Consiglio di Stato, Sez. V, n. 4773, del 26 settembre 2013
Rifiuti.Legittimità ordinanza per l’esecuzione d’ufficio con onere a carico della società dei lavori di bonifica e ripristino ambientale.
E’ legittima l’ordinanza, del Sindaco che aveva disposto l’esecuzione d’ufficio con onere a carico della società, dei lavori di bonifica e ripristino ambientale delle aree di proprietà della società occupate da uno stabilimento produttivo dismesso già adibito alla produzione di furfurolo (aldeide ottenuta dalla distillazione di vegetali e utilizzata come solvente specie nell’industria petrolifera) e interessato dalla presenza di fusti interrati contenenti residui della distillazione del furfurolo, sostanze classificabili come rifiuti speciali tossici – nocivi. E’ indubbio che la società non ha manifestato alcuna seria intenzione di provvedere al disinquinamento dell’area e, quindi non può fondatamente dolersi di non essere stata interpellata in merito a fatti e circostanze (la volontà di adempiere spontaneamente) che all’esito del giudizio sono risultate insussistenti. Analoghe considerazioni valgono in relazione all’asserito omesso confronto tra amministrazione e privato sulle modalità e il dimensionamento degli interventi di bonifica “anche alla luce delle risultanze peritali del procedimento penale”, essendo emersi nel giudizio fenomeni di contaminazione dell’area di caratteristiche e vastità significativamente più gravi di quelle emerse davanti al giudice ordinario. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 04773/2013REG.PROV.COLL.
N. 10739/2000 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10739 del 2000, proposto da:
Comune di Valle Lomellina, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Graziano Lissandrin e Marco Luigi di Tolle, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Alfredo Codacci Pisanelli in Roma, via Claudio Monteverdi, 26;
contro
S.I.F. s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Loriana Zanuttigh e Franco Gaetano Scoca, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Franco Gaetano Scoca in Roma, via G. Paisiello, 55;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – MILANO, SEZIONE I n. 5606/2000, resa tra le parti, concernente lavori di bonifica e ripristino ambientale;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 giugno 2013 il Consigliere Doris Durante;
Uditi per le parti gli avvocati Alfredo Codacci Pisanelli per delega dell’avv. Lissandrin e l’avv. Scoca;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- Il TAR Lombardia con sentenza n. 5606 del 14 settembre 2000 accoglieva il ricorso proposto da S.I.F. s.r.l. e per l’effetto annullava l’ordinanza n. 2 dell’8 aprile 1999 del Sindaco del Comune di Valle Lomellina.
Con la suddetta ordinanza, il Sindaco di Valle Lomellina aveva disposto l’esecuzione d’ufficio con onere a carico della S.I.F. s.r.l. dei lavori di bonifica e ripristino ambientale delle aree di proprietà della società occupate da uno stabilimento produttivo dismesso già adibito alla produzione di furfurolo (aldeide ottenuta dalla distillazione di vegetali e utilizzata come solvente specie nell’industria petrolifera) e interessato dalla presenza di fusti interrati contenenti residui della distillazione del furfurolo, sostanze classificabili come rifiuti speciali tossici – nocivi.
Il TAR riteneva fondata e assorbente la censura dedotta dalla società ricorrente relativa alla mancata comunicazione di avvio del procedimento di esecuzione d’ufficio degli interventi di bonifica in danno della società tenuta a sopportarne gli oneri.
Secondo il TAR, tutte le questioni che la società ricorrente aveva dedotto nel giudizio e tradotto in corrispondenti censure di legittimità, dovevano essere dibattute in ambito procedimentale, a ciò essendo preordinata la comunicazione di cui all’art. 7 della l. n. 241 del 1990, la cui essenziale funzione è appunto quella di assicurare il contraddittorio nel procedimento prima che nel processo, al duplice scopo di favorire la formazione di provvedimenti ponderati (e possibilmente concordati) e di prevenire perciò stesso eventuali ragioni di contenzioso.
2.- Il Comune di Valle Lomellina con l’atto in esame ha proposto appello per l’annullamento o la riforma della suindicata sentenza, di cui assume l’erroneità non avendo il TAR considerato la comunicazione del febbraio 1999, recante avviso di avvio del procedimento e la sussistenza delle ragioni di celerità e urgenza che comunque ne avrebbero giustificato l’eventuale omissione.
Si è costituita in giudizio la società S.I.F. s.r.l. che ha chiesto il rigetto dell’appello ed ha riproposto le censure dedotte in primo grado ed assorbite in sentenza.
Le parti hanno depositato memorie difensive e di replica ed alla pubblica udienza del 18 giugno 2013, precisate le conclusioni nei termini di cui agli atti difensivi, il giudizio è stato assunto in decisione.
3.- L’appello è fondato e va accolto.
4.- La vicenda in questione prende avvio da verificazioni eseguiti dall’azienda sanitaria locale di Vigevano, che accertava la presenza nell’area di proprietà della società S.I.F. s.r.l. sita nel Comune di Valle Lomellina, di ingentissime quantità di materiali classificabili rifiuti speciali tossico – nocivi.
Seguivano due ordinanze del Sindaco di Valle Lomellina: l’ordinanza n. 20 del 1995, con cui si imponeva alla società S.I.F. di predisporre un progetto di bonifica e recupero ambientale dell’area, nonché di bonifica e risanamento della falda acquifera sottostante; l’ordinanza n. 12 del 17 dicembre 1996, con cui si imponeva alla società di iniziare entro dieci giorni la bonifica, il recupero e il risanamento dell’area e della falda, riservandosi di procedere d’ufficio alla scadenza del termine assegnato.
Da ultimo, con il provvedimento all’esame (ordinanza n. 2 del 1999), il Comune, stante la perdurante inattività della società, dopo aver provveduto all’approvazione dei progetti esecutivi e all’appalto dei lavori, disponeva l’esecuzione d’ufficio delle opere di bonifica e ripristino ambientale, con oneri a carico della società.
4.1- Assume il Comune con il primo motivo di appello che erroneamente il TAR avrebbe ritenuto che non fosse stato data comunicazione di avvio del procedimento d’esecuzione d’ufficio degli interventi di bonifica.
La censura è fondata.
Il giudice di primo grado non si è avveduto dell’esistenza della comunicazione formulata a febbraio del 1999, atto peraltro impugnato dalla società con motivi aggiunti.
Vero che l’avvio del procedimento precedeva di poco il provvedimento di esecuzione d’ufficio, ma i termini ridotti si imponevano per ragioni di urgenza.
4.2- Invero il giudice di primo grado ha ritenuto insussistenti le ragioni di celerità e urgenza ipotizzate dal Comune nell’emettere il provvedimento di esecuzione d’ufficio, probabilmente in relazione al lungo protrarsi nel tempo del procedimento, contrassegnato da più ordinanze rimaste inevase.
Sennonché contrariamente a quanto si assume in sentenza, dalle risultanze istruttorie emergono univoci elementi che dimostrano l’indilazionabilità dell’intervento della pubblica amministrazione, essendosi accertata la presenza di un grandissimo numero di fusti interrati enormemente superiore a quello dei fusti messi in sicurezza.
I fusti, come risulta dalla relazione peritale depositata agli atti, erano sottoposti a un processo di corrosione differenziato da zona a zona in relazione alla mutevole composizione dei terreni, che avrebbe comportato la perforazione dei fusti e la conseguente dispersione nell’ambiente del materiale inquinante contenuto nei fusti.
Vi era inoltre la presenza in loco di un’enorme quantità di polveri inquinanti contenenti metalli pesanti.
Quindi, il fenomeno in atto di dispersione degli elementi tossici, integrava senza ombra di dubbio quei profili di urgenza da risultare incompatibili con le tempistiche e le procedure di cui all’art. 7 della l. n. 241 del 1990.
La società, peraltro, era a conoscenza da tempo dello stato dei luoghi e dell’obbligo di provvedere alla bonifica dell’area (si è già detto che la comunicazione del febbraio 1999 seguiva ad una serie di ordinanze con le quali il Comune intimava alla società di predisporre un progetto di bonifica dell’area e di recupero ambientale e di risanamento della falda acquifera e di avviare lavori di bonifica entro 10 giorni, con avviso che in difetto si sarebbe provveduto d’ufficio).
Sotto altro profilo va considerato che, stante l’obbligo riveniente dall’articolo 17 del d. lgs. n. 22 del 1997 in base al quale “qualora i responsabili non provvedano o no siano individuabili, gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica, di ripristino ambientale sono realizzati dal Comune territorialmente competente..”, a fronte dell’inadempimento del proprietario dell’area, il Comune era tenuto a provvedere d’ufficio.
4.3- La doverosità del comportamento del Comune evidenzia l’erroneità della sentenza del giudice di primo grado anche laddove assume che l’amministrazione, una volta preso atto del mancato adempimento del privato alla precedente ordinanza che imponeva la bonifica, avrebbe dovuto garantire la partecipazione del privato ad ogni successiva fase sub procedimentale mirata alla realizzazione d’ufficio dei necessari interventi.
Infatti, il proprietario interessato ex art. 17 del d. lgs. n. 22 del 1997 è pienamente a conoscenza della pendenza del procedimento applicativo delle misure di cui alla normativa suddetta, nel caso in cui abbia ricevuto e impugnato la prima ordinanza di ripristino nei confronti della quale è rimasto inadempiente.
Ne consegue che pur in assenza di specifici atti di comunicazione di avvio di ogni e successiva fase del medesimo procedimento, il raggiungimento dello scopo di cui alla disciplina invocata è raggiunto, sicché il soggetto interessato, a conoscenza della pendenza del procedimento, può ben attivarsi per la partecipazione procedimentale.
In conclusione, poiché per legge, all’inerzia del privato, segue inevitabilmente e senza margini di discrezionalità la successiva fase d’iniziativa della pubblica amministrazione, non v’è necessità alcuna che di tale circostanza sia notiziato un soggetto che sulla base del mero dato normativo, può sapere, usando la normale diligenza, che dalla sua scelta di non adempiere all’intimazione in precedenza ricevuta, deriverà quale conseguenza indefettibile, lo svolgimento d’ufficio dei necessari interventi.
Peraltro, è ius quesitum che l’omissione della comunicazione non inficia il procedimento, quando questo non avrebbe potuto avere altro esito e la violazione dell’obbligo formale di comunicazione, non priverebbe l’amministrazione del potere o addirittura del dovere di adottare un nuovo provvedimento di identico contenuto, anche in relazione alla decorrenza dei suoi effetti giuridici (Cons. Stato, sezione IV, 17 settembre 2012, n. 4925; 18 aprile 2012, n. 2286).
4.4.- Si assume in sentenza che la comunicazione di cui all’articolo 7, era “…tanto più necessaria in quanto occorreva valutare, in contraddittorio con la ricorrente, sia la sussistenza del presupposto dell’esecuzione d’ufficio…sia le modalità e il dimensionamento degli interventi di bonifica, anche alla luce delle risultanze peritali del procedimento penale”.
Secondo il TAR, era da verificare la stessa sussistenza di una inadempienza addebitabile alla società proprietaria, in considerazione del fatto che entrambe le ordinanze rimaste ineseguite (n. 20/95 del 5 settembre 1995 e n. 12/96 del 17 dicembre 1996) erano posteriori al sequestro penale dell’area disposto il 13 maggio 1995 e protrattosi sino al 29 gennaio 1999, data del dissequestro contestuale alla sentenza di assoluzione dell’imputato. Erano da verificare anche la permanenza della necessità di procedere all’esecuzione, nonostante il tempo trascorso e gli eventi sopravvenuti (messa in sicurezza dei fusti rinvenuti, risultanze peritali, ecc.) e l’estensione e le modalità dell’intervento di bonifica, i cui costi gravano sul proprietario del sito inquinato.
Gli assunti del TAR non possono essere condivisi.
Quanto alla preclusione dell’accesso all’area oggetto di sequestro è argomento privo di consistenza, potendo l’interessato richiedere autorizzazione all’autorità giudiziaria al fine di progettare o attuare interventi di bonifica su siti inquinati, così come ha fatto l’amministrazione comunale.
Peraltro, l’inerzia della società S.I.F. si è manifestata in relazione a tutti gli incombenti previsti dalle precedenti ordinanze anche con riferimento alle attività di tipo descrittivo e pianificatorio che non richiedevano l’accesso fisico al sedime contaminato.
E’ indubbio che la società non ha manifestato alcuna seria intenzione di provvedere al disinquinamento dell’area e, quindi non può fondatamente dolersi di non essere stata interpellata in merito a fatti e circostanze (la volontà di adempiere spontaneamente) che all’esito del giudizio sono risultate insussistenti.
Analoghe considerazioni valgono in relazione all’asserito omesso confronto tra amministrazione e privato sulle modalità e il dimensionamento degli interventi di bonifica “anche alla luce delle risultanze peritali del procedimento penale”, essendo emersi nel giudizio fenomeni di contaminazione dell’area di caratteristiche e vastità significativamente più gravi di quelle emerse davanti al giudice ordinario.
Per quanto detto, non possono condividersi le argomentazioni del giudice di primo grado, incentrate su aspetti meramente formali delle norme sul procedimento, sicché la sentenza deve essere riformata.
4.5- Quanto agli ulteriori motivi del ricorso di primo grado, non esaminati in sentenza e riproposti dalla società appellata, sono parimenti infondati.
4.5.1- La società lamentava, in particolare, la omessa considerazione da parte dell’amministrazione degli esiti della consulenza penale e lamentava che le conclusioni fatte proprie dal Comune sarebbero state fuorviate da una sopravalutazione del pregiudizio effettivamente esistente, anche in considerazione “della messa in sicurezza dei fusti tossici” e della asserita “inertizzazione” dei residui presenti nel sito.
La perizia disposta dal giudice penale aveva finalità differenti (individuazione del metodo di smaltimento dei rifiuti e individuazione del fatto di reato) dall’accertamento disposto dall’amministrazione al fine di valutare l’effettiva dimensione del problema.
Il perito nominato nel giudizio penale, vincolato a mantenere la propria analisi nei limitati confini dei quesiti formulati, ha omesso verifiche quali il carotaggio della zona e la rilevazione magnetica della presenza dei fusti sepolti, fornendo una rappresentazione dei fatti parziale, strettamente funzionale al vaglio penale, ma del tutto inidonea a individuare i reali termini del problema e le soluzioni praticabili.
Quanto alla polimerizzazione delle sostanze inquinanti, l’asserito effetto riparatore dovuto alla inertizzazione, non considera che essa si realizza esclusivamente in presenza di ossigeno, condizione che non si produce nei fusti sigillati e interrati, di cui, in fin dei conti, è confessata la presenza nel sito.
4.5.2- Ugualmente non ha pregio per le considerazioni già espresse, l’asserita carenza di urgenza dell’intervento in una situazione stazionaria da un decennio, in cui le ordinanze del 1995 e del 1996 non avrebbero avuto seguito per anni, attesa l’urgenza già evidenziata di processi corrosivi in atto dei fusti sepolti, diversificati a secondo dell’area di interramento e della aggressività delle sostanze presenti nel suolo (anche la perizia penale rilevava fenomeni corrosivi collocabili a partire dall’anno 1994 in piena evoluzione peggiorativa), sicché perdurando invariata la situazione non avrebbe potuto che aggravarsi, portando alla dispersione del materiale inquinante nell’ambiente.
4.5.3- Sulla presunta violazione dell’art. 38, secondo comma della l. n. 142 del 1990 e dell’articolo 217 del regio decreto n. 1285 del 1934 in relazione alla ineseguibilità delle ordinanze emesse negli anni 1995 – 96, la società non considera che la prima ordinanza richiedeva la predisposizione di piano di bonifica, che non richiedeva per l’adempimento l’accesso all’area e che comunque ben poteva ottenere autorizzazione dal giudice penale per procedere al disinquinamento.
4.5.4- Sulla presunta violazione degli articoli 12, 17 comma 9 del d. lgv. n. 22 del 1997 e dell’art. 31 bis della l. regionale 7 giugno 1980, n. 94 e dell’art. 38 della l. n. 142 del 1990, con riferimento alla messa in sicurezza dei fusti, il numero dei fusti messi in sicurezza è talmente esiguo rispetto a quelli interrati sicché la situazione rappresentata dalla società è ben lontana dalla realtà.
4.5.5- Infondata è anche la censura di violazione dell’art. 71 della l. n. 1359 del 1965 per incompetenza del sindaco.
L’art. 14 del decreto Ronchi conferma la corretta individuazione nell’organo di vertice dell’amministrazione comunale quale soggetto competente ad adottare il provvedimento impugnato (Cons. Stato, sezione quinta, 27 marzo 2009, n. 1826).
Per i motivi esposti l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, deve essere respinto il ricorso di primo grado della società S.I.F. s.r.l.
Le spese di giudizio possono essere equamente compensate tra le parti in causa.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie l 'appello e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:
Manfredo Atzeni, Presidente FF
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Doris Durante, Consigliere, Estensore
Antonio Bianchi, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/09/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)