Cass. Sez. III n. 12443 del 30 marzo 2010 (Ud. 11 feb. 2010)
Pres. Onorato Est. Mulliri Ric. Coculo e altro.
Rifiuti. Contestazione di discarica non autorizzata e condanna per abbandono

Non sussiste la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza se, a fronte di un'imputazione di discarica non autorizzata di rifiuti, sia pronunciata condanna per il reato di abbandono o deposito incontrollato degli stessi.

 

Osserva

1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso - Gli imputati sono stati accusati di avere, in concorso tra loro (il primo quale amministratore unico della S.r.l. proprietaria dell'autocarro utilizzato) trasportato e scaricato su un area di proprietà del comune di Valmontone di circa 400 mq circa, rifiuti misti bituminosi provenienti da lavori di scavo per conto Telecom, realizzando così una discarica non autorizzata. Con la sentenza impugnata, il Tribunale di Velletri ha condannato entrambi alla pena di 2000 € di ammenda, ciascuno.

Avverso tale decisione, essi hanno proposto ricorso, tramite il difensore, deducendo:

1) violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza (art. 6061ett c) c.p.p. in rel. all'art. 521 c.p.p.) per avere, il Tribunale, condannato per un fatto completamente diverso da quello descritto nel capo di imputazione. Quest'ultimo, infatti, aveva ad oggetto la realizzazione di una discarica non autorizzata mentre, in sentenza, è stato ritenuto l'abbandono ed il deposito incontrollato di rifiuti. La prima, più grave, postula un'attività sistematica e duratura nel tempo, la seconda condotta, invece, si realizza anche con una sola azione. A tal fine, vengono citati dei precedenti giurisprudenziali che conforterebbero la tesi.

Per altro, si soggiunge, questa modifica ha inciso sul diritto di difesa precludendo all'imputato l'accesso all'oblazione.

Il ricorrente conclude invocando l'annullamento della sentenza impugnata.

 

2. Motivi della decisione -Il ricorso è infondato.

L'argomentazione svolta dal ricorrente muove da un'erronea interpretazione della rafia e del raggio di azione della disposizione di cui all'art. 521 c.p.p.. Essa, infatti, è stata prevista all'evidente scopo di impedire che un soggetto possa essere condannato per un fatto diverso da quello sul quale era stato chiamato a difendersi ma tale rischio, evidentemente, non si corre quando il fatto resti lo stesso e muti semplicemente, in sede di sentenza, la qualificazione giuridica che si decida di dare al fatto.

Del resto, anche i precedenti giurisprudenziali che lo stesso ricorrente cita sono, in parte, non pertinenti (5868/94), ed, in parte, confermativi di quanto appena affermato. In particolare, la decisione n. 10965/92 riguarda una ipotesi diametralmente opposta a quella qui in esame nella quale, cioè, dopo una contestazione per abbandono di rifiuti, vi sia stata condanna per gestione di una discarica. Ovvio, perciò, che in tale ultima ipotesi, proprio perché (come ricorda il ricorrente) si tratta di condotta più ampia che implica una ripetitività, si sia verificata violazione del principio di cui all'art. 521 c.p.p. (essendo stato l'imputato condannato per un comportamento diverso da quello originariamente contestatogli).

Al contrario, nel caso che qui occupa, il giudice, alla conclusione di un ragionamento fattuale corretto (basato sulle dichiarazioni del teste Sartori) ha riqualificato l'originaria accusa di realizzazione di una discarica ravvisando, nella condotta dell'imputato, solo un'attività di deposito incontrollato di rifiuti.

Decisione ineccepibile visto che, in ossequio al principio che il più contiene il meno, l'imputato è stato condannato per una condotta sulla quale aveva avuto la possibilità di difendersi essendo essa prodromica alla realizzazione di una discarica.

Quanto all'ulteriore doglianza secondo cui la diversa qualificazione data al fatto avrebbe comportato un pregiudizio nell'accesso all'oblazione va rammentato che le S.U. di questa S.C. (28.2.06, Autolitano, Rv. 233028) si sono già occupate della questione risolvendola, però, nel senso che la disposizione di cui all'art. 141 co 4 bis disp. atto c.p.p. (che prevede la rimessione in termini dell'imputato in caso di modifica dell'originaria contestazione in altra per la quale sia ammissibile l'ablazione), "non si applica al caso in cui la modifica dell'imputazione sia fatta direttamente dal giudice con la sentenza di condanna". Ciò, in quanto la disposizione citata implica il rispetto della procedura nel contraddittorio tra le parti, in cui sia il pubblico ministero a modificare l'imputazione, il giudice a rimettere in termini l'imputato, questi a presentare l'istanza di oblazione, il pubblico ministero a formulare il parere e, infine, il giudice a valutare l'istanza.

Nel respingere il ricorso, segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.