Cass. Sez. III n. 29460 del 20 luglio 2012 (Ud 22 feb. 2012)
Pres.  Petti Est. Grillo Ric. Abbatino ed altri
Rifiuti. Abbandono e natura di reato eventualmente permanente

La contravvenzione di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti (art. 256, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, in precedenza enunciata nell’art. 51 della L. 22/ 97) costituisce una ipotesi di reato commissivo eventualmente permanente, la cui antigiuridicità cessa o con il sequestro del bene o con l'ultimo abusivo conferimento di rifiuti o con la sentenza di primo grado

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza emessa il 17 febbraio 2010 il Tribunale di Torre Annunziata dichiarava A.A., I.V. e S.P., imputati, in concorso tra loro, del reato di cui alla L. n. 22 del 1997, art. 51 "perchè nella qualità di comproprietari del terreno di circa 1800,00 mq. sito in (OMISSIS), operavano in un'area di circa 1800 mq. il deposito di rifiuti di tipo speciali costituiti da materiali derivante da demolizione di costruzione, senza la prevista autorizzazione", colpevoli del detto reato condannandoli, ciascuno, alla pena di Euro 6.000,00 di ammenda.

Il Tribunale preveniva a detta conclusione evidenziando, sulla base delle emergenze processuali - e, segnatamente, delle dichiarazioni dei militari della P.G. che unitamente a personale tecnico comunale avevano proceduto al controllo dell'area, del verbale di sequestro e dei rilievi fotografici - che all'interno dell'area, chiusa da un lucchetto e recintata, di pertinenza dei tre imputati, era accumulato un quantitativo notevolissimo di materiale eterogeneo proveniente da demolizione. Il Tribunale, sulla base anche dell'attività esplicata dai tre imputati nel settore edile e della comune amicizia dei tre, aveva ritenuto provato il reato anche sotto il profilo psicologico anche se diversamente modulata tra i tre imputati.

Ricorrono avverso la detta sentenza personalmente gli imputati A. e I., mentre S.P. ha proposto appello a mezzo del proprio difensore fiduciario poi convertito in ricorso.

In particolare il ricorrente A. deduce con un primo motivo nullità della sentenza per carenza della motivazione in punto di individuazione della responsabilità qualificata come "culpa in vigilando", nonchè erronea applicazione della legge penale (L. n. 22 del 1997, art. 51): in particolare rileva, quanto alla mancata motivazione circa la responsabilità, che il Tribunale non avrebbe individuato la norma di comportamento violata nè il genere di condotta esigibile per evitare la commissione del reato da parte degli altri (co)imputati, dovendosi in ogni caso escludere l'ipotesi della culpa in vigilando delineata dal Tribunale in assenza di una posizione di garanzia normativamente prevista.

Con un secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell'art. 158 cod. pen. per carenza di motivazione non avendo il Tribunale accertato compiutamente la data di commissione del reato da qualificarsi come istantaneo con effetti permanenti e non come reato permanente, tenuto anche conto del particolare profilo di colpa individuata a carico del ricorrente.

Il ricorrente I., dopo aver premesso che il reato in esame era stato accertato in data (OMISSIS), censura la decisione impugnata per avere il Tribunale omesso qualsivoglia motivazione in ordine alla affettiva data di sversamento dei rifiuti, sottolineando al riguardo come il reato contestato costituisca una ipotesi di reato istantaneo con effetti permanenti che si consuma con l'ultimo conferimento dei rifiuti la cui data in concreto non è mai stata accertata.

Invoca quindi la prescrizione del reato.

Quanto all'impugnazione proposta nell'interesse di S. P., un primo motivo è costituito dalla intervenuta estinzione del reato per prescrizione attesa l'assoluta incertezza sulla data di commissione del reato e la sua natura di reato istantaneo con effetti permanenti.

Lamenta poi con un secondo motivo l'assenza di qualsivoglia prova in ordine all'attribuibilità del fatto, nonchè in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo.

In ultimo lamenta l'eccessività della pena da contenersi nei minimi edittali.

Per esigenze di sintesi si ritiene di esaminare congiuntamente i motivi di ricorso (ivi compresi quelli indicati al punto 2 dell'atto di appello proposto dalla difesa del S., poi convertito in ricorso) afferenti alla mancanza di motivazione ed erronea applicazione della legge penale in punto di individuazione ed attribuzione delle responsabilità a carico dei tre imputati.

Dall'esame della sentenza emerge che le argomentazioni offerte dal Tribunale appaiono sul punto esaustive e non affette da vizi logici eclatanti nè sotto il profilo della riconosciuta esistenza dell'elemento materiale del reato, nè sotto il profilo dell'attribuibilità del fatto ai singoli imputati, nè sotto il profilo della consapevolezza.

Il Tribunale ha, infatti, opportunamente distinto le responsabilità in relazione ai ruoli dei singoli imputati, traendo, correttamente, il convincimento della colpevolezza del S. dalla documentata circostanza che costui era intento - al momento del controllo - a trasportare rifiuti (omologhi a quelli già depositati nel sito) per mezzo di un escavatore.

In questo senso è quindi manifestamente infondata la doglianza mossa dal S. incentrata sulla individuazione della propria responsabilità per il solo fatto di essere egli comproprietario del fondo, avendo il Tribunale basato il proprio convincimento su ben altro dato probatorio di sicura obiettività.

Quanto al ricorrente I. va detto che il ricorso proposto in realtà contiene censure che afferiscono alla mancata motivazione in ordine al tempo di commissione del reato in concessione con la prospettata natura di reato istantaneo e non permanente. In ogni caso la decisione impugnata contiene elementi ineccepibili sul piano logico per l'attribuzione di analoghe responsabilità a carico dell' I..

Per quanto riguarda, infine, la posizione del ricorrente A., correttamente il Tribunale ha individuato la fonte della responsabilità non già in una attività concorsuale di tipo materiale (che in realtà è stata esclusa per incertezza sulla prova - vds. pagg. 3 e 4 della sentenza), ma in una forma di culpa in vigilando derivante; a) dalla situazione di comproprietario del fondo; b) dal comune vincolo di amicizia con gli altri due coimputati, anche essi contitolari del predetto fondo; c) dalla conseguente conoscenza della destinazione dell'area comune a sede di una discarica; d) dall'assenza di iniziative giudiziarie assunte nei riguardi dei responsabili materiali, a nulla rilevando quelle successive peraltro riguardanti causali diverse e in ogni caso posteriori ai controlli di P.G..

Sotto tale profilo può quindi affermarsi la manifesta infondatezza del ricorso per la parte riguardante la responsabilità penale dei tre ricorrenti e l'attribuibilità a ciascuno di essi della condotta vietata.

Altro motivo comune esposto nei singoli atti di impugnazione è quello correlato alla ritenuta estinzione del reato per prescrizione:

a tale conclusione pervengono i tre ricorrenti nono solo in relazione alla mancata motivazione da parte del Tribunale in ordine alla data di commissione del reato, ma, soprattutto, in ordine alla natura del reato qualificato come di natura istantanea con effetti permanenti.

La questione, non nuova e precedentemente affrontata da questa Corte con orientamento sostanzialmente uniforme, afferisce alla natura del reato di deposito incontrollato di rifiuti e di abbandono degli stessi.

In materia questa Corte ha già affermato che la contravvenzione di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti (D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256 in precedenza enunciata nella L. n. 22 del 1997, art. 51) costituisce una ipotesi di reato commissivo eventualmente permanente, la cui antigiuridicità cessa o con il sequestro del bene o con l'ultimo abusivo conferimento di rifiuti o con la sentenza di primo grado (v. da ultimo, Cass. Sez. 3/s 21.10.2010 n. 48050, Gramigna ed altro, Rv. 248706).

Non è quindi manifestamente infondato il motivo nella parte in cui viene distinta una condotta di abbandono di rifiuti (che certamente rappresenta una tipica ipotesi di reato istantaneo con effetti permanenti) rispetto ad una condotta di attivazione di un deposito che assume caratteristiche ben diverse compatibili con una ipotesi di reato di natura permanente: il che certamente incide ai fini del computo del termine necessario a prescrivere.

Stante la non manifesta infondatezza del ricorso, deve dichiararsi non doversi procedere nei confronti degli imputati perchè estinto il reato - contestato come accertato in data (OMISSIS) - per intervenuta prescrizione, in quanto il termine massimo prorogato quinquennale decorrente, quanto meno, dalla data di sequestro del sito, è maturato alla data odierna, in assenza, peraltro, di cause di sospensione.

Vale, sul punto, il principio affermato dalle SS.UU. di questa Corte secondo il quale nella ipotesi di maturazione del termine prescrizionale successivamente alla sentenza di appello è solo rinammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi a precludere la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p., non potendo considerarsi formato un valido rapporto di impugnazione (Cass SS.UU. 22.11.2000 n. 32; Cass. Sez. 2 20.11.2003 n. 47383;

Cass. Sez. 4 20.1.2004 n. 18641).

La sentenza impugnata - alla stregua delle considerazioni che precedono - va annullata senza rinvio per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè estinto il reato per prescrizione.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2012