Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2995, del 16 giugno 2015
Urbanistica.PRG Terreni destinati a verde pubblico.

I terreni destinati a verde pubblico terreni destinati a verde pubblico dal PRG diventano beni pubblici e, quindi, beni strumentali al perseguimento dei fini istituzionali dell'ente, solo a seguito del loro definitivo acquisto in proprietà, trasformazione e concreto uso secondo la propria destinazione, non essendo all'uopo sufficiente il PRG, che serve solo ad imprimere loro la vocazione all’esclusivo uso pubblico, ma occorrendo la loro specifica individuazione a seguito dell’approvazione dell’opera da realizzare. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 02995/2015REG.PROV.COLL.

N. 03086/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso n. 3086/2013 RG, proposto da Andrea Ginevri, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Lavitola e Claudio Manzia, con domicilio eletto in Roma, via Costabella n. 23, 

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Pier Ludovico Patriarca, domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove n. 21 e 

nei confronti di

Regione Lazio e Provincia di Roma, in persona dei rispettivi Presidenti pro tempore, non costituite nel presente giudizio, 

per la riforma

della sentenza del TAR Lazio – Roma, sez. II-bis, n. 8237/2012, resa tra le parti e concernente la approvazione del nuovo PRG del Comune di Roma.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio solo di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore all'udienza pubblica del 21 aprile 2015 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti costituite, gli avvocati Lavitola, Manzia e Patriarca;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

 

FATTO

Il sig. Andrea Ginevri assume d’esser proprietario d’un appezzamento di terreno di mq 5721, sito in Roma, loc. Pietralata, alla via delle Messi d’oro ed inserito fin dal PRG del 1964 in zona PEEP e, da ultimo con il c.d. “Piano delle certezze” approvato nel 2004, in zona N (parchi pubblici ed impianti sportivi).

Il sig. Ginevri dichiara altresì che, in forza dell’accordo di co-pianificazione tra la Regione Lazio ed il Comune di Roma (ora, Roma Capitale), è stato definitivamente approvato il nuovo PRG di Roma, rispettivamente ed ai sensi dell’art. 66-bis della l.r. 22 dicembre 1999 n. 38, dalla DGR n. 80 dell’8 febbraio 2008 e dalla deliberazione del Consiglio comunale di Roma n. 18 del 12 febbraio 2008. In particolare, il terreno del sig. Ginevri adesso ricade nelle aree a verde pubblico e servizi pubblici di livello locale, di cui agli artt. 83 e 85 delle relative NTA.

Avverso tale statuizione e tutti gli atti connessi il sig. Ginevri si grava innanzi al TAR Lazio, con il ricorso n. 6270/2008 RG, affidato a sei articolati gruppi di censure. L’adito TAR, con sentenza n. 8237 del 1° ottobre 2012, disattese le eccezioni preliminari di rito, ha funditus respinto la pretesa così azionata.

Appella quindi il sig. Ginevri, con il ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità della sentenza per: A) – avere disatteso la censura sull’indebita ed immotivata reiterazione d’un vincolo fin dal 1964 preordinato in sostanza all’esproprio ed alla completa compressione d’ogni utilizzabilità dell’area a fini anche solo parzialmente privati; B) – aver motivato tal rigetto con il mero richiamo a Cons. St., IV, 30 luglio 2012 n. 4321 sull’ormai nota distinzione tra vincoli espropriativi e vincoli solo conformativi, quali erano, a detta del TAR, quelli di cui alla predetta zona N e non quelli attuali verso cui «… qualche dubbio può sorgere…, laddove è dato cogliere… una tendenza ad ampliare e consolidare gli obiettivi pubblicistici cui le aree de quibus risultano asservite…» seppur con efficacia ablatoria ex nunc; 3) – non avere il TAR detto alcunché sugli argomenti addotti in ordine alla natura sempre espropriativa dei vincoli gravanti sul predetto terreno, come evincesi dalla lettura delle NTA del “Piano delle certezze” e dal significato che il nuovo PRG assegna alla zonizzazione a verde pubblico e per servizi pubblici; 4) – in via subordinata, l’omessa tempestiva acquisizione (in luogo dell’esproprio) del terreno stesso, mediante cessione compensativa, che il TAR disattende per la novità e la complessità del relativo procedimento —relativamente al quale non si configurano, ad avviso del Giudice di prime cure, profili di contraddittorietà e di disparità di trattamento—, mentre tal istituto ha carattere generale e non è discrezionalmente limitabile a talune, piuttosto che ad altre vicende. Resiste in giudizio solo Roma Capitale, che conclude per l’integrale rigetto dell’appello.

Alla pubblica udienza del 21 aprile 2015, su conforme richiesta delle parti costituite, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.

DIRITTO

Assume l’appellante che sul suo terreno Roma Capitale, nell’assoggettarlo al regime di aree a verde pubblico e servizi pubblici di livello locale, di cui agli artt. 83 e 85 delle NTA al nuovo PRG, in realtà abbia reiterato il vincolo preordinato all’esproprio già impresso fin dal 1964 e, comunque, secondo le regole dettate per la zona N di cui al previgente “Piano delle certezze”, senza che il TAR abbia confutato tal vicenda.

Fermo restando che l’appello s’incentra essenzialmente sui motivi primo e terzo (e relativi corollari) del ricorso al TAR, quello in epigrafe non può esser condiviso e va respinto.

Preme al Collegio anzitutto notare che la stesura del gravame introduttivo al TAR, al di là dei vari argomenti di principio poi più volte reiterati nelle memorie in questa sede, non sembra descrivere la comparazione tra le attuali e le previgenti NTA, al fine di dimostrare la perdurante destinazione ablatoria del terreno. Per vero, a parte il richiamo (I motivo del ricorso al TAR) al vincolo impresso dal nuovo PRG ed ai criteri che la giurisprudenza ha indicato per la corretta reiterazione dei vincoli preordinati all’esproprio, il riferimento attoreo alla zona N del “Piano delle certezze” appare per la prima volta nella memoria del 5 aprile 2012, in vista dell’udienza di trattazione della causa (10 maggio 2012). Tanto con riguardo ad un passaggio della sentenza della CEDU del 17 ottobre 2002, nel quale, parlando d’un terreno ricadente in zona N, riconobbe che «… esso è stato sottoposto ad un vincolo di inedificabilità preordinato all’espropriazione…». Da ciò il sig. Ginevri inferì che la destinazione del terreno posta dal nuovo PRG a verde pubblico ed a servizi pubblici, in quanto volta a reperire standard urbanistici, fosse immotivatamente reiterativa d’un vincolo ablatorio già esistente e, dunque, da indennizzare.

È però da soggiungere come il TAR (cfr. pagg. 8 ss. dell’impugnata sentenza), rettamente ad avviso del Collegio, chiarisca bene la possibilità per i privati in detta zona N, quantunque mediata dalla pianificazione attuativa, di realizzare opere che rispondano a bisogni non meramente egoistici o ad esigenze di fruizione collettiva. Il che è come dire, per un verso, che non vi erano specifici vincoli preordinati all’espropriazione in zona N, né il sostanziale svuotamento dei diritti dominicali privati nelle aree colà insistenti; e, per altro verso, la ritraibilità d’un lucro privato nella gestione di opere pur destinate a soddisfare bisogni della collettività, senza la necessaria intermediazione del pubblico potere. Ed è esattamente ciò che, prim’ancora del TAR, ha chiarito la Sezione (cfr. Cons. St., IV, 30 luglio 2012 n. 4321) nel trattare delle vicende delle aree ricadenti in detta zona N, affermando su tal punto che la destinazione di un'area di proprietà privata a verde pubblico attrezzato aveva natura conformativa e non comportava un vincolo preordinato all'esproprio. Infatti, essa era preordinata sì a regolare consistenti interventi edificatori, ma al precipuo fine, generale, d’assicurare, grazie alla zonizzazione, il coordinamento di tale attività edilizia con gli obiettivi d’interesse generale e, quindi, con la funzione sociale della proprietà privata ai sensi dell'art. 42, c. II, Cost..

Ben si nota allora la differenza tra il carattere conformativo di tali vincoli e la natura espropriativa degli altri. L’un carattere s’invera nella zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, laddove appunto incidono su una generalità di beni e nei confronti di un’indifferenziata platea di destinatari, affinché entrambi si adattino ad un uso socialmente compatibile della proprietà fondiaria (cfr. Cons. St., IV, 6 maggio 2013 n. 2432; id., 6 ottobre 2014 n. 4976). L’altra natura si manifesta quando i vincoli incidono su beni determinati al fine non d’una generale destinazione di zona, ma della localizzazione di un’opera pubblica specifica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata. Questi ultimi vincoli in tanto sono ablatori, in quanto siano soggetti alla scadenza quinquennale, concernano beni determinati e siano preordinati alla precisa e puntuale localizzazione di un'opera che, per suoi natura e scopo, è d’esclusiva appropriazione e fruizione collettiva e la cui realizzazione implica lo svuotamento incisivo e definitivo della proprietà privata (arg. ex Cons. St., IV, 23 luglio 2009 n. 4662; id., 13 luglio 2011 n. 4242; id., 19 gennaio 2012 n. 244; id., 29 novembre 2012 n. 6094).

E si comprende pure il diverso trattamento tra il previgente e l’attuale regime dell’area di proprietà dell’appellante, come di tutte le altre assoggettate dal nuovo PRG di Roma a verde pubblico (art. 85 delle NTA) od a servizi pubblici di livello urbano (art. 84), stabilita dalla disciplina generale dei servizi pubblici contenuta nel precedente art. 83. In virtù di quest’ultimo, dette aree «… su cui tali servizi non siano già stati realizzati e che non siano già di proprietà di Enti pubblici, o comunque istituzionalmente preposti alla realizzazione e/o gestione dei servizi…, sono preordinate alla acquisizione pubblica da parte del Comune o di altri soggetti qualificabili quali beneficiari o promotori dell’esproprio…». Inoltre, «…gli immobili privati esistenti, non adibiti a servizi pubblici, ma a funzioni assimilabili alle destinazioni d’uso di cui agli articoli 84 e 85, possono rimanere di proprietà privata, purché ne sia garantito l’uso pubblico tramite convenzione con il Comune o con altri Enti pubblici competenti…». Sicché soltanto ora esse son acquisite in forza di espropriazione per p.u., oppure, ove ve ne siano i presupposti, con le modalità di cui all’art. 22 delle NTA, ossia mediante la cessione compensativa con altre aree.

Di ciò il TAR ha dato ampia e corretta contezza, che l’appellante non riesce a confutare, poiché la serena lettura comparata dei due testi delle NTA, i quali per la prima volta nella presente causa sono stati dedotti in giudizio (donde l’irrilevanza di tutte le vicende pregresse), porta a concludere che solo il nuovo PRG ha impresso con effettoex nunc anche al terreno attoreo il vincolo ablatorio de quo, erroneamente lamentato pure nei confronti del “Piano delle certezze”. La salvezza posta dal citato art. 83 al mantenimento della proprietà privata e, dunque, la non definitiva soggezione di essa al regime espropriativo è in fondo ben poca cosa. Un tal risultato soggiace comunque alla volizione meramente potestativa del Comune, o degli altri enti pubblici competenti, a sottoscrivere una convenzione con il proprietario e sempreché sia garantito l’uso pubblico (e non soltanto collettivo) dell’area interessata. Con questo significato si deve leggere la frase del TAR, che è poi la citazione della giurisprudenza della Sezione, per cui «… qualche dubbio può sorgere… in ordine alla disciplina impressa ai medesimi (suoli – NDE) del nuovo P.R.G., laddove è dato cogliere… una tendenza ad ampliare e consolidare gli obiettivi pubblicistici cui le aree de quibus risultano asservite…». Infatti, solo ora v’è stato l’irrigidimento della soggezione di esse all’esercizio del pubblico potere, sì da svuotare ogni concreta facoltà dominicale.

Se queste sono le premesse logiche, sfugge al Collegio su che cosa di più ed in meglio il TAR si sarebbe dovuto pronunciare rispetto ai primi due gruppi di censure del ricorso di primo grado. A tal riguardo, assodata la (o, comunque, non dimostrata l’assenza di) consolidazione delle statuizioni dei pregressi strumenti urbanistici (donde l’irrilevanza dei riferimenti ad arresti dell’Adunanza plenaria che non concernono la vicenda in esame), è il nuovo PRG a volere un vincolo espropriativo sul terreno del sig. Ginevri, dapprima non esistente

Sicché scolorano le questioni poste dall’appellante alle pagg. 11/12 del ricorso in epigrafe, in quanto, in disparte l’evidente differenza tra la destinazione dell’area ad insediamenti di e.r.p. e l’art. 15 del delle NTA del “Piano delle certezze”, né l’una, né l’altro furono tempestivamente impugnate dal sig. Ginevri. Che le statuizioni urbanistiche di cui al medesimo art. 15 non concedessero a questi una facoltà edificatoria piena è fuor di dubbio, ma l’assenza di tal pienezza NON è di per sé sola sinonimo d’espropriazione (art. 42, III c., Cost.). Essa è per contro la manifestazione d’una delle possibili declinazioni con cui la legge, che ne garantisce i modi d’acquisto e di godimento, fissa i limiti della proprietà privata, affinché ne sia assicurata la funzione sociale (artt. 2 e 42, II c.). Tanto per tacer del fatto che, essendo il vincolo espropriativo sorto da ultimo ed al di là della mancanza d’un obbligo specifico di motivazione sulle scelte di pianificazione generale, non c’era alcunché da motivare sul punto.

Si badi: tal risultato NON cambia, neanche a considerare il verde pubblico quale standard (o, in pratica, a volere leggere entrambi come se fossero vincoli ablatori), sol perché questi definiscono le quantità minime di spazi pubblici (aree per l'istruzione, aree per attrezzature d’interesse comune, aree per il verde attrezzato, aree per i parcheggi) da prevedere per gli insediamenti residenziali o produttivi (artt. 3 e 5 del DM 2 aprile 1968 n. 1444).

In pratica, parlando di zonizzazione funzionale o per standard, l’appellante si sforza, ma invano, di leggere ed intendere l’uno e gli altri come se fossero sinonimi, il che, con ogni evidenza ed al di fuori dello specifico dato testuale, non è. Invero, lo standard ha lo scopo testé accennato, ma non importa necessariamente solo vincoli ablatori, né tampoco la realizzazione di opere pubbliche puntuali. Esso ben si può inverare anche in modalità di godimento delle facoltà dominicali (e delle relative rendite) diverse dalla mera edificazione (o della rendita esclusivamente basata su essa o sull’alienazione dell’area edificabile all’impresa edile), ossia mercé usi attivi e produttivi, sempre privati, ma come capitale di rischio. Si realizza così il principio di C. cost., 12 maggio 1999 n. 179, secondo il quale si è fuori dello schema ablatorio, le volte in cui le iniziative siano suscettibili di operare in regime di mercato (che, aggiunge il Collegio, a seconda dei casi e dei contesti, può esser libero, regolato, regolato e contingentato, ecc.).

Si appalesa allora superfluo ripercorrere, come fa l’appellante, i passaggi della procedura ablatoria, in quanto il ripetuto art. 15, quando parla di concessione comunale per la realizzazione e la gestione di impianti sportivi, intende riferirsi agli atti permissivi che la legge prevede indipendentemente da qual sia la destinazione della zona in cui detti impianti vanno a situarsi.

Non a diversa conclusione deve il Collegio pervenire con riguardo al terzo motivo del ricorso di primo grado, laddove è stata respinta la pretesa dell’appellante all’annullamento dell’art. 83 delle NTA, laddove la cessione compensativa, a fronte della acquisizione del di lui terreno, era soggetta ai presupposti ed alle modalità di cui al precedente art. 22.

Il TAR ha rigettato tale assunto perché, a differenza di quanto colà dedotto dal sig. Ginevri contro la discrezionalità che regola l’istituto, esso reca una tecnica pianificatoria che Roma Capitale ben può gestire secondo il prudente apprezzamento di obiettivi, contesti ed oggetti della pianificazione. Tale art. 22 lo prevede invero quale metodica alternativa all’espropriazione per p.u., onde le aree sono da Roma Capitale acquisite in cambio della concessione ai proprietari di un’edificabilità commisurata all`estensione dell`area, da concentrare su una parte di essa o da trasferire altrove, con vari metodi ed agevolazioni a seconda dell’eventuale grado di partecipazione di questi a programmi integrati o ad interventi diretti, ecc. Ebbene, anzitutto si tratta d’una facoltà e non d’un obbligo, onde è rimessa alla valutazione, che è al contempo tecnica e discrezionale di Roma Capitale, l’an dell’utilizzabilità dell’istituto, secondo un’accorta commisurazione di costi e benefici, questi ultimi di per sé soli non così meccanicamente automatici per la P.A. In secondo luogo, i terreni destinati a verde pubblico dal PRG diventano beni pubblici (e, quindi, beni strumentali al perseguimento dei fini istituzionali dell'ente) solo a seguito del loro definitivo acquisto in proprietà, trasformazione e concreto uso secondo la propria destinazione, non essendo all'uopo sufficiente il PRG (che serve solo ad imprimere loro la vocazione all’esclusivo uso pubblico), ma occorrendo la loro specifica individuazione a seguito dell’approvazione dell’opera da realizzare.

Da ciò discende l’assenza sia dell’attualità della compensazione invocata, sia, più in generale, di ogni vizio di disparità di trattamento per l’individuazione di talune zone e non di altre cui applicare l’istituto, il quale comunque va reso coerente con la funzione programmatoria, tipica del PRG, del più armonioso possibile dimensionamento delle edificazione nel tessuto urbano e con gli altri valori che tutelano il territorio.

In definitiva, l’appello va disatteso, ma giusti motivi suggeriscono la compensazione integrale, tra le parti, delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. IV), definitivamente pronunciando sull'appello (ricorso n. 3086/2013 RG in epigrafe), lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 21 aprile 2015, con l'intervento dei sigg. Magistrati:

Paolo Numerico, Presidente

Nicola Russo, Consigliere

Sandro Aureli, Consigliere

Raffaele Greco, Consigliere

Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 16/06/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)