita; infatti, ad esempio, il polipropilene, polietilene, polistirene e polietilentereftalato trovano una immediata possibilità di recupero se vengono correttamente separati, diversamente rimangono pochi gli impianti che consentono di raggiungere un buon grado di separazione, ovvero tale da assicurare un altrettanto buon grado di recupero. Invece, la possibilità di produrre un combustibile liquido può ottenersi senza dover ricorrere a queste attività.

Va ricordato che il sistema della programmazione e della pianificazione dei rifiuti si regge sui dati «censiti» dagli apparati pubblici che utilizzano anche informazioni disseminate dai privati, quindi riposano sul presupposto della loro bontà e controllabilità. Pertanto, l’ipotizzare di caricare direttamente i dati riguardanti la produzione e la gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti speciali, direttamente su una pagina web di un database, senza elaborazioni – salvo quelle riguardanti la «bonifica» dei medesimi dati – potrebbe costituire, rendendoli così disponibili, una sorta di «socializzazione» di dati e informazioni, nei rapporti che vengono periodicamente pubblicati dalle amministrazioni. Va detto che molte Regioni si sono autonomamente dotate di un sistema di acquisizione e di monitorazione dei dati che sembra funzionare, ma le logiche «centrali» rimangono lontane e diverse dalle minime suaccennate finalità di controllo. Si tratta di un sistema che potrebbe consentire di mappare i flussi dei rifiuti (urbani e speciali) che si intrecciano e/o si collegano, come già osservato, sia nell’impiantistica intermedia che finale (nelle operazioni di smaltimento e di recupero, anche come tra loro ibridate), fornendo così un ulteriore e più affidabile elemento di conoscenza soprattutto ove si consideri – fuori dalle forme e dalle litanie giuridiche – l’applicazione, concreta e meno fallace, del principio di prossimità impiantistica, peraltro richiamante anche gli altri princìpi (di autosufficienza, di specializzazione, ecc.).

Ecco perché il PRGR deve, nella fisiologia del contesto di riferimento, far dialogare tutti i soggetti concretizzandosi attraverso la pianificazione territoriale: ad es. con un PGT che abbia delle regole chiare e la documentazione tutta collegata alla procedura della VAS, utilizzandosi, per entrambi i piani, possibilmente alcuni indicatori comuni. Un comune linguaggio e metodo insomma.

(continua)

(*) Dirigente Ambientale presso ARPA Lombardia Dipartimento di Brescia, già consulente per le Procure della Repubblica di Aquila, Genova, Lanciano, Mantova, Pescara, Salerno.

(**) www.pierobon.eu

Si rinvia alle acute analisi di F. Merusi, contenuti in più scritti: L’«imbroglio» delle riforme amministrative, Modena, 2016; La legalità amministrativa tra passato e futuro. Vicende italiane , Napoli, 2016; La legalità amministrativa. Altri sentieri interrotti, Bologna, 2012 e in L. Benvenuti - M. Clarich (a cura di), Il diritto amministrativo alle soglie del nuovo secolo, Pisa, 2010.

2 Sui diversi livelli di programmazione conseguenti al Programma nazionale per la gestione dei rifiuti previsto dall’art. 198 bis del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (d’ora in poi «TUA»), come introdotto dal d.lgs. n. 116/2020 che ha modificato, tra altro, l’art. 195 (Competenze dello Stato), comma 1, che viene definito «uno strumento strategico di indirizzo» nella pianificazione della gestione dei rifiuti urbani (circa 30 milioni tonn. annue prodotte) e dei rifiuti speciali (circa 160 milioni tonn. annue prodotte) con validità sessennale (quindi per il periodo dal 2022 al 2028), salvo modifiche o altro. Si tratta di un documento che si approccia al mondo metamorfizzato della transizione ecologica, con talune varianti, in uno sfondo di idee immutate. Sia permesso rinviare A.Pierobon, Il programma nazionale di gestione dei rifiuti: dall’albero altissimo quale frutto? , in Azienditalia, in corso di pubblicazione; Id., Il programma nazionale di gestione dei rifiuti: serve un miracolo? , in L’Ufficio Tecnico, 10, 2022.

3 Cfr. A. Pierobon,Piani per la gestione dei rifiuti: metodi ed errori, inAzienditalia, 8-9, 2019; Id.,Modelli, propensioni ed efficacia di piani e budget, ivi, 4, 2020; Id., Piano rifiuti: tra teoria e realtà , ivi, 3, 2021. Da ultimo si segnala l’ebook ove la tematica viene considerata in modo trasversale e sistematico, A. Pierobon, Governo e gestione dei rifiuti urbani: approcci, ,metodi, percorsi e soluzioni , Milano, 2022.

4 Sia ancora permesso rinviare alla ricostruzione in A. Pierobon, Governo e gestione, cit., e agli scritti ivi indicati.

5 Come è noto ci sono delle interferenze, punti di fuga, irritazioni e percolamenti, come pure delle sinergie e/o dei feed-back (talvolta con frodi e altro) tra il mondo «popperiano» dei rifiuti urbani e quello dei rifiuti speciali, sia nei servizi che negli impianti nuovi o vecchi che siano. Anche qui ibidem.

6 Cfr. A. Pierobon, Nuovi standard di qualità contrattuale e tecnica dell’ARERA in materia di rifiuti: iniziative, tendenze, criticità , in Azienditalia, 7, 2022.

7 Belle le malapartiane pagine, da carnet de route, sui due Paesi, dove (siamo negli anni cinquanta) la scoperta in Cina sta della «febbrile, minuta, gioiosa vittoria dell’uomo sull’uomo politico» aprendosi «un discorso sull’intera speranza dell’uomo, più che non sulle parziali speranze (e i pro e contro) di una dottrina o di un metodo» così G. Vigorelli, L’ultimo viaggio di Malaparte, in C. Malaparte, Io, in Russia e in Cina, Firenze, 1958, XIII.

8 Cfr. però quanto stabilisce la sentenza del Cons. Stato, Sez. IV 28 giugno 2022, n. 5376, in www.osservatorioagromafie.it (sull’annullamento operato dal T.A.R. Lombardia, Sez. II, con sentenza n. 1031 del 22 aprile 2021) ove l’autorizzazione unica (AUA) per un impianto di gestione dei rifiuti può essere rilasciata dalla Regione, o dalla Provincia delegata, qualora la conferenza di servizi si sia manifestata favorevolmente, pur in presenza del parere contrario alla variante urbanistica da parte di un Comune. Ciò poiché l’art. 208 TUA avrebbe «introdotto uno speciale procedimento in deroga al normale quadro degli assetti procedimentali e sostanziali in materia di costruzione e gestione di impianti di smaltimento o di recupero dei rifiuti (Cons. Stato, Sez. V sent. n. 5659 del 2015)».

9 Si tratta di un argomento delicatissimo, importantissimo, contestatissimo che fa tremare i polsi. Ma che va affrontato in più modi, anche fuori dal servizio pubblico dei rifiuti (essendo la impiantistica del servizio idrico integrato, come pure quella dei combustori privati, dei cementifici, ecc. collegabile) e comunque in una strategia macroeconomica che tenga conto degli effetti della programmazione, anche nell’applicazione operativa dei vari princìpi.