STERILIZZAZIONE E DISINFEZIONE DEI RIFIUTI SANITARI: LA L.405/2001 ALIMENTA LA CONFUSIONE Di Bernardino Albertazzi* Nuova pagina 1

 

*Pubblicato sul n.1/2002 di Ambiente &Sicurezza

 

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Certo non si può dire che sia una novità, almeno nel nostro Paese, l’introduzione di modifiche anche di portata rilevante a normative in materia ambientale da parte di atti aventi forza e valore di legge ma caratterizzati dal requisito della assoluta estemporeneità ma soprattutto quello della non omogeneità con la norma sulla quale vanno ad incidere, modificandola e/o integrandola.

I menzionati atti sono tanto più estemporanei in quanto contenuti in decreti-legge, anche se successivamente convertiti in legge dal Parlamento.

La descrizione sopra riportata si attaglia benissimo alla norma che sarà oggetto del nostro esame e cioè del comma 1-bis dell’ Art. 2.(Disposizioni in materia di spesa nel settore sanitario) della  legge 16 novembre 2001, n. 405 “Conversione, con modificazioni, del decreto legge 18 settembre 2001, n. 347, recante interventi urgenti in materia di spesa sanitaria (pubblicato in G.U. n.268 del 17/11/2001).

Dicevo oramai non sorprende più il giurista esperto del settore  la collocazione di norme di carattere ambientale, quali sono quelle aventi ad oggetto lo smaltimento dei rifiuti, nel caso specifico rifiuti sanitari, all’interno di leggi di spesa che dovrebbero avere, quindi, tutt’altra finalità. Basti citare in proposito le due ultime leggi finanziarie e la vicenda della TARSU.Ciò contribuisce non poco ad aumentare la confusione degli operatori , i quali sono costretti, al fine di avere un quadro completo della normativa vigente in uno specifico settore, come quello della gestione dei rifiuti sanitari, a rintracciare e coordinare una pluralità di fonti normative, peraltro sovente tra loro in contrasto.

Entrando nel merito della norma sopra cit. osserviamo che essa dispone:

“1-bis.  Al fine del contenimento della spesa sanitaria, pur nel rispetto  dei parametri di sicurezza previsti dalla vigente normativa in  materia di smaltimento di rifiuti sanitari pericolosi, gli stessi possono  essere  smaltiti  attraverso  procedimenti  di  disinfezione mediante  prodotti  registrati  presso  il Ministero della salute che assicurino  un abbattimento  della  carica  batterica  non  inferiore

al 99,999  per  cento  e  nel  pieno rispetto del decreto legislativo 19 settembre  1994,  n.  626,  in materia di sicurezza e salute degli operatori. 

I  rifiuti  sanitari speciali non tossico-nocivi, dopo un procedimento  di disinfezione di una durata non inferiore a 72 ore, o sottoposti a processo di sterilizzazione mediante autoclave dotata di sistemi  di  monitoraggio  e controllo delle fasi di sterilizzazione,possono essere assimilati ai rifiuti urbani.”

 

Sul primo periodo della norma in oggetto possiamo osservare, in primo luogo che pecca di grande indeterminatezza, infatti quando dice che i rifiuti sanitari pericolosi possono  essere  smaltiti  attraverso  procedimenti  di  disinfezione, non si preoccupa minimamente di dirci dove tali rifiuti possano essere  smaltiti.

Ricordiamo che ai sensi dell’art. 45, comma terzo, del dlgs 22/97,  i rifiuti sanitari pericolosi “devono essere smaltiti mediante termodistruzione presso impianti autorizzati ai sensi del presente decreto”. In deroga a tale principio il medesimo terzo comma dispone che  “qualora il numero degli impianti per lo smaltimento mediante termodistruzione non risulti adeguato al fabbisogno, il Presidente della Regione d’intesa con il Ministro della sanità ed il Ministro dell’ambiente può autorizzare lo smaltimento dei rifiuti di cui al comma 1 anche in discarica controllata previa sterilizzazione.”. Dunque la domanda che l’interprete deve porsi è la seguente: i rifiuti sanitari pericolosi,dopo la sottoposizione ai procedimenti  di  disinfezione,dove possono  essere  smaltiti?In un impianto di incenerimento, secondo la regola generale? Od in discarica, secondo la deroga alla regola generale?

 Secondo i principi generali dell’interpretazione del diritto le deroghe devono essere sempre interpretate in maniera restrittiva, quindi in assenza di specifiche e chiare disposizioni della norma in esame  si  dovrebbe concludere nel senso che i rifiuti sanitari pericolosi,dopo la disinfezione, possono essere smaltiti tramite termodistruzione.

 Ma se così è allora che senso ha prevedere un procedimento di disinfezione (visto che la termodistruzione può essere effettuata comunque)?

Inoltre il procedimento di disinfezione menzionato è rivolto, nella norma in esame, ai rifiuti sanitari pericolosi, senza quindi circoscrivere l’applicazione di tale procedimento ai soli rifiuti sanitari pericolosi a solo rischio infettivo, di cui all’art. 2, comma 1, lett.d) del D.M. 219/2000 (Regolamento recante la disciplina per la gestione dei rifiuti sanitari, ai sensi dell'articolo 45 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22) (pubblicato in G.U. n. 181, 4 agosto 2000, Serie Generale)(cioè i  rifiuti sanitari individuati dalle voci 18.01.03 e 18.02.02 dell'allegato D al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, che presentano la caratteristica di pericolo di cui alla voce "H9" dell'allegato I al predetto decreto). Non è dato sapere quale effetto positivo possa avere, secondo il legislatore, una disenfezione effettuata su di un rifiuti sanitario pericoloso non a rischio infettivo (cioè su tutti quelli  elencati a titolo esemplificativo nell'allegato II, compresi tra i rifiuti pericolosi dell'allegato D al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni, che presentano almeno una delle caratteristiche di pericolo individuate dall'allegato I al decreto medesimo, con esclusione di quella individuata dalla voce "H9" dello stesso allegato I).

 

 

Un’altra questione da porre in rilievo è che “ i procedimenti  di  disinfezione” non sono, di per sè, delle forme di smaltimento di un rifiuto, ma possono semmai costituire una forma di pretrattamento finalizzato allo smaltimento finale (non sappiamo dove).

Ancora  “ i procedimenti  di  disinfezione devono avvenire:

a) mediante  prodotti  registrati  presso  il Ministero della salute e

b) che assicurino  un abbattimento  della  carica  batterica  non  inferiore

al 99,999  per  cento  e 

c) nel  pieno rispetto del decreto legislativo 19 settembre  1994,  n.  626,  in materia di sicurezza e salute degli operatori.

Sotto il profilo sub a) possiamo osservare che attualmente non esiste alcun prodotto del genere registrato  presso  il Ministero della salute e dunque la norma prefigura l’istituzione di un registro di tali prodotti a tutt’oggi non individuati nè individuabili, e dunque l’avvio di una procedura che è di là da venire. Quindi la norma in esame, sotto tale profilo, è sicuramente oggi inapplicabile.

Sotto il profilo sub b) possiamo osservare che i prodotti citati sub a) devono assicurare  un abbattimento  della  carica  batterica  non  inferiore

al 99,999  per  cento, cosa che, a detta dei tecnici più esperti del settore, allo stato attuale non è possibile. E ancora, qualora fosse possibile chi dovrebbe certificare il raggiungimento di tale risultato? E dunque la norma in esame, anche sotto tale profilo, è sicuramente oggi inapplicabile.

 

 

Sul secondo periodo della norma in oggetto possiamo osservare, in primo luogo,

sotto un profilo formale, che il legislatore fa riferimento esplicito alla categoria dei rifiuti speciali non tossico-nocivi, la quale non esiste più nel nostro ordinamento giuridico dal marzo del 1997, cioè dalla entrata in vigore del Dlgs n. 22 (meglio noto come decreto “Ronchi”) in materia di gestione dei rifiuti. La terminologia adottata dalla legge 405/2001 appartiene al D.P.R. 915 del 1982, che è stato abrogato dal dlgs cit. . Com’è noto, ai sensi dell’art. 7 , comma primo,di tale dlgs “ 

Ai fini dell’attuazione del presente decreto i rifiuti sono classificati, secondo l’origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali, e, secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi.”.

 L’utilizzo della categoria dei rifiuti speciali non tossico-nocivi appare dunque come una svista, tanto più grave però in quanto non può nemmeno essere interpretata alla luce della norma transitoria di cui al decreto “Ronchi” in base alla quale:

“1. Le norme regolamentari e tecniche che disciplinano la raccolta, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti restano in vigore sino all’adozione delle specifiche norme adottate in attuazione del presente decreto. A tal fine ogni riferimento ai rifiuti tossici e nocivi si deve intendere riferito ai rifiuti pericolosi (art. 57, comma 1).”, in quanto tale disposizione ci aiuta ad interpretare le normative preesistenti (e non quindi quelle nuove) ed a renderle compatibili con la nuova classificazione dei rifiuti. Si deve comunque concludere che il legislatore voleva verosimilmente far riferimento ai “ rifiuti  sanitari speciali non pericolosi

Ma le singolarità della norma in esame non finiscono qui, essa dispone infatti che

i rifiuti  sanitari speciali non tossico-nocivi (da leggersi, come detto , “non pericolosi”), a due determinate condizioni:

1)     dopo un procedimento  di disinfezione di una durata non inferiore a 72 ore, o

2)     sottoposti a processo di sterilizzazione mediante autoclave dotata di sistemi  di  monitoraggio  e controllo delle fasi di sterilizzazione,

possono essere assimilati ai rifiuti urbani.

La prima osservazione da fare riguarda ancora la classificazione dei rifiuti in oggetto, che non pare comunque idonea a consentire un’interpretazione ed un’applicazione agevole della norma. Infatti la classificazione dei rifiuti sanitari segue le regole generali dell’art. 7 cit., come specificate dall’art. 2 del D. M. 26 giugno 2000, n. 219. Tale ultima norma prende in specifica considerazione le seguenti tipologie di rifiuti sanitari:

 

a) i rifiuti sanitari non pericolosi;

b) i rifiuti sanitari assimilati ai rifiuti urbani;

c) i rifiuti sanitari pericolosi non a rischio infettivo;

d) i rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo;

e) i rifiuti sanitari che richiedono particolari modalità di smaltimento;

f) i rifiuti da esumazioni e da estumulazioni, nonché i rifiuti derivanti da altre attività cimiteriali esclusi i rifiuti vegetali provenienti da aree cimiteriali.

Il tenore della norma sembra inequivoco nel delineare un peculiare procedimento di assimilazione dei rifiuti sanitari speciali non pericolosi agli urbani attraverso due passaggi tra loro alternativi: il procedimento  di disinfezione o il processo di sterilizzazione.

In merito al processo di sterilizzazione possiamo osservare che quella dell’art. 2 della l. 405/2001, non è quella di cui alla lettera l) dell’art. 2 del Regolamento cit. e cioè “quella di cui all'articolo 45 del decreto legislativo n. 22/1997: abbattimento della carica microbica tale da garantire un S.A.L. (Sterility Assurance Level) non inferiore a 10-6. La sterilizzazione è effettuata secondo le norme UNI 10384/94, parte prima, mediante procedimento che comprenda anche la triturazione e l'essiccamento ai fini della non riconoscibilità e maggiore efficacia del trattamento nonché la diminuzione di volume dei rifiuti stessi. L'efficacia viene verificata secondo quanto indicato nell'allegato III del presente regolamento”, in quanto le caratteristiche della sterilizzazione di cui al Regolamento cit. non vengono in alcun modo richiamate dalla nuova legge.

Si deve inoltre osservare che il processo di sterilizzazione di cui alla lettera l) dell’art. 2 del Regolamento cit. ha, nell’ambito di tale regolamento, l’effetto di riportare nell’ambito del rifiuto urbano i rifiuti sanitari (pericolosi) a solo rischio infettivo , peraltro a condizione che

a)     sia in esercizio nell'ambito territoriale ottimale di cui all'articolo 23 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, almeno un impianto di incenerimento per rifiuti urbani, oppure

b)    sia intervenuta autorizzazione regionale allo smaltimento in discarica, secondo quanto previsto all'articolo 45, comma 3, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.

Nella nuova legge  un processo di sterilizzazione, a condizione che sia svolto mediante autoclave dotata di sistemi  di  monitoraggio  e controllo delle fasi di sterilizzazione ha l’effetto di assimilare un rifiuto speciale all’urbano.

Ci si deve dunque chiedere, posto che i rifiuti sanitari speciali non pericolosi non sono a rischio infettivo, a cosa serve il processo di sterilizzazione od il procedimento di disinfezione?

Sul procedimento  di disinfezione possiamo osservare che dalla l. 405 non viene richiamata la definizione che ne dà il Regolamento 219:  drastica riduzione della carica microbica effettuata con l'impiego di sostanze disinfettanti”, ma si limita a specificare che esso, in relazione ai rifiuti sanitari speciali (non pericolosi) non può avere una  durata  inferiore a 72 ore.

 

Abbiamo detto che il tenore della norma di cui al secondo periodo del secondo comma dell’art. 2 della l. 405/2001 sembra inequivoco nel delineare un peculiare procedimento di assimilazione dei rifiuti sanitari speciali non pericolosi agli urbani attraverso due passaggi tra loro alternativi: il procedimento  di disinfezione o il processo di sterilizzazione. E tuttavia non possiamo qui non ribadire che i due passaggi indicati sono necessari ma non sufficienti a riportare nell’ambito degli urbani i rifiuti sanitari speciali non pericolosi,  come si evince dal testo della stessa norma in esame ( “I  rifiuti  sanitari speciali non tossico-nocivi, dopo un procedimento  di disinfezione .....o sottoposti a processo di sterilizzazione

possono essere assimilati ai rifiuti urbani”), in quanto sarà comunque necessario che le indicate tipologie di rifiuti siano inserite nei Regolamenti comunali, ai sensi dell’art. 21, comma lett g), in base al quale:

I Comuni disciplinano la gestione dei rifiuti urbani con appositi regolamenti che, nel rispetto dei principi di efficienza, efficacia ed economicità, stabiliscono in particolare: l’assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento sulla base dei criteri fissati ai sensi dell’articolo 18, comma 2, lettera d).