Consiglio di Stato Sez. IV n. 1883 del 5 marzo 2025
Rifiuti.Obblighi di rimozione
I rifiuti devono essere in ogni caso rimossi, anche qualora l’attività dell’impresa cessi: il soggetto responsabile potrà essere individuato nello stesso imprenditore non fallito, oppure in colui che amministra il patrimonio fallimentare. Invero, i costi della gestione dei rifiuti vanno imputati sia al loro produttore iniziale che ai detentori del momento ed ai detentori precedenti, potendo riconoscersi l’esimente prevista all’art. 192, comma 3 del d. lgs. n. 152/2006 soltanto ed unicamente a favore di chi non sia mai stato detentore dei rifiuti e, pertanto, nei confronti, ad esempio, del proprietario incolpevole del terreno. Dunque, il costo della rimozione potrà ricadere sull’attivo fallimentare, quale conseguenza della funzione di garanzia che assume il detentore dei siti in cui siano abbandonati i rifiuti, in precedenza sede dell'impresa fallita, in conformità al principio “chi inquina paga”.
Pubblicato il 05/03/2025
N. 01883/2025REG.PROV.COLL.
N. 09771/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9771 del 2023, proposto da Curatela del fallimento -OMISSIS- s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Luca Alberto Clarizio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Altamura, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giampaolo Sechi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
-OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, non costituiti in giudizio;
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Prima) n. -OMISSIS-.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Altamura;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 novembre 2024 il Cons. Luigi Furno e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;
FATTO
La Curatela del Fallimento della -OMISSIS- s.r.l. ha impugnato, dinanzi al T.a.r Puglia, domandandone l’annullamento:
- l’ordinanza del Comune di Altamura del 23 marzo 2022, n. 18, trasmessa con p.e.c. del 23 marzo 2022, con cui è stato ingiunto anche alla Curatela fallimentare della -OMISSIS- s.r.l. di porre in essere le misure di prevenzione e messa in sicurezza della discarica di rifiuti urbani “Le Lamie” di Altamura, di proprietà della medesima -OMISSIS-., nonché nella parte in cui l’Ente si è riservato di procedere anche nei confronti della Curatela per la “ripetizione degli oneri sostenuti per le attività eseguite e in corso di esecuzione in via sostitutiva al soggetto” ritenuto “inadempiente” all’ordinanza sindacale stessa;
- ogni altro atto, anche non noto e, qualora esistente, comunque connesso, preordinato ovvero conseguente.
L’ordinanza ha intimato, in particolare, ai destinatari <<di porre in essere “ad horas”, con effetto immediato e con il carattere dell’urgenza, le necessarie misure di prevenzione/messa in sicurezza dei luoghi, in riferimento alla discarica per rifiuti urbani sita in agro di Altamura in località “Le Lamie”, individuabile in catasto al foglio di mappa n. 224, particella 91 (ente urbano della superficie di ha 12.19.57), di proprietà della società -OMISSIS-. S.r.l., assegnando specifica priorità alle seguenti azioni ulteriori rispetto all’intervento avviato e svolto dal Comune di Altamura, in via sostitutiva al soggetto inadempiente all’ordinanza sindacale n. 28/2020:
1. rilievo dei livelli di percolato dai pozzi di raccolta e successiva estrazione al fine di portare al minimo il battente idraulico del percolato;
2. estrazione forzata del biogas e gestione della torcia di combustione installata;
3. verifica e controllo dell’integrità della recinzione della discarica al fine di impedire l’accesso;
4. sfalcio delle erbe infestanti sul corpo dei rifiuti, al fine di evitare eventuali incendi che potrebbero danneggiare il telo in HDPE;
5. riparazione di eventuali discontinuità nel telo in HDPE e regimentazione delle acque meteoriche al fine di minimizzare eventuali infiltrazioni di acque meteoriche e ridurre la formazione di percolato;
6. gestione e contenimento dei fenomeni di trasudazione di percolato lungo la scarpata di confine del lotto 4, posta a sud-est, e in corrispondenza del margine sud-ovest del lotto 5, prevedendo specifici interventi di impermeabilizzazione di tali superfici al fine di arginare le fuoriuscite di percolato, che sono oggi raccolte nella vasca presente sul lato sud dell’impianto e gestite come rifiuto;
nonché tutte le indagini necessarie al fine di verificare lo stato di qualità ambientale complessivo del sito e porre in essere, in presenza di una potenziale contaminazione, le conseguenti azioni di ripristino per contrastare la minaccia per la salute e/o l’ambiente, il tutto in ossequio a quanto previsto dalle norme vigenti in materia e comunque innanzi richiamate. Resta inteso che, in considerazione del sequestro delle aree, i soggetti responsabili dovranno preventivamente chiedere all’autorità giudiziaria l’autorizzazione all’accesso al sito per dare seguito alla presente ordinanza e che le attività dovranno essere eseguite in modo tale da non interferire né entrare in contrasto con gli interventi già avviati dal Comune di Altamura in via sostitutiva, per l’inadempimento all’ordinanza n. 28 del 07.05.2020 da parte degli obbligati>>;
- avvertendo altresì che, “qualora i responsabili non provvedano direttamente agli adempimenti disposti avviando gli interventi nel più breve tempo possibile e comunque non oltre il termine di gg. 15 (quindici) dal ricevimento della presente, gli interventi saranno eseguiti in via sostitutiva dal Comune di Altamura e/o Enti competenti, in danno dei soggetti responsabili con recupero delle somme;
- che il Comune di Altamura si riserva di procedere alla ripetizione degli oneri sostenuti per le attività eseguite e in corso di esecuzione in via sostitutiva al soggetto inadempiente all’ordinanza sindacale n. 28/2020, anche nei confronti dei soggetti destinatari della presente ordinanza”.
Tanto premesso, i fatti rilevanti ai fini del decidere possono essere ricostruiti come segue.
La discarica per rifiuti urbani “Le Lamie” di Altamura è di proprietà della -OMISSIS- (dichiarata fallita dal Tribunale di Bari con sentenza -OMISSIS-) ed è sempre stata gestita dalla medesima società sulla base dell’autorizzazione regionale datata 30 settembre 1987, n. 8412.
La società ha operato in questo modo fino al 2007, allorquando è stato disposto l’avvio della fase di chiusura con ordinanza del Commissario delegato n. 54/CD del 21 gennaio 2007, con termine per il completamento al 31 dicembre 2007, poi prorogato di ulteriori tre mesi (e cioè fino al 31 marzo 2008) in forza dell’ordinanza della provincia di Bari n. 40/DP del 27 dicembre 2007 “al fine del necessario raggiungimento del profilo complessivo finale”.
La cessazione dei conferimenti ha determinato l’obbligo, in capo al gestore del sito, di avviare le procedure di chiusura finale e di attuare la fase della post gestione secondo quanto disposto dalla normativa in materia (decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36).
La -OMISSIS- non ha ottemperato ai suddetti obblighi, nonostante i solleciti della Provincia di Bari.
In seguito, sul sito della discarica sono stati compiuti più sopralluoghi su iniziativa della Curatela fallimentare e dei Carabinieri del Nucleo operativo ecologico - NOE.
I sopralluoghi hanno riscontrato una situazione di sostanziale abbandono del sito.
È stato di poi avviato un procedimento penale nei confronti degli amministratori della società (n. -OMISSIS- R.G.N.R. Procura della Repubblica di Bari), nell’ambito del quale si è provveduto a disporre il sequestro preventivo dell’impianto (con decreto del GIP del Tribunale di Bari del 22 novembre 2019).
Nel frattempo, la Curatela fallimentare ha deciso di avvalersi della facoltà prevista dall’art. 104-ter, comma 8, della legge fallimentare (per il quale “Il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può non acquisire all’attivo o rinunciare a liquidare uno o più beni, se l’attività di liquidazione appaia manifestamente non conveniente. In questo caso, il curatore ne dà comunicazione ai creditori i quali, in deroga a quanto previsto nell’articolo 51, possono iniziare azioni esecutive o cautelari sui beni rimessi nella disponibilità del debitore”) e, in data 26 luglio 2019, ha formalmente riconsegnato le chiavi dell’impianto all’amministratore della società, signor -OMISSIS-.
Il successivo 5 dicembre 2019, presso gli uffici regionali, si è tenuto un incontro all’esito del quale la regione Puglia, considerati “i superamenti rilevati nelle acque di falda nei pozzi a valle idrogeologica” e lo “stato di abbandono generale dell’impianto”, ha suggerito di emanare un’ordinanza sindacale di necessità e urgenza, ai sensi dell’art. 50, del decreto legislativo 18 luglio 2000, n. 267.
Il Comune di Altamura ha, quindi, adottato, ai sensi del citato art. 50, comma 5, del decreto legislativo n. 267/2000, l’ordinanza contingibile e urgente n. 28, del 7 maggio 2020, con la quale è stato ingiunto alla società -OMISSIS-. e ai soci di porre in essere con effetto immediato e con carattere di urgenza le necessarie misure di prevenzione/messa in sicurezza dei luoghi, nonché le attività di post gestione della discarica; detto provvedimento è stato impugnato dai soci della società fallita e, separatamente, dalla stessa società innanzi al T.a.r Puglia, che, con le sentenze n. -OMISSIS- e n. -OMISSIS-, ha respinto entrambi i ricorsi; in sede d’appello, questa Sezione, con la sentenza dell’-OMISSIS-, previa reiezione del quarto motivo, ha accolto il terzo motivo dell’appello proposto dai soci e con la sentenza dell’-OMISSIS-, e, conseguentemente, ha annullato l’ordinanza impugnata.
In particolare, richiamati i principi espressi dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (n. 3/2021), il Consiglio di Stato ha ritenuto che anche la Curatela dovesse considerarsi obbligata a realizzare tutte le misure necessarie per la salvaguardia ambientale della discarica.
In esito a quest’ultima decisione, il Comune di Altamura ha adottato, ai sensi dell’art. 50, comma 5, del decreto legislativo n. 267/2000, l’ordinanza contingibile e urgente n. 18 del 23 marzo 2022 in precedenza riportata.
La Curatela ha impugnato, con ricorso di primo grado, quest’ultima ordinanza, articolando nove censure, così rubricate:
1. Violazione ed erronea applicazione dell’art. 50, comma 5, D.Lgs. n. 267/2000. Violazione del principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi. Eccesso di potere. Assenza dei presupposti di contingibilità e urgenza necessari per l’adozione dell'atto. Eccesso di potere per omessa considerazione dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione;
2. Violazione e falsa applicazione degli artt. 9, comma 3, 10 e 14, D.Lgs. n. 36/2013. Violazione e falsa applicazione dell’art. 50, comma 5, D.Lgs. n. 267/2000. Violazione del principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi. Eccesso di potere per omessa considerazione dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione;
3. Difetto di legittimazione passiva. Violazione e falsa applicazione degli artt. 31, 41,72, 88, 104 ter, comma 8, RD 16.3.1942, n. 267. Eccesso di potere per omessa considerazione dei presupposti, difetto di istruttoria, perplessità ed ingiustizia manifesta;
4. Difetto di legittimazione passiva. Violazione e falsa applicazione degli artt. 31, 41,72, 88, 104 ter, comma 8, RDe 16.3.1942, n. 267. Eccesso di potere per omessa considerazione dei presupposti, difetto di istruttoria, perplessità ed ingiustizia manifesta;
5. Difetto di legittimazione passiva. Violazione e falsa applicazione degli artt. 31, 41,72, 88, 104 ter, comma 8, RD 16.3.1942, n. 267. Eccesso di potere per omessa considerazione dei presupposti in fatto e diritto, difetto di istruttoria, perplessità ed ingiustizia manifesta;
6. Difetto di legittimazione passiva. Violazione e falsa applicazione degli artt. 31, 41,72, 88, 104 ter, comma 8, RD 16.3.1942, n. 267. Eccesso di potere per omessa considerazione dei presupposti, difetto di istruttoria, perplessità ed ingiustizia manifesta;
7. Difetto di legittimazione passiva. Violazione ed erronea applicazione dell’art. 2, comma 6, e art. 16 della Direttiva 2004/35/CE. Violazione e falsa applicazione del principio “chi inquina paga”. Eccesso di potere per omessa considerazione dei presupposti, difetto di istruttoria, perplessità ed ingiustizia manifesta nonché irragionevolezza e difetto di proporzionalità;
8. Difetto di legittimazione passiva. Violazione ed erronea applicazione dell’art. 2, comma 6, e art. 16 della Direttiva 2004/35/CE. Violazione e falsa applicazione degli art. 9, comma 3, 10, e 14 del D.Lgs. n. 36/2013. Violazione e falsa applicazione degli artt. l’art. 253 del D.Lgs. n. 152/2006. Violazione e falsa applicazione del principio “chi inquina paga”. Eccesso di potere per omessa considerazione dei presupposti, difetto di istruttoria, perplessità ed ingiustizia manifesta nonché irragionevolezza e difetto di proporzionalità;
9. Violazione ed erronea applicazione dell’art. 2, comma 6, e art. 16 della Direttiva 2004/35/CE. Violazione e falsa applicazione del principio “chi inquina paga”. Eccesso di potere per omessa considerazione dei presupposti, difetto di istruttoria, perplessità ed ingiustizia manifesta nonché irragionevolezza e difetto di proporzionalità.
La Curatela ha, altresì, formulato la seguente istanza di rimessione alla C.G.U.E.: <<Per le ragioni di cui ai motivi settimo e ottavo, si chiede - ai sensi dell’art. 267 del TFUE - di rimettere alla CGUE la seguente questione pregiudiziale: “se il principio ‘chi inquina paga’ di cui all’art. 191 TFUE e le previsioni della Direttiva 2004/35, ostino a un’interpretazione secondo cui il responsabile dell’inquinamento possa essere individuato: i) prescindendo dall’accertamento della sussistenza di un nesso causale tra la sua condotta e la contaminazione delle matrici ambientali; ii) in forza di una mera e astratta responsabilità da posizione, che deriverebbe in via automatica e diretta dall’essere stato nominato curatore fallimentare di una società di capitali, che prima del fallimento abbia omesso di porre in essere le misure di chiusura e post gestione della discarica di cui alla Direttiva 1999/31/CE”>>.
Il T.a.r, con la decisione -OMISSIS-, ha respinto il ricorso.
La Curatela ha proposto appello per i motivi riportati nella parte in diritto.
Nel giudizio di appello si è costituito il Comune di Altamura, chiedendo di dichiarare l’appello infondato.
La causa è stata decisa all’esito dell’udienza del 7 novembre 2024.
DIRITTO
L’appello è infondato.
Con un primo mezzo di gravame la parte appellante lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha accolto il motivo con il quale in primo grado era stato dedotto il difetto di legittimazione passiva delle Curatela fallimentare in relazione all’ordinanza contingibile e urgente n. 18, del 23 marzo 2022, descritta nella parte in fatto.
Ad avviso della parte appellante, la decisione impugnata avrebbe errato nel ritenere applicabili, alla fattispecie in esame, i principi di diritto enunciati dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 3/2021, non considerando che la Curatela fallimentare non avrebbe mai avuto la materiale disponibilità dei terreni di che trattasi in ragione della rinuncia effettuata ai sensi e per gli effetti dell’art. 104, ter comma 8, della Legge fallimentare, secondo cui “ Il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può non acquisire all'attivo o rinunciare a liquidare uno o più beni, se l'attività di liquidazione appaia manifestamente non conveniente”.
Rileva, in particolare, la parte appellante che, dopo che è stata pronunciata, in data 8 ottobre 2018, la sentenza di fallimento della -OMISSIS-, la Curatela ha avviato l’inventario dei beni e, prima ancora, ha nominato il prof. ing. Baruchello affinché questi redigesse una perizia riguardante proprio le condizioni in cui versava la discarica. All’esito della perizia, su parere favorevole del Comitato dei Creditori e con il nulla osta del Giudice delegato al Fallimento, la Curatela - ai sensi dell’art. 104 ter, comma 8, LF - non ha acquisito all’attivo la discarica, la quale, dunque, quindi, non è stata inventariata.
Tanto premesso, assume l’appellante che, diversamente da quanto affermato nella decisione impugnata, con la sentenza dichiarativa di fallimento i curatori non divengono custodi dei beni dell’impresa fallita: l’effetto della sentenza di fallimento sarebbe, piuttosto, il “congelamento” dei poteri dispositivi dell’impresa fallita; Il fallito è, pertanto, “spossessato” del bene del quale resta, però, “detentore”. E la “detenzione” è mantenuta dal fallito fino a quando, mediante l’“inventario” ex art. 87 LF, il bene passerebbe alla massa fallimentare. Sicché la curatela fallimentare acquisirebbe la “detenzione” del bene, soltanto all’esito della effettuazione dell’inventario.
Il motivo non è fondato.
In senso contrario il Collegio rileva, conformemente alla recente decisione 1° febbraio 2024, n. 77 del Consiglio di Giustizia amministrativa per la regione siciliana, che la detenzione dei beni del fallito è acquisita ipso iure dalla Curatela fallimentare al momento della pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento ai sensi dell’art. 133 co. 1 c.p.c.
In conformità a quest’ultima decisione, rileva il Collegio che, una volta accettata la nomina disposta dal Tribunale fallimentare, il Curatore è tenuto a taluni determinati adempimenti materiali, quali: a) in primo luogo, l’apposizione dei sigilli ai sensi dell’art. 84 L.F. sui beni del debitore, secondo le modalità previste dagli artt. 752 e ss. c.p.c., con l’assistenza del cancelliere che redigerà il relativo processo verbale; b) la trascrizione della sentenza su eventuali immobili e mobili registrati, al fine di pubblicità notizia, dal momento che nei confronti dei terzi la sentenza di fallimento è opponibile dalla data di annotazione nel registro delle imprese ai sensi dell’art. 17 co. 2 L.F.; c) la redazione dell’inventario dei beni rientranti nella massa fallimentare ai sensi degli artt. 769 e segg. c.p.c., in quella sede prendendo in consegna i beni mobili e dovendo provvedere alla notifica di un estratto della sentenza dichiarativa di fallimento ai competenti uffici affinché ne curino la trascrizione nei pubblici registri in relazione ai beni immobili o mobili registrati (art. 88 L.F.).
Si tratta di adempimenti che, in quanto propedeutici a tutelare il patrimonio fallimentare da possibili atti di distrazione, devono ritenersi privi di una propria valenza costitutiva, perfezionandosi l’acquisizione alla massa fallimentare dei beni del fallito automaticamente con la pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento, secondo quanto chiarito dall’art. 42 L.F.
Tali conclusioni, contrariamente a quanto ritenuto dalla parte appellante, non sono contraddette dalla rinuncia da parte della Curatela all’acquisizione alla massa fallimentare del fondo oggetto di inquinamento.
In senso contrario, occorre rilevare che siffatta “rinuncia”, anzitutto, postula, sul piano logico-giuridico, la previa disponibilità del bene in ragione proprio della sua inclusione nella massa fallimentare sin dall’apertura della procedura concorsuale, non essendo, all’evidenza, possibile rinunciare a qualcosa di cui non si abbia anche la previa disponibilità giuridica.
Pertanto, la rinuncia in esame, contrariamente a quanto ritenuto dalla parte appellante, ha per oggetto non l’acquisizione ma la liquidazione del bene, posto che, diversamente opinando, l’ordinanza sarebbe nulla per inesistenza dell’oggetto, in ragione dell’impossibilità di rinunciare a qualcosa di cui non si abbia la disponibilità.
Una conferma di questa conclusione si trae, sul piano dell’interpretazione sistematica, dalla disciplina contemplata dall’art. 42 co. 3 L.F., la quale consente al Curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, di rinunciare ad acquisire i beni che pervengono al fallito durante la procedura fallimentare e non anche di poter rinunciare ai beni di cui la società, come accaduto nel caso in esame, sia già titolare al momento della dichiarazione di fallimento, qualora i costi da sostenere per il loro acquisto (come, ad esempio, atti di accettazione) e la loro conservazione risultino superiori al valore di realizzo dei beni stessi.
Esiste, infatti, una sostanziale differenza tra la rinuncia ad acquisire beni pervenuti al fallito in corso di procedura (art. 42 co. 2 e co. 3 L.F.) e l’autorizzazione a non acquisire all'attivo o a rinunciare a liquidare uno o più beni, se l'attività di liquidazione appaia manifestamente (art. 104 ter, comma 8 bis, L.F.), poiché mentre nel primo caso l’inclusione alla massa fallimentare è rimessa alla decisione del Curatore in quanto presupponente il compimento di un precipuo atto negoziale che, se omesso in ragione dell’anti-economicità dell’operazione sul piano delle prospettive di liquidazione, preclude il perfezionamento dell’acquisto, nel secondo caso, invece, è automatica, in quanto dipendente da un fatto giuridico in senso stretto, ossia la titolarità del bene già acquisita dal fallito prima della sentenza dichiarativa di fallimento, potendo il Curatore in questi casi soltanto decidere se includere o meno il bene nel programma di liquidazione.
Di conseguenza, la rinuncia alla liquidazione implica soltanto la decadenza del divieto di cui all’art. 51 L.F. ed il riconoscimento ai creditori della società fallita della facoltà di aggredire il bene per soddisfare le loro pretese al di fuori delle regole concorsuali della procedura fallimentare.
Al ricorrere di tale ultima fattispecie, il bene continua a rimanere nella disponibilità giuridica della Curatela fallimentare, in quanto componente del patrimonio della società fallita e, come tale, anche foriero di responsabilità per eventuali danni a terzi ai sensi dell’art. 2051 c.c. La dichiarazione di fallimento, infatti, non realizza un fenomeno di tipo successorio, privando, soltanto, la società fallita della legittimazione a disporre dei propri beni, al fine di salvaguardare le ragioni dei suoi creditori secondo le regole concorsuali previste dalla legge. L’effetto, in pratica, è il medesimo di un pignoramento omnibus, ossia di un pignoramento di tutti i beni del debitore.
Il che, per quanto di rilievo nella fattispecie in esame, implica la configurabilità di un persistente obbligo di vigilanza sul bene non sottoposto alle attività di liquidazione per la tutela dei creditori fallimentari, onde evitare la possibile insinuazione al passivo di creditori sopravvenuti.
Su tali basi normative e interpretative, rileva il Collegio che, poiché il fondo inquinato apparteneva alla società fallita, la Curatela ne è divenuta detentrice ipso iure.
La decisione, dunque, di non includere il bene nell’ambito del programma di liquidazione non implica per la Curatela fallimentare alcun esonero di responsabilità per i danni che il bene stesso possa cagionare a terzi.
Diversamente opinando, peraltro, si perverrebbe all’illogica conseguenza di ritenere che della gestione di siffatti beni non ne risponderebbe nessuno, tenuto conto, da un lato, della scelta della Curatela di non includerli nel programma di liquidazione di cui all’art. 104 ter L.F. e, dall’altro, della impossibilità giuridica ed, al tempo stesso, pratica per la società fallita di adempiere alle attività di custodia e mantenimento in assenza di qualsivoglia risorsa economica, essendo l’intero patrimonio sociale acquisito all’attivo fallimentare da liquidare in favore dei creditori.
Deve, dunque, alla luce delle considerazioni che precedono, trovare conferma il principio di diritto, formulato dalla citata decisione del CGARS, secondo cui la scelta della Curatela di non procedere alle attività di liquidazione di un bene non equivale ad un atto di abbandono del bene stesso, non potendo produrre l’effetto di estrometterlo dalla sfera giuridica del debitore che ne sia titolare.
Più in generale e in relazione a fattispecie diverse ma a questa assimilabili, occorre rilevare che, secondo il diritto eurounitario, i rifiuti devono essere in ogni caso rimossi, anche qualora l’attività dell’impresa cessi: il soggetto responsabile potrà essere individuato nello stesso imprenditore non fallito, oppure in colui che amministra il patrimonio fallimentare. Invero, i costi della gestione dei rifiuti vanno imputati sia al loro produttore iniziale che ai detentori del momento ed ai detentori precedenti, potendo riconoscersi l’esimente prevista all’art. 192, comma 3 del d. lgs. n. 152/2006 soltanto ed unicamente a favore di chi non sia mai stato detentore dei rifiuti e, pertanto, nei confronti, ad esempio, del proprietario incolpevole del terreno (Consiglio di Stato, sez. IV, 20 novembre 2023, n. 9928). Dunque, il costo della rimozione potrà ricadere sull’attivo fallimentare, quale conseguenza della funzione di garanzia che assume il detentore dei siti in cui siano abbandonati i rifiuti, in precedenza sede dell'impresa fallita, in conformità al principio “chi inquina paga”.
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. -OMISSIS-, esprimendo principi che vanno anche oltre la presente fattispecie, ha affermato, in maniera condivisibile, che il predetto principio generale di diritto europeo che regola la responsabilità per danno ambientale si declina (per quanto interessa in questa sede) nel senso di seguito indicato:
a) la tutela dell’ambiente ruota intorno al fondamentale cardine della responsabilità del proprietario in chiave dinamica, ossia nel senso di ritenere responsabile degli oneri di bonifica e di riduzione in pristino anche il soggetto non direttamente responsabile della produzione del rifiuto, il quale sia tuttavia divenuto proprietario e detentore dell’area o del sito in cui è presente, per esservi stato in precedenza depositato, stoccato o anche semplicemente abbandonato, il rifiuto in questione;
b) la responsabilità del proprietario del sito, in tal caso, non rinviene necessariamente la propria causa nel cd. fattore della produzione, bensì anche, eventualmente, in quello della detenzione o del possesso (corrispondenti, rispettivamente, al contenuto di un diritto personale o reale di godimento) dell’area sulla quale è oggettivamente presente il rifiuto, dal momento che grava su colui che è in relazione con la cosa l’obbligo di attivarsi per fare in modo che la cosa medesima non rappresenti più un danno o un pericolo di danno (o anche di aggravamento di un danno già prodotto);
c) la responsabilità in questione è pur sempre ascrivibile secondo i canoni classici, comuni alle tradizioni costituzionali degli Stati dell’Unione europea, alla responsabilità per il proprio fatto personale colpevole, atteso che la personalità e la rimproverabilità dell’illecito risiedono nel comportamento del soggetto che volontariamente sceglie di sottrarsi o, il che è lo stesso, di non attivarsi anche per mera negligenza, per ripristinare l’ambiente;
d) in particolare, l’accertamento del nesso di causalità si fonda non sulla regola probatoria penalistica basata sul principio dell’accertamento della responsabilità “al di là di ogni ragionevole dubbio” ma sul principio civilistico del “più probabile che non” (in questo senso, Cons. Stato, sez. IV, n. 7146 del 2017, cit.);
e) l’ignoranza delle condizioni oggettive di inquinamento in cui versa il bene non esclude la responsabilità di chi ne è successivamente divenuto proprietario;
f) la responsabilità dell’autore materiale del fatto originario generatore del danno ambientale non costituisce un’esimente né elide, tantomeno in via successiva, la responsabilità di coloro che divengono proprietari del bene o che vantano diritti o relazioni di fatto col bene medesimo.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la decisione n. 3 del 2021, ha, inoltre, affermato che «la Curatela fallimentare, che ha la custodia dei beni del fallito (…), anche quando non prosegue l’attività imprenditoriale» non può andare esente da responsabilità «lasciando abbandonati i rifiuti risultanti dall’attività imprenditoriale dell’impresa cessata». Diversamente argomentando, i costi «finirebbero per ricadere sulla collettività incolpevole, in antitesi non solo con il principio comunitario “chi inquina paga”, ma anche in contrasto con la realtà economica sottesa alla relazione che intercorre tra il patrimonio dell'imprenditore e la massa fallimentare di cui il curatore ha la responsabilità che, sotto il profilo economico, si pone in continuità con detto patrimonio».
In conclusione, alla luce delle considerazioni che precedono, deve essere confermata la legittimazione, nel caso in esame, della Curatela, posto che, pur avendo avuto, per ragioni in precedenza esposte, la disponibilità del bene per un periodo, comunque significativo, intercorrente dal 2018 sino al 2022, non ha adottato le idonee misure di prevenzione e messa in sicurezza della discarica per rifiuti urbani “Le Lamie” di Altamura con la conseguenza che eventuali atti di dismissione dei beni, anche se legittimamente adottati in base all’art. 104-ter l.f., andranno considerati come atti privatistici, non dismissivi della responsabilità di diritto pubblico.
Tale conclusione è, peraltro, coerente con i principi di diritto affermati anche in altra occasione dal Consiglio di Stato (sez. IV, 14 marzo 2022, n.1763), secondo cui rispetto al Curatore fallimentare rilevano «gli obblighi e le responsabilità di diritto pubblico, con la conseguenza che eventuali atti di dismissione dei beni, anche se legittimamente adottati in base all'art. 104-ter della legge fallimentare, andranno considerati come atti privatistici, non dismissivi della responsabilità di diritto pubblico». In definitiva, «la Curatela non può ritenersi liberata dalle responsabilità connesse alla discarica per il solo fatto di avere rinunciato a liquidarla» (cfr. Cons. Stato, sez. IV, -OMISSIS-).
Pertanto, alla luce delle considerazioni che precedono, le argomentazioni sviluppate a sostegno del primo motivo di appello non sono fondate.
Con un secondo mezzo di gravame la Curatela lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha accolto il motivo con il quale in primo grado era stata dedotta la violazione del principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi, sostenendo che il Comune avrebbe dovuto utilizzare gli strumenti giuridici forniti dal decreto legislativo n. 152/2006, segnatamente quelli previsti dagli artt. 244 e ss.
In particolare, con il ricorso di primo grado la Curatela aveva censurato l’ordinanza comunale anche per difetto dei presupposti di cui all’art. 50 del T.U.E.L.
Con l’appello, richiamandosi ad un precedente deciso dal Consiglio di Stato (n. 659 del 30.03.23, invero inconferente anche per l’assoluta peculiarità di quella vicenda), la parte appellante assume l’assenza presupposti legittimanti l’adozione dell’ordinanza per la ritenuta mancanza di una “evoluzione in negativo” dello stato del bene.
A sostegno di questa conclusione la Curatela evidenzia che il Comune di Altamura avrebbe già eseguito, come emergerebbe dalle premesse del provvedimento impugnato, una parte delle misure di prevenzione e messa in sicurezza, il che, nella prospettiva dell’appellante, scongiurerebbe il paventato rischio imminente per la salute pubblica.
Anche il secondo motivo di appello è infondato.
Con il motivo in esame la parte appellante contesta la sussistenza stessa dei presupposti per l’esercizio del potere, vale a dire la contingibilità e l’urgenza del provvedere.
Al riguardo, è agevole osservare che l’ordinanza sindacale n. 18 del 23 marzo 2022 si pone in sostanziale - e doverosa - continuità funzionale con la precedente ordinanza sindacale n. 28 del 7 maggio 2020, che aveva già ricevuto il vaglio favorevole, quanto ai presupposti sostanziali ex art. 50, comma 5 del decreto legislativo n. 267/2000, da parte della decisione del Consiglio di Stato (Sezione Quarta, -OMISSIS-, resa anche nei confronti della Curatela fallimentare).
In base all’art. 50, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000 “in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. Le medesime ordinanze sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale, in relazione all’urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti”;”.
Trattasi delle c.d. ordinanze libere o extra ordinem, le quali, come noto, sono una categoria che ha, oramai, guadagnato una ragguardevole estensione applicativa.
Per fare fronte a situazioni non fronteggiabili attraverso procedimenti tipizzati, la legge conferisce a determinate autorità poteri a contenuto indeterminato, non prestabilito dalla legge, ma rimessi alla valutazione discrezionale dell’organo amministrativo investito della gestione emergenziale.
Esse, come evidenziato dalla dottrina più autorevole, derogano non tanto al principio di nominatività, ma a quello di tipicità, ovvero al principio della predeterminazione del contenuto dei provvedimenti amministrativi.
Il carattere temporaneo delle ordinanze extra ordinem consente di ritenere che le deroghe che esse apportano anche alla legge non le fa assurgere al rango di fonti normative, ma alla categoria dell’atto amministrativo.
La Corte costituzionale (con le sentenze: 2 luglio 1956, n. 8; 27 maggio 1961, n. 26; 14 aprile 1995, n. 127) ha fissato le seguenti condizioni di “tolleranza” delle ordinanze in esame, sotto il profilo della relativa compatibilità con il principio di legalità: efficacia limitata nel tempo; adeguata motivazione; rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico; divieto di intervenire in materie coperte da riserva di legge assoluta (nelle materie soggette a riserva relativa occorre che la legge delimiti la discrezionalità dell’organo a cui il potere è stato attribuito).
In tale quadro s’inseriscono, per quanto più rileva nel presente giudizio, le ordinanze di cui all’art. 50, comma 5, del D.lgs. n. 267/2000.
In coerente applicazione di tali principi, permanendo lo stato di abbandono della discarica, il Comune ha correttamente adottato l’ordinanza extra ordinem stante “l’urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti”, con l’individuazione delle necessarie misure di prevenzione/messa in sicurezza dei luoghi, all’attualità.
Nel caso in esame, l’ordinanza contestata ha dato compiutamente conto delle vicende e delle ragioni che hanno preceduto la sua adozione, ed in particolare:
i) dello stato di grave abbandono in cui è stata lasciata la discarica dopo che la stessa ha esaurito il suo ciclo vitale ed è stata dichiarata chiusa e posta in fase di gestione post operativa;
ii) della grave e perdurante negligenza serbata dalla società proprietaria dalla -OMISSIS-. s.r.l. nel dare avvio a quest’ultima fase, anche nel periodo in cui la stessa era ancora in bonis;
iii) degli esiti dei sopralluoghi compiuti dai Carabinieri del Nucleo operativo ecologico – NOE, che hanno riscontrato una situazione di sostanziale abbandono del sito, nei periodi di tempo in cui la discarica è stata sotto la custodia dell’Autorità giudiziaria (perché il bene immobile era stato sottoposto a sequestro penale preventivo) e della Curatela fallimentare (prima della formale restituzione del bene al suo legale rappresentante, a seguito di rinuncia all’acquisizione del bene alla massa fallimentare);
Da quanto osservato discende che lo stato di abbandono in cui si è venuta a trovare la discarica - oramai esaurita e non adeguatamente gestita né dalla proprietà, né dalla Curatela fallimentare - integra il presupposto di fatto descritto dalla norma, e cioè “l’urgente necessità di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti”.
In definitiva, ad avviso della Sezione, il secondo motivo deve essere respinto.
Con un terzo mezzo di gravame la Curatela lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha rilevato che il Comune di Altamura avrebbe errato nella scelta del provvedimento da adottare, violando il principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi, poiché avrebbe dovuto pretendere l’escussione della garanzia finanziaria prestata dalla -OMISSIS-., prescritta dalla legge ai fini del rilascio dell’autorizzazione all’esercizio della discarica, anche per le attività inerenti alla fase di chiusura e post operativa dell’impianto.
Il motivo non è fondato.
La premessa, relativa al rilascio della garanzia finanziaria prestata dalla -OMISSIS-, da cui muove la Curatela nell’argomentare il motivo in esame non trova corrispondenza nelle risultanze processuali.
Come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, il Comune nega che detta garanzia sia mai stata stipulata, mentre la Curatela, da suo canto, non ha neanche allegato un principio di prova dal quale poter desumere l’esistenza di polizza alcuna.
Sul punto il Collegio ricorda che la giurisprudenza del Consiglio di Stato è costante nel ritenere che incombe sulla parte che agisce in giudizio indicare e provare specificamente i fatti posti a base delle pretese avanzate, in base al principio generale, applicabile anche al processo amministrativo, di cui agli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c..
Se è vero, infatti, che nel processo amministrativo il sistema probatorio è retto dal principio dispositivo con metodo acquisitivo degli elementi di prova da parte del giudice, è altrettanto vero che, in mancanza di una prova compiuta a fondamento delle proprie pretese, il ricorrente debba avanzare quanto meno un principio di prova perché il giudice possa esercitare i propri poteri istruttori” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 30 aprile 2020, n. 2761); la parte che agisce in giudizio, quindi, ha quanto meno per lo meno l'onere di fornire gli indizi affinché il giudice possa esercitare i propri poteri istruttori (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10 aprile 2020, n. 2374), poiché l'applicazione del principio dispositivo con metodo acquisitivo non può, comunque, mai trasformarsi in un’inversione dell'onere della prova o nella sostituzione del giudice amministrativo alla parte onerata.
In conclusione, per le ragioni esposte, l’appello principale deve essere respinto mentre l’appello incidentale tardivo va dichiarato improcedibile con conseguente conferma della sentenza appellata.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando,
- respinge l’appello principale;
- dichiara improcedibile l’appello incidentale tardivo.
Condanna la parte appellante alla rifusione delle spese di lite che liquida in complessivi € 4000,00 (quattromila), oltre accessori di legge, in favore del comune di Altamura
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 novembre 2024 con l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Neri, Presidente
Silvia Martino, Consigliere
Giuseppe Rotondo, Consigliere
Michele Conforti, Consigliere
Luigi Furno, Consigliere, Estensore