Consiglio di Stato Sez. IV n. 6062 del 11 luglio 2025
Rifiuti.Cessazione della qualifica di rifiuto

A partire dall’art. 9 bis comma 1 lettera a) l. 2010/2008, esplicitamente emanato per venire incontro alle difficoltà del settore, il legislatore si è fatto carico di consentire un accertamento della perdita della qualifica di rifiuto anche a prescindere dai decreti ministeriali, evidentemente anche allo scopo di favorire lo sviluppo di impianti sperimentali basati su tecnologie innovative.

Pubblicato il 11/07/2025

N. 06062/2025REG.PROV.COLL.

N. 07672/2023 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7672 del 2023, proposto dalla Regione Lombardia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Piera Pujatti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato Cristiano Bosin in Roma, viale delle Milizie 34;

contro

la società Sares Green S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Tommaso Mariuzzo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;

nei confronti

del Comune di Sarezzo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Domenico Bezzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;

per l’annullamento ovvero la riforma

della sentenza del T.a.r. Lombardia, sezione staccata di Brescia, sez. I, 2 maggio 2023 n. 390, che ha accolto il ricorso n.18/2020 R.G. proposto per l’annullamento:

del decreto 15 ottobre 2019 n.14714, conosciuto in data imprecisata, con cui il Dirigente dell’Unità organizzativa valutazioni e autorizzazioni ambientali della Regione Lombardia ha archiviato l’istanza presentata il 2 maggio 2018 prot. n. 22119 dalla Sares Green S.r.l. per il rilascio di provvedimento autorizzativo unico regionale – PAUR per la realizzazione di un nuovo impianto di conversione catalitica di sostanze polimeriche da rifiuti speciali non pericolosi finalizzato all’attività di recupero e messa in riserva (R3 e R13), in Comune di Sarezzo (Bs);


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Sares Green S.r.l. e del Comune di Sarezzo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 maggio 2025 il Cons. Francesco Gambato Spisani e viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La ricorrente appellata, impresa attiva nel settore del trattamento dei rifiuti, con istanza 2 maggio 2018 prot. n. 22119 ha chiesto alla Regione Lombardia, intimata appellante, il rilascio di un provvedimento autorizzatorio unico – PAUR, comprensivo anche della valutazione di impatto ambientale – VIA ai sensi dell’art. 27 bis del d. lgs. 3 aprile 2006 n.152 per poter realizzare a Sarezzo un impianto qualificato come “nuovo impianto di conversione catalitica di sostanze polimeriche da rifiuti speciali non pericolosi finalizzato all’attività di recupero e messa in riserva” (doc. 18 ricorso I grado, istanza), volto in estrema sintesi a trasformare un particolare tipo di rifiuto, il cd. car fluff, in prodotti combustibili gassosi, liquidi e solidi liberamente riutilizzabili.

1.1 Come dato di comune esperienza nel relativo settore, per car fluff si intende il residuo di frantumazione dei veicoli demoliti: include le guarnizioni, le gomme, i tessuti delle tappezzerie, plastiche varie e frammenti di pneumatici, il tutto proveniente dalla macinazione dei veicoli dopo che ne sono stati separati i componenti metallici; include poi i metalli risultati indivisibili dalle parti plastiche dei veicoli stessi. Come è evidente, si tratta di materiali composti in massima parte da idrocarburi polimerizzati, che rappresentano circa il 25% del peso di un veicolo demolito e attualmente vengono smaltiti in discarica.

1.2 La conversione catalitica di questo materiale comporta che esso, previa macinazione in piccoli pezzi, venga anzitutto riscaldato in un reattore di fusione che lo trasforma in miscela fluida – cd. slurry; lo slurry viene poi convogliato nel reattore di trasformazione, nel quale, in ambiente privo di ossigeno, le plastiche vengono scisse nei vari idrocarburi che le compongono, fino a formare un combustibile gassoso, detto Chemgas, che viene utilizzato per alimentare l’impianto, un combustibile liquido, detto Chemfuel, simile nelle proprietà al gasolio, e un combustibile solido, detto Chemcarbon, simile nelle proprietà al carbone, che vengono immagazzinati e rivenduti per uso industriale, in particolare per alimentare i forni dei cementifici (cfr. doc. 20 pp. 15, 16, 18 e 21; si tratta comunque di dati non contestati in causa).

2. Il risultato appena descritto, in termini generali, si chiama end of waste, ovvero, secondo la rubrica dell’art. 184 ter del d. lgs. 3 aprile 2006 n.152, “cessazione della qualifica di rifiuto” e coincide sostanzialmente con quella che nel vigore dell’art. 181 bis dello stesso d. lgs. 152/2006 era denominata produzione di “materie prime secondarie”: in sintesi estrema, un rifiuto cessa di essere tale perché, attraverso un apposito processo industriale, viene ri-trasformato in prodotto, liberamente commerciabile ed utilizzabile. Si tratta, come è evidente, di un risultato di interesse economico, perché il prodotto così ottenuto da un lato ha un valore di mercato, dall’altro può essere trattato senza le cautele e le formalità richieste per i rifiuti.

3. È però altrettanto evidente che, per evitare frodi a scopo speculativo, l’operazione deve essere regolamentata in modo rigoroso, in particolare devono essere stabilite con precisione le condizioni alle quali essa si può realizzare; in proposito, come si vedrà, la risposta dell’ordinamento è duplice. In primo luogo, i requisiti di cessazione della qualifica di rifiuto per determinate categorie di materiali sono stabiliti in via generale da appositi decreti ministeriali, attuativi della legge sul punto. Ci si chiede però, e si tratta della questione per cui è causa, se ed entro quali limiti l’ordinamento consenta che ciò venga fatto caso per caso, ovvero con un provvedimento amministrativo puntuale, in particolare con un provvedimento della Regione, relativo ad un singolo impianto che lavori un rifiuto non contemplato dai citati decreti ministeriali, come appunto è il caso del car fluff.

4. Tanto premesso, è necessario ricostruire, per quanto rileva, l’evoluzione del quadro normativo al quale si è accennato.

4.1 L’antecedente storico dell’end of waste, ovvero come si è detto il concetto di materia prima secondaria, era già contenuto, senza però una definizione precisa, nell’abrogata direttiva 75/442/CEE, che all’art.3 § 1 lettera b) sottoparagrafo i vincola gli Stati membri appunto a promuovere “il ricupero dei rifiuti mediante riciclo, reimpiego, riutilizzo o ogni altra azione intesa a ottenere materie prime secondarie”.

4.2 Su questa base, il legislatore italiano ha emanato tutta una serie di norme intese a precisare il relativo concetto, a cominciare dall’art. 2 comma 1 della l. 9 novembre 1988 n.472, di conversione del d.l. 9 settembre 1988 n.397. Ai fini di causa, rileva però solo l’ultima in ordine di tempo di queste norme, ovvero l’art. 181 bis del d. lgs. 152/2006, così come introdotto dall’art. 2 comma 18 bis del d. lgs. 16 gennaio 2008 n.4.

4.3 La norma, ora abrogata, disponeva: “(Materie, sostanze e prodotti secondari) Non rientrano nella definizione di cui all'articolo 183, comma 1, lettera a) [ovvero nella definizione di rifiuto] le materie, le sostanze e i prodotti secondari definiti dal decreto ministeriale di cui al comma 2, nel rispetto dei seguenti criteri, requisiti e condizioni: a) siano prodotti da un'operazione di riutilizzo, di riciclo o di recupero di rifiuti; b) siano individuate la provenienza, la tipologia e le caratteristiche dei rifiuti dai quali si possono produrre; c) siano individuate le operazioni di riutilizzo, di riciclo o di recupero che le producono, con particolare riferimento alle modalità ed alle condizioni di esercizio delle stesse; d) siano precisati i criteri di qualità ambientale, i requisiti merceologici e le altre condizioni necessarie per l'immissione in commercio, quali norme e standard tecnici richiesti per l'utilizzo, tenendo conto del possibile rischio di danni all'ambiente e alla salute derivanti dall'utilizzo o dal trasporto del materiale, della sostanza o del prodotto secondario; e) abbiano un effettivo valore economico di scambio sul mercato. 2. I metodi di recupero dei rifiuti utilizzati per ottenere materie, sostanze e prodotti secondari devono garantire l'ottenimento di materiali con caratteristiche fissate con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro dello sviluppo economico, da emanarsi entro il 31 dicembre 2008. 3. Sino all'emanazione del decreto di cui al comma 2 continuano ad applicarsi le disposizioni di cui ai decreti ministeriali 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269. 4. Nelle more dell'adozione del decreto di cui all'articolo 181-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006, comma 2, continua ad applicarsi la circolare del Ministero dell'ambiente 28 giugno 1999, prot. n 3402/V/MIN. 5. In caso di mancata adozione del decreto di cui al comma 2 nel termine previsto, il Consiglio dei Ministri provvede in sostituzione nei successivi novanta giorni, ferma restando l'applicazione del regime transitorio di cui al comma 4 del presente articolo.”.

4.4 Come è chiaro a semplice lettura, per individuare i requisiti da rispettare per la perdita della qualifica di rifiuto, la norma rinviava, con tecnica del tutto simile a quella adottata dalle norme ora vigenti, a provvedimenti statali, nella specie decreti ministeriali, che individuassero questi requisiti in via generale, per ciascuna categoria di rifiuto interessata. Non vi era quindi spazio per interventi delle Regioni, né in via generale, né attraverso provvedimenti puntuali relativi ad un singolo impianto o processo di lavorazione.

4.5 Dato il tardare dei decreti ministeriali di attuazione, questo sistema si rivelò di difficile attuazione; il legislatore intervenne quindi con l’art. 9 bis comma 1 lettera a) della l. 30 dicembre 2008 n.210, di conversione del d.l. 30 dicembre 2008 n.172, norma tuttora vigente, la quale dispone: “Allo scopo di fronteggiare il fenomeno dell'illecito abbandono di rifiuti e di evitare l'espandersi dello stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti sul territorio nazionale, si applicano le seguenti disposizioni dirette a superare, nell'immediato, le difficoltà riscontrate dagli operatori del settore del recupero dei rifiuti nell'applicazione del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come modificato dal decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4: a) fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui all'articolo 181 bis, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, le caratteristiche dei materiali di cui al citato comma 2 si considerano altresì conformi alle autorizzazioni rilasciate ai sensi degli articoli 208, 209 e 210 del medesimo decreto legislativo n. 152 del 2006, e successive modificazioni, e del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59…”.

4.6 La norma quindi, secondo l’interpretazione che si vedrà essere preferibile, nelle more dell’emanazione dei più volte citati decreti ministeriali di carattere generale, apriva uno spazio per provvedere alle Regioni, competenti in via ordinaria a rilasciare le autorizzazioni di cui agli artt. 208, 209 e 210 del d. lgs. 152/2006, ovvero le autorizzazioni integrate ambientali che consentono di operare ai vari impianti di trattamento rifiuti: stabilisce infatti che l’AIA regionale può definire le condizioni alle quali il prodotto che esce dall’impianto di recupero da essa autorizzato cessa di essere un rifiuto.

4.7 Subito dopo, è peraltro intervenuta la direttiva 2008/98/CE del 19 novembre 2008, che all’art. 6 del testo originario prevedeva: “(Cessazione della qualifica di rifiuto) 1. Taluni rifiuti specifici cessano di essere tali ai sensi dell’articolo 3, punto 1, quando siano sottoposti a un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio, e soddisfino criteri specifici da elaborare conformemente alle seguenti condizioni: a) la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzata/o per scopi specifici; b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; e d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana. I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull’ambiente della sostanza o dell’oggetto. 2. Le misure intese a modificare elementi non essenziali della presente direttiva, completandola, che riguardano l’adozione dei criteri di cui al paragrafo 1 e specificano il tipo di rifiuti ai quali si applicano tali criteri, sono adottate secondo la procedura di regolamentazione con controllo di cui all’articolo 39, paragrafo 2. Criteri volti a definire quando un rifiuto cessa di essere tale dovrebbero essere considerati, tra gli altri, almeno per gli aggregati, i rifiuti di carta e di vetro, i metalli, i pneumatici e i rifiuti tessili. 3. I rifiuti che cessano di essere tali conformemente ai paragrafi 1 e 2 cessano di essere tali anche ai fini degli obiettivi di recupero e riciclaggio stabiliti nelle direttive 94/62/CE, 2000/53/CE, 2002/96/CE e 2006/66/CE e nell’altra normativa comunitaria pertinente quando sono soddisfatti i requisiti in materia di riciclaggio o recupero di tale legislazione. 4. Se non sono stati stabiliti criteri a livello comunitario in conformità della procedura di cui ai paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possono decidere, caso per caso, se un determinato rifiuto abbia cessato di essere tale tenendo conto della giurisprudenza applicabile. Essi notificano tali decisioni alla Commissione in conformità della direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998 che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione, ove quest’ultima lo imponga”.

4.8 La norma europea recepisce in modo esplicito nel proprio ordinamento i presupposti generali dell’end of waste; per la disciplina di dettaglio, ove manchino norme europee, lascia poi in linea di principio gli Stati membri liberi di provvedere o con provvedimenti di carattere generale, del tipo dei più volte citati decreti, ovvero anche “caso per caso”, restando da stabilire cosa esattamente ciò significhi.

4.9 In attuazione di questa direttiva, il legislatore nazionale, con il d. lgs. 3 dicembre 2020 n.205, ha da un lato, con l’art. 39, abrogato l’art. 181 bis del d.lgs. 152/2006, dall’altro vi ha inserito l’art. 184 ter, rubricato appunto “Cessazione della qualifica di rifiuto”, che nel testo originario disponeva: “1. Un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni: a) la sostanza o l'oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici; b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; c) la sostanza o l'oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; d) l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana. 2. L'operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni. I criteri di cui al comma 1 sono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull'ambiente della sostanza o dell'oggetto. 3. Nelle more dell'adozione di uno o più decreti di cui al comma 2, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui ai decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio in data 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269 e l'art. 9-bis, lett. a) e b), del decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2008, n. 210. La circolare del Ministero dell'ambiente 28 giugno 1999, prot. n 3402/V/MIN si applica fino a sei mesi dall'entrata in vigore della presente disposizione 4. Un rifiuto che cessa di essere tale ai sensi e per gli effetti del presente articolo è da computarsi ai fini del calcolo del raggiungimento degli obiettivi di recupero e riciclaggio stabiliti dal presente decreto, dal decreto legislativo 24 giugno 2003, n 209, dal decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, e dal decreto legislativo 120 novembre 2008, n. 188, ovvero dagli atti di recepimento di ulteriori normative comunitarie, qualora e a condizione che siano soddisfatti i requisiti in materia di riciclaggio o recupero in essi stabiliti. 5. La disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino alla cessazione della qualifica di rifiuto”.

4.10 La norma così concepita, in vigore come si vedrà dal 25 dicembre 2010 al 17 giugno 2019, prevedeva – e prevede tuttora- requisiti generali dell’operazione sostanzialmente identici a quelli già previsti dall’art. 181 bis; per la disciplina di dettaglio rinviava invece a decreti ministeriali di carattere generale per tipologia di rifiuto, come si ricava dai commi 2 e 3. Si trattava, e si tratta, però di stabilire se essa lasciasse uno spazio per interventi delle Regioni, di carattere generale ovvero contenuti in provvedimenti puntuali, relativi al singolo impianto.

4.11 Nella vigenza di questa formulazione della norma, nella giurisprudenza di questo Consiglio si registrano due orientamenti.

4.11.1 La Sezione, con la sentenza 28 febbraio 2018 n.1229, ha ritenuto che, in mancanza di norme europee, che nel caso di specie non constano, sulla base della direttiva 2008/98/CE spetti unicamente allo Stato, inteso come autorità centrale, il potere di determinare le condizioni alle quali un rifiuto cessa di esser tale, con esclusione quindi delle Regioni e di altre autorità interne allo Stato stesso, in quanto la relativa valutazione “non può che intervenire, ragionevolmente, se non con riferimento all’intero territorio di uno Stato membro”. Ha poi sostenuto che il legislatore nazionale avrebbe interpretato l’apprezzamento “caso per caso” al quale si riferisce la direttiva stessa come “non già riferito al singolo materiale da esaminare ed (eventualmente) declassificare con specifico provvedimento amministrativo, bensì inteso come “tipologia” di materiale da esaminare e fare oggetto di più generale previsione regolamentare, a monte dell’esercizio della potestà provvedimentale autorizzatoria” (§ 2.2. p. 6 della motivazione). Sempre la sentenza 1229/2018 ha affermato che non si potrebbe arrivare ad una diversa conclusione nemmeno argomentando dal già citato art. 9 bis della l. 210/2008, pur richiamato dall’art. 184 ter: a parte il rilievo per cui la norma si riferisce alla lettera all’abrogato art. 181 bis, essa prenderebbe in considerazione i materiali end of waste soltanto “per dichiararli “conformi” alle autorizzazioni già rilasciate (in linea con il dichiarato carattere emergenziale e transitorio della disposizione medesima)” ma non attribuirebbe “un potere di declassificazione ex novo in sede di rilascio di nuove autorizzazioni; né, d’altra parte, un potere così conformato potrebbe essere ritenuto conforme al quadro normativo di livello comunitario e costituzionale”. Infine la sentenza ha ritenuto non rilevante un eventuale diverso orientamento espresso da circolari ministeriali, peraltro non puntualmente citate. Di conseguenza, la Sezione ha respinto il ricorso proposto contro un provvedimento regionale, risalente al 16 agosto 2016, che, in mancanza di decreti ministeriali relativi alla specifica tipologia di materiale trattato, aveva respinto la richiesta di qualificare le attività svolte in un dato impianto come attività di recupero finalizzate alla produzione di materie prime secondarie.

4.11.2 Successivamente però, ad un più attento esame, sempre la Sezione con la sentenza 18 luglio 2022 n.6093 è arrivata alla conclusione opposta osservando che l’art. 184 ter, nel testo applicabile alla fattispecie, ovvero quello introdotto in origine riportato sopra, ha espressamente fatto salvo proprio il disposto dell’art. 9 bis della l. 210/2008, che nell’interpretazione condivisa da quest’ultima sentenza avrebbe dato “all’atto autorizzatorio ex art. 208 d.lgs. 152/2006 la funzione di fissare le caratteristiche dei materiali da considerare rifiuti cessati sino alla pubblicazione dei regolamenti” (cfr. motivazione § 5.6.1, ove la citazione, e § 20). La sentenza 6093/2022 conclude poi in tal senso anche argomentando dalle modifiche alla direttiva 2008/98/CE apportate dalla direttiva 2018/851/UE, parte del cd. pacchetto economia circolare, e dalle conseguenti norme nazionali di recepimento, di cui si dirà subito. Infine, la sentenza cita, nel senso da essa sostenuto, anche la circolare del Ministero dell’ambiente 1 luglio 2016 n.10045, per cui “In via residuale, le Regioni — o gli enti da queste individuati — possono, in sede di rilascio dell'autorizzazione prevista agli articoli 208, 209 e 211, e quindi anche in regime di autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.), definire criteri EoW previo riscontro della sussistenza delle condizioni indicate al comma 1 dell'articolo 184-ter, rispetto a rifiuti che non sono stati oggetto di regolamentazione dei succitati regolamenti comunitari o decreti ministeriali”. Di conseguenza, la Sezione ha respinto il ricorso proposto contro un provvedimento regionale, risalente al 7 gennaio 2018 che, sempre in mancanza di decreti ministeriali relativi alla specifica tipologia di materiale trattato, aveva accolto la richiesta di qualificare come materiale vetroso utilizzabile nell’edilizia come materiale vergine il prodotto di un impianto di recupero rifiuti.

4.12 Parallelamente, è intervenuta la citata direttiva 2018/851/UE del 30 maggio 2018, la quale, nel quadro delle disposizioni volte ad incentivare la cd. economia circolare, ovvero in sintesi a limitare la produzione di rifiuti, ha modificato l’art. 6 della direttiva 2008/98, così come segue: “(Cessazione della qualifica di rifiuto) 1. Gli Stati membri adottano misure appropriate per garantire che i rifiuti sottoposti a un’operazione di riciclaggio o di recupero di altro tipo cessino di essere considerati tali se soddisfano le seguenti condizioni a) la sostanza o l’oggetto è destinata/o a essere utilizzata/o per scopi specifici b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; c) la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; d) l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana. 2. La Commissione monitora l’evoluzione dei criteri nazionali per la cessazione della qualifica di rifiuto negli Stati membri e valuta la necessità di sviluppare a livello di Unione criteri su tale base. A tale fine e ove appropriato, la Commissione adotta atti di esecuzione per stabilire i criteri dettagliati sull’applicazione uniforme delle condizioni di cui al paragrafo 1 a determinati tipi di rifiuti. Tali criteri dettagliati garantiscono un elevato livello di protezione dell’ambiente e della salute umana e agevolano l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali. Essi includono: a) materiali di rifiuto in entrata ammissibili ai fini dell’operazione di recupero; b) processi e tecniche di trattamento consentiti; c) criteri di qualità per i materiali di cui è cessata la qualifica di rifiuto ottenuti dall’operazione di recupero in linea con le norme di prodotto applicabili, compresi i valori limite per le sostanze inquinanti, se necessario; d) requisiti affinché i sistemi di gestione dimostrino il rispetto dei criteri relativi alla cessazione della qualifica di rifiuto, compresi il controllo della qualità, l’automonitoraggio e l’accreditamento, se del caso; e) un requisito relativo alla dichiarazione di conformità. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura di esame di cui all’articolo 39, paragrafo 2. In sede di adozione di tali atti di esecuzione, la Commissione tiene conto dei criteri pertinenti stabiliti dagli Stati membri a norma del paragrafo 3 e adotta come punto di partenza quelli più rigorosi e più protettivi dal punto di vista ambientale. 3. Laddove non siano stati stabiliti criteri a livello di Unione ai sensi del paragrafo 2, gli Stati membri possono stabilire criteri dettagliati sull’applicazione delle condizioni di cui al paragrafo 1 a determinati tipi di rifiuti. Tali criteri dettagliati tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull’ambiente e sulla salute umana della sostanza o dell’oggetto e soddisfano i requisiti di cui al paragrafo 2, lettere da a) a e). Gli Stati membri notificano alla Commissione tali criteri in applicazione della direttiva (UE) 2015/1535 ove quest’ultima lo imponga. 4. Laddove non siano stati stabiliti criteri a livello di Unione o a livello nazionale ai sensi, rispettivamente, del paragrafo 2 o del paragrafo 3, gli Stati membri possono decidere caso per caso o adottare misure appropriate al fine di verificare che determinati rifiuti abbiano cessato di essere tali in base alle condizioni di cui al paragrafo 1, rispecchiando, ove necessario, i requisiti di cui al paragrafo 2, lettere da a) a e), e tenendo conto dei valori limite per le sostanze inquinanti e di tutti i possibili effetti negativi sull’ambiente e sulla salute umana. Tali decisioni adottate caso per caso non devono essere notificate alla Commissione in conformità della direttiva (UE) 2015/1535. Gli Stati membri possono rendere pubbliche tramite strumenti elettronici le informazioni sulle decisioni adottate caso per caso e sui risultati della verifica eseguita dalle autorità competenti. 5. La persona fisica o giuridica che: a) utilizza, per la prima volta, un materiale che ha cessato di essere considerato rifiuto e che non è stato immesso sul mercato; o b) immette un materiale sul mercato per la prima volta dopo che cessa di essere considerato un rifiuto, provvede affinché il materiale soddisfi i pertinenti requisiti ai sensi della normativa applicabile in materia di sostanze chimiche e prodotti collegati. Le condizioni di cui al paragrafo 1 devono essere soddisfatte prima che la normativa sulle sostanze chimiche e sui prodotti si applichi al materiale che ha cessato di essere considerato un rifiuto”. Questo nuovo testo, come già osservato dalla sentenza 6093/2022, conferma l’interpretazione per cui è possibile l’apprezzamento caso per caso riferito al caso concreto, e non ad una intera categoria di rifiuti.

4.13 Come pure si è accennato, l’art. 184 ter è stato sottoposto a tutta una serie di successive modifiche. Non rileva ai fini di causa quella apportata con il d.l. 18 aprile 2019 n.32, in vigore dal 18 giugno 2019 al 2 novembre 2011, che non tocca le parti della norma applicabili al caso di specie.

4.14 Rileva invece la modifica apportata con l’art. 14 bis del d.l. 3 settembre 2019 n.101 convertito nella l. 2 novembre 2019 n.128, in vigore dal 3 novembre 2011 al 25 settembre 2020, che adegua il testo a quanto previsto dal novellato art. 6 della direttiva europea 2008/98, così come segue, limitandosi a riportare la parte appunto rilevante ai fini di causa: “(Cessazione della qualifica di rifiuto) 1.Un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni: a) la sostanza o l'oggetto sono destinati a essere utilizzati per scopi specifici; b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; c) la sostanza o l'oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; d) l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana. 2. L'operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni. I criteri di cui al comma 1 sono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull'ambiente della sostanza o dell'oggetto. 3. In mancanza di criteri specifici adottati ai sensi del comma 2, le autorizzazioni di cui agli articoli 208, 209 e 211 e di cui al titolo III bis della parte seconda del presente decreto, per lo svolgimento di operazioni di recupero ai sensi del presente articolo, sono rilasciate o rinnovate nel rispetto delle condizioni di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, e sulla base di criteri dettagliati, definiti nell'ambito dei medesimi procedimenti autorizzatori, che includono: a) materiali di rifiuto in entrata ammissibili ai fini dell'operazione di recupero; b) processi e tecniche di trattamento consentiti; c) criteri di qualità per i materiali di cui è cessata la qualifica di rifiuto ottenuti dall'operazione di recupero in linea con le norme di prodotto applicabili, compresi i valori limite per le sostanze inquinanti, se necessario; d) requisiti affinché i sistemi di gestione dimostrino il rispetto dei criteri relativi alla cessazione della qualifica di rifiuto, compresi il controllo della qualità, l'automonitoraggio e l'accreditamento, se del caso; e) un requisito relativo alla dichiarazione di conformità. In mancanza di criteri specifici adottati ai sensi del comma 2, continuano ad applicarsi, quanto alle procedure semplificate per il recupero dei rifiuti, le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell'ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario n. 72 alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998, e ai regolamenti di cui ai decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269…”.

4.15 Come si nota, al comma 3 novellato è inserita espressamente la possibilità di individuare “caso per caso”, non solo con decreti ministeriali generali, ma nell’ambito dell’AIA, e quindi da parte della Regione, i criteri in base ai quali il materiale trattato in un dato impianto perde la qualità di rifiuto; le successive modifiche dell’art. 184 ter, operate con il d.lgs. 3 settembre 2020 n.116, con il d.l. 31 maggio 2021 n.77 e con il d. lgs. 23 dicembre 2022 n.213 non hanno toccato questa norma, che quindi si deve quindi considerare vigente nel testo appena descritto dal 3 novembre 2011 ad oggi.

5. Tutto ciò premesso, la Regione intimata appellante, con il provvedimento 15 ottobre 2019 n.14714 di cui in epigrafe (doc. 1 ricorso I grado) ha archiviato l’istanza della ricorrente appellata; in sintesi ha ritenuto impossibile provvedere in mancanza di uno specifico decreto ministeriale dettato in via generale per la tipologia di rifiuto trattata. Il provvedimento ha quindi seguito l’interpretazione fatta propria dalla sentenza 1229/2018, che ha richiamato in modo espresso.

6. Con la sentenza meglio indicata in epigrafe, il T.a.r. ha accolto il ricorso proposto dall’interessata contro questo provvedimento.

6.1 Nella motivazione, ha in estrema sintesi fatto proprio l’ordine di idee condiviso dalla sentenza 6093/2022 della Sezione di cui sopra, pur non espressamente citata, ed ha ritenuto che l’art. 184 ter d. lgs. 152/2006 “con il richiamo alle autorizzazioni di cui agli artt. 208, 209 e 211 del d. lgs. 152/2006 rilasciate dalle autorità competenti, consentiva alle amministrazioni competenti di valutare “caso per caso” le istanze relative all’installazione di nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti e di autorizzare lo svolgimento delle relative attività, qualora ritenuta conforme sia alle disposizioni nazionali e euro-unitarie vigenti sia alle eventuali linee guida emanate dal Ministero dell’ambiente” (motivazione, § 10 in fine a p. 7).

6.2 Ciò posto, il T.a.r. ha ritenuto che la Regione si fosse illegittimamente rifiutata di esercitare in tal senso il potere dovere conferitole dalla norma ed ha quindi annullato il provvedimento “con conseguente obbligo di riattivare il procedimento entro trenta giorni dalla comunicazione della sentenza, e di effettuare l’esame dell’istanza della ricorrente sulla base della normativa vigente, da completarsi nei termini di legge” (§ 11 p. 7 in fine).

7. Contro questa sentenza, la Regione ha proposto impugnazione, con appello che contiene tre censure, riconducibili ad un unico motivo di violazione dell’art. 184 ter d. lgs. 152/2006 nel testo vigente al momento in cui il provvedimento di archiviazione fu emanato. La Regione, in estrema sintesi, ha sostenuto che l’interpretazione corretta della norma sarebbe quella fatta propria dal provvedimento stesso, che in mancanza dei decreti ministeriali attuativi non lascerebbe spazio alcuno ad un proprio provvedimento che in relazione al singolo impianto di cui si tratta fissasse le condizioni alle quali i rifiuti da esso lavorati perdono tale qualifica. La Regione, producendo la nota 1 giugno 2023 prot. n. T1.2023.0062242 (all. 4 all’appello, senza indicazione di data e di protocollo, riportati invece a p. 6 sedicesimo rigo dell’appello) ha comunque dato atto di aver riattivato il procedimento, con riserva dell’esito dell’appello.

8. La ricorrente appellata ha resistito con atto 23 novembre 2023, e chiesto la reiezione dell’appello stesso.

9. Si è a sua volta costituito il Comune di Sarezzo, con atto 24 aprile 2024, ed ha chiesto invece che l’appello sia accolto

10. Con memoria 3 aprile e replica 15 aprile 2025 per la Regione, con memoria 6 aprile e replica sempre 15 aprile 2025 per l’impresa e con memoria 7 aprile 2025 per il Comune, le parti hanno ribadito ovvero meglio precisato le rispettive tesi, deducendo in particolare quanto ora si riassume.

10.1 L’impresa, nella memoria 6 aprile 2025 ha anzitutto sostenuto che già le norme vigenti al momento in cui fu pronunciata l’archiviazione avrebbero consentito di esaminare nel merito la propria domanda, e in prospettiva di accoglierla; alla luce poi delle successive modifiche normative di cui si è detto ha eccepito (p. 16 prime righe) “il sostanziale e sopravvenuto difetto di interesse regionale alla decisione dell’appello presentato e/o, in ogni caso, la sopravvenuta inammissibilità o improcedibilità dell’appello regionale”, dato che ora sull’accoglibilità dell’istanza stessa non sussisterebbero dubbi. A proprio favore, ha infine citato (p. 24) un caso in cui la Regione Basilicata avrebbe autorizzato senza difficoltà un impianto asseritamente identico al proprio.

10.2 Il Comune, nella memoria 7 aprile 2006, si è rifatto all’interpretazione della norma sostenuta nella sentenza 1229/2018 ed ha osservato che questa sentenza avrebbe, a suo dire, annullato la circolare 1 luglio 2016 del Ministero dell’ambiente di cui si è detto; ha infine evidenziato che l’impianto avrebbe carattere innovativo e sperimentale, sì da richiedere particolare cautela nel valutarne le caratteristiche.

10.3 La Regione infine, nella replica 15 aprile 2025, ha risposto all’eccezione di inammissibilità di cui sopra osservando di avere comunque, come amministrazione, un interesse a difendere la legittimità dei propri atti.

11. Alla pubblica udienza del giorno 8 maggio 2025, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.

12. Preliminarmente, va respinta l’eccezione di inammissibilità, meglio detto di improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse dedotta dalla ricorrente appellata, in quanto la comunicazione di riavvio del procedimento 1 giugno 2023 (all. 4 appello) è stata fatta con riserva dell’esito di questo giudizio. In via generale, poi è comunque vero quanto dice la Regione, ovvero che l’amministrazione ha sempre interesse a difendere in giudizio la legittimità dei propri atti.

13. Ciò posto, l’appello è infondato nel merito.

13.1 La Sezione ritiene di dover dare continuità al proprio più recente orientamento, espresso con la sentenza 6093/2022: a partire dall’art. 9 bis comma 1 lettera a) l. 2010/2008, esplicitamente emanato per venire incontro alle difficoltà del settore, il legislatore si è fatto carico di consentire un accertamento della perdita della qualifica di rifiuto anche a prescindere dai decreti ministeriali, evidentemente anche allo scopo di favorire lo sviluppo di impianti sperimentali basati su tecnologie innovative come quello per cui è causa.

13.2 L’interpretazione restrittiva della norma suddetta, fatta propria dalla sentenza 1229/2018 -che come si è visto ne limita il campo di applicazione alle sole autorizzazioni in corso- non è giustificata né dalla lettera della norma stessa, che tale restrizione non prevede, né dal sistema. Risulterebbe invece illogico che, a fronte dell’evoluzione normativa successiva, che ammette tale accertamento caso per caso, questa possibilità fosse preclusa solo nel periodo dal 25 dicembre 2010 al 17 giugno 2019, di vigenza dell’art. 184 ter prima versione.

13.3 L’argomento contenuto nella sentenza 1229/2018, per cui la perdita della qualifica di rifiuto, in quanto valida per tutto il territorio, dovrebbe essere di necessità dichiarata in base ad un provvedimento dell’autorità centrale prova invece troppo. In primo luogo, l’esigenza di uniformità è soddisfatta dai criteri di legge, e di direttiva europea, che sono validi appunto non solo su tutto il territorio nazionale, ma in tutta l’Unione.

13.4 Quest’ultimo rilievo -ovvero il dato per cui la perdita della qualifica di rifiuto una volta dichiarata vale per tutto il territorio dell’Unione e non solo per il singolo ordinamento, nella specie per l’Italia- porterebbe poi ad un paradosso: ragionando nell’ordine di idee che si critica, si dovrebbe ritenere precluso in materia anche l’intervento del singolo Stato, contrariamente al contenuto delle direttive che invece demandano espressamente a ciascuno degli Stati membri di provvedere in tal senso nel modo ritenuto più opportuno, senza stabilire una pretesa competenza esclusiva delle autorità centrali.

13.5 Va poi osservato che, anche considerando esclusivamente l’ordinamento nazionale, nessuna norma in esso contenuta nulla vieta che l’apprezzamento di un’autorità substatale o comunque non centrale –come sarebbe la perdita della qualifica di rifiuto accertata in base a requisiti determinati dalla Regione- sia efficace in tutto lo Stato.

14. L’appello va quindi respinto e rimane fermo l’effetto di annullamento disposto dalla sentenza impugnata, correttamente inteso non nel senso che la domanda della ricorrente appellata debba essere di necessità accolta, ma nel senso che essa debba essere esaminata nel merito per accertare attraverso corretta e completa istruttoria se la tecnologia dell’impianto che ne è oggetto soddisfi o no i requisiti previsti in generale dalla norma di legge per la perdita della qualità di rifiuto, del che dovrà esser dato conto nella motivazione del provvedimento all’esito adottato.

15. La particolarità della fattispecie, sulla quale, come si è detto, sussistevano orientamenti contrastanti nella giurisprudenza di questo Consiglio, è giusto motivo per compensare per intero fra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n.7672/2023 R.G.), lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2025 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Carbone, Presidente

Francesco Gambato Spisani, Consigliere, Estensore

Giuseppe Rotondo, Consigliere

Emanuela Loria, Consigliere

Eugenio Tagliasacchi, Consigliere