Cass. Sez. III n. 41692 del 7 ottobre 2014 (Ud 1 lug 2014)
Pres. Fiale Est. Andreazza Ric. Ciampa
Rifiuti. Deposito temporaneo e modalità di conservazione dei rifiuti

Il deposito temporaneo, inteso quale raggruppamento di rifiuti effettuato prima della raccolta nel luogo in cui sono prodotti, e nel rispetto delle condizioni fissate dall'art. 183 del d.lgs. n. 152 del 2006 (tra cui l'osservanza delle relative norme tecniche), è comunque soggetto al rispetto dei principi di precauzione e di azione preventiva che le direttive comunitarie impongono agli stati nazionali in forza dell'art. 130 (ora art. 174) del Trattato CE (v. Corte di Giustizia Europea, Sez.4, del 5.10.1999, Lirussi e Bizzaro, cause riunite C-175/98 e 177/98); di qui, dunque, la necessità, addirittura intrinseca ad un deposito che, come quello temporaneo, è preliminare o preparatorio alla gestione, che i rifiuti siano conservati con modalità adeguate allo scopo.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 24/05/2013 il Tribunale di Avellino ha condannato C.R. per il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256 per avere operato uno stoccaggio di rifiuti speciali in aree esterne a quella aziendale costituiti da scarti di lavorazione di attività di recupero di rifiuti.

2. Ha presentato ricorso l'imputato che, con un primo motivo, lamenta la nullità della sentenza per violazione dell'art. 521 c.p.p. avendo il giudice di primo grado addebitato all'imputato non già lo stoccaggio al di fuori delle aree aziendali come contestato bensì l'inidoneità delle precauzioni adottate per evitare che lo stoccaggio del quantitativo di scarti producesse fuoriuscita di percolato, in tal modo facendo riferimento ad ulteriori elementi della fattispecie mai presi in considerazione prima di allora.

3. Con un secondo motivo lamenta la mancanza e la manifesta contraddittorietà ed illogicità della motivazione nonchè la violazione di legge e il travisamento della prova; in particolare il giudice, nel l'escludere il deposito temporaneo, ha finito per condannare l'imputato rimproverandogli la mancata adozione di non meglio specificate precauzioni senza spiegare in qual modo queste siano state disattese, finendo dunque la motivazione per essere del tutto apparente, tanto più non avendo chiarito se si versasse in ipotesi di rifiuti speciali pericolosi oppure non pericolosi; d'altra parte la non pericolosità sarebbe chiaramente emersa dalle analisi effettuate a seguito del sequestro del capannone e della deposizione del perito D.N.D.; ne deriva che sarebbero state rispettate tutte le norme tecniche previste per il deposito dei rifiuti di cui alla categoria 19; nè sono stati creati rischi per la salute o per l'ambiente. Inoltre il deposito temporaneo è stato realizzato all'interno di un corpo di fabbrica perfettamente agibile, al riparo da eventi atmosferici e con varchi presidiati ed accessibile solo agli addetti della committente.


CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Il principio della correlazione tra (Imputazione contestata e la sentenza richiede che il giudice non possa condannare l'imputato per un fatto diverso da quello attribuitogli nel capo d'imputazione, venendo in tal modo garantito, da un lato, il contraddittorio ed il diritto di difesa dell'imputato stesso, che deve essere posto in condizione di conoscere l'oggetto dell'addebito e di difendersi in relazione ad esso ed esso solo, e, dall'altro, il controllo giurisdizionale sul corretto esercizio dell'azione penale (vedi Corte cost., sentenze n. 103 del 2010 e n. 88 del 1994). Ciò posto, nella specie, la prospettazione della violazione di detto principio è del tutto infondata giacchè il reato per il quale è Intervenuta condanna, ovvero quello di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a) è del tutto corrispondente a quello contestato, avendo il giudice ritenuto la responsabilità dell'imputato con riguardo alla condotta, di cui al capo d'imputazione appunto, di stoccaggio di rifiuti speciali.

Nè importa che, a differenza di quanto ulteriormente precisato nell'imputazione (ove tali rifiuti venivano descritti come stoccati in aree esterne a quella aziendale), il giudice abbia, nella motivazione, ritenuto invece che lo stoccaggio sia avvenuto in aree nella disponibilità dell'imputato, essendo un tale elemento spaziale indifferente rispetto al perfezionamento dell'illecito contestato (tale, infatti, sia se posto in essere su aree altrui sia se poste in essere su aree proprie) se non laddove, unitamente ad altri elementi, tuttavia non ravvisati, come subito oltre si dirà, nella specie, dal giudice, lo stesso sia funzionale alla configurabilità dell'ipotesi di deposito temporaneo; ed anzi, proprio la impossibilità di ravvisare nella condotta di specie le caratteristiche di un deposito temporaneo, ha condotto il Tribunale a ritenere sussistente il reato addebitato in imputazione.

5. Con riguardo poi, appunto, al censurato disconoscimento della invocata ipotesi del deposito temporaneo, va ricordato che, alla stregua di quanto ora previsto dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, lett. bb) e di quanto, all'epoca del fatto, conformemente prevedeva l'art. 183, lett. m), il principale requisito per la sussistenza del deposito temporaneo è rappresentato dal fatto che il raggruppamento dei rifiuti sia effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti (cfr., tra le altre, Sez. 3, n. 39544 del 11/10/2006, Tresolat ed altro, Rv. 235704; Sez. 3, n. 21024 del 25/02/2004, Eoli, Rv. 229225); al contrario, risulta incontestabilmente dalla sentenza impugnata che i rifiuti in oggetto non erano prodotti dalla azienda rappresentata dall'imputato che, anzi, svolgeva attività di recupero di rifiuti altrui; ne consegue come, già solo per tale ragione, la conclusione cui la sentenza impugnata è pervenuta si sottrae ad ogni possibile censura.

In ogni caso, la sentenza ha anche precisato che dall'ingente quantitativo di rifiuti fuoriusciva percolato che confluiva nelle griglie di raccolta del capannone nonchè odore intenso e nauseabondo. Ora, come già precisato da questa Corte (cfr., Sez. 3, n. 39544 del 11/10/2006, Tresolat ed altro, Rv. 235704), il deposito temporaneo, inteso quale raggruppamento di rifiuti effettuato prima della raccolta nel luogo in cui sono prodotti, e nel rispetto delle condizioni fissate dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183 (tra cui l'osservanza delle relative norme tecniche), è comunque soggetto al rispetto dei principi di precauzione e di azione preventiva che le direttive comunitarie impongono agli stati nazionali in forza dell'art. 130 (ora art. 174) del Trattato CE (v. Corte di Giustizia Europea, Sez. 4, del 5.10.1999, Unissi e Bizzaro, cause riunite C- 175/98 e 177/98); di qui, dunque, la necessità, addirittura intrinseca ad un deposito che, come quello temporaneo, è preliminare o preparatorio alla gestione, che i rifiuti siano conservati con modalità adeguate allo scopo.

Il secondo motivo è pertanto infondato.

6. il ricorso va, in definitiva, rigettato con conseguente condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 1 luglio 2014.