L’anomala categoria italiana dei rifiuti urbani «per giacenza» su aree pubbliche

di Gianfranco AMENDOLA

pubblicato su osservatorioagromafie.it. Si ringraziano Autore ed Editore

1. La categoria italiana dei rifiuti urbani «per giacenza». - 2. Origine e ratio di questa anomala categoria di rifiuti urbani. - 3. La situazione attuale. - 4. Alcune questioni aperte.

1. - La categoria italiana dei rifiuti urbani «per giacenza». L’art. 184, comma 1, d.lgs. n. 152/06 (TUA, Testo Unico ambientale), introducendo la distinzione tra rifiuti urbani e rifiuti speciali, premette che essa si basa sulla «origine» del rifiuto 1, riferendosi alla provenienza da attività domestiche ovvero da attività industriali, commerciali o di lavorazione 2. Se, tuttavia, si legge l’elenco dei rifiuti urbani riportato nell’art. 183, comma 1, lett. b ter), appare evidente che, in realtà, ciò che conta è soprattutto la «qualità» del rifiuto, tanto è vero che sono considerati urbani 3 anche i rifiuti provenienti «da altre fonti che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici indicati nell’allegato L quater prodotti dalle attività riportate nell’allegato L quinquies» (n. 2), mentre i rifiuti provenienti da lavorazioni industriali o artigianali ovvero da attività commerciali o di servizio sono inclusi tra gli speciali solo se «diversi» (ovviamente per qualità) dai rifiuti urbani (art. 184, comma 3).

È interessante, a questo punto e prima di procedere ad ulteriori approfondimenti, verificare, per i rifiuti urbani, la rispondenza della classificazione italiana a quella comunitaria, tenendo, tuttavia, conto che il nostro legislatore ha ritenuto opportuno trasfondere nell’articolato italiano alcune precisazioni contenute non nel testo ma nel ‘considerando’ n. 10 della direttiva vigente sui rifiuti 4. E, pertanto, potrebbe essere utile il quadro che segue dove (a prescindere dalla numerazione italiana) abbiamo messo a confronto il contenuto sostanziale complessivo del testo comunitario con quello italiano.

Dir. n. 2008/98/CE modif. da dir. 2018/851/UE

ART. 3 (definizioni)

2 ter «rifiuti urbani»:

a ) rifiuti domestici indifferenziati e da raccolta differenziata, ivi compresi: carta e cartone, vetro, metalli, plastica, rifiuti organici, legno, tessili, imballaggi, rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, rifiuti di pile e accumulatori, e rifiuti ingombranti, ivi compresi materassi e mobili;

b ) rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti e che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici.

+ ‘considerando’ 10

I rifiuti urbani sono definiti come rifiuti domestici e rifiuti provenienti da altre fonti, come per esempio la vendita al dettaglio, l’amministrazione, l’istruzione, i servizi del settore della sanità, gli alloggi, i servizi dell’alimentazione e altri servizi e attività, che, per natura e composizione, sono simili ai rifiuti domestici . Pertanto, i rifiuti urbani dovrebbero comprendere, tra l’altro, i rifiuti della manutenzione del verde pubblico, come foglie, sfalci d’erba e potature di alberi , nonché i rifiuti risultanti dalla pulizia dei mercati e dalla nettezza urbana, come il contenuto dei cestini portarifiuti e la spazzatura , a eccezione dei materiali come la sabbia, la roccia, i fanghi o la polvere. Occorre che gli Stati membri provvedano a che i rifiuti prodotti da grandi attività commerciali e industriali che non sono simili ai rifiuti domestici non rientrino nell’ambito di applicazione della nozione di rifiuti urbani.

(Omissis)

I rifiuti urbani non includono i rifiuti della produzione, dell’agricoltura, della silvicoltura, della pesca, delle fosse settiche, delle reti fognarie e degli impianti di trattamento delle acque reflue, ivi compresi i fanghi di depurazione, i veicoli fuori uso o i rifiuti da costruzione e demolizione.

Tale definizione non pregiudica la ripartizione delle responsabilità in materia di gestione dei rifiuti tra gli attori pubblici e privati;

TUA (d.lgs. n. 152/06)

ART. 183, comma 1 (definizioni)

b ter ) «rifiuti urbani»:

1. i rifiuti domestici indifferenziati e da raccolta differenziata, ivi compresi: carta e cartone, vetro, metalli, plastica, rifiuti organici, legno, tessili, imballaggi, rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, rifiuti di pile e accumulatori e rifiuti ingombranti, ivi compresi materassi e mobili;

2. i rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici indicati nell’allegato L quater prodotti dalle attività riportate nell’allegato L quinquies;

3. i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade e dallo svuotamento dei cestini portarifiuti;

5. i rifiuti della manutenzione del verde pubblico, come foglie, sfalci d’erba e potature di alberi, nonché i rifiuti risultanti dalla pulizia dei mercati;

6. i rifiuti provenienti da aree cimiteriali, esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli di cui ai punti 3, 4 e 5.

4. i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua;

(Omissis)

b sexies ) i rifiuti urbani non includono i rifiuti della produzione, dell’agricoltura, della silvicoltura, della pesca, delle fosse settiche, delle reti fognarie e degli impianti di trattamento delle acque reflue, ivi compresi i fanghi di depurazione, i veicoli fuori uso o i rifiuti da costruzione e demolizione;

Già dalla semplice lettura di questo schema appare evidente che il testo italiano, quando (n. 4) inserisce anche «i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua», contiene una categoria di rifiuti urbani che non trova alcun riscontro nella normativa comunitaria; e si pone, anzi, in evidente contraddizione con i criteri sopra richiamati della «origine» e della «qualità», visto che comprende espressamente rifiuti « di qualunque natura o provenienza» che vengono inseriti tra gli urbani unicamente in virtù della loro «giacenza» in strade, aree pubbliche ecc. Di modo che anche rifiuti speciali e speciali pericolosi dovrebbero essere considerati urbani («per giacenza»), e, pertanto, soggetti alla relativa disciplina meno rigorosa, con evidenti pericoli per l’ambiente.

2. - Origine e ratio di questa anomala categoria di rifiuti urbani. Per comprendere meglio l’ambito di questa categoria tutta italiana, è necessario risalire a quaranta anni fa e precisamente al d.p.r. 10 settembre 1982, n. 915, il quale nell’art. 2 definiva come «rifiuto: qualsiasi sostanza od oggetto derivante da attività umane o da cicli naturali, abbandonato o destinato all’abbandono», ed inseriva, appunto, tra i rifiuti urbani «i rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private, comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime, lacuali e sulle rive dei fiumi»; categoria che veniva mantenuta, con questa formulazione, anche nelle leggi successive ma che, tuttavia, nel d.lgs. n. 22/97 (decreto Ronchi) era oggetto di un importante chiarimento in quanto, insieme ad una diversa definizione di «rifiuto» più rispondente al dettato comunitario vigente all’epoca 5, nell’art. 21 relativo alle «competenze dei Comuni», dopo aver ribadito che ad essi spetta la gestione dei rifiuti urbani, si precisava che «sono comunque considerati rifiuti urbani, ai fini della raccolta, del trasporto e dello stoccaggio , tutti i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade ovvero, di qualunque natura e provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle strade marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua» 6.

Appare, pertanto, evidente che questa anomala categoria italiana di rifiuti urbani è stata creata con il solo scopo di garantire la pulizia di aree, strade pubbliche ecc. da qualsiasi rifiuto, a cura del Comune (cui compete, appunto, la gestione dei rifiuti urbani), il quale deve, quindi, provvedere alla raccolta, trasporto e stoccaggio di tutti i rifiuti giacenti in aree pubbliche a prescindere dalla loro natura, provenienza e classificazione 7.

Ma appare altrettanto evidente che non si tratta di una equiparazione a tutti gli effetti in quanto viene limitata alle prime fasi collegate con la raccolta, escludendo quelle successive di recupero o smaltimento che devono, quindi, avvenire, in conformità alla natura e qualità del rifiuto raccolto.

3. - La situazione attuale. In questo quadro, se è vero che questa precisazione introdotta dal decreto Ronchi oggi non risulta espressamente ripetuta nel TUA, è anche vero che essa potrebbe desumersi indirettamente dal testo dell’attuale art. 198 («Competenze dei Comuni») il quale, dopo aver premesso che compete ai Comuni la gestione dei rifiuti urbani, ricorda che spetta ai Comuni stabilire, tra l’altro, « le misure per assicurare la tutela igienico-sanitaria in tutte le fasi della gestione dei rifiuti urbani », « le modalità del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani », nonché di « garantire una distinta gestione delle diverse frazioni di rifiuti e promuovere il recupero degli stessi » e di « garantire una distinta ed adeguata gestione dei rifiuti urbani pericolosi e dei rifiuti da esumazione ed estumulazione di cui all’articolo 184, comma 2, lettera f)» 8.

Peraltro, a questo proposito, si deve notare che l’attuale definizione di « gestione» dei rifiuti [art. 183, comma 1, lett. n)] fa, in qualche modo, riferimento anche a questa anomala categoria di rifiuti urbani quando, effettuando un’altra anomala aggiunta al dettato comunitario, afferma che «non costituiscono attività di gestione dei rifiuti le operazioni di prelievo, raggruppamento, cernita e deposito preliminari alla raccolta di materiali o sostanze naturali derivanti da eventi atmosferici o meteorici o vulcanici, ivi incluse mareggiate e piene, anche ove frammisti ad altri materiali di origine antropica effettuate, nel tempo tecnico strettamente necessario, presso il medesimo sito nel quale detti eventi li hanno depositati». Tanto è vero che il Comitato nazionale gestori ambientali ha precisato, di recente, che lo svolgimento di queste operazioni, senza trasporto, se riguarda rifiuti abbandonati sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua, non necessita di iscrizione all’Albo, mentre, per il trasporto, occorre la iscrizione nella categoria «raccolta e trasporto di rifiuti urbani» 9.

In conclusione, a nostro sommesso avviso, con questa anomala categoria dei rifiuti urbani «per giacenza», il nostro legislatore vuole solo ribadire che la pulizia dai rifiuti di qualsiasi genere giacenti in aree pubbliche rientra negli obblighi del Comune collegandosi direttamente al potere-dovere del sindaco di provvedere direttamente o indirettamente 10 alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti abbandonati (art. 192 sull’abbandono di rifiuti), garantendo, comunque, che ciò avvenga tenendo conto della natura reale dei rifiuti, specie se pericolosi, onde evitare pericoli per la salute e per l’ambiente 11. Purtroppo, però, siamo costretti ad usare il condizionale e a lasciare un ampio margine di incertezza visto che trattasi di nostre deduzioni ovviamente opinabili a causa del confuso dettato normativo italiano.

4. - Alcune questioni aperte. Restano, comunque, a causa di questi anomali inserimenti nel dettato comunitario, alcune questioni aperte che recentemente sono state oggetto di attenzione da parte della Corte costituzionale. Ci riferiamo, ovviamente, alle sentenze sulla posidonia 12 e sul legname 13 depositati sulla spiaggia a causa di mareggiate ed altri eventi atmosferici nelle quali la Corte, chiamata a decidere se si trattasse o meno di rifiuti, ha fatto espresso riferimento proprio alla categoria di rifiuti urbani «per giacenza» sopra richiamata, operando, tuttavia, specie nella seconda, numerosi distinguo ed addivenendo alle sue conclusioni glissando sulla questione centrale (rifiuto o non rifiuto) e basandosi, invece, sulle aggiunte legislative italiane specifiche per la posidonia spiaggiata 14 e, quanto al legname, generiche, in tema di «gestione» di rifiuti relativa a «sostanze naturali derivanti da eventi atmosferici o meteorici o vulcanici»15.

Sorge, quindi, spontaneo chiedersi se, in assenza di queste aggiunte italiane al testo comunitario, la posidonia ed il legname «naturale» 16 trascinati sulla spiaggia dalle mareggiate potrebbero, comunque, essere considerati rifiuti, e cioè, una «sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi», specie alla luce della precisazione più volte evidenziata dalla giurisprudenza comunitaria, secondo cui «la qualifica di rifiuto discende anzitutto dal comportamento del detentore e dal significato del termine “disfarsi” (v., in tal senso, sentenze 18 dicembre 1997, in causa C‑129/96, Inter-Environnement Wallonie, in Racc. pag. I‑7411, punto 26; 7 settembre 2004, in causa C‑1/03, Van de Walle ed a., Racc. pag. I‑7613, punto 42, nonché 10 maggio 2007, in causa C‑252/05, Thames Water Utilities, Racc. pag. I-3883, punto 24)»17 . E pertanto, considerato che il «detentore» è «il produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica che ne è in possesso» [art. 183, comma 1, lett. h)], in questi casi dove si tratta di residui naturali prodotti dalla natura, nel momento della loro «giacenza» non sembra identificabile alcun «detentore» che abbia voluto o dovuto disfarsene. Ed è forse per questo che la prima definizione italiana, già ricordata, di «rifiuto» parlava di «sostanza od oggetto derivante da attività umane o da cicli naturali, abbandonato o destinato all’abbandono». Ed è forse per questo che ancora oggi si legge sul sito del Ministero della transizione ecologica e sul sito ISPRA (stato dell’ambiente n. 84 del 2019) che i rifiuti sono «le sostanze o gli oggetti che derivano da attività umane o da cicli naturali, di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi»; operando, così, una curiosa e arbitraria commistione tra definizioni vecchie e nuove, italiane e comunitarie 18.

Ma qualche dubbio sorge anche con riferimento alla qualificazione giuridica di veri e propri rifiuti (cose divenute rifiuti perché il detentore se ne è disfatto) abbandonati in aree pubbliche. Se, infatti, in caso di abbandono, «la cosa diventa res nullius e, quindi, chi la trova e se ne appropria ne diventa proprietario senza, ovviamente, commettere alcun reato»19, è anche vero che, in base alla normativa italiana sopra richiamata, i rifiuti abbandonati in aree pubbliche sono rifiuti urbani la cui gestione compete automaticamente ai Comuni; e, pertanto, in caso di appropriazione da parte di terzi per trarne profitto, si potrebbe ipotizzare il furto aggravato in danno del Comune, trattandosi di sottrazione di cosa mobile a chi la detiene ex lege. In tal senso, peraltro, ha deciso la Cassazione proprio in tema di rifiuti «pubblici» di competenza comunale, con riferimento al materiale ferroso stoccato all’interno di una piazzola ecologica 20, ad alcuni abiti usati trafugati da un cassonetto 21 nonché ad alcune batterie esauste destinate al riciclo 22. Trattavasi, tuttavia, di casi in cui i rifiuti erano stati materialmente «acquisiti» dal Comune attraverso la raccolta e non per semplice «giacenza» per abbandono in aree pubbliche, per la quale, fino alla raccolta, non sembra ipotizzabile, invece, alcuna relazione con il Comune, pur se si tratta di rifiuti qualificati come «urbani» dalla legge italiana.

Potremmo continuare, specie con riferimento ad altre anomale aggiunte italiane al testo comunitario (ad esempio, in tema di terre e rocce da scavo e di rifiuti vegetali), ma quanto sommariamente esposto ci sembra sufficiente per evidenziare che qualsiasi modifica del testo comunitario, prima di essere approvata, dovrebbe essere attentamente vagliata onde evitare che risulti fonte di ulteriori incertezze in leggi ambientali che già non brillano per chiarezza.

1 «I rifiuti sono classificati, secondo l’origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali (...)».

2 In sostanza, è lo stesso criterio che distingue, nella parte III, le acque reflue urbane da quelle industriali e, prima ancora, già nella legge Merli sulle acque del 1976, distingueva gli scarichi degli insediamenti civili da quelli produttivi.

3 In precedenza denominati «assimilabili agli urbani»; si rinvia, in proposito, per approfondimenti e richiami, da ultimo al nostro Diritto penale ambientale, Pisa, 2022, 138 e ss.

4 I ‘considerando’ comunque sono parte integrante delle direttive.

5 Rifiuto: «qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi» (art. 6).

6 Ci sia consentito, in proposito, di rinviare alle nostre prime osservazioni formulate a proposito di questa anomala categoria di rifiuti urbani in Smaltimento di rifiuti e legge penale, Napoli, 1985, 21; e poi ripetute in diversi scritti successivi.

7 Si noti, a questo proposito, che la direttiva comunitaria, sempre nel ‘considerando’ n. 10, precisa che «la definizione di “rifiuti urbani” nella presente direttiva è introdotta al fine di definire l’ambito di applicazione degli obiettivi di preparazione per il riutilizzo e riciclaggio nonché le relative norme di calcolo. Essa è neutra rispetto allo stato giuridico, pubblico o privato, del gestore dei rifiuti e comprende pertanto i rifiuti domestici e quelli provenienti da altre fonti che sono gestiti da o per conto dei Comuni oppure direttamente da operatori privati ».

8 Altra categoria di rifiuti urbani tutta italiana così come quella dei rifiuti «per giacenza».

9 Circolare prot. 0000011.22.11.2021 la quale chiarisce che «l’attività di mera pulizia delle spiagge e rive, anche se effettuata mediante l’utilizzo di macchine operatici e/o veicoli uso speciale, finalizzata al solo raggruppamento dei rifiuti non necessita di iscrizione all’Albo, in quanto attività preliminare alla raccolta».

10 Cfr. in proposito, da ultimo, Manni, Rifiuti a bordo strada, in www.lexambiente.it, 21 aprile 2022.

11 Ad esempio, rifiuti da demolizione con amianto, abbandonati in aree pubbliche, non potranno essere smaltiti in discariche per urbani.

12 Corte cost. 5 maggio 2021, n. 86, in Giur. cost., 2021, 3, 1103.

13 Corte cost. 1° aprile 2022, n. 85, in Dir. giur. agr. al. amb ., 2022, 2, con nota di Amendola, Corte costituzionale. Dopo la posidonia il legname spiaggiato: rifiuto o non rifiuto?, .

14 In proposito, per approfondimenti e richiami, ci permettiamo rinviare a Amendola, Corte costituzionale: la posidonia spiaggiata, rifiuto e risorsa , in www.osservatorioagromafie.it, 7 maggio 2021, nonchéUltime notizie sulla posidonia: il decreto sostegni, ivi, 19 luglio 2021.

15 In proposito, per approfondimenti e richiami, ci permettiamo rinviare a Amendola, Corte costituzionale. Dopo la posidonia il legname spiaggiato: rifiuto o non rifiuto? , cit.

16 Ovviamente non ci riferiamo ai rifiuti di legno provenienti da attività umana ma a rami, tronchi ecc., divelti e trascinati in mare da eventi meteorologici.

17 Corte di giustizia, Sez. III 18 dicembre 2007, in causa C-263/05, in Foro it., 2008, 4, IV, 185. Per approfondimenti di dottrina e giurisprudenza sulla nozione di «rifiuto», si rinvia, da ultimo, al nostro Diritto penale ambientale, cit., 101 e ss.

18 Si noti che, in passato, spesso nella normativa e nella giurisprudenza ricorreva la dizione «residui di produzione o di consumo». In proposito, si rinvia al nostro Il testo unico ambientale e la nozione di rifiuto. A che punto siamo? , in Dir. giur. agr. al. amb., 2007, 3, 145 e ss.

19 Cass. Sez. II Pen. 13 giugno 2011, n. 23626, R.A., in Riv. pen ., 2011, 10, 1008.

20 Cass. Sez. V Pen. 27 giugno 2014, n 42822, Sonzogni, rv. 260.101.

21 Cass. Sez. II Pen. 4 aprile 2018, n. 14960, C.S., in www.retidigiustizia.it.

22 Cass. Sez. VII Pen. 23 gennaio 2020, n. 2582 ord., in www.ambienterosa.net.