Cass. Sez. III n. 34522 del 14 luglio 2017 (Ud 16 mar 2017)
Presidente: Amoresano Estensore: Rosi Imputato: Bulgarini
Rifiuti.Inosservanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento autorizzatorio da parte del gestore di un impianto
Integra il reato di cui all'art. 256, c. 3 e 4 del D.Lgs. n. 152 del 2006 l'inosservanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento autorizzatorio da parte del gestore di un impianto sia quelle, ad esempio, relative alla fase post-operativa di una discarica autorizzata, che quelle relative alla fase pre-operativa di un impianto di deposito, ovvero messa in sicurezza e trattamento di rifiuti, come nel caso di specie, ove la prescrizione violata era quella che subordinava l'esercizio dell'attività autorizzata all'accettazione della polizza fideiussoria
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 30 settembre 2016 il Tribunale di Brescia in composizione monocratica ha condannato Bulgarini Angelo alla pena di duemila euro di ammenda ritenendolo responsabile del reato di cui all'art. 256, c. 4, in relazione al c.1, lett. a) del D.Lgs. n. 152 del 2006, perchè, nella qualità di amministratore unico della società Metalservice srl, esercitava un'attività di recupero e messa in riserva di rifiuti speciali non pericolosi prodotti da terzo senza osservare le prescrizioni imposte dall'atto dirigenziale della prov. di Brescia n. 3613 del 12/6/2014, che autorizzava la realizzazione e l'esercizio dell'attività e, nello specifico: a) accettava presso l'impianto anche rifiuti provenienti da privati, in violazione delle limitazioni, previste nell'atto autorizzativo; b) avviava l'attività di messa in riserva e trattamento di rifiuti speciali in data antecedente all'accettazione da parte della provincia di Brescia della dovuta garanzia finanziaria, in violazione del punto 4 dell'atto autorizzativo, fatto accertato in Desenzano del Garda il 25 luglio 2014.
2. Avverso la sentenza l'imputato, per mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi: 1) Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione sul punto della responsabilità del ricorrente, considerato che la società della quale egli era amministratore ha ricevuto il materiale ferroso a seguito di acquisto da fornitori e non risulta che tale materiale potesse essere classificato quale rifiuto; infatti nessuna attività di trattamento del materiale era stata effettuata prima dell'accettazione della polizza fideiussoria alla quale era stata subordinata l'autorizzazione (accettazione intervenuta il 24 luglio 2014), mentre dal 30 giugno 2014 al 24 luglio 2014 la società ha unicamente effettuato la messa in riserva di tale materiale, come desumibile dal contenuto dell'autorizzazione stessa (sez. B, punto 1.3, allegato A); 2) Violazione di norme processuali e penali e mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza di errore di fatto ex art. 47 c.p., in ordine al contenuto della menzionata autorizzazione, trattandosi di errore non già afferente norme extrapenali come ritenuto dal Tribunale, ma connesso ad un contenuto descrittivo equivoco circa i contenuti dell'autorizzazione; 3) Mancanza di motivazione in ordine al giudizio di offensività della condotta, non avendo la sentenza fornito indicazioni in ordine all'offensività concreta che sarebbe derivata, considerata la successiva accettazione della polizza fideiussoria ed il fatto che tale aspetto dell'autorizzazione ha natura esclusivamente economica e nulla ha a che vedere con la gestione dei rifiuti e la tutela dell'ambiente; 4) Violazione della legge penale e contraddittorietà ed illogicità della motivazione, quanto all'esclusione dell'applicabilità dell'art. 131 bis c.p., per mancanza di condotta riparatoria, atteso che tale motivazione non ha tenuto conto della mancata incidenza della violazione ascritta rispetto al bene tutelato dalla fattispecie ed ha trascurato la considerazione della successiva accettazione della polizza fideiussoria da parte dell'ente locale in data 25 luglio 2014 che ha legittimato anche l'attività svolta anteriormente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Va rilevato che i primi tre motivi di ricorso non sono fondati. Innanzitutto va affermata la qualità di rifiuto del materiale ferroso conferito da terzi alla società amministrata dal ricorrente, in quanto la qualità di rifiuto, una volta acquisita in base ad elementi positivi (il fatto che si tratti di beni residuo di produzione di cui i detentori si siano voluti disfare) e negativi (res non avente in sé il requisito di sottoprodotto), non viene meno in ragione di un accordo di cessione a terzi, né del valore economico del bene conferito che sia stato riconosciuto nel medesimo accordo, in quanto va fatto riferimento alla volontà dei cedenti di disfarsi del bene e non già all'utilità che potrebbe ritrarne il cessionario (in tal senso, cfr. Sez.3, n. 5442/17 del 15/12/2016, P.M. in proc. Zantonello, Rv. 269249).
2. Inoltre, con specifico riferimento al terzo motivo, va precisato che integra il reato di cui all'art. 256, c. 3 e 4 del D.Lgs. n. 152 del 2006 l'inosservanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento autorizzatorio da parte del gestore di un impianto sia quelle, ad esempio, relative alla fase post-operativa di una discarica autorizzata (così Sez. 3, n. 40318 del 16/6/2016, P.M. in proc. Strazzer, Rv. 267755), che quelle relative alla fase pre-operativa di un impianto di deposito, ovvero messa in sicurezza e trattamento di rifiuti, come nel caso di specie, ove la prescrizione violata era quella che subordinava l'esercizio dell'attività autorizzata all'accettazione della polizza fideiussoria.
3. Infatti la fattispecie incriminatrice di cui si tratta è posta a tutela di un regolare esercizio dell'attività di gestione dei rifiuti, nel rispetto del generale principio di precauzione nello svolgimento di un'attività di impresa con possibile incidenza sull'ambiente, dovendo essere compreso nel concetto di regolare esercizio anche la verifica della garanzia patrimoniale prestata, e richiesta in via cautelare dalla pubblica amministrazione anche in riferimento all'eventualità in cui si verifichi la necessità di porre in essere opere di ripristino ambientale a seguito di eventuali danni conseguenti all'attività di impresa afferente al recupero ed alla messa in riserva di rifiuti speciali non pericolosi.
4. Quanto poi al secondo motivo, non può certamente ritenersi configurabile un'ipotesi di errore di fatto, avendo il giudice di primo grado, correttamente, identificato l'eventuale, ma solo asserito da parte dell'imputato, errore sul contenuto dell'autorizzazione quale errore afferente norme extra-penali, ma integratrici del precetto penale, e quindi, come tale, si tratterebbe di errore inescusabile (in tal senso, Sez. 3, n. 35314 del 20/05/2016, P.M. in proc. Oggero, Rv. 268000).
5. Infatti va ribadito il principio che la scusabilità dell'ignoranza della legge penale, può essere invocata dall'operatore professionale di un determinato settore solo ove dimostri, da un lato, di aver fatto tutto il possibile per richiedere alle autorità competenti i chiarimenti necessari e, dall'altro, di essersi informato in proprio, ricorrendo ad esperti giuridici, così adempiendo il dovere di informazione (così Sez.3, n. 35694 del 05/04/2011, Pavanati, Rv. 251225), in quanto i limiti della inevitabilità, e quindi della non colpevolezza, dell'ignoranza della legge penale, che scusa l'autore dell'illecito, debbono essere in ogni caso individuati in relazione allo specifico soggetto agente: mentre per il cittadino comune è sufficiente l'ordinaria diligenza nell'assolvimento di un dovere di informazione di tipo generico, attraverso la corretta utilizzazione dei normali mezzi di informazione, di indagine e di ricerca dei quali disponga, tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell'illecito anche in virtù di una "culpa levis" nello svolgimento dell'indagine giuridica. "Per l'affermazione della scusabilità dell'ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l'agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell'interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto". (cfr. SSUU, n. 8154 del 10/6/1994, P.G. in proc. Calzetta Rv. 197885, Sez. 5, n. 41476 del 25/9/2003, Izzo, Rv. 227042, Sez. 3, n. 172 del 06/11/2007, Picconi, Rv. 238600).
6. Risulta invece fondato l'ultimo motivo di ricorso, avendo il giudice di merito negato l'applicazione della invocata causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p. unicamente sulla rilevanza dei beni giuridici tutelati dalla norma incriminatrice, senza avere svolto alcun esame sulla concreta lesione al bene ambientale conseguente alla condotta ascritta al ricorrente, avuto a riferimento la prescrizione contenuta nell'autorizzazione violata nel caso di specie, laddove si tratta della prescrizione connessa alla verifica della sussistenza della garanzia patrimoniale richiesta dall'ente che l'autorizzazione aveva indicato nella data della formale accettazione della polizza fideiussoria, sicchè la violazione si è realizzata, nella sostanza, nell'avere svolto l'attività di gestione dei rifiuti prima della efficacia del provvedimento autorizzatorio, ossia nel periodo tra l'emanazione dell'atto dirigenziale (il 12 giugno 2014) e l'accettazione stessa ( il 24 luglio 2014).
7. Né, considerata l'imputazione del reato come posto in essere dall'imputato, si tratta di reato abituale, a differenza di altre situazioni concrete integranti la medesima fattispecie penale, nelle quali è stata ritenuta l'abitualità quale elemento ostativo alla riconoscibilità della causa di non punibilità invocata (in tal senso Sez.3, n. 48318 del 11/10/2016, P.M. in proc. Halilovic, Rv. 268566), atteso che a far data dal 24 luglio 2014, a seguito dell'accettazione della garanzia fideiussoria, l'attività svolta è da considerare legittima.
8. Orbene a tale proposito risulta necessario rinviare al giudice di merito affinchè effettui la valutazione del fatto a tali fini e quindi la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente all'applicabilità dell'art. 131 bis c.p., con rinvio al Tribunale di Brescia, mentre nel resto il ricorso deve essere rigettato.
PQM
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all'applicabilità dell'art. 131 bis c.p. e rinvia al Tribunale di Brescia, rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 16 marzo 2017.