Cass. Sez. III n. 9955 del 13 marzo 2020 (UP  21 nov 2019)
Pres. Izzo Est. Reynaud Ric. Tomasi
Urbanistica.Lottizzazione abusiva quale reato a consumazione alternativa

La natura di reato a consumazione alternativa della lottizzazione abusiva consente di superare la necessità di affermare l’illegittimità dell’autorizzazione a lottizzare per parificarla alla sua mancanza e ritenere la sussistenza del reato. E’ da tempo pacifico, invero, che la contravvenzione di lottizzazione abusiva si configura come reato a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia quando manchi un provvedimento di autorizzazione, sia quando quest'ultimo sussista ma contrasti con le prescrizioni degli strumenti urbanistici, in quanto grava sui soggetti che predispongono un piano di lottizzazione, sui titolari di concessione, sui committenti e costruttori l'obbligo di controllare la conformità dell'intera lottizzazione e delle singole opere alla normativa urbanistica e alle previsioni di pianificazione


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 1° giugno 2018, la Corte d’appello di Bologna, accogliendo i gravami proposti dagli imputati avverso la sentenza con cui il Tribunale di Ferrara li aveva condannati alle pene di legge in ordine al reato previsto dall’art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (T.U.E.), li ha assolti perché il fatto non costituisce reato. La contestata lottizzazione illecita si riferiva alla realizzazione di un complesso edilizio ad uso residenziale in base ad un Piano Urbanistico Esecutivo asseritamente in contrasto con il Piano Territoriale Paesistico Regionale (P.T.P.R.), con il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (P.T.C.P.  ) e con l’art. 41 n.t.a. P.R.C. del Comune di Comacchio.

2. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale, nei confronti dei soli imputati Massimiliano Tomasi e Antonio Pini, ritenuti responsabili nelle rispettive qualità di legale rappresentante delle società committente ed esecutrice dei lavori, il primo, e, il secondo, di responsabile dell’ufficio tecnico comunale che aveva dato parere favorevole all’approvazione del P.U.E., che aveva sottoscritto, in rappresentanza del Comune, la convenzione urbanistica e che aveva poi rilasciato i successivi permessi di costruire (la sentenza non è invece stata impugnata con riguardo all’assoluzione del progettista delle opere, che pure era stato condannato in primo grado). Il ricorrente deduce la violazione degli artt. 42 e 43 cod. pen. e degli artt. 30 e 44 T.U.E. ed il vizio di motivazione in ordine a tre profili.
2.1. In primo luogo si censura la sentenza per aver ritenuto – impropriamente richiamando una decisione di legittimità – che nel caso di specie non sussistesse responsabilità perché il piano esecutivo non era macroscopicamente illegittimo. Rilevando che la lottizzazione illecita è reato a consumazione alternativa, sussistente pure quando l’autorizzazione a lottizzare esista ma contrasti con prescrizioni degli strumenti urbanistici, il ricorrente rileva come non fosse necessario affrontare il tema della macroscopica illegittimità dell’atto e della sua eventuale disapplicazione e che ciò non era appunto stato fatto dal giudice di primo grado.
2.2. In secondo luogo si lamenta che la Corte territoriale non abbia applicato l’art. 14 P.T.C.P. nella versione vigente al momento di approvazione del P.U.E. – il quale nell’area tutelata interessata non consentiva l’edificazione residenziale - erroneamente ritenendo che dovesse prevalere la previsione contenuta nel P.T.P.R., quale modificato nel 2000 e nel 2002, che, rivedendo l’iniziale divieto assoluto di edificazione recepito anche dalla pianificazione provinciale, l’aveva invece consentito in quella zona nei limiti del 40%. Secondo il ricorrente, non sarebbe qui applicabile il principio di gerarchia rispetto ai diversi livelli di pianificazione seguito dal giudice d’appello, dovendo per contro farsi applicazione – anche sulla scorta di conforme orientamento del giudice amministrativo - del principio della prevalenza delle disposizioni urbanistiche più restrittive seguito invece dal giudice di primo grado. Errato sarebbe pure il riferimento all’art. 145 d.lgs. 42 del 2004, applicabile soltanto ai piani paesistici approvati con le garanzie di cui agli artt. 143 e 156 del medesimo decreto e non già al piano regionale che viene in rilievo nel caso di specie, approvato invece secondo la disciplina della previgente legge Galasso. Né poteva essere valorizzato il fatto che, successivamente all’approvazione dell’autorizzazione a lottizzare, la Provincia avesse a sua volta modificato l’art. 14 del proprio piano territoriale, adeguandosi alle modifiche medio tempore apportate alla pianificazione regionale: da un lato, si trattava di normativa sopravvenuta, d’altro lato la nuova pianificazione provinciale aveva subordinato gli interventi ad un’istruttoria aggiuntiva che nella specie, tre anni prima, non era stata ovviamente espletata.
2.3. Da ultimo, il ricorrente censura la ritenuta insussistenza dell’elemento soggettivo, anche alla luce dell’art. 5 cod. pen. e del concetto di inevitabilità dell’ignoranza circa la sussistenza di vincoli di pianificazione da esso desumibile, rilevando che: la contravvenzione ascritta può essere commessa anche a titolo di colpa; la disciplina urbanistica, pur complessa, non era contraddittoria, né vi erano contrastanti orientamenti giurisprudenziali e doveva essere interpretata in conformità ai principi costituzionali di tutela dell’ambiente e del territorio; gli imputati, professionisti qualificati ed esperti, da anni operanti nel Comune di Comacchio, erano tenuti ad un dovere d’informazione più pregnante di quello che grava sul comune cittadino, non potevano fare affidamento sul fatto che il Consiglio comunale avesse avallato la proposta del responsabile dell’ufficio tecnico e, in caso di dubbio sulla liceità o meno della condotta, avrebbero comunque dovuto astenersi dal compierla.

3. Con memorie depositate, gli imputati Massimiliano Tomasi e Antonio Pini hanno argomentato la richiesta di declaratoria di inammissibilità del ricorso o il suo rigetto, rilevando l’assenza di specificità delle doglianze (in particolare della prima) e la correttezza in diritto della sentenza impugnata, sia nel ritenere prevalente la disciplina della pianificazione regionale su quella provinciale – ricavabile anche da elementi sui quali il ricorrente non si è in alcun modo soffermato - sia nel ritenere comunque insussistente l’elemento soggettivo colposo in capo agli imputati.

CONSIDERATO IN DIRITTO
 
1. Il primo motivo di ricorso svolge argomentazioni corrette in diritto, ma è inammissibile per genericità.
E’ condivisibile, di fatti, il rilievo secondo cui la natura di reato a consumazione alternativa della lottizzazione abusiva consente di superare la necessità di affermare l’illegittimità dell’autorizzazione a lottizzare per parificarla alla sua mancanza e ritenere la sussistenza del reato. E’ da tempo pacifico, invero, che la contravvenzione di lottizzazione abusiva si configura come reato a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia quando manchi un provvedimento di autorizzazione, sia quando quest'ultimo sussista ma contrasti con le prescrizioni degli strumenti urbanistici, in quanto grava sui soggetti che predispongono un piano di lottizzazione, sui titolari di concessione, sui committenti e costruttori l'obbligo di controllare la conformità dell'intera lottizzazione e delle singole opere alla normativa urbanistica e alle previsioni di pianificazione (Sez.  U, n. 5115 del 28/11/2001, Salvini, Rv. 220708; Sez.  3, n. 33051 del 10/05/2017, Puglisi e aa., Rv. 270645). Ad avviso del Collegio, la decisione di legittimità richiamata dalla sentenza impugnata (Sez.  4, n. 38610 del 20/07/2017, Comune di Sperlonga e a., Rv. 270931, secondo cui, in materia edilizia, ai fini della configurabilità del reato di lottizzazione abusiva non è sufficiente che l'atto concessorio sia meramente illegittimo per mancato rispetto delle norme che regolano l'esercizio del potere, ma è necessario che esso sia illecito, perché frutto dell'attività criminosa del soggetto che lo rilascia, o viziato da illegittimità macroscopica per contrarietà a norme imperative, tale da potersi ritenere sostanzialmente inesistente), non è condivisibile perché applica alla contravvenzione di lottizzazione abusiva parametri interpretativi elaborati con riguardo al diverso reato di costruzione sine titulo, senza considerare che la fattispecie delineata dall’art. 30 T.U.E. (e punita dall’art. 44, comma 1, lett. c) è diversa da quella della costruzione in assenza di permesso di costruire. Anche per tale ultimo reato, i principi affermati dalla decisione richiamata sono stati peraltro decisamente superati dalla più recente giurisprudenza di questa Corte: Sez. 3, n. 49687 del 07/06/2018, Bruno e a., n.m.; Sez. 3, n. 56678 del 21/09/2018, Iodice e aa, Rv. 275565; Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, dep. 2019, Cerra Srl, Rv. 275850; Sez.  3, n. 12389 del 21/02/2017, Minosi, Rv. 271170.
1.1. Ciò nondimeno, la prima doglianza è priva di specificità perché la sentenza impugnata non si ferma al rilievo circa l’insussistenza di una macroscopica illegittimità dell’autorizzazione a lottizzare, ma svolge ulteriori argomentazioni che diversamente sorreggono il decisum e che – come di seguito immediatamente si dirà – non sono censurabili.
Il primo motivo di ricorso, dunque, è inammissibile per difetto di specificità, con violazione dell’art. 581 cod. proc. pen., vizio che ricorre quando si tratti della critica di una sola delle rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove siano entrambe autonome ed autosufficienti (Sez.  3, n. 2754 del 06/12/2017, dep. 2018, Bimonte, Rv. 272448;  Sez. 3, n. 30021 del 14/07/2011, F., Rv. 250972; Sez. 3, n. 30013 del 14/07/2011, Melis e Bimonte, non massimata).

2. Il secondo motivo di ricorso non è fondato.
Quanto ai rapporti tra P.T.P.R. e P.T.C.P., va innanzitutto ricordato che già la normativa previgente al d.lgs. 42/2004 – sulla base della quale era avvenuta la modifica del P.T.P.R. nel 2000 e nel 2002 - prevedeva norme analoghe a quelle oggi vigenti quanto: al compito attribuito alle regioni di sottoporre a specifica normativa d’uso e di valorizzazione ambientale il territorio mediante la redazione di piani territoriali paesistici (art. 149 d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490); al vincolo per il piano regolatore generale e gli altri strumenti urbanistici di conformarsi alle previsioni dei medesimi piani regionali (art. 150, comma 2, d.lgs. 490/1999).
Anche alla luce di tale vincolo, reputa il Collegio che l’assoluta identità – addirittura verificabile alla lettera - tra l’art. 14 P.T.C.P. e l’art. 14 P.T.P.R. era da interpretarsi quale volontà della Provincia di conformarsi integralmente alla pianificazione regionale, essendosi sostanzialmente inteso operare un rinvio materiale (o recettizio) al contenuto di detta normativa. Non trattandosi di rinvio formale, ad eventuali modifiche operate alla pianificazione regionale sarebbero però dovute seguire – come poi di fatto è avvenuto nel 2008 – modifiche alla pianificazione provinciale.
2.1. In secondo luogo, occorre rilevare che l’art. 145, comma 3, d.lgs. 42/2004 era certamente vigente ed operante quando, nel 2005, fu approvato il piano di lottizzazione e lo stesso disponeva – per quanto qui interessa -  che «le previsioni dei piani paesaggistici…sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici».
Ad avviso del Collegio, la disposizione codifica proprio quel principio di gerarchia che la sentenza impugnata ha affermato.
Esso non implica che le previsioni della pianificazione sottordinata non possano – consapevolmente e seguendo le prescritte procedure  - prevedere disposizioni più restrittive di quelle contenute nei piani paesaggistici (sicché non rileva la condivisibile giurisprudenza amministrativa, evocata dal ricorrente, che tale principio afferma), ma la sentenza attesta che, nel caso di specie, ciò non poteva ritenersi avvenuto, come dimostrato: dalla genesi dell’art. 14 P.T.C.P. e dalle sue modifiche, sempre avvenute in conformità alla corrispondente disposizione del P.T.P.R. (le poche divergenze segnalate dal ricorrente, peraltro in modo generico, non inducono in contrario avviso); dal fatto che, dopo la modifica della pianificazione regionale effettuata, nonostante l’obbligo di adeguamento, nel biennio stabilito dall’art. 43, comma 1, l.r. 24 marzo 2000, n. 20 non è intervenuta alcuna modifica. L’art. 14 P.T.C.P., dunque,  ben poteva essere stato ritenuto tacitamente sostituito dal P.T.P.R. in forza del principio di cui all’art. 145, comma 3, d.lgs. 42/2004, come peraltro attestato dalla prassi amministrativa quale ad es. ricavabile, oltre che dal piano di lottizzazione nella specie approvato dal consiglio comunale, dal parere reso in data 20 marzo 2008 dal responsabile del servizio affari generali, giuridici e programmazione finanziaria della Regione Emilia Romagna su quesito formulato dal dirigente del servizio di pianificazione territoriale della Provincia di Piacenza (all. 1 alla memoria difensiva prodotta nell’interesse dell’imputato Pini).

3. Anche a voler prescindere dalla sua correttezza, l’interpretazione del dato normativo da ultimo delineata – sostanzialmente confermata, ex post, anche dalla formale modifica del P.T.C.P. – non era comunque suscettibile di rimprovero a titolo di colpa, sicché è infondato anche il terzo motivo di ricorso. Quand’anche non si condividesse l’opzione interpretativa più sopra argomentata, diversamente da quanto opinato dal ricorrente, la tesi non sarebbe certo predicabile di erroneità, essendo ben sostenibile alla luce delle previsioni di legge che il Collegio ha qui inteso valorizzare. Sussisterebbe senz’altro, dunque, quell’inevitabile ignoranza della legge penale che, per l’art. 5 cod. pen. – così come riscritto a seguito della declaratoria di parziale illegittimità costituzionale pronunciata con sent. Corte cost. 24 marzo 1988, n. 364 – ne esclude l’inescusabilità.
 La sentenza impugnata ha pertanto fatto comunque buon governo di tale disposizione e non sussiste la dedotta violazione della disciplina (artt. 42 e 43 cod. pen.) che regola l’imputazione soggettiva dei reati contravvenzionali.
3.1. A quest’ultimo proposito, va per completezza aggiunto come il ricorrente non contesti che, una volta ritenuta l’applicabilità dell’art. 14 P.T.P.R. come modificato, questa previsione sia stata rispettata, non contestandosi la correttezza dell’interpretazione data dalla sentenza impugnata alla questione sulla conformità dell’attività autorizzata alle previsioni degli strumenti urbanistici comunali, trattandosi di lotto non intercluso. Questa questione – con particolare riguardo al rispetto degli artt. 11, comma 4, e 41 n.t.a. al PRG circa il tema della dislocazione delle aree da destinare a servizi – riguarda del pari l’ignoranza scusabile di disposizioni integratrici del precetto penale, tale essendo stata ritenuta dalla sentenza impugnata, ma sul punto il ricorrente non ha mosso alcuna contestazione, sicché, trattandosi di questione non devoluta in ricorso, non mette conto su di essa soffermarsi.

4. Il ricorso del procuratore generale, complessivamente infondato, va pertanto rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.
Così deciso il 21 novembre 2019.