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Le ordinanze di sgombero dei rifiuti nella giurisprudenza penale.

di Vincenzo PAONE

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Mentre la giurisprudenza amministrativa, pur dividendosi in due contrapposti filoni, si è da sempre occupata della problematica concernente le ordinanze di sgombero previste dall’art. 14, 3° comma, scarsa è la riflessione in materia da parte della cassazione penale.
Ne è una riprova Cass. 2 aprile 2004, Armani, che suscita non poche perplessità. Infatti, a prescindere dall’eccessiva stringatezza della motivazione con cui la Corte ha ritenuto inammissibile l’obiezione che i rifiuti erano stati abbandonati sulla località fin dal 1988 e che il ricorrente era subentrato alla madre nel possesso del fondo solo dal 1998, la tesi che “l’addebito riguardava un reato omissivo…integrato dall’inosservanza dei provvedimenti di rimozione dei rifiuti, legalmente intimati…all’attuale proprietario (o possessore) dell'immobile interessato dal deposito incontrollato dei rifiuti indipendentemente dalla risalenza della relativa giacenza, delle personali ascrivibilità dei depositi e dalla provenienza dei materiali” si scontra con il dato formale che vede un preciso nesso tra la responsabilità di chi abbandona i rifiuti e di chi è obbligato alla loro rimozione.
Infatti, la prima parte del 3° comma dell’art. 14 testualmente stabilisce che chiunque viola il divieto di abbandono dei rifiuti sul suolo e nel suolo (1° comma) è tenuto a procedere alla loro rimozione ed al ripristino dello stato dei luoghi; mentre la seconda parte della stessa norma stabilisce che il proprietario e/o il titolare di diritti reali o personali di godimento sull'area risponde in solido con l’autore materiale dell’abbandono purchè tale fatto gli sia imputabile a titolo di dolo o colpa.
Queste disposizioni contengono perciò il principio per cui soltanto se sia configurabile una compartecipazione dolosa o colposa del proprietario, si può intimare anche a quest’ultimo di procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi. In caso contrario, l’ordinanza sindacale, prevista dall’art. 14 d.leg. 22/1997, va emessa soltanto nei confronti dell’autore materiale dell’abbandono dei rifiuti.
Nessun dubbio può porsi quando risulti comprovato il concorso doloso, quando cioè il proprietario dell’area determini la condotta dell’esecutore materiale del fatto o comunque contribuisca a rafforzarne il proposito criminoso (per uno spunto in questo senso, v. Cass. 12 luglio 2004, Tomasoni, Ced Cass. Rv. 229483, in una fattispecie in cui il proprietario, condannato per il reato di cui all'art. 51, 3° comma, deduceva che l'abbandono di rifiuti sul terreno di sua proprietà era avvenuto a sua insaputa: è stata invece affermata la consapevolezza e la tolleranza da parte dell'imputato dello scarico effettuato da terzi, proprio in considerazione del fatto che egli non aveva mai denunciato l'effrazione del lucchetto o della sbarra che pure aveva apposto per impedire l'accesso di estranei nell'area di sua proprietà), il problema assume ben altro spessore nell’ipotesi di un concorso colposo.
Infatti, fuori del caso il cui il proprietario dell’area, con un proprio comportamento attivo, agevoli la violazione commessa materialmente dal terzo, più delicata è l’ipotesi (sicuramente di maggior verificazione pratica) del proprietario che resti meramente inerte o passivo.
E’ risaputo che la condotta di compartecipazione può essere costituita anche da un comportamento omissivo, ma perchè un soggetto possa dirsi corresponsabile per l’illecito da altri commesso occorre accertare che esista una posizione di garanzia che abbia come specifico contenuto l’impedimento di eventi antigiuridici.
In sostanza, l’art. 14 d.leg. 22/1997 deve essere letto alla luce dell’art. 40, 2° comma c.p. secondo il quale l'omissione, che si ponga in rapporto di causalità con l'evento, è rilevante solo se l'agente ha l'obbligo giuridico di impedire l'evento. Di conseguenza l'accertamento della colpa non può prescindere dall’individuazione della norma che impone al soggetto di tenere un dato comportamento positivo la cui omissione appunto ha determinato il verificarsi del fatto illecito (in termini, Cass. 18 dicembre 1991, Sacchetto, Foro it., Rep. 1993, voce Sanità pubblica, n. 352, che ha posto l’accento sul fatto che un dato comportamento omissivo acquista il connotato dell’antigiuridicità solamente in funzione di una norma che imponga al soggetto di attivarsi per impedire l’evento naturalistico di lesione dell’interesse tutelato).
Essendo in gioco il principio di certezza e determinatezza delle fattispecie penali, è evidente che occorre procedere con cautela nella costruzione della posizione di garanzia in capo al proprietario dell’area. Non trascuriamo infatti, a tacer d’altro, che l’ultima parte dell’art. 14 prevede che, decorso inutilmente il termine fissato nell’ordinanza di sgombero, all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati procede direttamente l’amministrazione pubblica.
Orbene, in questo ordine di idee osserviamo che non è possibile individuare siffatta posizione di garante perché non ci risulta l’esistenza di norme di legge che stabiliscano l’obbligo giuridico di proteggere il proprio fondo dallo scarico abusivo di rifiuti operato da terzi.
Ciò non esclude, ma anzi rafforza la nostra conclusione, che possa essere imposto, ad esempio nei regolamenti locali, al proprietario di recintare opportunamente il proprio fondo per evitare intrusioni di terzi. In questa ipotesi (a parte ogni valutazione sulla concreta efficacia impeditiva della misura imposta), il non provvedere in conformità potrà esporre il proprietario dell'area all'accusa di aver tenuto per colpa un comportamento quantomeno agevolatore della condotta illecita del terzo.
Perciò per imputare al proprietario l’abbandono di rifiuti attuato da un terzo non è sufficiente addurre una mancata vigilanza sul fondo perché tale omissione non si innesta sulla violazione di uno specifico obbligo giuridico (così Cass. 17 novembre 1995, Insinua, Foro it., Rep. 1996, voce cit., n. 513, che ha giust’appunto osservato che il proprietario del terreno sul quale si attua lo smaltimento di rifiuti speciali non autorizzato, quale "extraneus" può concorrere nel reato commesso dal gestore ove il concorso esterno si realizzi con condotta commissiva, ovvero - in linea teorica - anche con una condotta omissiva purchè il "non agere" si innesti in uno specifico obbligo giuridico di impedire l'evento).
Questo discorso deve valere anche nel caso in cui la situazione antigiuridica sia in corso perchè non è astrattamente configurabile a carico del proprietario dell'area, venuto a conoscenza che sul proprio terreno ignoti scaricano rifiuti, l’obbligo di intervenire per interrompere lo scarico abusivo.
In conclusione, in assenza di un esplicito obbligo di impedire l’evento, la condotta meramente inerte tenuta dal proprietario non avrà alcuna rilevanza giuridica e non potrà fondare il suo concorso colposo nella violazione del divieto di abbandono di rifiuti da parte di terzi.
In questo senso, la migliore dottrina (AMENDOLA, Gestione dei rifiuti e normativa penale, Milano, 2003, 323 ss.) ha criticato la conclu¬sione della giuri¬sprudenza che riteneva ipotizzabile una responsabilità penale a carico del proprietario del terreno in cui ignoti, senza il suo accordo, avessero scaricato rifiuti “perché non chiariva se il proprietario potesse essere ritenuto responsabile anche senza colpa. Ritenere, infatti, che il proprietario del terreno risponda di concorso nel reato anche se ciò è avvenuto senza un suo accordo e senza che gli si possa rimproverare la violazione di qualche precetto specifico o, almeno delle regole di comune diligenza, significa introdurre nel nostro ordina¬mento una ipotesi di responsabilità oggettiva fondata solo sulla sua qualità di proprietario dell'area, senza alcun riscon¬tro rispetto all'elemento soggettivo, quanto meno sotto il profilo della colpa”.
Giunti dunque alla conclusione che l'obbligo di rimozione comporta che sia sempre configurabile a carico del proprietario dell’area una sua responsabilità, dolosa o colposa, per l’altrui abbandono di rifiuti, si può ora prendere in esame Cass. 10 luglio 2002, Viti, id., Rep. 2002, voce cit., n. 555, che parte dall’assunto che la sanzione penale di cui all'art. 50, 2° comma, sia rivolta propriamente non già ai responsabili o ai proprietari menzionati nell’art. 14, quanto piuttosto a "chiunque non ottempera all'ordinanza del sindaco": in altri termini, secondo la Corte, il precetto di cui all'art. 14, 3° comma, è rivolto ai responsabili dell'abbandono di rifiuti e ai proprietari del terreno inquinato, mentre quello dell'art. 50, 2° comma, è rivolto ai destinatari formali dell'ordinanza sindacale.
La Cassazione ne ricava la conclusione – su cui, per vero, nutriamo qualche riserva – che spetti agli intimati, per evitare di rendersi responsabili dell'inottemperanza, ottenere l'annullamento dell'ordinanza sindacale per via amministrativa o per via giurisdizionale.
La stessa sentenza però – e qui sta un passaggio fondamentale - ammette che i destinatari formali dell'ordinanza sindacale possano provare in sede penale di non essere proprietari del terreno né responsabili dell'abbandono, al fine dì ottenere dal giudice la disapplicazione dell'ordinanza per illegittimità. In questa prospettiva, per la Corte onere dell'accusa è solo quello di provare l'esistenza dell'ordinanza sindacale (assistita da presunzione di legittimità) e l'inottemperanza da parte dei suoi destinatari.
Ma a diversa conclusione si potrebbe pervenire se si ritenesse che uno degli elementi costitutivi del reato previsto dall'art. 50, 2° comma, sia proprio la coincidenza soggettiva tra obbligato al ripristino ed autore (o coautore) dell'illecito. Questa diversa tesi comporterebbe dunque la radicale insussistenza del reato se l’accusa non dimostri che l’intimato sia anche il responsabile (diretto o concorsuale) dell’abbandono dei rifiuti.