Consiglio di Stato, Sez. VI n. 6208 del 4 dicembre 2012
Rifiuti.Tariffa rifiuti, legittimità sistema presuntivo per attività alberghiera

E’ legittimo che l’amministrazione comunale applichi il metodo ‘normalizzato’, e dunque il sistema presuntivo, per le fasce di utenza ‘domestiche’ e ‘non domestiche’ (ai sensi del d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, regolamento recante norme per l’elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani). Inoltre, non è irragionevole ritenere che un albergo con ristorante possa produrre rifiuti in quantità cinque volte superiore rispetto a quelli prodotti dalle utenze domestiche, in considerazione delle caratteristiche dell’attività alberghiera. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 06208/2012REG.PROV.COLL.

N. 09937/2010 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9937 del 2010, proposto da Federalberghi Prato, Art Hotel srl, Milano Ellebi srl, Rimc Prato Palace Hotel srl, Flora Hotel sas, Hotel Datini, Hotel San Marco, Hotel Giardino rappresentati e difesi dagli avv. Mario Tonucci e Alberto Fantini, con domicilio eletto presso Tonucci & Partners Studio Legale in Roma, via Principessa Clotilde, 7;

contro

Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, Ministero delle attività produttive, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Comune di Prato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Marcello Clarich, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza del Popolo, 18;
ASM - Ambiente servizi mobilità spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Mauro Giovannelli, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

nei confronti di

Lanificio Caverni & Gramigni Spa, Mariella Chierineschi, non costituiti in giudizio;

per la riforma della sentenza del tribunale amministrativo regionale per il lazio, sezione ii bis, n. 11292/2010.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, del Ministero delle attività produttive, del Comune di Prato e dell’ASM (Ambiente servizi mobilità) spa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del giorno 4 maggio 2012 il consigliere Andrea Pannone e uditi per le parti l’avv.to dello Stato Pio Marrone, l’avv.to Vincenzo Ravone per delega dell’avv.to Fantini, l’avv.to Chiara Carli per delega dell’avv.to Clarich e l’avv.to Michele Damiani per delega dell’avv.to Giovannelli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. Con il d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, è stato emanato il regolamento recante norme per l’elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani.

Il consiglio comunale di Prato, con la delibera n. 42 del 31 marzo 2005, ha approvato la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani.

La giunta comunale ha poi emanato delibere riguardanti le tariffe.

2. Col ricorso n. 6279 del 2005 (proposto al TAR per il Lazio e integrato da motivi aggiunti), la appellanti hanno impugnato gli atti sopra citati (specificamente indicati anche nell’atto di appello) e ne hanno chiesto l’annullamento.

Il TAR, con la sentenza n. 11282 del 2010, ha dichiarato inammissibile il ricorso, rilevando la tardività delle censure proposte contro il d.P.R. n. 158 del 1999 e la mancata notifica ad almeno un controinteressato.

2. Con il gravame in esame, le appellanti hanno chiesto che – in riforma della sentenza del TAR – il ricorso di primo grado sia dichiarato ammissibile e fondato, col conseguentemente annullamento degli atti impugnati, nei limiti del loro interesse.

3. Dopo aver richiamato i fatti che hanno condotto al secondo grado del giudizio, col primo motivo le appellanti hanno dedotto che il TAR ha erroneamente dichiarato inammissibile il ricorso originario, in quanto non ha tenuto conto della pacifica giurisprudenza sulla insussistenza di un interesse attuale alla impugnazione di disposizioni regolamentari, rispetto alla quale neppure sono configurabili controinteressati.

Ritiene la Sezione che tali censure siano fondate e vanno accolte.

Per la pacifica e risalente giurisprudenza, le disposizioni regolamentari, per il loro carattere generale e astratto, sono impugnabili unicamente quando è emanato un provvedimento applicativo: solo allora diventa attuale l’interesse a ricorrere contro la disposizione regolamentare.

Un’eccezione si può avere quando un regolamento direttamente vieta un’attività materiale o lo svolgimento di un’attività lavorativa (ben potendo l’interessato impugnare la disposizione che rende illecita una propria attività, esponendola a successivi atti sanzionatori), ma nella specie – trattandosi di disposizioni regolamentari concernenti l’esercizio del potere comunale di determinare le tariffe in materia di gestione di rifiuti – è evidente che le appellanti sono divenute titolari dell’interesse a contestare la normativa statale solo quando il Comune appellato vi ha dato applicazione.

Pure insussistente risulta l’ulteriore ragione posta dal TAR a base della propria dichiarazione di inammissibilità (cioè la mancata notifica del ricorso almeno ad ‘un utente del servizio rifiuti’), sia perché non emerge come gli utenti del servizio possano davvero risultare controinteressati sostanziali, sia perché - comunque - quando è impugnata una norma secondaria, generale e astratta, per definizione non sono ipotizzabili controinteressati.

4. Passando alle censure riproposte con l’atto di appello, esse risultano infondate e vanno respinte.

Le appellanti hanno reiteratamente dedotto l’omessa pronuncia del TAR sulle censure proposte e la sussistenza di vari profili di eccesso di potere, con riferimento al ‘metodo normalizzato’ disciplinato dal regolamento statale per le utenze non domestiche, nei Comuni ‘non ancora organizzati’, laddove prevede il sistema ‘presuntivo’, per determinare la misura della ‘tariffa di igiene ambientale’.

Esse hanno lamentato (sia pure con un ordine diverso di esposizione):

- l’illegittimità delle norme statali sul sistema ‘t.i.a.’, per vari profili di eccesso di potere (illogicità, manifesta ingiustizia, mancanza di motivazione) e per contrasto con i principi comunitari sulla tutela dell’ambiente e in particolare ‘qui inquina paga’, dando rilevanza solo alla superficie, senza operare alcun riferimento alla quantità dei rifiuti prodotti e al servizio offerto;

- l’illegittimità derivata degli atti comunali di determinazione delle tariffe, che hanno applicato il sistema con il ‘coefficiente al massimo’ per gli alberghi con ristorante, nonché l’illegittima per contrasto con la legge regionale n. 70 del 1999.

In particolare, le appellanti lamentano che l’amministrazione comunale ha applicato il metodo ‘normalizzato’, e dunque il sistema presuntivo, per le fasce di utenza ‘domestiche’ e ‘non domestiche’, senza tenere conto della corrispondenza tra la realtà dei costi di smaltimento ed il sistema tariffario, anche in violazione del decreto legislativo n. 22 del 1997.

In tal modo, la tariffa sarebbe stata trasformata in una imposta, tenuto conto del fatto che gli alberghi produrrebbero ‘minime quantità di rifiuti urbani’ e anche una ‘minore qualità’, in ragione della tipologia dei rifiuti stessi (ad avviso delle appellanti, soprattutto la carta e i prodotti di igiene personale).

Inoltre, in violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 e dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000, mancherebbe una adeguata motivazione a base degli atti impugnati, che sarebbe stata ancor più necessaria perché sono state presentate memorie nel corso del procedimento amministrativo posto in essere dal Comune.

È lamentata altresì una disparità di trattamento rispetto a categorie trattate più favorevolmente (ad es., i parrucchieri, i falegnami, gli artigiani con produzione di beni, ecc.).

Sarebbe altresì mancata una ‘articolazione’ delle tariffe a livello territoriale, in considerazione della densità abitativa, della frequenza e della qualità dei servizi.

Inoltre, il piano finanziario – che comunque difetterebbe dell’elemento essenziale della indicazione dei ‘livello di qualità del servizio’ - doveva essere approvato dalla società mista (s.p.a. ASM) che si occupa della gestione dei rifiuti e non dal Comune.

E se anche sussistesse la competenza del Comune, doveva esservi una delibera del consiglio comunale e non della giunta, che non poteva disciplinare le deduzioni e le agevolazioni. Peraltro, la giunta avrebbe dovuto anche tenere conto di una diffida e delle osservazioni delle appellanti, prima di provvedere.

5. Così sintetizzate le articolate censure delle appellanti, esse risultano tutte infondate e vanno respinte.

L’art. 6 del d.P.R. n. 158 del 1999, sul ‘calcolo della tariffa per le utenze non domestiche’, consente la possibilità di applicare un sistema presuntivo per determinare la quota variabile della tariffa, che si ottiene come ‘prodotto del costo unitario per la superficie dell’utenza per il coefficiente di produzione’.

Il coefficiente di produzione è il ‘coefficiente potenziale in kg/mq anno che tiene conto della quantità di rifiuto minima e massima connessa alla tipologia di attività’.

Tale normativa statale è conforme alla normativa comunitaria, come rilevato dalla sentenza della Corte di Giustizia 16 luglio 2009, in C-254-08, secondo cui il diritto comunitario non impone agli Stati membri un metodo preciso quanto al finanziamento del costo dello smaltimento dei rifiuti urbani, anche perché ‘è spesso difficile, persino oneroso, determinare il volume esatto di rifiuti urbani conferito da ciascun detentore’.

A sua volta, il Comune di Prato ha applicato legittimamente il criterio fissato nell’art. 6 del regolamento statale, individuando il coefficiente all’interno della fascia indicata nella tabella 4 per i Comuni con più di 5.000 abitanti, e precisando i diversi coefficienti di 12,31 e di 9,39, rispettivamente, per gli alberghi con o senza ristorazione.

Già il piano finanziario approvato con la delibera del consiglio comunale n. 41 del 2005 aveva fissato i costi fissi e quelli variabili, sia delle utenze domestiche che di quelle non domestiche, in tal modo articolando tutti i dati numerici (che costituiscono la vera motivazione delle scelte degli organi comunali), alla luce del principio della copertura dei costi per i servizi di smaltimento dei rifiuti attraverso la tariffa, sancito dall’art. 49, comma 2, del d.lg. n. 22 del 1997.

Non rileva. sotto tale profilo, la legge regionale n. 25 del 1998 (sicché non occorre verificare se essa abbia effettivamente introdotto regole diverse da quelle contenute nella normativa secondaria statale), poiché il d.P.R. n. 158 del 1999 – emesso prima della modifica del titolo V della Costituzione, avutasi nel 2001 – è stato emesso nell’esercizio del potere statale di determinazione delle tariffe del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani (potere esercitato dopo aver sentito la Conferenza Stato-Regioni).

Neppure risultano fondati tutti i dedotti profili di eccesso di potere, rispetto alla attribuzione al costo domestico della percentuale del 45% e al costo non domestico la percentuale del 55%, nonché alla previsione della tariffa di euro 6,66 per mq per gli alberghi con ristorante e di 5,07 per gli alberghi senza ristorante.

Sulla base di una istruttoria di per sé non contestata nel suoi dati numerici, l’amministrazione ha distinto le superfici delle utenze domestiche e di quelle non domestiche, determinando poi la tariffa sulla base dei coefficienti indicati nella tabella allegata al regolamento statale, previsti per stabilire la parte fissa e quella variabile per i due tipi di utenza, al fine di coprire il costo del servizio, in applicazione del richiamato art. 49, comma 2.

Poiché non è irragionevole ritenere che un albergo con ristorante possa produrre rifiuti in quantità cinque volte superiore rispetto a quelli prodotti dalle utenze domestiche, e in considerazione delle caratteristiche dell’attività alberghiera, non risultano i dedotti profili di eccesso di potere.

Neppure risultano carenti di motivazione le impugnate delibere comunali.

Quanto all’aspetto dei livelli di qualità dei servizi, dagli atti risulta che il terzo capitolo del piano finanziario (intitolato ‘il sistema di raccolta e di smaltimento’) è stato dedicato proprio a tale aspetto, con dettagliata ricostruzione degli standard qualitativi del servizio e indicazione degli ulteriori obiettivi di qualità da raggiungere.

Inoltre, le contestate determinazioni si sono basate su una dettagliatissima ricostruzione degli elementi di fatto risultati nel corso del procedimento, nonché sui calcoli volti alla copertura del costo del servizio: tali delibere neppure dovevano essere emesse sulla base del contraddittorio con le categorie interessate (non sussistendo l’obbligo di valutarne le osservazioni contenute nella diffida del febbraio 2007), in ragione della natura di atti generali degli atti comunali impugnati, natura che ha reso applicabile l’art. 13 della legge n. 241 del 1990.

Quanto alla competenza ad approvare il piano finanziario, ai sensi dell’art. 49, comma 8. del d.lg. n. 22 del 1997 essa è degli ‘enti locali’ (e non delle società cui è affidato il servizio): vanno respinte anche le altre censure di incompetenza, perché - una volta posti in essere dall’organo consiliare gli adempimenti previsti dalla legislazione nazionale - ai sensi dell’art. 42, comma 2, lettera f), ben poteva il consiglio disporre l’istituzione e l’ordinamento dei tributi, consentendo alla giunta di determinare le relative aliquote, e dunque le tariffe, le deduzioni e le agevolazioni.

6. Per le ragioni che precedono, previa declaratoria dell’ammissibilità del ricorso di primo grado, vanno respinte le censure di primo grado, riproposte in questa sede.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello n. 9937 del 2010, come in epigrafe proposto, previa dichiarazione di ammissibilità del ricorso di primo grado, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 maggio 2012 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Rosanna De Nictolis, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere

Andrea Pannone, Consigliere, Estensore

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 04/12/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)