Pres. Papa Est. Teresi Ric. Rando
Rifiuti. Rifiuti urbani non domestici
I rifiuti urbani non domestici e, comunque, diversi da quelli urbani previsti dall’art.7 del decreto legislativo n. 22-1997, si configurano automaticamente speciali indipendentemente da ogni deliberazione di conferma e la loro gestione deve essere penalmente sancita.
Pubblica Udienza 18.12.2006
SENTENZA N. 2122
REG. GENERALE n. 29426/2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli III. mi Signori
Omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Rando Francesco, nato a Genova il 12.08.1937, avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Roma in data 15.03.2005 con cui è stato condannato alla pena di €. 7.000 d'ammenda per i reati di cui all'art. 51, comma 1 lettera a) e comma 4 D. Lgs. n. 22/1997;
Visti gli atti, la sentenza denunciata, il ricorso e la memoria
difensiva;
Sentita in pubblica udienza la relazione del Consigliere dott. Alfredo
Teresi;
Sentito il PM nella persona del PG dott. Vittorio Meloni, il quale ha
chiesto il rigetto del ricorso;
Sentito il difensore del ricorrente, avv. Gian Michele Gentile, il
quale ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
osserva
Con sentenza in data 15.03.2005 il Tribunale di Roma condannava Rando
Francesco alla pena di €. 7.000 d'ammenda perché,
quale legale responsabile della s. r. I.
Giovi [gestore della discarica di
Malagrotta] e della s. r. I. Secor
[società d'intermediazione per rifiuti conferiti alla
discarica da soggetti privati], non aveva osservato le prescrizioni
dell'autorizzazione 12.12.2001, con cui si consentiva lo smaltimento in
discarica dei rifiuti provenienti dai Comuni di Roma, Ciampino,
Fiumicino e dalla Città del Vaticano limitatamente a 4.500
t/giorno di RSU; 150 t/giorno di rifiuti assimilati agli urbani secondo
quanto stabilito dai regolamenti comunali emanati ai sensi dell'art.
21, comma 2 lettera g), d. lgs. n.
22/1997; 400 t/giorno di fanghi da depurazione, accettando e smaltendo
nella discarica anche rifiuti speciali non assimilati (per
qualità i quantità) agli urbani con provvedimenti
comunali, superando costantemente il limite giornaliero di
150 t/giorno ed inoltre perché aveva effettuato
attività di smaltimento di rifiuti speciali [non
assimilabili a quelli urbani] senza la prescritta autorizzazione.
Rilevava il Tribunale che, a seguito dell'abrogazione di una norma
comunitaria [art. 39 legge n. 146/1994] che disponeva l'assimilazione ope
legis ai rifiuti urbani dei rifiuti speciali propri delle
attività economiche riconducibili alla delibera del Comitato
interministeriale 27 luglio 1984, il Comune di Roma - con delibera n.
119 del 15 giugno 1998 - aveva dichiarato assimilabili ai rifiuti
urbani, per qualità e quantità, i rifiuti
speciali non pericolosi provenienti da attività economiche;
in particolare, quelli aventi una composizione merceologica analoga a
quella dei rifiuti urbani d'origine domestica o, comunque, costituiti
da manufatti e materiali simili a quelli compresi nell'elenco allegato
(aspetto qualitativo), elenco riportante i rifiuti assimilabili alla
Tabella 1.1.1. della citata Delibera interministeriale, fatta eccezione
per la voce "gomma e caucciù e manufatti composti
prevalentemente da tali materiali, come camere d'aria e copertoni"
e la voce "rifiuti ingombranti" sino ad un
conferimento massimo espresso in kg. per mq. l'anno, individuato per
ciascuna tipologia di rifiuto (aspetto quantitativo).
La suddetta delibera stabiliva, quindi, la categoria dei rifiuti
assimilati a quelli urbani ai soli fini dello smaltimento in discarica,
sicché i rifiuti speciali, se non assimilati ai sensi del
regolamento comunale [come previsto dall'art. 7 n. 2 lettera b)
e 21, comma 2 lettera g) del d. lgs. n. 22/1997],
restavano tali e sottoposti al relativo regime.
Pertanto, i rifiuti speciali assimilati agli urbani dovevano intendersi
soltanto quelli compresi nella delibera del Comitato interministeriale
ed espressamente richiamati nel Regolamento comunale nel rispetto delle
quantità conferibili predeterminate.
La categoria dei rifiuti assimilabili a quelli urbani non era
sostanzialmente venuta meno, come sostenuto dalla difesa, con la
Direttiva 1999/31/CE del 26 aprile 1999, relativa alle discariche di
rifiuti, perché la stessa aveva incluso, tra i rifiuti
destinati alle discariche per rifiuti non pericolosi i rifiuti urbani
di natura domestica e quelli ad essi equiparabili, nonché i
rifiuti non pericolosi di qualsiasi altra origine non contemplati dalla
Direttiva 91/689/CE sui rifiuti pericolosi (art. 2 e 6), tra i quali
rientrano anche quelli assimilabili (quelli speciali non pericolosi).
Inoltre, il d. lgs. 13.01.2003 n. 36, d'attuazione della suddetta
Direttiva, e il successivo decreto ministeriale 13.03.2003 avevano
incluso espressamente tra i rifiuti da smaltire in discariche per
rifiuti non pericolosi anche i rifiuti urbani per la cui individuazione
l'art. 2 lettera b) del decreto legislativo n. 36
rinvia all'art. 7, comma 2, del d. lgs. n. 22/1997 che comprende anche
i rifiuti assimilati, come individuati dall'autorità
comunale.
Peraltro, le discariche già autorizzate alla data d'entrata
in vigore del decreto n. 36, come quella de qua,
potevano continuare a ricevere, fino al 16 luglio 2005, i rifiuti per
cui erano state autorizzate (art. I7), sicché fino a tale
data vigeva l'autorizzazione n. 115 del 12.12.2001.
Ciò premesso, il Tribunale riteneva, alla stregua degli
accertamenti eseguiti, che la società Secor
avesse conferito in discarica rifiuti non rientranti tra quelli
assimilati individuati nel Regolamento comunale n. 119/98 [pneumatici
usati, parti d'autoveicoli, abbigliamenti, lenzuola, indumenti monouso
provenienti da reparti ospedalieri di maternità o legati a
diagnosi o al trattamento e prevenzione di malattie d'essere umani;
rifiuti di filtrazione e vagli primari delle acque ad uso industriale]
e neppure tra quelli assimilabili di cui al decreto interministeriale
[il materiale inerte da demolizione e costruzione], nonché
rifiuti assimilati in quantitativi giornalieri superiori a quelli
consentiti dall'autorizzazione e fanghi diversi da quelli autorizzati.
Proponeva ricorso per cassazione l'imputato eccependo la
nullità del decreto di citazione e dell'intero dibattimento
per "violazione o errata applicazione dell'art. 552 c.p.p. in
riferimento alla chiarezza della contestazione, intesa come
enunciazione del fatto in forma chiara e precisa; genericità
del capo d'imputazione per impossibilità di ricostruzione
del fatto. Nullità conseguenziale".
Nel capo d'imputazione non era stato specificato quali fossero i
rifiuti speciali non assimilati conferiti in discarica, né
erano state indicate le date del superamento giornaliero di t.
150/giorno, stabilite solo presuntivamente.
Inoltre, l'indeterminatezza e genericità del primo capo
d'imputazione si rifletteva in quello successivo, laddove si fa
riferimento, come descrizione della condotta illecita ad
attività di smaltimento di rifiuti speciali in mancanza
della prescritta autorizzazione.
Denunciava, poi, violazione o errata applicazione dell'art. 21 d. lgs.
n. 22/1997, della delibera del Comitato interministeriale 27.07.1984,
della direttiva rifiuti 1999/31/CE, del d. lgs. n. 36/1993 esponendo
che erroneamente il Tribunale aveva ritenuto che i Comuni possano
stabilire, discrezionalmente, quali rifiuti non pericolosi possano
essere assimilati a quelli urbani e, quindi lecitamente essere
conferiti in discarica stante che "i rifiuti assimilati, ai
fini del ricovero, sono quelli indicati nella delibera del Comitato
interministeriale del 1984"
Richiamate le norme succedutesi nel tempo in ordine
all'assimilabilità dei rifiuti non pericolosi a quelli
urbani, ai fini del conferimento in discarica, rilevava che, a seguito
dell'abrogazione dell'art. 60 del d. lgs. n. 507/1993, l'art. 39 della
legge 22.02.1994 n. 146 aveva disposto l'assimilazione ope
legis ai rifiuti urbani di tutti i rifiuti speciali indicati
al punto 1.1.1 lettera a) della delibazione del
1984, citata, eliminando qualsiasi discrezionalità dei
comuni al riguardo.
Il d. lgs. n. 22/1997 aveva introdotto, all'art. 7, una nuova
classificazione dei rifiuti e ripristinato, con l'art. 21 comma 2
lettera g),
il potere dei Comuni di prevedere con propri regolamenti
l'assimilazione per qualità e quantità dei
rifiuti speciali non
pericolosi ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento
sulla base dei criteri fissati ai sensi dell'art. 18, comma 2 lettera d).
L'abrogazione con la legge n. 128/1998 dell'art. 39 della legge n.
146/1994, citata, i Comuni avevano riacquistato "la
possibilità di individuare, nell'ambito delle tipologie di
assimilabilità di cui alla delibera C.I. del 1984, quei
rifiuti non urbani per i quali prevedere l'applicazione delle tasse di
smaltimento al pari di quelli urbani".
Invece, la direttiva 1999/31/CE, nel classificare, all'art.
2, i rifiuti, innovativa rispetto al d. lgs. n. 22/1997, aveva
eliminato "la categoria dei rifiuti speciali di cui alla
lettera b) art. 7 e quindi la categoria dei rifiuti assimilati agli
urbani in virtù delle delibere comunali, ricomprendendo
questi nella categoria dei rifiuti urbani; la stessa avrebbe dovuto
essere messa in vigore da parte degli Stati membri, a norma dell'art.
18, entro due anni e quindi in vigore il 16 luglio 2001"
La direttiva però, era stata recepita dal d. lgs. 13 gennaio
2003 n. 36, che aveva reintrodotto, in difformità della
normativa comunitaria, la categoria dei rifiuti speciali assimilabili
ad assimilati, sicché non operava per i fatti accertati fino
al 23 settembre 2002.
Peraltro, la decisione della Commissione della comunità
europea del 16
gennaio 2001, modificativa dell'elenco dei rifiuti istituito dalla
decisione 2000/532/CE, al capitolo 20 aveva classificato come rifiuti
urbani i rifiuti domestici e assimilabili prodotti da
attività
commerciali e industriali nonché dalle istituzioni, inclusi
i rifiuti
della raccolta differenziata, così ricomprendendo tutti i
rifiuti
speciali indicati nella delibera del Comitato interministeriale 1984
che fornisce i criteri generali per l'assimilabilità dei
rifiuti
speciali ai rifiuti urbani.
Il decorso il biennio, decorrente dal 16 luglio 2001, aveva comportato
l'automatico recepimento della direttiva 1999/31/CE nell'ordinamento
giuridico italiano con "la scomparsa di rifiuti speciali, e
quindi la scomparsa di rifiuti assimilabili, ricompresi tutti nel
concetto di rifiuto urbano"
Denunciava, altresì, l'imputato
. mancanza e manifesta illogicità della
motivazione in ordine
alla configurabilità dei reati non essendo provato lo
sforamento delle
quantità consentita [150 tonnellate al giorno per i rifiuti
assimilati
agli urbani] perché rilevato con valutazione statistica
media mai
legata ai quantitativi della singola giornata, ma ricavata da un
periodo d'osservazione ultramensile che non considerava che la
discarica era aperta tutti i giorni. Inoltre, essendo venuta meno la
categoria dei rifiuti speciali assimilabili, la
ricezione giornaliera andava calcolata in ragione delle 4.500
tonnellate giornaliere di rifiuti urbani e non era rilevante che per
tali rifiuti la società Secor pagasse la
tariffa stabilita per i rifiuti speciali;
. violazione di legge e della delibera 1984,
citata, in ordine all'esclusione come rifiuti speciali assimilabili a
quelli urbani dei pneumatici e dei materiali di costruzione e di
demolizione, espressamente indicati nella delibera, nonché
degli abbigliamenti, lenzuola monouso rientranti tra i rifiuti urbani
ai sensi dei nuovi codici CER entrati in vigore il 1.01.2002;
. violazione di legge e mancanza di motivazione in
ordine ala ritenuta sussistenza dell'elemento psicologico del reato che
andava, invece esclusa, per l'equivocità del quadro
normativo, per la giurisprudenza oscillante e per il comportamento
della PA tali da generare una presunzione di legittimità
della condotta.
Chiedeva l'annullamento della sentenza.
In data 24.11.2006 il ricorrente depositava memoria difensiva.
L'eccezione di rito, concernente la nullità del decreto di
citazione per indeterminatezza del fatto, è infondata
poiché non si ha insufficiente enunciazione qualora siano
individuati e dotati di adeguata specificità i tratti
essenziali del fatto di reato attribuito, sicché l'imputato
possa apprestare la sua difesa.
Infatti, in considerazione della centralità del
dibattimento, dei poteri conferiti al giudice sia in materia
d'integrazione del materiale probatorio insufficiente o mancante ex
art. 507 c.p.p., che in tema di ammissione di prove, e della
possibilità di procedere a contestazione suppletiva ed a
modificazione dell'imputazione ex art. 516 c.p.p.,
non è necessaria una dettagliata imputazione.
Ciò, aderendo alle novità del nuovo sistema
processuale, disancorato da visioni formalistiche e da valori
epistemologici delle radici letterali e teso a considerare
l'imputazione nel suo complesso ed il fondamentale principio iura
novit curia (Cassazione Sezione I, n. 382/1999, Piccioni, RV.
215140).
Nella specie, nella contestazione, considerata nella sua interezza,
anche in riferimento alle disposizioni violate, sono contenuti tutti
gli elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza che
ha legittimamente utilizzato i dati, acquisiti in contraddittorio nel
dibattimento, di specificazione del fatto stesso.
Infatti, è stato contestato all'imputato, nella
qualità, di non avere osservato le prescrizioni stabilite
nell'autorizzazione comunale 12.12.2001 per la gestione della discarica
di Malagrotta consentendo il versamento di rifiuti speciali che i
regolamenti comunali non assimilavano a quelli urbani in
quantità superiore al limite giornaliero imposto,
nonché di avere, con tale condotta, effettuato
attività di smaltimento di rifiuti speciali senza
autorizzazione.
Il fatto enunciato contiene, quindi, la specificazione della condotta,
all'evidenza ritenuta non conforme al provvedimento autorizzativo,
quanto al superamento del limite quantitativo e illegittima
relativamente al conferimento di rifiuti non pericolosi non inseriti
nell'autorizzazione tra quelli assimilabili agli urbani.
*** *** ***
Nel resto il ricorso non è puntuale perché
censura con erronee argomentazioni giuridiche e in punto di fatto la
decisione fondata, invece, su congrue argomentazioni esenti da vizi
logico-giuridici, essendo stati esaminati gli elementi probatori emersi
a carico dell'imputato e confutata ogni obiezione difensiva.
In materia di smaltimento di rifiuti urbani e assimilati va osservato
che con l'art. 17, comma 3, della legge 24 aprile 1998 n. 128 sono
stati abrogati i commi 1 e 2 dell'art. 39 della legge comunitaria 22
febbraio 1994 n. 146 che disponevano, ad ogni effetti, l'assimilazione
legale ai rifiuti urbani dei rifiuti propri delle attività
economiche compresi o suscettibili di essere compresi per
similarità nell'elenco di cui al punto 1.1.1. della delibera
interministeriale del 27 luglio 1984 [GU n. 253/1884] con
l'eliminazione del previgente potere discrezionale di assimilazione
riconosciuto ai comuni dal d.P.R. 10 settembre 1982 n. 915.
Tale regime, pienamente operante soltanto dall'8 gennaio 1996 per la
mancata reiterazione e conversione della diversa disciplina adotta per
gli anni 1994 e 1995 con decreti legge [i cui effetti sono stati
confermati dalla legge 11 novembre 1996 n. 575], era rimasto in vigore
per la mancata emanazione del regolamento di cui all'art. 56, comma 2,
del d. lgs. n. 22/1997 che avrebbe dovuto dichiarare
l'incompatibilità dell'art. 39 con la nuova classificazione
dei rifiuti di cui all'art. 7 dello stesso decreto legislativo.
Però, l'intervenuta abrogazione dell'art. 39 ha fatto venir
meno la sopraindicata assimilazione legale, sicché i rifiuti
delle attività economiche di cui all'art. 7, comma 3 del
decreto n. 22/1997, in precedenza ritenuti urbani sono da qualificare
speciali.
E' stata così, riconosciuta ai Comuni la facoltà
di attivare il potere di assimilazione, ripristinato con l'art. 21,
comma 2 lettera g) del decreto legislativo n.
22/1997 ed esercitabile sulla base di norme regolamentari tecniche
vigenti [la deliberazione interministeriale 1984] e delle nuove
disposizioni di cui agli art. 18, comma 2 lettera d) e 57, comma 1, del
d. lgs. n. 22, citato.
Mentre la previgente normativa [art. 2 e 8 del d.P.R. n. 915/1982]
nulla disponeva sulle modalità di assimilazione, la nuova
disciplina di cui all'art. 21, comma 2, lettera g)
del d. lgs. n. 22/1997, prescrive che appositi regolamenti stabiliscano
espressamente l'assimilazione dei rifiuti non pericolosi delle varie
attività economiche per i quali valgono i interi e i limiti
di cui alle delibera interministeriale 1984.
Pertanto, come correttamente ritenuto in sentenza, i rifiuti speciali
assimilati agli urbani sono soltanto quelli che per qualità
e quantità siano previsti dai regolamenti comunali,
sicché il Comune, tenuto a rispettare, nella gestione dei
rifiuti urbani, i principi "d'efficienza, efficacia ed
economicità", nel concedere l'autorizzazione [che
comporta necessariamente la tassabilità delle superficie in
cui si producono i rifiuti], ha il potere, quanto alla
qualità, di stabilire quali, tra i rifiuti inseriti nella
delibera interministeriale 1984, siano assimilabili e, quindi,
escluderne altri, nonché d'individuare le
quantità conferibili.
Ne consegue che, per versare rifiuti speciali in discarica, il
richiedente o il gestore deve seguire la procedura d'ammissione
stabilita dai regolamenti comunali ed osservate le prescrizioni imposte
nell'autorizzazione.
La direttiva comunitaria 1999/31/CE del 26 aprile 1999, nelle "definizioni"
di cui all'art. 2, ha indicato,
. alla lettera b) i rifiuti urbani;
. alla lettera c) i rifiuti pericolosi,
. alla lettera d) i "rifiuti
non pericolosi: i rifiuti non contemplati dalla lettera c)"
e nei "rifiuti ammissibili nelle varie categorie di discariche",
di cui all'art. 6, ha specificato che le discariche per i rifiuti non
pericolosi possono essere utilizzate
. i) "per i rifiuti urbani";
. ii) "per i rifiuti non pericolosi di
qualsiasi altra origine conformi ai criteri di ammissione dei
rifiuti nelle discariche per rifiuti non pericolosi fissati a norma
dell'allegato II",
[con espresso divieto d'inserimento nell'elenco di quelli contemplati
nella direttiva 91/689/CE], sicché è erroneo
l'assunto difensivo secondo cui sarebbe stata eliminata la categoria
dei rifiuti assimilati agli urbani di cui all'art. 7, comma 2 lettera b),
del d. lgs. n. 22/1997, tuttora regolata dall'art. 21 dello stesso
decreto, che stabilisce che i comuni disciplinano la gestione dei
rifiuti urbani con appositi regolamenti che stabiliscono "l'assimilazione
per qualità e quantità dei rifiuti speciali non
pericolosi ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento
sulla base dei criteri fissati dall'art. 18 comma 2 lettera d)
[determinazione dei criteri qualitativi e quantitativi per
l'assimilazione ... dei rifiuti speciali a quelli urbani]".
Il criterio dell'assimilabilità è stato mantenuto
anche nella Direttiva del Ministero dell'ambiente del 9 aprile 2002, in
relazione alla spedizione dei rifiuti e al nuovo elenco dei rifiuti,
che - al n. 20 dell'allegato A - riporta i "rifiuti urbani
(rifiuti domestici e assimilabili prodotti da attività
commerciali e industriali nonché dalla istituzioni) inclusi
i rifiuti della raccolta differenziata", classificazione
confermata dal Decreto Ministeriale 2 maggio 2006 sull'elenco dei
rifiuti in conformità dell'art. 1, comma 1 lettera A della
Direttiva 75/442/CE e
dell'art. 1, paragrafo 4, della Direttiva 91/689/CE, di cui alla
decisione della Commissione 2000/532/CE del 3 maggio 2000.
Conforme alla direttiva n. 31 è il decreto legislativo
d'attuazione 13 gennaio 2003 n. 36 [peraltro non operante nel caso in
esame perché "le discariche già
autorizzate alla data di entrata in vigore del presente decreto possono
continuare a ricevere, fino al 16 luglio 2005, i rifiuti per cui sono
state autorizzate" (art. 17 n. 1)] che consente l'ammissione
nelle discariche dei "rifiuti urbani" e dei "rifiuti
non pericolosi di qualsiasi altra origine che soddisfino i criteri di
ammissione dei rifiuti previsti dalla normativa vigente ".
Alla stregua del delineato quadro normativi è, quindi,
corretta l'affermazione di responsabilità essendo stato
accertato, con motivazione logica e aderente ai richiamati principi
giuridici, che il gestore, in violazione dell'autorizzazione n.
119/1998, ha versato nella discarica rifiuti, come i pneumatici usati,
non compresi tra quelli "assimilati" dal regolamento
comunale ovvero neanche inseriti nella deliberazione interministeriale
del 1984, come i materiali inerti da demolizione, nonché
rifiuti assimilati a quelli urbani in quantità superiore a
quella giornaliera autorizzata con la deliberazione n. 155/2001 e
fanghi diversi da quelli autorizzati.
Ne consegue che i rifiuti urbani non domestici e, comunque, diversi da
quelli urbani previsti dall'art. 7 del decreto legislativo n 22/1977,
si configurano automaticamente speciali indipendentemente da ogni
deliberazione di conferma e che la loro gestione debba essere
penalmente sancita.
Inammissibile perché in fatto è la censura
relativa al ritenuto superamento delle quantità autorizzata
per i mesi marzo, aprile, maggio e giugno 2002 [150 tonnellate al
giorno per i rifiuti assimilati agli urbani] perché il
superamento del limite è stato rilevato attraverso l'analisi
a campione dei registri di carico e scarico, la tipologia e la
quantità dei rifiuti conferiti all'ente di gestione dalla Secor
(società d'intermediazione per i rifiuti conferiti alla
discarica da soggetti privati, esclusi i rifiuti presi in carico dal
gestore pubblico AMA e dagli altri gestori del
servizio pubblico di raccolta), i formulari d'accettazione della
società Giovi con i codici CER
e con la descrizione sintetica dei rifiuti.
Anche il quarto motivo non è puntuale perché la
non assimilabilità ai rifiuti urbani dei pneumatici, dei
materiali inerti e degli abbigliamenti monouso, anche se compresi nella
delibera interministeriale del 1984, conseguiva dal mancato inserimento
nel regolamento comunale e quindi nella concessa autorizzazione n.
119/1998.
I reati non possono essere esclusi sotto il profilo soggettivo per
errore sull'ignoranza dell'illiceità della condotta
perché nemmeno in virtù del criterio
dell'ignoranza inevitabile teorizzato nella sentenza Corte Cost. n.
364/1988 è possibile scusare il gestore di
attività che comportino la gestione di rifiuti senza
informarsi delle leggi penali che disciplinano la materia, incombendo
all'interessato l'onere di approfondire la conoscenza della normativa
di settore, complessa ma di chiara precettività, di cui
è presunta la conoscenza
ex art. 5 cod. pen..
Il rigetto del ricorso comporta condanna al pagamento delle spese del
procedimento.
P Q M
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, nella pubblica udienza del
18.12.2006.
Il consigliere
estensore
Il presidente
Alfredo
Teresi
Enrico Papa