La depenalizzazione in materia di rifiuti ed il problema della retroattività delle sanzioni amministrative. di Stefania PALLOTTA IN ANTEPRIMA IL DECRETO SUI NUOVI CODICI CER

La successione di leggi in materia di rifiuti ha posto per gli operatori del settore non pochi problemi di coordinamento dei diversi testi normativi.

In particolare, di fronte al fenomeno della depenalizzazione di alcune condotte penalmente rilevanti ai sensi della legge 475/1988 stenta ancora a trovare una sistemazione pacifica la questione, forse scarsamente approfondita in dottrina e giurisprudenza, dell’applicazione retroattiva delle norme sanzionatorie del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 a fatti commessi prima della sua entrata in vigore.

Il problema pare oscillare tra due dati di opposto significato: da una parte, la constatazione del fatto che le condotte considerate non hanno, comunque, mai perso il loro connotato di illiceità – penale prima, amministrativa poi; dall’altra, il rilievo che il principio di legalità ed irretroattività delle sanzioni amministrative punitive, solennemente enunciato dall’art.1 della legge 689 del 1981, è suscettibile di essere derogato, ma soltanto da una norma transitoria, che disponga l’applicazione retroattiva della normativa amministrativa punitiva alle violazioni commesse anteriormente all’entrata in vigore della legge di depenalizzazione (in tal senso gli artt. 40 e 41 della legge 689/1981).

Occorre, dunque, chiedersi se nel testo del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 sia contemplata una norma transitoria che assoggetti a sanzione amministrativa fatti penalmente rilevanti sotto il previgente regime.

La formulazione letterale del d.lgs. 22/97 non fornisce un dato univoco: lungi dal prevedere delle norme ad hoc nel Capo II dedicato alle disposizioni transitorie e finali, il decreto Ronchi enuncia all’ultimo comma dell’art. 55 soltanto l’obbligo per l’autorità giudiziaria di trasmettere all’autorità amministrativa, ovvero la Provincia, gli atti che riguardano i procedimenti penali pendenti alla data dell’entrata in vigore del d.lgs.22 medesimo.

Si rinviene, dunque, una mera norma processuale transitoria, cui non si accompagna alcuna parallela norma transitoria sostanziale di contenuto corrispondente all’art. 40 della legge 689/1981.

Per comprendere come la questione teorica sia pregna di conseguenze pratiche basta pensare al fatto che la diversa interpretazione del significato dell’art. 55, 3° co. porterà l’autorità amministrativa a due soluzioni diametralmente opposte: o l’irrogazione delle sanzioni amministrative in luogo delle sanzioni penali, proprio in forza del disposto dell’art. 55 u.c., con applicazione delle norme del decreto Ronchi a fatti commessi prima della sua entrata in vigore; oppure l’archiviazione dei procedimenti sanzionatori, poiché ai fatti integranti prima reato ed ora illecito amministrativo non si riterrà applicabile né la sanzione penale per l’avvenuta abolitio criminis, né retroattivamente la sanzione amministrativa per il principio di irretroattività della norma amministrativa punitiva.

Quest’ultima tesi è largamente sostenuta nei ricorsi amministrativi proposti ai sensi dell’art. 18 della legge 689 del 1981, in cui sovente si censura la legittimità degli atti amministrativi di irrogazione delle sanzioni per violazione dell’art.1 della legge 689/81.

Secondo questa impostazione, se il legislatore avesse voluto disciplinare il fenomeno della depenalizzazione nel senso di una permanente illiceità delle condotte, avrebbe dovuto dedicare una previsione apposita alla retroattività delle norme sanzionatorie del decreto Ronchi, a nulla rilevando il disposto dell’art.55, 3° co.

A conferma di tale orientamento si cita il recente d.lgs. 507 del 1999, che annovera tra le disposizioni transitorie una norma espressa emblematicamente rubricata “applicabilità delle sanzioni amministrative alle violazioni commesse anteriormente”.

L’art. 55 u.c., ex adverso, non prevederebbe affatto una applicazione retroattiva della sanzione amministrativa ai fatti prima costituenti reato, ma si limiterebbe ad includere tra i casi in cui il giudice emette decreto di archiviazione o sentenza di proscioglimento (e, quindi, non deve trasmettere gli atti all’autorità amministrativa) anche l’ipotesi della depenalizzazione, che altro non sarebbe se non un caso in cui il “fatto …non è previsto dalla legge come reato” (in tal senso anche Pretura di Varese del 5 novembre 1997, in Foro it., II, 633).

Non mancano, tuttavia, anche altri elementi che consentono di esprimere una diversa interpretazione dei dati normativi disponibili.

In primo luogo, c’è il dato testuale che parla di trasmissione di atti dall’autorità giudiziaria a quella amministrativa ai fini “dell’applicazione della sanzione amministrativa”.

Inoltre, non sembra affatto decisiva per risolvere il dibattito la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 7394 del 27 giugno 1994, comunemente citata come argomento contro l’applicazione retroattiva della normativa sanzionatoria del d.lgs. Ronchi: in tale pronuncia, dettata in tema di illeciti stradali, la Suprema Corte ha stabilito che, in caso di proscioglimento per avvenuta abolitio criminis, l’autorità giudiziaria non può disporre la rimessione degli atti all’autorità amministrativa competente per l’irrogazione delle sanzioni amministrative nel frattempo introdotte.

La decisione, però, appare inopinatamente richiamata: essa, infatti, non si riferisce al caso della trasmissione di atti da parte del giudice penale all’autorità amministrativa sulla base di una espressa norma processuale transitoria, quanto piuttosto alla diversa ipotesi in cui nel testo normativo non sussista alcuna disposizione processuale dettata per normare i processi penali già pendenti. Non si vede, invece, come nel caso considerato il giudice penale possa violare l’obbligo, normativamente imposto dall’art. 55 u.c., di trasmissione degli atti alla autorità amministrativa competente all’applicazione delle sanzioni amministrative.

Sul quadro così delineato è intervenuta l’ordinanza della Corte Costituzionale 11 giugno 1999, n. 233 (Giur. Cost. 1999, 2111 Riv. Giur. Edilizia 1999, I, 921).

Merita di essere segnalato che la stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri nel proprio atto di intervento ha illustrato come l’art.55 del d.lgs. 22 del 1997 fu introdotto per evitare gli effetti che altrimenti sarebbero derivati dalla depenalizzazione di talune fattispecie se non accompagnata dalla previsione di una disciplina transitoria; in altre parole, l’art. 55 del d.lgs. 22/97 sarebbe dettato al fine di garantire che le condotte depenalizzate, tenute nel vigore della legge precedente, possano essere punite come illecite.

Il giudice delle leggi, nel dichiarare la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art.55, 3° co. in riferimento agli artt. 3 e 79 della Costituzione, ha illustrato il duplice significato di tale disposizione: da una parte, essa mira ad evitare la rimessione all’autorità amministrativa di contestazioni di illeciti depenalizzati non aventi consistenza in linea di fatto, ossia nei casi di decreto di archiviazione o sentenza di proscioglimento; negli altri casi la norma “assolve alla funzione di regolare in via transitoria la successione tra la norma penale e quella che configura l’illecito amministrativo, evitando che le condotte, tenute nel vigore della norma incriminatrice e successivamente depenalizzate, risultino prive di ogni sanzione”.

In conclusione, non pare infondato sostenere che proprio la disposizione processuale transitoria conduca all’applicazione retroattiva della normativa amministrativa punitiva del d.lgs. 22/97 (in tal senso Pretura di Vicenza 17 giugno 1997, in Riv. Giur. Ambiente 1997, 965).

E’ certo innegabile che, sotto questo profilo, la formulazione del d.lgs. 22/97 sia piuttosto infelice: e ciò sia che si ritenga il testo del decreto privo di una norma di applicazione retroattiva delle sue disposizioni, sia che si ricavi tale norma dall’art.55, 3° co., con un’operazione ermeneutica definita da alcuni criticabile.

Con una certa preoccupazione, infatti, si segnala che quando nei giudizi di opposizione alle ordinanze ingiunzione la tesi dell’applicabilità retroattiva della normativa amministrativa in virtù dell’art. 55, 3° co. non ha trovato il favore del giudice civile (Tribunale Ordinario di Venezia, Sezione distaccata di Portogruaro, 13 aprile 2000), si è verificato un vano passaggio di incartamenti dal giudice penale all’ente locale, in spregio ai principi di semplificazione ed efficienza dell’attività amministrativa solennemente proclamati all’art.1 della legge 241/90. appunto

Ci troviamo, invero, di fronte ad un anomalo iter: a monte, il giudice penale trasmette il procedimento penale pendente riferito ad un reato ormai depenalizzato all’autorità amministrativa ai fini “dell’applicazione della sanzione amministrativa” (testualmente l’art.55, u.c.); a valle, il giudice civile accoglie l’opposizione alle ingiunzioni così emanate dall’autorità amministrativa con conseguente annullamento delle ordinanze ingiunzione medesime; nel mezzo un dispendio (spreco?) di tempi e mezzi della p.a., impegnata in inutili attività istruttorie e decisorie, che avrebbero potuto essere evitate semplicemente con una più limpida formulazione del testo normativo.

Vale la pena di sottolineare come le disposizioni sanzionatorie amministrative del decreto Ronchi, spesso aspramente censurate come norme che prevedono vessatorie sanzioni pecuniarie a carico dei cittadini per la commissione di mere irregolarità formali, rispondono, in realtà, alla fondamentale esigenza di garantire la ricostruibilità e, quindi, la verificabilità in sede di controllo del flusso dei rifiuti. Basti pensare alle norme concernenti la compilazione dei registri di carico e scarico e dei formulari di trasporto, che costituiscono strumenti indispensabili per tracciare e monitorare in ogni momento il percorso compiuto dai rifiuti, magari pericolosi.

Tanto che alcuni commentatori all’indomani dell’entrata in vigore del d.lgs.22/97 hanno persino criticato la rilevanza non penale delle condotte tipizzate dagli artt. 11 e 12 del decreto Ronchi (S. Maglia, M. Medugno Il codice dei rifiuti, p. 173).

Non si può ignorare, infatti, come un meccanismo sanzionatorio meramente pecuniario, pur ispirato alla logica europea del “chi inquina paga”, finisca inevitabilmente per favorire le grandi imprese che fanno della sistematica violazione della normativa ambientale una strategia di impresa, computando il pagamento di eventuali sanzioni tra i costi dell’attività produttiva ammortizzati dai vantaggi economici della gestione illecita dei rifiuti.

Tuttavia, ritenendo l’art.55, u.c. una norma inutiliter data, si finirà con lasciare esenti da qualsiasi sanzione fatti che avevano rilevanza penale al tempo della loro commissione e che, se commessi sotto la vigenza del nuovo testo normativo, sarebbero gravemente sanzionati con il pagamento di somme che arrivano nel massimo edittale fino ai 120 milioni di lire.

E la questione si presenta oggi più che mai attuale, se si pensa al fatto che in materia di acque il recente d.lgs. 152/1999, modificato dal d.lgs. 258/2000, ripropone lo stesso tipo di tecnica di redazione della fattispecie e, dunque, lo stesso genere di problemi applicativi, come se le insidie di questa formulazione non fossero già emerse in tutti i loro pericolosi risvolti.

D’altronde, se iure condito può essere condivisa la preoccupazione di rispetto delle esigenze di garanzia e certezza del diritto sottese al principio di legalità delle sanzioni amministrative, de iure condendo risulta paradossale l’assenza di una chiara normativa transitoria che eviti l’impunità di gravi condotte che - ripetiamolo - erano e restano illecite. Come a dire che perseverare appare davvero diabolico.