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Cass. Sez. III n. 15521 del 4 maggio 2006
Pres. Vitalone Est. Fiale Ric. Pappacena
Aria. Omessa comunicazione di messa in esercizio dell'impianto

La violazione di cui all'art. 24 dpr 203-1988 ha natura permanente e la permanenza si protrae fino a quando il responsabile dell'impianto attivato non effettui (anche oltre il termine prescritto) la prevista comunicazione di messa in esercizio

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Svolgimento del processo

Con sentenza del 10 aprile 2003 il Tribunale di S. Maria Capua Vetere, in composizione monocratica, affermava la penale responsabilità di Pappacena Martino in ordine alla contravvenzione di cui:

- all’art. 24, 2° comma, D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 (per avere attivato un impianto di autocarrozzeria e verniciatura, suscettibile di dare luogo all’emissione di fumi in atmosfèra, senza averne dato la prescritta comunicazione alle autorità competenti - acc. in Curti, il 21 marzo 2002)

e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di euro 500,00 di ammenda.

Avverso tale sentenza ha proposto “appello” il Pappacena, il quale ha eccepito:

a) l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, in quanto l’attività per la quale occorreva l’omessa comunicazione sarebbe cessata nell’estate del 1999, cioè “più di tre anni prima dell’emissione del decreto di citazione”;

b) la eccessività della pena;

c) la mancata applicazione “nella massima estensione” delle riconosciute attenuanti generiche.

Gli atti sono stati trasmessi a questa Corte Suprema ai sensi dell’art. 568, ultimo comma, c.p.p.

 

Motivi della decisione

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto si articola in doglianze infondate che costituiscono altresì eccezioni in punto di fatto, non proponibili, come tali, in sede di legittimità.

La contravvenzione di cui all’art. 24, 20 comma, del D.P.R. n. 203/1988 ha natura permanente e la permanenza si protrae sino a quando il responsabile dell’impianto attivato non effettui (anche oltre il termine prescritto) la prescritta comunicazione di messa in esercizio (vedi Cass., Sez. III: 21 dicembre 1994, n. 12710, D’Alessandro).

L’illecito, infatti, perdura fintanto che lo svolgimento dell’attività soggetta a controllo rimane ignota alla pubblica amministrazione, impedendosi così l’accertamento previsto dall’art. 8, ultimo comma, dello stesso D.P.R. n. 203/1988.

L’invio della comunicazione, nel caso in esame, non era ancora intervenuto all’epoca dell’accertamento (21 marzo 2002) ed il giudice del merito correttamente ha motivato circa la carenza della prova di una disattivazione definitiva dell’impianto di verniciatura, che presentava soltanto il guasto di alcune sue componenti e poteva, comunque, essere riattivato dal titolare in qualunque momento.

La pena risulta determinata con corretto riferimento ai criteri direttivi di cui all’art. 133 cod. pen. ed il Tribunale, in particolare, ha valutato il “mancato svolgimento, al momento del fatto, di attività inquinanti”.

Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che, nella specie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria della inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 500,00.