TAR Puglia (BA) Sez. II n. 1381 del 30 dicembre 2017
Urbanistica.Classamento catastale quale titolo di legittimazione del mutamento funzionale della destinazione d’uso

Deve escludersi che costituisca titolo di legittimazione del mutamento funzionale (senza opere edilizie) della destinazione d’uso la documentazione catastale che attesta il passaggio di un complesso edilizio, a seguito di accertamento dell’Agenzia delle entrate, dalla originaria categoria D/10 “rurale” alla categoria D/8 “commerciale”. Infatti il classamento catastale ha la diversa funzione di attribuire ad una unità immobiliare la corrispondente categoria funzionale ai fini del prelievo fiscale, considerandola nello stato di fatto esistente al momento della rilevazione, senza disporre alcun accertamento sulla conformità dell’opera alle norme urbanistiche.


Pubblicato il 30/12/2017

N. 01381/2017 REG.PROV.COLL.

N. 01031/2016 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1031 del 2016, proposto da:
Di Salvia Giuseppe & Angelo S.n.c. in persona del legale rappresentante p.t. e Anna Maria Di Modugno, rappresentati e difesi dall'avvocato Giacomo Gramegna, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Alessandro Di Cagno, in Bari, via Putignani, n. 47;

contro

Comune di Ruvo di Puglia, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

- del “Provvedimento di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi e/o disposizioni per conformare alla normativa vigente l’attività ed i suoi effetti – art. 19 l. 241/90 e s.m.i.” prot. n. 16475 a firma del Responsabile dello Sportello Unico Attività Produttive “SUAP Comunale di Ruvo di Puglia notificato in data 25 luglio 2015, che ordina “il divieto immediato di prosecuzione dell’attività di cui alla SCIA in premessa”;

- della presupposta e pure richiamata “comunicazione di avvio del procedimento amministrativo preordinato alla decadenza dalla legittimazione all’esercizio pubblico di somministrazione di alimenti e bevande ex l. n. 287/1991 nell’ambito degli ambienti ubicati in contrada Torre del Monte – Ruvo di Puglia” comunicazione prot. n. 12706 del 12 giugno 2015, a firma del medesimo Direttore dell’Area;

- di altro ogni eventuale atto connesso, presupposto, esecutivo e conseguente, pur se ignoto al ricorrente, in relazione ai quali si formula espressa riserva di proporre motivi aggiunti;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 novembre 2017 la dott.ssa Maria Colagrande;

Udito per i ricorrenti l’avv. Giacomo Gramegna;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La società ricorrente e Anna Maria Di Modugno sono, rispettivamente, conduttrice e titolare del ramo d’azienda compreso nel complesso immobiliare “Tenuta Torre del Monte”, sito nel comune di Ruvo di Puglia, per l’esercizio di attività di ricevimento e ristorazione connessa a quella agrituristica.

Con dodici motivi di ricorso impugnano il provvedimento di divieto di prosecuzione dell’attività commerciale intimato dal Comune di Ruvo di Puglia, ai sensi dell’art. 19 della legge n. 241 del 7 agosto 1990, sul presupposto che i locali del complesso immobiliare utilizzati per l’esercizio di detta attività avrebbero una destinazione incompatibile con l’uso commerciale in atto.

I motivi di gravame possono essere così di seguito sintetizzati.

1) Violazione degli articoli 19, comma 4, 21 nonies della legge n. 241/1990 e dell’art. 23 ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 6 giugno 2001- eccesso di potere sotto vari profili.

Il divieto del 21 luglio 2016 sarebbe intervenuto quando erano già decorsi i termini, previsti dall’art. 19 della legge n. 241/1990, sia per l’inibitoria delle attività segnalate, sia per l’autotutela esercitata – ma non giustificata da un prevalente interesse pubblico – sulle tre SCIA edilizie presentate dai ricorrenti, rispettivamente in data 1° dicembre 2014, 16 gennaio 2015 e 9 marzo 2016 per la manutenzione ordinaria dei locali adibiti a cucina, ricevimento e ristorazione e per l’apertura di una sala ricevimenti- ristorante nel complesso “Tenuta Torre del Monte” a nome della S.n.c. Di Salvia Giuseppe & C.

2) Violazione della legge n. 287/1991 e degli articoli 39 e 40 della legge regionale n. 24/2015 – eccesso di potere sotto vari profili.

L’attività oggetto di divieto non avrebbe comportato alcun mutamento di destinazione d’uso dell’immobile da ritenersi, invece, conforme al regime edilizio e urbanistico perché esso:

- ricade nella zona omogenea E del PUG del comune di Ruvo di Puglia;

- dispone di certificazione di agibilità della sala ricevimenti dal 2000;

- è identificato come bene architettonico in ambito rurale per il quale lo strumento urbanistico ammette l’uso commerciale legato all’attività agricola;

- può essere destinato ad attività di somministrazione alimenti e bevande tipiche della gastronomia pugliese indipendentemente dall’attività agricola, come stabilito dalle NTA del PUG per le strutture rurali situate nella zona CR1 della campagna produttiva.

3) e 4) Violazione dell’art. 97 della Costituzione – eccesso di potere sotto vari profili.

Il divieto si fonderebbe su errati presupposti di fatto, non sussistendo alcun conflitto fra la destinazione urbanistica del complesso e l’attività commerciale in esso esercitata.

5) violazione degli articoli 6, 22 e 3 del d.P.R. n. 380/2001 - eccesso di potere – incompetenza.

Il provvedimento, siccome volto a censurare interventi edilizi, avrebbe dovuto essere adottato non dal Servizio attività produttive, ma dal Settore sviluppo urbanistico del Comune.

6) violazione dell’art. 23 ter del d.P.R. 380/2001.

La destinazione d’uso dichiarata nella SCIA del 9 marzo 2015 non avrebbe determinato alcun mutamento - che ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. n. 380/2001 sarebbe subordinato alla richiesta di un titolo edilizio - rispetto a quella precedentemente impressa al complesso edilizio, né una variazione degli standard urbanistici.

7) violazione degli articoli 10 e 21 bis della legge n.241/1990 e dell’art. 23, comma 6, del d.P.R. n. 380/2001. La SCIA del 9 marzo 2015 non potrebbe aver determinato il mutamento di destinazione d’uso in quanto finalizzata a segnalare la gestione dell’attività già in corso nel complesso edilizio di “Tenuta Torre del Monte” da parte di un altro soggetto.

8) violazione e falsa applicazione degli articoli 3 e 6 della legge n. 148 del 14 settembre 2011, dell’art. 1 del d.l. n. 1 del 24 gennaio 2012, convertito con legge n. 27 del 24 marzo 2012, degli articoli 1 e 14, comma 4, lettera d), della legge n. 35 del 4 aprile 2012, dell’art. 13 della legge n. 134 del 7 agosto 2012, del d.P.R. n. 160 del 7 settembre 2010, degli articoli 7, 9 e 11 della legge 11 novembre 2011, n. 180, della legge n. 190 del 6 novembre 2012, dell’art. 97 della Costituzione.

Il Comune avrebbe gestito il procedimento in violazione delle norme di azione volte a garantire efficienza, celerità, imparzialità, collaborazione con l’interessato e buon andamento.

9) violazione dell’art. 41 della Costituzione – eccesso di potere per sviamento.

Il provvedimento gravato ostacolerebbe illegittimamente il libero esercizio dell’attività economica.

10) violazione degli articoli 2, 7 e 8 della legge n. 241/1990 e dell’art. 328 del codice penale.

Il Comune avrebbe omesso di dare avviso di avvio del procedimento, non potendosi ritenere tale la nota del 12 giugno 2015 risalente a più di un anno prima del provvedimento.

11) eccesso di potere e incompetenza (decreto legislativo n. 29/1993; decreto legislativo n. 80/1998, legge n. 127/1997, art. 107 del decreto legislativo n. 267/2000)

Il provvedimento impugnato avrebbe dovuto essere adottato da un dirigente comunale anziché da un funzionario.

12) Invalidità degli atti successivi derivata dai vizi che affliggono gli atti presupposti.

All’udienza del 7 novembre 2017 la causa è passata in decisione.

Preliminarmente devono essere esaminati i vizi d’incompetenza dedotti con il quinto motivo e l’undicesimo motivo.

Il quinto motivo è infondato.

L’art. 6 della legge n. 241/1990 dispone che il responsabile del procedimento adotta il provvedimento conclusivo del procedimento ove ne abbia la competenza.

L’art. 107, comma 2, del decreto legislativo n. 267 del 18 agosto 2000 stabilisce che l’adozione dei provvedimenti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno sono di competenza dei dirigenti, mentre, ai sensi del successivo art. 109, nei comuni privi di personale di qualifica dirigenziale, dette funzioni possono essere attribuite ai responsabili degli uffici o dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale.

Il criterio attrattivo della competenza è quindi individuato dal legislatore nella effettiva titolarità delle funzioni direttive, indipendentemente dall’organizzazione o qualificazione degli uffici.

Il provvedimento impugnato è stato adottato dal Responsabile dello Sportello Unico delle Attività Produttive – che è un ufficio a rilevanza esterna istituito dall’art. 23 del decreto legislativo n. 112 del 31 marzo 1998.

Ne consegue che il responsabile del SUAP, pur non rivestendo la qualifica di dirigente, per la posizione apicale che occupa, è perciò competente ad adottare i provvedimenti inerenti all’attribuzione dell’ufficio a rilevanza esterna e ha titolo ad assumere le funzioni di responsabile dei relativi procedimenti.

È infondato anche l’undicesimo motivo.

La dedotta incompetenza del SUAP sulle questioni urbanistico-edilizie connesse alla SCIA produttiva è smentita dall’art. 2, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 160 del 7 settembre 2010 che indica nel SUAP l'unico soggetto pubblico di riferimento territoriale per tutti i procedimenti che abbiano ad oggetto l'esercizio di attività produttive e di prestazione di servizi […], ivi compresi quelli di cui al decreto legislativo 26 marzo 2010, n.59e dall'art. 3, comma 7,della legge n. 287 del 25 agosto 1991.

Quest’ultima disposizione stabilisce che le attività di somministrazione di alimenti e di bevande devono essere esercitate nel rispetto delle vigenti norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia, urbanistica e igienico - sanitaria, nonché di quelle sulla destinazione d'uso dei locali e degli edifici.

Pertanto, se la conformità dell’attività commerciale alla normativa edilizia è condizione per il rilascio del titolo autorizzativo da parte del SUAP, la verifica della sussistenza e permanenza di detto requisito non può che far capo allo stesso organo nell’esercizio della doverosa funzione di vigilanza (T.A.R. Lazio, n. 7097/2017 e n. 9280/2017), anche in ossequio ai principi che regolano l’attività amministrativa di secondo grado.

Venendo al merito del ricorso il Collegio esamina congiuntamente il secondo, il terzo, il quarto e il sesto motivo in quanto connessi.

Premesso che gli interventi di sostituzione dei pavimenti di cui alle prime due SCIA non sono soggetti a titoli abilitativi ai sensi dell’art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica del 6 giugno 2001, in quanto ascrivibili alla categoria delle opere di manutenzione ordinaria, la diversa, fondamentale questione da dirimere può essere così esposta:

1) se l’esercizio di attività commerciale, annunciato con la SCIA del 9 marzo 2016 – che, secondo la ricostruzione del ricorrente non ha richiesto l’esecuzione di opere edilizie - abbia comportato un mutamento di destinazione d’uso rispetto al precedente regime edilizio dei locali del ramo d’azienda ceduto in gestione alla società ricorrente;

2) se, in tal caso, l’inizio di detta attività fosse subordinato al rilascio di un nuovo titolo edilizio, oltre che alla SCIA ex art. 19 della legge n. 241/1990.

Occorre fare, a tal fine, una premessa di ordine sistematico.

La legislazione urbanistica, nel disporre la suddivisione funzionale del comprensorio comunale per zone omogenee, ne individua gli usi prevalenti, da intendersi quali destinazioni d’uso del territorio.

La destinazione d’uso relativa al singolo edificio, normalmente indicata nel titolo edilizio (permesso di costruire, DIA alternativa al permesso di costruire, SCIA), corrisponde a specifiche categorie edilizie previste dagli strumenti urbanistici (piano regolatore, regolamento edilizio) ed esprime l’impiego funzionale del singolo immobile compatibile con il regime urbanistico e la dotazione di servizi e infrastrutture di ciascuna zona omogenea.

Pertanto il passaggio della destinazione di un edificio, senza opere o mediante interventi di edilizia libera, da uno ad un altro degli usi ammessi all’interno della stessa categoria urbanistica, costituisce libera espressione del diritto dominicale, mentre è soggetto al conseguimento di un titolo edilizio se esso è rilevante sotto il profilo urbanistico.

Ciò accade quando il passaggio avviene tra usi che le norme e gli strumenti urbanistici hanno predeterminato come urbanisticamente rilevanti, correlandoli a categorie edilizie tra loro funzionalmente autonome in quanto esprimono un diverso carico urbanistico, ossia una diversa domanda di servizi (standard urbanistici).

Si è quindi affermato che se il cambio di destinazione d’uso avviene fra categorie edilizie omogenee, perché riconducibili allo stesso regime, il carico urbanistico non subisce un aggravio e la variazione d’uso funzionale, cioè senza opere, è irrilevante dal punto di vista urbanistico (Cass. pen. n. 9894/2009), tanto che non è subordinato al rilascio o formazione di un titolo edilizio.

Viceversa, il mutamento di destinazione d’uso fra categorie funzionalmente autonome, proprio perché potrebbe aggravare il carico urbanistico nel passaggio dai parametri urbanistici originari ai nuovi, richiede il rilascio del permesso di costruire o la presentazione della SCIA edilizia, in base alle previsioni della legge regionale, cui l’art. 10 comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 6 giugno 2001, a tal fine, rinvia.

Quanto finora detto, frutto di una lettura coordinata dell’art. 10, comma 2, dell’art. 22, comma 2, e dell’art. 32, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 6 giugno 2001, che disciplinano il cambio di destinazione d’uso, è stato oggetto di positiva previsione, applicabile al caso in decisione ratione temporis, nell’art. 23 ter del citato decreto, introdotto dal decreto legge n. 133 del 12 settembre 2014, convertito con legge n. 164 in data 11 novembre 2014, che considera rilevante mutamento della destinazione d’uso ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata da opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate:

a) residenziale;

a-bis) turistico – ricettiva;

b) produttivo e direzionale;

c) commerciale;

d) rurale.

Ciò premesso, rileva, in punto di fatto, che il complesso edilizio “Tenuta Torre del Monte”, presso il quale attualmente è esercitata l’attività di ristorazione, dichiarato agibile per l’esercizio di attività agrituristica, classificato fabbricatorurale (certificato di agibilità del 27 giugno 2000), è stato inserito, come riferito dai ricorrenti, nell’elenco dei beni architettonici in ambito rurale per il quali l’art. 23 del PUG/S ammette usi residenziali, turistico-ricettivi, agricoli, produttivi direzionali e commerciali legati all’attività agricola.

Ne consegue che, ferma restando la destinazione rurale dell’immobile, l’inizio dell’attività di ristorazione, come riferito dai ricorrenti, non è più connessa all’attività agricola, oggetto della SCIA del 9 marzo 2016, ha comportato di fatto un mutamento di destinazione d’uso funzionale, che avrebbe dovuto essere preceduta da una SCIA asseverante la conformità urbanistica di tale mutamento, o dal rilascio del permesso di costruire, in quanto l’esercizio di detta attività non è riconducibile agli usi ammessi dal citato art. 23 PUG/S ma, contrariamente a quanto sostenuto con il settimo motivo che deve pertanto essere respinto, è tale da comportare il passaggio dalla categoria rurale a quella commerciale che l’art. 23 ter del d.P.R. n. 380/2001 considera rilevante ai fini urbanistici e soggetto al conseguimento di un titolo edilizio.

A tale riguardo deve escludersi che costituisca titolo di legittimazione del mutamento funzionale (senza opere edilizie) della destinazione d’uso la documentazione catastale che attesta il passaggio del complesso edilizio, in data 17 giugno 2016, a seguito di accertamento dell’Agenzia delle entrate, dalla originaria categoria D/10 “rurale” alla categoria D/8 “commerciale”.

Infatti il classamento catastale ha la diversa funzione di attribuire ad una unità immobiliare la corrispondente categoria funzionale ai fini del prelievo fiscale, considerandola nello stato di fatto esistente al momento della rilevazione, senza disporre alcun accertamento sulla conformità dell’opera alle norme urbanistiche.

Non sono inoltre fondati il primo e decimo motivo con i quali viene censurata l’inidoneità della nota del 12 giugno 2015 a valere come comunicazione di avvio del procedimento.

Il provvedimento con il quale il Comune ha accertato il mutamento di fatto della destinazione d’uso dell’immobile ha doverosamente rilevato che tale destinazione impressa al complesso edilizio è sprovvista del titolo abilitante, adottando il conseguente, altrettanto vincolato, provvedimento di divieto che resta insensibile, per questo, all’asserita violazione del dovere di collaborazione con il privato, dedotta, in modo in verità generico, con l’ottavo motivo di ricorso.

Merita infatti di essere sottolineato che, come del resto asserito nel ricorso, nessuna delle SCIA presentate dai ricorrenti aveva ad oggetto il mutamento di destinazione d’uso dei locali.

In particolare la SCIA del 9 marzo 2015 ha ad oggetto la comunicazione di avvio di un’attività commerciale dal parte della S.n.c. “Di Salvia Giuseppe & Angelo” localizzata in un immobile la cui destinazione d’uso rurale non è compatibile con detta attività.

Ne consegue che quando manca, come in specie, il titolo edilizio richiesto per la realizzazione di un intervento urbanisticamente rilevante, il controllo, anche repressivo, della pubblica amministrazione sulle attività che quel titolo presuppongono, è adeguatamente giustificato con il richiamo alle circostanze di fatto e alle disposizioni di tutela in concreto violate.

Deve essere respinto infine il nono motivo di ricorso poiché l’azione amministrativa, non essendo illegittima nel suo contenuto conformativo, non può aver recato alcuna lesione al diritto di iniziativa economica della società ricorrente.

Non vi è luogo a decidere sulle spese perché il Comune di Ruvo di Puglia non si è costituito.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 7 novembre 2017 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppina Adamo, Presidente

Giacinta Serlenga, Consigliere

Maria Colagrande, Referendario, Estensore

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Maria Colagrande        Giuseppina Adamo