Cass. Sez. III n. 37557 del 15 novembre 2006 (ud. 19 sett. 2006)
Pres. Lupo Est. Ianniello Ric. Ciarpaglini ed altro
Rifiuti. Nozione di discarica

La nozione di discarica implica il deposito permanente di rifiuti in tal modo smaltiti e le disposizioni di riferimento pongono una presunzione assoluta di permanenza anche con riferimento a determinati fatti di deposito ove perduranti un certo periodo di tempo

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 9 ottobre 2003, il Tribunale di Grosseto aveva dichiarato C.D. e C.I. colpevoli del reato di cui all'art. 110 c.p., D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 51, comma 3, seconda parte, per avere, il primo in qualità di direttore responsabile del Consorzio CO.SE.CA. - cui era stato concesso l'uso di un cantiere di proprietà comunale per il deposito di macchine e di attrezzature usate nella raccolta differenziata di rifiuti affidata al Consorzio medesimo - e il secondo in qualità di responsabile di cantiere, realizzato e gestito abusivamente in tale sito una discarica, destinata in parte allo smaltimento di rifiuti pericolosi (come accertato in (OMISSIS)), condannandoli alla pena di mesi quattro di arresto ed Euro 2.000,00 di ammenda ciascuno, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ritenute prevalenti sulla aggravante contestata.

Il Tribunale aveva condannato altresì gli imputati a risarcire i danni alla parte civile costituita Comune di Grosseto, da liquidare in separata sede.

Su appello degli imputati, la Corte d'appello di Firenze, con sentenza del 20 settembre 2004, ha parzialmente riformato della decisione di primo grado, escludendo l'aggravante relativa alla presenza nella discarica anche di rifiuti pericolosi e confermando nel resto tale sentenza, anche quanto alla pena.

Con distinti analoghi ricorsi per cassazione, gli imputati impugnano, a mezzo del loro difensore, la sentenza della Corte territoriale, deducendo:

1 - l'erronea applicazione del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 51, comma 3, in relazione al D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, art. 2, comma 1, lett. g), che definisce la nozione di discarica, con efficacia anche in ordine ai fatti compiuti in precedenza, ai sensi dell'art. 2 c.p., comma 2.

In proposito, i ricorrenti hanno anzitutto sottolineato che le risultanze istruttorie avevano indiscutibilmente dimostrato che il sito in cui erano stati depositati i rifiuti non era un luogo di smaltimento definitivo degli stessi, che viceversa venivano ivi preparati per il successivo trasporto in altro luogo di trattamento, smaltimento o recupero e che al momento del sequestro dell'area in questione nel maggio 2002 non era ancora trascorso un anno dalla disponibilità della stessa da parte del Consorzio, essendo stata questa concessa solo in data 10 ottobre 2001, per cui già nell'atto di appello la loro difesa aveva escluso che ricorresse una delle possibili ipotesi di discarica considerate dalla norma del 2003, non trattandosi di deposito temporaneo per più di un anno, o di rifiuti stoccati nell'area per più di un anno o di tre anni (termine massimo, rispettivamente, per i rifiuti destinati allo smaltimento e per quelli destinati ad attività di recupero).

Secondo gli imputati, la Corte territoriale erroneamente aveva peraltro ritenuto che lo stoccaggio escluso dalla nozione di discarica ai sensi del D.Lgs. n. 36 del 2003 sarebbe unicamente quello in ordine al quale sia stato predeterminato il periodo massimo in cui i rifiuti rimarranno nell'area interessata.

In maniera poco convincente poi, secondo i ricorrenti, i giudici di merito avevano ritenuto che il sito gestito dal Consorzio non sarebbe definibile come "impianto in cui i rifiuti sono scaricati alfine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento", escluso dalla nozione di discarica dal medesimo decreto.

2 - l'erronea applicazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 3, in relazione al comma 1 della medesima norma.

Date le indubbie caratteristiche di temporaneità del deposito al suolo dei rifiuti, il fatto contestato agli imputati avrebbe semmai dovuto essere ricondotto, secondo i ricorrenti, alla fattispecie di cui alla lett. a) del comma 1 dell'art. 51 del D.Lgs..

I ricorrenti hanno pertanto chiesto l'annullamento della sentenza impugnata, con i provvedimenti conseguenti.

All'udienza del 19 settembre 2006, le parti hanno concluso come in epigrafe indicato.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 - Il Consorzio CO.GE.CA. svolge per conto del Comune di Grosseto attività di raccolta differenziata di rifiuti e in data 10 ottobre 2001 aveva ottenuto dal Comune la concessione in uso di un'area di sua proprietà per il deposito delle attrezzature e per il parcheggio dei mezzi utilizzati nello svolgimento della propria attività.

Ad un sopralluogo effettuato dalla P.G. nel maggio 2002, su denuncia di alcuni cittadini, era invece risultato che il consorzio - e per esso i due imputati - aveva abusivamente accumulato nel suolo in tale area una notevole quantità di materiali di scarto provenienti dalla raccolta differenziata di rifiuti ad esso affidata, di natura eterogenea e "distinti per aree in modo assai sommario (e neppure sempre...), in relazione a tipologie generiche" (pag. 10 della sentenza d'appello).

2 - In via preliminare, il Procuratore generale contesta che il D.Lgs. n. 36 del 2003, art. 2, comma 1, lett. g) costituisca norma integrativa del D.Lgs. n. 22 del 1997 quanto alla nozione di discarica, in ragione del fatto che le definizioni contenute in tale articolo seguono la affermazione "ai fini del presente decreto, si intende per...".

La deduzione è infondata, essendo stato l'intero decreto n. 36, come già ampiamente argomentato dalla Corte territoriale, esplicitamente dettato "per conseguire le finalità di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 2" con lo stabilire, tra l'altro, i "requisiti operativi e tecnici per... le discariche".

3 - Il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 3 (oggi D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 3) punisce la realizzazione e gestione di una discarica non autorizzata.

In linea con la prevalente giurisprudenza di legittimità formatasi sui testi di legge precedenti (tra le altre, cfr, Cass. 8 settembre 2004 n. 36072; 17 giugno 2004 n. 27296) anche alla luce della normativa comunitaria (in particolare, cfr. la definizione di discarica contenuta all'art. 2, lett. g) della direttiva n. 31/1999), il D.Lgs. n. 36 del 2003, art. 2, lett. g) definisce discarica "l'area adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi nonchè qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno". La norma prosegue poi affermando che "Sono esclusi da tale definizione gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati alfine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore ad un anno".

Si desume dalla definizione che la discarica implica il deposito permanente di rifiuti, in tal modo smaltiti (cfr. infatti la definizione di smaltimento di cui all'attuale D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 183, lett. g), in continuità normativa col precedente D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 6, lett. g), per quanto qui interessa) e la norma pone una presunzione assoluta di permanenza anche con riferimento a determinati fatti di deposito ove perduranti un certo periodo di tempo.

Ciò posto deve rilevarsi che in giudizio è mancata la prova di tale destinazione dell'area a deposito permanente dei rifiuti raccolti dal Consorzio, in quanto da un lato è risultato che i rifiuti venivano depositati in loco in attesa di essere trasportati altrove per lo smaltimento definitivo e dall'altro non era trascorso al momento dell'accertamento il periodo massimo di eventuale stoccaggio degli stessi.

A quest'ultimo proposito non appaiono infatti condivisibili le considerazioni della Corte territoriale, secondo la quale perchè ricorra una ipotesi di stoccaggio esclusa dalla nozione di discarica sarebbe necessaria la predeterminazione temporale, nei limiti indicati dalla norma, del deposito dei rifiuti.

Nessuna norma prevede infatti una tale predeterminazione temporale nè i modi in cui questa dovrebbe necessariamente esprimersi.

Da ciò consegue che l'attività di deposito di rifiuti realizzata senza autorizzazione dagli imputati non possa essere definita discarica ai fini della contravvenzione contestata loro con riferimento al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 3.

Poichè peraltro tale attività di deposito non definitivo di rifiuti destinati ad una successiva movimentazione è risultata in giudizio consistere nel mero accumulo sul suolo di rifiuti eterogenei, non distinti per tipologia oppure distinti in maniera sommaria in relazione a tipologie generiche, dando luogo ad una iniziale trasformazione e degrado dell'area di accumulo, il fatto così accertato va qualificato in termini diversi dallo stoccaggio non autorizzato, punibile, quale fase dello smaltimento o del recupero, ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1991, art. 51, comma 1, ma come deposito incontrollato di rifiuti, come tale punito, sia pure con pena edittale che rinvia a quella stabilita al comma 1, dal comma 2, dell'art. 51 cit..

4 - Sulla base delle considerazioni svolte, qualificato diversamente, nei termini indicati, il fatto accertato, la sentenza impugnata va annullata unicamente con riguardo alla determinazione della pena conseguente all'errata qualificazione, stabilita in misura diversa per l'ipotesi riconducibile alla corretta qualificazione, con rinvio ad altra sezione della corte d'appello di Firenze per la nuova determinazione della pena.

P.Q.M.

La Corte, qualificato il fatto come reato previsto dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 1), lett. a) e comma 2 e successive modificazioni, annulla la sentenza impugnata e rinvia per la determinazione della pena ad altra sezione della Corte d'appello di Firenze.
Così deciso in Roma, il 19 settembre 2006.