Cass. Sez. III n. 35792 del 19 settembre 2012 (Ud. 17 apr. 2012)
Pres. Squassoni Est. Fiale Ric. Di Modica
Beni ambientali. Violazione articolo 734 cod. pen.

La contravvenzione di cui all'art. 734 cod. pen. si configura come un reato di danno, e non di pericolo, richiedendo per la sua punibilità che si verifichi in concreto la distruzione o l'alterazione delle bellezze protette. Non è sufficiente, pertanto, per integrare gli estremi del reato, la mera esecuzione di un'opera o la semplice alterazione dello stato naturale delle  cose sottoposte a vincolo, ma occorre che tale alterazione abbia effettivamente determinato la distruzione  o il deturpamento della bellezza naturale


RITENUTO IN FATTO

La Corte di appello di Palermo, con sentenza del 19.1.2011, in parziale riforma della sentenza 12.5.2009 del Tribunale di Termini Imerese - Sezione distaccata di Corleone:

a) ha ribadito l'affermazione della responsabilità penale di D. M.F. in ordine ai reati di cui:

- al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), (per avere realizzato, in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, in assenza del prescritto permesso di costruire, lavori ed completamento e trasformazione di un edificio già abusivo ad unica elevazione, su una superficie coperta di circa mq. 67 - acc. in (OMISSIS), contrada (OMISSIS), il 19.4.2007);

- al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 93 e 95;

- all'art. 161 (per avere realizzato le opere anzidette senza la necessaria autorizzazione dell'autorità preposta alla tutela del vincolo);

- all'art. 734 c.p. (per avere alterato la bellezza naturale del luogo);

b) e, essendo stati già unificati tutti i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. c.p., ha ridotto la pena complessiva infetta dal primo giudice, determinandola in mesi tre di arresto ed Euro 20.000,00 di ammenda;

c) ha confermato l'ordine di demolizione delle opere abusive e la concessione del beneficio della sospensione condizionale subordinato alla demolizione effettiva de manufatto.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputata, il quale ha eccepito, sotto i profili della violazione di legge e della illogicità della motivazione:

- l'inconfigurabilità del reato urbanistico, poichè le opere contestate sono state realizzate su un manufatto già edificato nel lontano 1994 e dovrebbero considerarsi escluse, per le loro caratteristiche oggettive di mero completamento, dal regime del permesso di costruire;

- la insussistenza della contravvenzione di cui all'art. 734 c.p., per la cui configurabilità non è sufficiente una qualsiasi alterazione naturalistica del sito interessato, ma deve realizzarsi una distruzione o un deturpamento effettivo dell'ambiente, nella specie non configurabile;

- la prescrizione dei reati;

- la incongruità del diniego della disciplina della "continuazione" con i reati in precedenza giudicati in relazione all'edificazione della parte strutturale del fabbricato;

- l'ingiustificato diniego del riconoscimento di circostanze attenuanti genetiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso deve essere rigettato, perchè infondato.

1. I giudici dei merito hanno accertato che la D.M. ha realizzato un intervento edilizio di trasformazione ed ampliamento di un fabbricato costruito in modo totalmente illegittimo nell'anno 1994: condotta per la quale ella ha già riportato condanna irrevocabile con sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Palermo in data 9.2.1996, passata in giudicato il 30.4.1998.

All'epoca del primo procedimento penale erano state edificate le strutture di un magazzino per usi agricoli costituito da unico ambiente, privo di servizi igienici e di impianti elettrico ed idrico, con annesso portico aperto. Successivamente il porticato è divenuto parte integrante del manufatto (in cui è stato inglobato) e questo è stato tramezzato in vani e dotato di servizi sì da adibirlo a civile abitazione.

Sono state realizzate, pertanto, opere edilizie di ristrutturazione (con incremento di volumi e modifica della destinazione d'uso) di un edificio preesistente edificato illegittimamente, per le quali era ad evidenza necessario il previo rilascio di permesso di costruire.

2. Le Sezioni Unite di questa Corte Suprema hanno affermato che la contravvenzione di cui all'art. 734 c.p. si configura come un reato è danno, e non di pericolo, richiedendo per la sua punibilità che si verifichi in concreto la distruzione o l'alterazione delle bellezze protette. Non è sufficiente, pertanto, per integrare gli estremi del reato, la mera esecuzione di un'opera o la semplice alterazione dello stato naturale delle cose sottoposta a vincolo, ma occorre che tale alterazione abbia effettivamente determinato la distruzione o il deturpamento della bellezza naturale (Cass., Sez. Unite, 12.1.1993, n. 246).

La relativa valutazione è riservata all'esclusivo apprezzamento dei giudice di merito e, nella fattispecie in esame, il Tribunale e la Corte territoriale hanno adeguatamente motivato in ordine al danno in concreto arrecato alle bellezze naturali in zona non urbanizzata.

3. Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, la unicità del disegno criminoso, necessaria per la configurabilità del reato continuato, non può identificarsi con la generale tendenza a porre in essere determinati reati o, comunque, con una scelta di vita che implica la reiterazione di determinate condotte criminose, ma occorre che le singole violazioni siano tutte previste e deliberate sin dall'origine nelle loro linee essenziali e riconducibile ad un unico momento volitivo, che non può essere presunto per la sola circostanza dell'identità dei beni aggrediti con le condotte criminose o per la reiterazione di queste ultime in tempi ravvicinati.

Il solo dato costituito dall'identità od omogeneità dei reati da taluno commessi in tempi diversi, infatti, se è certamente indicativo di una particolare attitudine del soggetto a commettere azioni criminose della medesima indole, e quindi, rivelatore di una accentuata pericolosità sociale, non vate però a far ritenere, in mancanza di altri e più sostanziali elementi, che i detti reati siano frutto di determinazioni volitive risalenti ad un'unica deliberazione di fondo.

A carico dell'interessato si pone, in proposito un onere di allegazione, che non viene assolto con la mera indicazione o produzione di sentenze di condanna, occorrendo anche la specificazione di elementi concreti dai quali possa desumersi - attraverso un ragionamento condotto alla stregua di rigorosi alteri di ordine logico - la sussistenza delle condizioni alle quali l'art. 81 c.p. subordina l'applicazione della disciplina della continuazione.

Tali principi, nella fattispecie in esame, risultano correttamente applicati dalla Corte di merito, la quale - in carenza della specifica dimostrazione di un programma unitario dell'attività delinquenziale - legittimamente ha escluso la sussistenza di un'unica deliberazione originaria in relazione a fatti-reato distanziati nel tempo e ritenuti riferibili piuttosto, per le peculiari modalità di consumazione, a spinte occasionali e contingenti.

4. Le attenuanti genetiche, nel nostro ordinamento, hanno lo scopo di allargare le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole al reo, in considerazione di situazioni e circostanze particolari che effettivamente incidano sull'apprezzamento dell'entità del reato e della capacità di delinquere dell'imputato.

Il riconoscimento di esse richiede, dunque, la dimostrazione di elementi di segno positivo.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, la concessione o il diniego delle attenuanti generiche rientrano nei potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere bensì motivato ma nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo.

Anche il giudice di appello - pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell'appellante - non è tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione.

Nella fattispecie in esame, la Corte di merito, nel corretto esercizio del potere discrezionale riconosciutole in proposito dalla legge - in carenza di congrui elementi di segno positivo - ha dato rilevanza decisiva alla gravità del fatto ed ha dedotto logicamente prevalenti significazioni negative della personalità dell'imputata dalla pervicacia dimostrata nel violare la legge anche in totale disprezzo dei provvedimenti adottati dalla pubblica autorità.

5. I reati non sono prescritti.

I giudici del merito, con argomentazioni razionali fondate sia sulla valutazione delle deposizioni testimoniali raccolte sia su rilievi fotografici ed aerofotogrammetrici, hanno evidenziato che il fabbricato abusivo non era ancora "ultimato" al momento dell'accertamento avvenuto il (OMISSIS) (mancavano ancora gli infissi e le rifiniture non erano completate).

Il termine ultimo di prescrizione resta perciò fissato al 19.4.2012.

6. Al rigetto del ricorso segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 17 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2012