Gli effetti “penali” del nuovo regime delle terre e rocce da scavo introdotto dal D.M. 161/2012 - La retroattività negata
(Nota a Cass. Pen., Sez. III, 15.3.2013, n. 12295)
di Alfredo SCIALO'
1. Premessa
Con la recente sentenza del 15 marzo 2013, n. 12295, a distanza di meno di un anno dalla pronuncia n. 33577/2012 della stessa Corte di Cassazione - che aveva negato alla nuova disciplina in tema di terre e rocce da scavo dettata dal D.M. 161/12l l’efficacia retroattiva in sede penale, ex art. 2, comma 4, c.p. - la Sezione Terza è tornata ad interrogarsi sull’applicabilità o meno del nuovo regime dei materiali da scavo-sottoprodotti, ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore, durante la vigenza dell’art. 186 del d.lgs. 152/2006 e s.m.i.,
In particolare, i Giudici di legittimità - nel valutare una vicenda in cui una società condannata per aver qualificato e gestito taluni materiali da scavo come sottoprodotti in assenza dei presupposti di legge (prescritti dall’art. 186 del TUA, applicabile ratione temporis), ha eccepito, in sede di impugnazione che: “una volta adottato il d. m. previsto dall’art. 49, del d. l. n. 1 del 2012 1 non sussisterebbe più il reato” – hanno respinto il ricorso, attestandosi al precedente in termini.
E cioè hanno negato, ancora una volta, la possibilità di un’applicazione retroattiva del D.M. 161/12 – come norma più favorevole all’imputato, ex art. 2 c.p. – trattandosi di fattispecie di gestione di terre e rocce verificatesi prima della sua entrata in vigore, peraltro riproducendo fedelmente la motivazione della loro precedente pronuncia.
Si legge infatti nella sentenza, in oggetto, che: “…né potrebbe ritenersi che oggi, entrato in vigore, in data 06/10/2012, il decreto 10 agosto 2012 n. 161 del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare ed abrogato dunque, per effetto dell’art. 39 cit., … l’art. 186, di tale ultima disciplina, non possa tenersi conto, in applicazione dell’art. 2 c.p., sul presupposto della ritenuta natura più favorevole dell’attuale, complessiva disciplina rispetto alla precedente; va infatti precisato che, stante la programmata abrogazione di detta norma a decorrere dalla adozione, in un momento successivo, del decreto citato dall’art. 184 bis comma 2, l’art. 186 ha assunto, per il periodo di sua “provvisoria” vigenza, la natura di norma temporanea, come tale sottratta alla disciplina di successione delle leggi penali ex art. 2, comma 5, c.p. e, in particolare, al regime di retroattività della norma più favorevole; di qui, dunque, l’applicabilità̀ dello stesso ai fatti commessi in ogni caso durante la sua vigenza a prescindere dalla successiva intervenuta sua abrogazione (cfr. sez. 3, n. 33577 del 04/07/2012, Di Gennaro, Rv. 253662)”.
La Corte non ha ritenuto, quindi, di discostarsi dalla lettura formulata in precedenza secondo la quale, con la programmata abrogazione (ad opera dell’art. 39, comma 4, del d.lgs. 205/20102) dell’art. 186 del TUA, sarebbe stata conferita, a quest’ultima disposizione, la “natura di norma temporanea” sottratta, come tale, al regime di retroattività della disposizione più favorevole ex comma 5 dell’art. 2 c.p..
Ma tale “conferma”, così come evidenziato nel commento alla precedente pronuncia sul tema3, non appare convincente.
2. L’immotivata ed erronea attribuzione della natura di norma temporanea all’art. 186 del T.U.A.
Per evidenziare la fragilità delle conclusioni cui perviene la decisione in commento, è opportuno rammentare, in via preliminare, le condizioni in presenza delle quali una legge può essere effettivamente definita “temporanea”, ex art. 2, comma 5 c.p.
La nozione giuridica di legge “temporanea”, accolta dal legislatore e da tempo definita dalla dottrina consolidata, viene attribuita – in linea generale - soltanto a fonti normative nelle quali è stabilito espressamente o implicitamente un termine di durata; vale a dire a leggi che perdono vigore ad una data prestabilita, senza che occorra una nuova disposizione, con effetti abrogativi, per dichiararle estinte.
La letteratura giuridica in argomento4 si è infatti espressa, da tempo - nel delineare i contorni definitori della “temporaneità” - facendo appello, sostanzialmente, alla Relazione al Progetto definitivo del codice penale, dove si legge, testualmente, che “… sono leggi temporanee quelle che hanno vigore entro un limite di tempo da esse stesse determinato”.
Tale orientamento è stato recentemente ribadito anche da attenta dottrina5 la quale ha rilevato che: “… si presenta erronea e inaccettabile, perché in contrasto con la vigente nozione di norme “temporanee”, qualsiasi tesi interpretativa che voglia attribuire “natura di temporaneità a norme che non contengono affatto la predeterminazione espressa del periodo di tempo in cui avranno vigore”.
In definitiva, a distinguere la norma “temporanea” dalla norma “ordinaria” o “eccezionale” è quindi la predeterminazione normativa, sin dalla sua origine, di un termine di durata .
2.1 La corretta qualificazione dell’art. 186 del T.U.A.
Nel caso dell’art. 186 del T.U.A., secondo quanto è dato leggere in sentenza, la natura “temporanea” si sarebbe manifestata (o meglio, sarebbe sorta) solo successivamente alla sua entrata in vigore (avvenuta il 29 aprile 2006) nel momento in cui ne sarebbe stata programmata l’abrogazione, a termine, ad opera dell’art. 39, comma 4, del d.lgs. 205/2010, sopra cit.
Ma, come rilevato, una siffatta attribuzione di “temporaneità” all’art. 186 cit. si presenta incompatibile con i principi generali del nostro ordinamento che non conosce ipotesi di “temporaneità”, per così dire “postuma”, tale da legittimare la disapplicazione del comma 4 dell’art. 2, c.p., in forza del suo comma 5.
Inoltre, anche prescindendo dall’assenza di una predeterminazione normativa del termine di vigenza dell’art. 186, è da escludere, nel merito, qualsivoglia carattere “temporaneo” nelle previsioni dell’art. 186, trattandosi di disposizioni che regolavano un fenomeno, non certo temporaneo o eccezionale, quale è quello relativo alla gestione di una specifica categoria di sottoprodotti (originati dalle attività di scavo).
Al riguardo, basti considerare che detto articolo:
- è entrato in vigore il 29 aprile 2006, (nella prima versione del Testo unico ambientale, d.lgs. 152/2006) non già per far fronte ad un evento eccezionale o comunque destinato ad avere una durata temporanea predeterminata (o predeterminabile), ma per regolamentare, in via ordinaria, le condizioni di composizione e di destinazione che le terre e rocce da scavo dovevano rispettare per essere qualificate “sottoprodotti” ed essere conseguentemente escluse dal novero dei rifiuti;
- esso è stato costantemente applicato dal 2006 sino al 6 ottobre 2012 (data quest’ultima della sua abrogazione per effetto dell’entrata in vigore del D.M. 161/2012), introducendo, sin dalla sua prima versione, le condizioni per l’esclusione delle terre e rocce dal regime dei rifiuti;
- le modifiche sostanziali, cui è stato soggetto, nel corso degli anni, non hanno mai introdotto un termine di durata dello stesso, volto ad attribuire natura temporanea alla norma, ma si sono limitate:
− a migliorarne il testo alla luce della prassi applicativa e:
− a renderlo conforme, dapprima, alle indicazioni della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea (che ha elaborato la nozione di sottoprodotto) e, successivamente, alle sopravvenute disposizioni comunitarie ex art. 5, dalla nuova direttiva “rifiuti” 2008/98/CE.
Con riferimento a tale ultimo profilo, vanno evidenziate, più nel dettaglio, le modifiche alla disciplina delle terre e rocce introdotte nel corso degli ultimi anni:
1) la prima modifica avviene ad opera del d.lgs. 4/2008, in conformità alla nozione giurisprudenziale di sottoprodotto, il quale enuclea le singole condizioni di origine, composizione e destinazione delle terre e rocce da scavo;
2) successivamente – dopo l’emanazione della direttiva comunitaria n. 2008/98/CE, cit. che, per prima, ha “codificato” la figura giuridica dei “sottoprodotti” (tratteggiandone, all’art. 5, le specifiche caratteristiche di composizione e di impiego) – è stata riscritta ad opera del d.lgs. 205/2010, il quale:
− ha inserito, nel TUA, l’art. 184-bis, che prevede l’adozione, con appositi decreti ministeriali, di “misure per stabilire criteri qualitativi o quantitativi affinché specifiche tipologie di sostanze od oggetti” (comprese quindi le terre e rocce da scavo) possano considerarsi sottoprodotti e non rifiuti;
− ha disposto, di conseguenza, che, “dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui all’articolo 184-bis, comma 2”, sarebbe stato “abrogato l’articolo 186” (così recitava testualmente l’art. 39, comma 4 del d.lgs. 205/2010 cit.).
3) In seguito si è inserito nell’ambito di tale quadro normativo anche l’art. 49 del D.L. n.7/2012, come convertito dalla legge n. 27/12, (v. nota 2), confermando testualmente l’abrogazione dell’art. 186 del T.U.A. - già prevista dall’art. 39, del d.lgs. 205/2010 nella sua versione originaria – e collocandola temporalmente alla “data di entrata in vigore del decreto ministeriale” di regolamentazione dell’utilizzo delle terre e rocce da scavo (lo stesso decreto richiamato dal comma 2, dell’art. 184-bis, T.U. cit.).
Il “processo” di adeguamento del regime delle terre alla nuova fonte comunitaria dei sottoprodotti si è – infine - concluso con:
- l’emanazione del decreto ministeriale n. 161/2012, recante i criteri qualitativi e quantitativi per l’utilizzo delle stesse come “sottoprodotto”, entrato in vigore il 6 ottobre 2012.
Pertanto, l’arco temporale nel quale l’art. 186 si è presentato come una norma di prossima abrogazione è durato solo dal 25 dicembre 2010 (data di entrata in vigore dell’art. 39, comma 4, del d.lgs. 205/2010) al 6 ottobre 2012, (data di abrogazione dell’art. 186 per effetto dell’emanazione del D.M. 161/2012 – sul punto v. oltre).
2.2 – La programmata abrogazione dell’art. 186 non può di per sè attribuire “temporaneità” alla norma.
Ebbene, alla luce della suesposta evoluzione normativa, in tema di terre e rocce, appare evidente che la previsione di cui al citato articolo 39, del d.lgs. 205/2010 – piuttosto che attribuire “natura temporanea” all’art. 186, si è limitata a disporne un’abrogazione differita del precetto (a far data dall’emanazione del Regolamento), per scongiurare le ripercussioni negative che si sarebbero prodotte nel settore edilizio e dei lavori pubblici in assenza di una disciplina di dettaglio relativa alle condizioni di origine, composizione e impiego dei materiali da scavo, non ancora adottata.
In definitiva, l’articolo 39, del d.lgs. 205/2010 si presenta come una qualsiasi altra norma che, disponendo sull’efficacia di una disposizione in vigore, si è preoccupata di individuare un regime transitorio che potesse garantire un graduale passaggio dall’abrogando art. 186 alla nuova disciplina del D.M. n. 161/2012.
Ma, di certo, per collocazione e contenuto, detto art. 39 a norma non può essere considerata anche il frutto di una scelta legislativa imposta dall’esigenza concreta – dettata da una situazione contingente – di attribuire (eccezionalità o) temporaneità all’art. 186 del TUA, essendo volta piuttosto a fissare regole di coordinamento per gestire il passaggio normativo, in materia di utilizzo delle terre e rocce da scavo, dalle previsioni di quest’ultima disposizione a quelle del decreto ministeriale. Si è inteso, semplicemente, evitare un vuoto di disciplina, in attesa che fosse emanato l’atteso regolamento ministeriale.
Per non dire poi che, ove per ipotesi venisse attribuita la presunta temporaneità all’art. 186 cit., quest’ultima potrebbe comunque riconoscersi, solo con riferimento al periodo intercorso dal 25 dicembre 2010 (data di entrata in vigore dell’art. 39, comma 4, del d.lgs. 205/2010) al 6 ottobre 2012, (data di abrogazione dell’art. 186 per effetto dell’emanazione del D.M. 161/2012 – sul punto v. oltre). Con la logica conseguenza che, per il principio di retroattività della legge più favorevole (il D.M. n. 161/2012), le norme del Decreto dovrebbero applicarsi alle fattispecie di gestione di terre e rocce verificatesi a tutto il 25 dicembre 2010 in quanto, fino a tale data, l’art. 186 non aveva ancora “acquisito” natura “temporanea”. Mentre, per le condotte tenute tra il 25 dicembre 2010 e il 6 ottobre 2012 troverebbe applicazione l’art. 186, nel frattempo divenuto norma “temporanea”, secondo una lettura punitiva che invoca l’applicazione dell’art. 2, comma 5 c.p. per le norme “temporanee”.
Determinandosi, in definitiva, una frammentazione della normativa applicabile alle medesime fattispecie (di gestione di terre e rocce da scavo) senza neppure una minima ragione concreta che giustifichi il diverso trattamento riservato, nel corso del tempo, ai medesimi fatti.
Del resto, la fondatezza della suesposta critica all’interpretazione proposta dalla Corte trova una riprova inequivocabile nell’art. 15 del decreto n.161 del 2012, il quale, sotto la sua eloquente rubrica “Disposizioni finali e transitorie”, ha stabilito che “al fine di garantire che non vi sia alcuna soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa prevista dall’articolo 186 del decreto legislativo n. 152 del 2006 a quella prevista dal presente regolamento, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, i progetti per i quali è in corso una procedura ai sensi e per gli effetti dell’articolo 186 del decreto legislativo n. 152 del 2006, possono essere assoggettati alla disciplina prevista dal presente regolamento con la presentazione di un piano di utilizzo ai sensi e per gli effetti dell’articolo 5. Decorso il predetto termine senza che sia stato presentato un piano di utilizzo ai sensi dell’articolo 5, i progetti sono portati a termine secondo la procedura prevista dall’articolo 186 del decreto legislativo n. 152 del 2006”.
Il testo sopra citato conferma, infatti, che non vi è stata alcuna ragione di carattere sostanziale che abbia imposto una disciplina specifica per i fatti commessi entro l’intervallo di tempo fissato dall’art. 39 (dal 25 dicembre 2010 al 6 ottobre 2012). In caso contrario, non si spiegherebbe, da un punto di vista logico prima ancora che di coerenza delle scelte legislative, come sia possibile che gli stessi fatti (o meglio le stesse terre e rocce da scavo), disciplinati da una legge “temporanea”, possano poi essere assoggettati “alla disciplina prevista dal presente regolamento” o che la stessa legge temporanea possa disciplinare anche fatti successivi alla sua scadenza (“i progetti sono portati a termine secondo la procedura prevista dall’articolo 186 del decreto legislativo n. 152 del 2006”).
3. Conclusioni.
In definitiva, sulla scorta delle suesposte considerazioni, risulta evidente che, diversamente da quanto prospettato in sentenza, la presunta temporaneità dell’art. 186 si colloca al di fuori della disciplina derogatoria prevista dall’art. 2 comma 5 c.p. e che il meccanismo azionato dall’art. 39, comma 4, va correttamente ricondotto nell’istituto della c.d. “abrogazione differita”, ossia in una nozione giuridica che non ha nulla a che vedere con la “legge temporanea”.
Si palesano così, in modo lampante, i limiti e le carenze motivazionali della pronuncia qui commentata.
Ed invero, i Giudici di legittimità - piuttosto che cogliere l’occasione per approfondire una tematica di sicuro interesse per interpreti e operatori del settore urbanistico-edilizio, esaminando più nel dettaglio ratio e finalità della nuova disciplina in tema di terre e rocce da scavo, inquadrandola nell’ambito di una corretta applicazione dei principi in tema di retroattività della legge penale più favorevole, ex art. 2 c.p. - hanno scelto di non compiere alcun ulteriore sforzo argomentativo, limitandosi a ripercorrere lo stesso lacunoso percorso motivazionale della precedente decisione (n. 33577 del 4.7.12).
Alfredo Scialò
1 Cioè in forza del D.M. 161/12 che presumibilmente, secondo la prospettazione difensiva, qualificava le terre in questione come “sottoprodotti”, nel rispetto del nuovo regime, seppur tale profilo non viene specificato nella decisione in commento.
2 Più nel dettaglio, l’art. 39, comma 4 cit. nella sua versione originaria prevedeva che: “dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui all'articolo 184-bis, comma 2, e' abrogato l'articolo 186”
Successivamente, l’art. 49 del D.L. n.7/2012 come convertito dalla legge n. 27/12, interveniva sulla disciplina delle terre e rocce così disponendo:
(comma 1) “L'utilizzo delle terre e rocce da scavo è regolamentato con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti [da adottarsi entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto] .
(comma 1-bis).” Il decreto di cui al comma precedente, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, stabilisce le condizioni alle quali le terre e rocce da scavo sono considerate sottoprodotti ai sensi dell'articolo 184-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006”.
(comma 1-ter) “All'articolo 39, comma 4, del decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, il primo periodo è sostituito dal seguente: "Dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui all'articolo 49 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, è abrogato l'articolo 186”.
3 Si veda la nota di P. Giampietro, A. Scialò, M. Petronzi, “Il nuovo statuto delle terre e rocce da scavo secondo il D.M. n.161/2012 - Le definizioni del materiale da scavo – Il carattere “più favorevole” dell’attuale disciplina e la sua retroattività anche ai fini penali - L’art. 186 non ha natura di norma “temporanea”: rilievi critici sulla sentenza della S.C. n. 3577/2012” in www.lexambiente.it.
4 Si veda, tra gli altri, partendo dalla dottrina meno recente: E. Altavilla, Lineamenti di diritto criminale, Napoli, 1932, p. 39; G. Battaglini, Diritto penale, parte generale 3a edizione, Padova, 1949, p. 5; G. Bettiol, Diritto penale, parte generale, Cedam, 1982, p.130; V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, Utet, 1981 pag. 326; F. Antolisei, Manuale di diritto penale, parte generale, Giuffrè 2003 p. 112; I. Caraccioli, Manuale di diritto penale, Cedam, 2005, p. 94; A. Cadoppi-P.Veneziani, Elementi di diritto penale, parte generale, Cedam, 2007, p. 121 e s.; G. Fiandaca – E.Musco, Diritto penale, parte generale, p.85 e s. Per una approfondita ricognizione dell’evoluzione dottrinaria in tema di “leggi temporanee”, si veda G. L. Gatta Abolitio criminis e successione di norme «integratrici»: teoria e prassi, Giuffrè 2008, pag. 347 e ss.
5 Cfr. G. L. Gatta Abolitio criminis e successione di norme «integratrici»: teoria e prassi, pag. 347 e ss., cit.