Cass. Sez. III Sent. 46643 del 14 dicembre 2007 (Cc. 16 ott. 2007)
Pres. De Maio Est. Marmo Ric. Messina
Rifiuti. Pneumatici usati e fuori uso

E\' vero che, come recentemente rilevato, in tema di gestione dei rifiuti, dopo l\'entrata in vigore della legge 31 luglio 2002, n. 179, la qualifica di rifiuto va attribuita ai soli pneumatici fuori uso, come confermato dall\' allegato A, voce 160103 del dlgs 3 aprile 2006, n. 152 e non ancora ai pneumatici usati ma ancora ricostruibili, tuttavia esulano dalla nozione di rifiuto solo i materiali residuali di produzione o di consumo che siano effettivamente riutilizzati senza subire alcun trattamento preventivo, ovvero subendo un trattamento preventivo che non importi un\'operazione di recupero, mentre i pneumatici usati, dei quali il detentore si disfa o che vende a terzi perché siano riutilizzati previa rigeneratura o ricopertura, costituiscono rifiuti, stante la loro destinazione ad un\'operazione di recupero

Fatto e diritto

In data 22 marzo 2007 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catania convalidava il sequestro d’urgenza operato il 22 marzo 2007 dalla Guardia di Finanza e disponeva il sequestro preventivo del terreno sito in località Nunziata di Mascali, di proprietà di Giuseppe Messina, indagato in ordine al reato di cui all’art. 256 comma 3 del d.lgs. n. 152 del 2006.

Il Tribunale di Catania, con ordinanza depositata il 10 aprile 2007, respingeva l’istanza di riesame presentata dall’indagato.

Ha proposto ricorso per cassazione il Messina.

Tanto premesso il Collegio rileva che con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione di cui all’art. 606 lettere b) e c) con riferimento all’art. 114 delle norme di attuazione del codice di procedura penale e dell’art. 321 del codice di procedura penale.

Deduce l’indagato che nella richiesta di riesame era stata eccepita la mancata osservanza da parte della Guardia di Finanza, al momento del sequestro d’urgenza , dell’obbligo di cui all’art. 114 delle norme di attuazione del codice di procedura penale, in quanto gli agenti operatori della guardia di finanza non lo avevano informato della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia durante le operazioni di sequestro.

Secondo il ricorrente il Tribunale del riesame aveva erroneamente ritenuto che le norme di cui agli artt. 356 e 364 c.p.p. e 114 disp, att. c.p.p. trovavano applicazione solo nelle ipotesi di sequestro probatorio, ma non anche di quello preventivo come quello in esame.

Dovevano quindi ritenersi nulli il sequestro e i relativi atti.

In ordine al motivo il Collegio rileva che questa Corte, [peraltro disattendendo un precedente indirizzo giurisprudenziale secondo cui in tema di sequestro preventivo non sarebbe previsto l’obbligo del previo avviso al difensore dell’indagato dell’esecuzione del sequestro, (v. per tutte Cass. pen. sent. n. 40970 del 2002)] ha ritenuto che il disposto di cui all’art. 114 delle norme di attuazione del codice di procedura penale, secondo cui, nel procedere al compimento degli atti indicati nell’art. 356 del codice di procedura penale, la polizia giudiziaria avverte la persona sottoposta alle indagini, se presente, che ha facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia, trova applicazione anche nel caso di sequestro preventivo eseguito d’iniziativa, in caso di urgenza, dalla polizia giudiziaria, ai sensi dell’art. 321 comma terzo bis cod. proc. pen., anche se tale norma non fa parte dì quelle richiamate dal citato articolo 356.

Questa Corte ha infatti rilevato che il mancato richiamo deve ritenersi dovuto al solo fatto che il sequestro preventivo era originariamente previsto come atto del giudice e solo successivamente è stata introdotta, con il decreto legislativo n. 12 del l991, la possibilità che ad esso procedesse, eccezionalmente, la polizia giudiziaria. (v. per tutte Cass. pen. sez. III sent. 27 aprile 2005, n. 20168).

Deve peraltro rilevarsi che secondo consolidato indirizzo giurisprudenziale, (v. per tutte Cass. pen. sez. III sent. 25 ottobre 2005, n. 9630), la nullità derivante dall’inosservanza dell’art. 114 disp. att. c.p.p., che impone alla polizia giudiziaria di avvertire l’indagato che ha la possibilità di farsi assistere dal difensore prima di procedere al compimento dell’atto, è una nullità a cd. “regime intermedio” che deve essere tempestivamente dedotta dal difensore dell’indagato. L’eccezione avrebbe quindi doto essere sollevata dal difensore dell’indagato nominato il 22 marzo 2007 in sede di convalida del sequestro davanti al Giudice per le indagini preliminari.

Va quindi respinto il primo motivo di ricorso.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione di cui all’art. 606 lettere B) e C) del codice di procedura penale con riferimento all’art. 321 c.p.p. per erronea applicazione di norma di legge già abrogata (art. 51 del d.lgs. n. 22 del 1997) ed inosservanza della normativa applicabile (d.lgs. n. 152 del 2006).

Deduce il ricorrente che nella richiesta di riesame era stato eccepito che nel verbale di sequestro era stato contestato al Messina la violazione di cui all’ art. 51 del d.lgs. n. 22 del 1997, norma che invece era stata abrogata dal successivo d.lgs. n. 152 del 2006. Il Tribunale del riesame aveva respinto tale eccezione rilevando che sia nella richiesta del pubblico ministero come nel successivo decreto del Giudice per le indagini preliminari era stata richiamata la corretta normativa. Rileva in proposito il ricorrente che l’atto al quale si doveva fare riferimento per valutare la correttezza della contestazione era l’atto originario da cui scaturiva tutto il procedimento e cioè il verbale di sequestro che portava l’indicazione di una norma di legge ormai abrogata. Ne conseguiva la nullità che non poteva ritenersi sanata, come aveva ritenuto il Tribunale del riesame, dalla circostanza che, successivamente, nella richiesta del pubblico ministero e nel decreto del giudice per le indagini preliminari, era stata indicata la corretta normativa.

Anche il secondo motivo è infondato.

Le disposizioni di cui all’art. 51 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, sono state infatti integralmente e testualmente trasfuse nel decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 art. 256, sicché, come ha precisato questa Corte in fattispecie analoga alla presente, sussiste continuità normativa tra le prime e le seconde (Cass. pen. sez. III sent. 15 marzo 2007, n. 17365).

Non vi è stata quindi alcuna violazione del diritto alla difesa, come prospettato dal ricorrente.

Va quindi respinto il secondo motivo di ricorso.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione di cui all’art. 606 lettera b) del codice di procedura penale con riferimento agli artt. 183 e 256 comma 3 del d.lgs. n. 152 del 3 aprile 2006, nonché la violazione di cui all’art. 606 lettera e) del codice di procedura penale.

Deduce il ricorrente che il Tribunale del riesame aveva dato per scontato che i materiali esistenti sul suo terreno fossero rifiuti, senza prendere in considerazione quanto evidenziato dalla difesa e cioè che i pneumatici usati, nonché i cerchioni di autovettura rinvenuti dalla Guardia di Finanza nell’area di proprietà di esso indagato non potevano essere ricondotti alla fattispecie di cui all’art. 183 del d.lgs. n. 152 del 3 aprile 2006.

Ritiene il ricorrente che per aversi rifiuti devono sussistere due condizioni: a) che la presunta sostanza o l’oggetto sia inserito nell’allegato A di cui alla legge; b) che la condotta dell’indagato sia diretta a disfarsi del materiale.

Rileva il Messina in merito al punto a), che dall’esame dell’allegato A) e comunque da tutti gli altri allegati a cui fa riferimento il d.lgs. n. 152 del 2006 emerge che gli unici pneumatici considerati rifiuto sono esclusivamente i cd pneumatici fuori uso aventi codice C.E.R. 16103, mentre la Guardia di Finanza aveva accertato la presenza di pneumatici usati, oggetti che non rientravano in nessuna elencazione, né nell’allegato A) né in nessun altro allegato. Ugualmente i cerchi di lega non risultavano né nell’allegato A) né in nessun altro allegato riferibile al d.lgs. n. 152 del 2006.

Non esisteva neppure l’altro elemento, cioè la volontà di disfarsi dei materiali, atteso che sul terreno erano stati accatastati per categoria detti materiali per essere riutilizzati. Né poteva ritenersi che lo stoccaggio avesse superato i limiti consistiti ad un cosiddetto deposito temporaneo in quanto si trattava di deposito di oggetti non qualificabili come rifiuti ai sensi dell’art. 183 della legge citata e che quindi non dovevano sottostare alle norme sulla gestione dei rifiuti.

Anche il terzo motivo è infondato.

E’ vero infatti che, come ha recentemente rilevato questa Corte, “in tema di gestione dei rifiuti, dopo l’entrata in vigore della legge 31 luglio 2002, n. 179, la qualifica di rifiuto va attribuita ai soli pneumatici fuori uso, come confermato dall’allegato A, voce 160103 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e non ancora ai pneumatici usati né ancora ricostruibili (sent. pen. sez. III, 23 gennaio 2007, n. 8679, Vitale). Peraltro, come ha precisato questa Corte, esulano dalla nozione di rifiuto solo i materiali residuali di produzione o di consumo che siano effettivamente riutilizzati senza subire alcun trattamento preventivo, ovvero subendo un trattamento preventivo che non importi un’operazione di recupero, mentre i pneumatici usati, dei quali il detentore si disfa o che vende a terzi perché siano riutilizzati previa rigeneratura o ricopertura, costituiscono rifiuti, stante la loro destinazione ad un’operazione di recupero individuata dall’allegato c) del d.lgs. n. 22 del 1997. (v. per tutte Cass. pen. sez. III sent. 6 luglio 2006, n. 23494 Curto e altro). Nel caso in oggetto, come ha precisato il Tribunale per il riesame, si era in presenza di “ingenti quantità di cerchi in lega accatastati, molti dei quali arrugginiti anche a causa della loro esposizione alle precipitazione atmosferiche, nonché di un numero imprecisato di pneumatici usati dislocati sul terreno unitamente ad attrezzatura per la separazione del cerchione metallico ed il pneumatico, tutti in quantità certamente idonea a connotare la destinazione del terreno quale luogo di scarico e deposito di rifiuti”.

Deve quindi escludersi che si sia in presenza di materiali di produzione e consumo che siano destinati ad essere riutilizzati senza subire alcun trattamento preventivo e va quindi respinto anche il terzo motivo di ricorso.

Consegue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.