Schemi di decreti legislativi su rifiuti e discariche: primi appunti

di Gianfranco AMENDOLA

lo schema dei decreti è reperibile qui: 1) imballaggi e rifiuti da imballaggio  2) discariche

PREMESSA

Le osservazioni che seguono ricalcano il testo della mia audizione dinanzi alla Commissione ambiente del Senato il 26 maggio 2020.

Oggetto dell’audizione era il pacchetto economia circolare consistente in quattro schemi – allegati al presente lavoro – di decreti legislativi relativi al recepimento di quattro direttive (rifiuti e imballaggi, discariche, RAEE e veicoli fuori uso) ma le mie osservazioni, dato il poco tempo concessomi per preparare l’audizione, si sono limitate ad alcuni punti “caldi” dello schema su rifiuti e imballaggi e ad una brevissima riflessione in relazione a quello sulle discariche. Senza, quindi, alcuna pretesa di completezza specie in relazioni alle parti specificamente “tecniche”.

Le osservazioni sono basate sul testo attuale della normativa italiana (in particolare il d.lgs. 152/06 e il d.lgs. 36/2003), sulle disposizioni delle nuove direttive sui rifiuti e sulle discariche e sulle indicazioni al governo contenute nella legge di delegazione europea 2018 (Legge 4 ottobre 2019, n. 117: “ Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea ”).

Ciò premesso, prima di passare alla sintetica esposizione delle mie osservazioni sulle singole disposizioni, mi sembra opportuno richiamare l’attenzione su alcuni punti di valenza generale:

1) Non si può continuare a modificare senza sosta il d.lgs. 152/06 il cui testo iniziale constava di 318 articoli e 45 allegati ma, già nei primi 12 anni ha subìto 762 modifiche (72 ogni anno); per cui, dopo 12 anni risultava composto da 397 articoli con 105 nuovi (bis, ter ecc.) articoli e 26 articoli abrogati. In più a singoli articoli sono stati aggiunti numerosi nuovi commi (bis, ter ecc.) e, a volte, sono stati abrogati articoli che, a loro volta, abrogavano. Insomma, oggi molto spesso è già difficile capire quali siano le norme realmente vigenti ed applicabili. È, quindi, auspicabile una revisione complessiva del testo con una radicale semplificazione, eliminando le tante disposizioni di contenuto secondario o di tipo burocratico, privilegiando la chiarezza delle regole e limitando al massimo le eccezioni.

2) Gli schemi esaminati confermano un indirizzo che caratterizza l’attuale gestione del Ministero dell’ambiente la quale tende ad evitare di emanare con legge disposizioni operative, preferendo rinviarle a suoi futuri atti amministrativi (decreti, regolamenti ecc.) senza neppure, spesso, prevedere una data per l’adempimento. In tal modo, tuttavia, non solo non si dà esecuzione all’indirizzo di semplificazione risultante dalla legge delega, ma non si può neppure realmente verificare l’aderenza di una proposta alle indicazioni comunitarie e della legge delega, visto che si rinvia tutto a futuri atti ministeriali; e, soprattutto, si gravano le strutture del Ministero di nuovi compiti ed obblighi cui si può adempiere solo con un abnorme aumento di queste strutture; oppure non si adempie.

3) Alcune indicazioni della legge delega sembrano totalmente disattese. Ad esempio:

a ) Nello schema DDL sui rifiuti non si rinviene quella razionalizzazione complessiva del sistema delle funzioni e delle competenze dello Stato e degli enti territoriali propugnata, con indicazioni specifiche e concrete, per il settore rifiuti, nella lettera m) dell’art. 16 della legge delega. Né se ne tiene conto nella formulazione di singole proposte, ad esempio in tema di EoW; b) Nel DDL sembra totalmente carente la problematica dell’adeguamento e del riordino dei controlli e delle sanzioni in tema di rifiuti, che pure emerge come indirizzo della legge delega [cfr. per tutti art. 16, comma 1, lett. a), n. 8 in tema di responsabilità estesa del produttore]; c) Nel DDL discariche manca del tutto l’adozione di una nuova disciplina organica in materia di utilizzazione dei fanghi, che pure era stata espressamente richiesta dalla legge delega [art. 15, comma 1, lett. b)].

4) Di contro, vi sono, spesso aggiunte, modifiche o abrogazioni della normativa vigente che non sembrano avere alcuna attinenza con il recepimento delle nuove direttive né con le indicazioni della legge delega (cfr., ad esempio, per allegati a direttiva discariche).

SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO RECANTE ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA (UE) 2018/851, CHE MODIFICA LA DIRETTIVA (CE) 2008/98 RELATIVA AI RIFIUTI, E DELLA DIRETTIVA (UE) 2018/852, CHE MODIFICA LA DIRETTIVA (CE) 1994/62 SUGLI IMBALLAGGI E I RIFIUTI DI IMBALLAGGIO (AG 169)

1) Responsabilità estesa del produttore

Ad essa attengono gli artt. 178 bis (responsabilità estesa del produttore) e 178 ter ( requisiti generali minimi in materia di responsabilità estesa del produttore ).

Trattasi di articoli che procedono alla trasposizione dei relativi articoli della direttiva. Tuttavia, la legge delega [art. 16, comma 1, lett. a )] prevede molto di più, in quanto in proposito, richiede al Governo di dare attuazione alle predette disposizioni comunitarie

nel rispetto delle seguenti indicazioni:

1) procedere al riordino dei princìpi generali di riferimento nel rispetto degli obiettivi ambientali, della tutela della concorrenza nonché del ruolo degli enti locali;

2) definire i modelli ammissibili di responsabilità estesa per i sistemi di gestione delle diverse filiere e stabilire procedure omogenee per il riconoscimento;

3) prevedere una disciplina sanzionatoria per ogni soggetto obbligato della filiera;

4) definire la natura del contributo ambientale, l’ambito di applicazione e le modalità di determinazione in relazione alla copertura dei costi di gestione, nonché prevedere adeguati sistemi di garanzia;

5) nel rispetto del principio di concorrenza, promuovere l’accesso alle infrastrutture di raccolta differenziata e selezione da parte dei sistemi di responsabilità estesa autorizzati, in condizioni di parità tra loro, ed estendere l’obbligo di raccolta all’intero anno di riferimento, indipendentemente dall’intervenuto conseguimento dell’obiettivo fissato;

6) prevedere, nell’ambito della responsabilità estesa, l’obbligo di sviluppare attività di comunicazione e di informazione univoche, chiare e immediate, ai fini della promozione e dello sviluppo delle attività di raccolta differenziata, di riutilizzo e di recupero dei rifiuti;

7) disciplinare le attività di vigilanza e controllo sui sistemi di gestione;

8) prevedere sanzioni proporzionate in relazione agli obiettivi di riciclo definiti a livello nazionale e dell’Unione europea ”.

Indicazioni innovative di grande rilevanza che non sembra siano state adempiute. Anzi, l’art. 178 bis, comma 1, fa espressamente salve le discipline vigenti di “ responsabilità estesa del produttore di cui agli artt. 217 e seguenti ” d.lgs. 152/06 in tema di imballaggi. A parte che, in realtà l’art. 217 non parla affatto di “responsabilità estesa” ma di “responsabilità condivisa”, in tal modo, non si adempie alla delega e si evita di intervenire in un settore dove sarebbe veramente urgente procedere ad una ridefinizione di tutto il sistema, soprattutto dei Consorzi, sulla base di un più attuale modello che prevede la possibilità di avere una pluralità dei soggetti che operano in regime concorrenziale per assicurare l’adempimento degli obblighi di legge e il raggiungimento degli obiettivi; assicurando, come richiede la legge delega, condizioni di parità ed eliminando, quindi, attuali posizioni di ingiustificato privilegio e di rendita di posizione (cfr. per tutti art. 224, comma 9). Mettendo al centro dei sistemi, così come prescrive la legge delega in attuazione dei princìpi dell’economia circolare, l’obiettivo di perseguire con tutti i mezzi una gestione di rifiuti ed imballaggi realmente rispettosa delle priorità comunitarie, da verificare non sulla carta ma nella realtà specie nel settore dei rifiuti urbani dove buona parte dei rifiuti che figurano raccolti in modo differenziato finisce non a riciclo ma in inceneritori, cementifici e discariche; ovvero viene smaltito illegalmente (roghi, discariche abusive, fanghi per agricoltura, esportazione in paesi non idonei ecc.).

2) Rifiuti organici

Rinviando appresso per la loro classificazione, lo schema DDL provvede in proposito sostituendo l’art. 182 ter, d.lgs. 152/06 secondo quanto disposto dalla direttiva del 2018; ma non sembra tenere conto di quanto previsto, in proposito dalla legge delega, come appare evidente dalla schema che segue, dove parte della lettera g) (sui sistemi di controllo) e tutta la lettera h) della legge delega sono ignorate:

LEGGE DELEGA

g ) al fine di garantire il raggiungimento dei nuovi obiettivi in materia di raccolta e di riciclo dei rifiuti urbani stabiliti dalle

disposizioni di cui all’articolo 1, numero 12), della direttiva (UE) 2018/851 e in attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 1,

numero 19), della medesima direttiva, prevedere che entro il 31 dicembre 2020 i rifiuti organici siano raccolti in modo differenziato su tutto il territorio nazionale, nonché misure atte a favorire la qualità dei rifiuti organici raccolti e di quelli consegnati agli impianti di trattamento nonché lo sviluppo di sistemi di controllo della qualità dei processi di compostaggio e di digestione anaerobica, predisponendo altresì sistemi di promozione e di sostegno per lo sviluppo della raccolta differenziata e del riciclo dei rifiuti organici, anche attraverso l’organizzazione di idonei sistemi di gestione dei rifiuti, l’incentivazione di pratiche di compostaggio di prossimità come quello domestico e di comunità e l’attuazione delle disposizioni dell’articolo 35, comma 2, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164;

h ) prevedere che i rifiuti aventi analoghe proprietà di biodegradabilità e compostabilità, che rispettano gli standard

europei per gli imballaggi recuperabili mediante compostaggio e biodegradazione, siano raccolti insieme ai rifiuti organici,

assicurando la tracciabilità di tali flussi e dei rispettivi dati, al fine di computare il relativo riciclo organico negli obiettivi nazionali di riciclaggio dei rifiuti urbani e dei rifiuti di

imballaggi;

TESTO DDL (da direttiva)

7 L’articolo 182 ter del decreto legislativo 3 aprile 2006,n.152, è sostituito dal seguente:

“Articolo 182 ter (Rifiuti organici)

1. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero delle

politiche agricole alimentari e forestali, le Regioni e Province autonome favoriscono,

nell’ambito delle risorse previste a legislazione vigente, il riciclaggio ivi compresi il

compostaggio e la digestione dei rifiuti organici in modo da rispettare un elevato livello di protezione dell’ambiente e che dia luogo ad un output che soddisfi pertinenti standard di elevata qualità.

2. Al fine di incrementarne il riciclaggio, entro il 31 dicembre 2023, i rifiuti organici sono

differenziati e riciclati alla fonte, a titolo esemplificativo mediante attività di compostaggio sul luogo di produzione, oppure raccolti in modo differenziato, con contenitori a svuotamento riutilizzabili o con sacchetti compostabili certificati a norma UNI EN 13432-2042, senza miscelarli con altri tipi di rifiuti e inviati agli impianti di riciclaggio

3. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, le Regioni e le Province

autonome, gli enti di governo dell’ambito ed i comuni, secondo le rispettive competenze,

promuovono le attività di compostaggio sul luogo di produzione, anche attraverso gli

strumenti di pianificazione di cui all’articolo 199 e la pianificazione urbanistica.

4. Le Regioni e le Province autonome promuovono la produzione e l’utilizzo di materiali ottenuti dai rifiuti”

3) Classificazione dei rifiuti: i rifiuti assimilati agli urbani

a) Nell’articolo 183 si aggiunge lettera b ter) per rifiuti urbani e poi (punto 9 DDL), modificando l’art. 184 sulla classificazione dei rifiuti, si abroga la attuale definizione di rifiuti urbani di cui all’art. 184, comma 2 1 , sostituendola con la lettera b ter) di cui sopra.

In tal modo si riscrive interamente la categoria dei rifiuti urbani, inserendovi, in particolare, come da art. 3 della direttiva (v. sottolineatura), “ i rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti (rispetto alla lettera a, e cioè non provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione ) che sono simili, per natura e composizione ai rifiuti domestici indicati nell’allegato L quater prodotti dalle attività riportate nell’allegato L quinquies ”; aggiungendo, quindi, rispetto alla direttiva, due allegati: l’allegato Lquater per l’“elenco dei rifiuti assimilabili ex art. 184, comma 2, lettera b)” e l’allegato Lquinquies per l’“elenco delle attività che producono rifiuti assimilabili ex art. 184, comma 2, lett. b).

Si sostituisce, così, la attuale formulazione dell’art. 184, comma 2, lett. b), secondo cui sono considerati rifiuti urbani “ i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quelli di cui alla lettera a) (che riguarda i rifiuti domestici), assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità, ai sensi dell’articolo 198, comma 2, lettera g)”

Appare, quindi, evidente, a livello letterale, che, in primo luogo, secondo il DDL possono essere considerati assimilati agli urbani anche rifiuti pericolosi (oggi esclusi); tanto è vero che nell’allegato L quater sono inseriti anche rifiuti con codici a specchio (cioè con asterisco) che possono, quindi, essere pericolosi.

In secondo luogo, dopo aver premesso che, -come, in sostanza, prevede anche la attuale normativa italiana-, si tratta di rifiuti provenienti da fonti diverse da quella domestica (cioè, locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione) si inserisce, con l’allegato L quinquies, una elencazione di attività produttive (fra cui, ad esempio, “carrozzeria, autofficina, distributori carburanti, attività industriali con capannoni di produzione…” ecc.), di cui non si comprende la ratio visto che risultano certamente comprese nella categoria generale delle fonti non domestiche.

In terzo luogo, scompare il riferimento all’art. 198, comma 2, lett.g), che, a sua volta, richiama l’art. 195, comma 2, lett. e). Scompare, cioè, almeno formalmente, l’attuale procedura secondo cui, per dichiarare un rifiuto speciale assimilato gli urbani, occorre un primo intervento, dello Stato, per la fissazione di criteri qualitativi e quali-quantitativi per l’assimilazione [art. 195, comma 2, lett. e)] 2; e poi un secondo intervento, dei Comuni per determinare in concreto, in base a questi criteri, con loro regolamento, la quantità e qualità di rifiuti assimilati nel loro territorio [art. 198, comma 2, lett. g)].

Questa procedura non viene più richiamata nella formulazione proposta dal DDL che si basa, invece, come abbiamo visto, su due nuovi allegati, non previsti né dalla direttiva né dalla legge delega, che qualificano come “assimilabili agli urbani ex art. 184, comma 2, lett. b )” molti rifiuti solo in parte coincidenti con la indicazione governativa attualmente vigente (Deliberazione del 1984, in nota 2) e provenienti da una serie di attività produttive e industriali.

Allegati che, tuttavia, non sembrano esaustivi, visto che vengono richiamati solo come indicazione per tutti i rifiuti ad essi simili per natura e composizione.

Si noti che, a questo proposito, tuttavia, la legge delega richiede “ di modificare la disciplina dell’assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani in modo tale da garantire uniformità sul piano nazionale ” [n. 7, lett. c)].

E, pertanto, sembra preferibile, per garantire tale uniformità, mantenere in capo alla Stato, così come prescrive l’art. 198, comma 2, la fissazione di criteri generali in base ai quali, così come impone la direttiva, un rifiuto non proveniente da ambito domestico possa considerarsi simile, per natura e composizione, ai rifiuti domestici; facendo riferimento, a questo scopo, all’allegato L quater ma lasciando, tuttavia, ai Comuni la facoltà di determinare eventuali limiti quantitativi, visto che la gestione dei rifiuti assimilati agli urbani compete ai Comuni (la cui capacità di gestione è spesso limitata).

4) Classificazione dei rifiuti: i rifiuti organici

A questo proposito, si deve evidenziare la problematica relativa a sfalci e potature, i quali sono rifiuti organici in base alla definizione comunitaria contenuta già nella direttiva del 2008 e oggi ripetuta in quella del 2018. Tanto è vero che, rispondendo ad una interrogazione italiana (Vignaroli e Zolezzi), Karmenu VELLA a nome della Commissione in data 21 dicembre 2016, evidenziava che “a i sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti (di seguito “la direttiva”), la definizione di “rifiuto organico” include i rifiuti biodegradabili di giardini e parchi. La Commissione ritiene che gli sfalci e le potature rientrino in tale definizione se provengono da giardini e parchi e pertanto dovrebbero essere oggetto di una corretta gestione dei rifiuti, in linea con gli obiettivi di cui all’articolo 4 e all’articolo 13 della direttiva. L’assenza di un controllo adeguato ed efficace su questo tipo di rifiuti sarebbe in contrasto con le disposizioni della direttiva . Stigmatizzando, così, la normativa italiana [art. 185, comma 1, lett. f), d.lgs. 152/06] che, in contrasto con la analoga disposizione comunitaria, escludeva sfalci e potature dall’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti.

Ciò nonostante, la situazione italiana non è sostanzialmente mutata e, pur se con qualche variazione formale dovuta alla legge europea 2018, continua ad escludere sfalci e potature dalla normativa sui rifiuti; con la conseguenza che importanti rifiuti organici che dovrebbero essere destinati – come prescrive la direttiva (con la evidenziazione espressa della Commissione UE, rafforzata da un preavviso di procedura di infrazione) e come ribadisce la legge delega – al compostaggio, vanno, invece, negli inceneritori che li ricercano per il loro potere energetico. In contrasto, ovviamente, con la gerarchia comunitaria dei rifiuti.

5) La classificazione dei rifiuti in generale

a ) Come già detto, il DDL sostituisce la categoria dei rifiuti urbani (comma 2 dell’art. 184) ma riscrive anche quella dei rifiuti speciali (comma 3 dell’art. 184), rispetto ai quali, peraltro, cita due volte, nella lettera b), il comma 2, lett. b) che, però, viene contestualmente abrogato (con tutto il comma 2) dalla lettera a); e non riporta più la categoria dei rifiuti da attività sanitarie.

b ) Aggiunge comma 5: “ La corretta attribuzione dei Codici dei rifiuti e delle caratteristiche di pericolo dei rifiuti è effettuata dal produttore sulla base delle Linee guida redatte, entro il 31 dicembre 2020, dal Sistema nazionale per la protezione e la ricerca ambientale ed approvate con decreto del Ministero dell’ambiente. ..” .

Questa formulazione non sembra accettabile e, a mio avviso, dovrebbe essere eliminata. Infatti la attribuzione dei codici del Catalogo europeo dei rifiuti è operata direttamente in sede comunitaria attraverso decisioni, regolamenti, Linee guida della Commissione e sentenze della CGCE (da ultimo sui rifiuti con codici a specchio su ricorso della Cassazione). Così come, del resto, fino ad oggi ha ritenuto il nostro paese. Tanto è vero che, non a caso, l’art. 6, lett. c) del DDL in esame vuole abrogare l’art. 9 Decreto-Legge sul Mezzogiorno, convertito con modificazioni dalla l. 3 agosto 2017, n. 123 secondo cui, correttamente, “ La classificazione dei rifiuti è effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente codice CER ed applicando le disposizioni contenute nella decisione 2014/955/UE e nel regolamento (UE) n. 1357/2014 della Commissione, del 18 dicembre 2014 ”.

Nulla vieta che vi siano anche, come ausilio, linee guida italiane ma deve essere evidenziato che non sono esse la fonte primaria ed esclusiva cui rivolgersi per l’attribuzione dei codici CER.

6) EoW, fine rifiuto

Il testo dell’articolo 184 ter sul fine rifiuto risulta recentemente modificato con l’art. 14 bis, D.L. 101/2019 convertito con legge 128/2019, il quale ha già recepito, in armonia con la nuova direttiva, le due indicazioni specifiche di modifica contenute nella legge delega [lett. e), nn. 1 e 2].

Tuttavia, la legge delega prevede anche indicazioni generali in tema di riordino delle competenze che sembrano totalmente dimenticate dal DDL con riferimento a EoW.

Infatti, l’art. 16, comma 1, lett. m) della legge delega richiede espressamente di:

procedere a una razionalizzazione complessiva del sistema delle funzioni dello Stato e degli enti territoriali e del loro riparto, nel rispetto delle seguenti indicazioni: OMISSIS

5) con riferimento alle competenze dello Stato :

5.1) mantenere o comunque assegnare allo Stato le funzioni per le quali sussiste l’esigenza di un esercizio unitario di livello nazionale in ragione dell’inadeguatezza dei livelli di Governo territorialmente più circoscritti a raggiungere efficacemente gli obiettivi ;

5.2) mantenere o comunque assegnare allo Stato le funzioni volte alla fissazione di standard, criteri minimi o criteri di calcolo che devono essere necessariamente uniformi in tutto il territorio nazionale, anche in riferimento ai sistemi di misurazione puntuale e presuntiva dei rifiuti prodotti e alla raccolta differenziata dei rifiuti;

5.3) provvedere alla definizione di linee guida sui contenuti minimi delle autorizzazioni rilasciate ai sensi degli articoli 208, 215 e 216 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 1 52 ”.

In proposito, il Consiglio di Stato, Sez. IV, 28 febbraio 2018, n. 1229/2018 reg. prov. coll., ha evidenziato che, in base al dettato ed alla giurisprudenza costituzionale, la competenza per la fissazione dei criteri EoW non può che far capo allo Stato in quanto “ la previsione della competenza statale in materia di declassificazione ‘caso per caso’ del rifiuto appare del tutto coerente, oltre che con la citata direttiva UE, anche con l’art. 117, comma secondo, lett. s ) della Costituzione che, come è noto, attribuisce alla potestà legislativa esclusiva (e, dunque, anche alla potestà regolamentare statale), la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. È del tutto evidente che, laddove si consentisse ad ogni singola Regione, di definire, in assenza di normativa UE, cosa è da intendersi o meno come rifiuto, ne risulterebbe vulnerata la ripartizione costituzionale delle competenze tra Stato e Regioni ”.

L’attuale art. 184 ter, invece, consente, al comma 3, che la definizione dei criteri per EoW possa essere fatta dalle Regioni attraverso le “ autorizzazioni di cui agli artt. 208, ()”. E pertanto, non prevedendo alcun intervento dello Stato, neppure come linee guida per le Regioni e neppure per le autorizzazioni di cui all’art. 208, si pone in contrasto insanabile ed evidente rispetto alle richiamate indicazioni della legge delega, alla Costituzione, alla giurisprudenza costituzionale e a quella del Consiglio di Stato 3.

7) Il deposito temporaneo di rifiuti

Attualmente la disciplina del deposito temporaneo è prevista dall’art. 183, d.lgs. 152/06 ma non dalla direttiva, la quale (art. 3, n. 10) cita solo, fra le definizioni, il “ deposito preliminare al fine del trasporto dei rifuti presso un impianto di trattament o ”.

In sostanza, si tratta di un deposito dei rifiuti presso il luogo di produzione per il tempo strettamente necessario all’avvio a smaltimento o recupero e che, proprio per questa provvisorietà, in Italia può essere effettuato liberamente, in deroga alla regola comunitaria per cui ogni operazione di gestione di rifiuti deve essere preventivamente autorizzata dall’autorità competente. Deroga che, quindi, essendo “libera”, dovrebbe essere ridotta al minimo onde evitare pericoli per la salute e per l’ambiente.

Con il DDL l’art. 183 viene interamente trasferito nel (nuovo) art. 185 bis che, sostanzialmente, prevede le stesse modalità e condizioni di prima e, in particolare , che “ 2) i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all’anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno) ”.

Tuttavia, recentemente con il decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con legge 24 aprile 2020, n. 27, c.d. “Curaitalia” , emanato per far fronte alla emergenza Covid 19, sono state raddoppiate le quantità (mc 60 di cui 10 per pericolosi) e il termine massimo è stato aumentato a 18 mesi. E non per il periodo dell’emergenza Covid ma in via permanente. Di modo che oggi, e senza limitazioni temporali per l’emergenza, è consentito depositare nel luogo di produzione, senza richiedere alcuna autorizzazione (e, quindi, senza le prescrizioni dell’autorizzazione e senza comunicazione alla P.A.), rifiuti fino a 60 metri cubi (di cui 20 pericolosi) e fino a 18 mesi, purché, in sostanza, ciò avvenga senza commistioni e per categorie omogenee; e, quanto ai rifiuti pericolosi, rispettando solo le norme tecniche per etichettatura, deposito ed imballaggi di rifiuti pericolosi. In totale contrasto, peraltro, con l’art. 2, d.lgs. 36/2003, comma 1, lett. g) (sulle discariche) che qualifica addirittura come discarica “ qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno ”.

Ovviamente, il testo contenuto nel DDL (art. 185 bis) non tiene conto di questa recentissima modifica; e pertanto occorre decidere se modificarlo per adeguarlo ad essa ovvero (come sembra preferibile) abrogare le modifiche del Curaitalia o, quanto meno, limitarle al periodo dell’emergenza Covid.

8) Il registro di carico e scarico dei rifiuti

Il DDL vuole limitare l’obbligo dei registri ai soli soggetti indicati nella direttiva, mentre l’attuale art. 190 ne contiene un ambito più ampio.

Premesso che uno Stato membro può sempre adottare disposizioni più cautelative, si tratta di valutare se non sia preferibile non modificare il testo attuale onde non indebolire un obbligo relativo alla tracciabilità.

In ogni caso, se si decide di limitarsi al solo dettato comunitario, è opportuno aggiungere anche le imprese che “raccolgono” (oltre che trasportano) rifiuti pericolosi a titolo professionale, così come impone l’art. 35 della direttiva.

9) Le regole per il calcolo degli obiettivi di recupero e riciclaggio

Sono previste dal (nuovo) art. 205 bis. In proposito, si suggerisce di prevedere con chiarezza che un rifiuto può essere computato come riciclato solo se viene fornita la prova dell’avvenuto riciclo, anche quando i rifiuti vengono esportati fuori Italia [lett. d) ed e)]; nonché di prevedere appositi controlli mirati onde dare attuazione a quanto richiesto dalla legge delega circa la disciplina delle attività di vigilanza e di controllo.

SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO RECANTE ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA (UE) 2018/850, CHE MODIFICA LA DIRETTIVA (CE) 1999/31 RELATIVA ALLE DISCARICHE DI RIFIUTI (A.G. 168)

1) Criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica

Lo schema DDL modifica l’art. 7, d.lgs. 36/ 2003 prevedendo, tra l’altro, che per accertare l’ammissibilità dei rifiuti nelle discariche si debba procedere al campionamento e alle determinazioni analitiche per la caratterizzazione di base dei rifiuti, nonché alla verifica di conformità. Indagini che sono a carico del gestore della discarica e sono effettuate “da persone ed istituzioni indipendenti e qualificate , tramite laboratori accreditati” (comma 4).

Trattasi di dizione generica, che abbisognerebbe di ulteriori precisazioni onde garantire indipendenza, uniformità ed adeguatezza di tali indagini che sono molto rilevanti anche ai fini della responsabilità.

Altrimenti, potrebbe essere preferibile cancellarla.

2) Discariche per rifiuti inerti

La direttiva [art. 6, lett. d)] prevede, in proposito che “ le discariche per rifiuti inerti siano utilizzate esclusivamente per rifiuti inerti ” e l’art. 7 del d.lgs. 36/2003 ripete, in sostanza, la medesima dizione, aggiungendo che deve trattarsi di rifiuti inerti “ che soddisfano i criteri della normativa vigente”.

Il DDL (art. 7 quater ) invece allarga molto questa dizione, con 3 commi.

Si dovrebbe valutare se questo allargamento sia veramente necessario o se non sia meglio lasciare la chiara dizione attuale (della direttiva e del d.lgs. 36)

3) Discariche per rifiuti non pericolosi

Il nuovo art. 7 quinquies , comma 4, stabilisce che in discariche per rifiuti non pericolosi sono smaltiti rifiuti non pericolosi che rispettano i limiti della tabella 5 bis dell’allegato 4 (limiti di accettabilità dei rifiuti non pericolosi).

Questo comma viene richiamato dalla lettera p) dell’art. 1, DDL la quale aggiunge all’art. 17 (disposizioni transitorie e finali) un comma 7 bis secondo cui “i limiti di cui alla tabella 5 , nota lettera h) dell’allegato 4” (limiti di concentrazione nell’eluato relativi ai fanghi prodotti dal trattamento delle acque reflue urbane) si applicano a partire dal 1 gennaio 2024, “ ai sensi dell’art. 7 quinquies, comma 4”.

Trattasi di disposizione che, con questa formulazione, non ha senso: sia perché confonde la tabella 5 con la tabella 5 bis sia perché richiama il comma 4 dell’art. 7 quinquies che non prevede alcuna deroga o proroga. E, sotto il profilo sostanziale, non si capisce, comunque, perché si vogliano posporre i limiti per i fanghi di depurazione, rispetto ai quali la legge delega imponeva addirittura una riscrittura immediata di tutta la normativa, cui il DDL non adempie.

4) Allegati: la barriera geologica artificiale

Le lettere q) e) r) del DDL sostituiscono gli allegati 1 e 2 oggi in vigore e aggiungono gli allegati da 3 a 8. Trattasi di allegati, prevalentemente di tipo tecnico, che non trovano riscontro né nella Direttiva da recepire né nella legge delega e che, tuttavia, costituiscono le modifiche più rilevanti apportate alla normativa vigente con notevoli ripercussioni a fini di tutela ambientale.

Particolarmente significativa, in proposito, appare la vicenda relativa all’obbligo di una barriera geologica tale da garantire la protezione del suolo, delle acque superficiali e, soprattutto, di quelle sotterranee, imposto dalla normativa comunitaria, la quale precisa che, qualora la barriera geologica non sia sufficiente, “ può essere completata artificialmente e rinforzata con modalità diverse che forniscano una protezione equivalente ” (allegato 1, 3.1, direttiva 1999/31 lasciato invariato dalla direttiva 2018/850 cui si deve dare attuazione). Dizione trasposta in Italia dall’allegato 1, 2.4.2, d.lgs. 36/2003 secondo il quale “ la barriera geologica, qualora non soddisfi naturalmente le condizioni di cui sopra, può essere completata artificialmente attraverso un sistema barriera di confinamento opportunamente realizzato che fornisca una protezione equivalente ”.

Appare, quindi, del tutto evidente che si impone il requisito essenziale della esistenza di una barriera geologica naturale che, al massimo può essere rafforzata e completata da una aggiunta artificiale.

Il DDL, invece, riformulando di sua iniziativa l’allegato 1 del d.lgs. 36/2003, afferma che “ la protezione del suolo, delle acque sotterranee e delle acque superficiali deve essere garantita dalla presenza di una barriera geologica naturale o artificiale ” (punto 1.2.1), e, se pure nei punti successivi parli solo di “ completamento artificiale”, sembra, comunque, avallare l’opinione espressa in una isolata e non approfondita sentenza del Consiglio di Stato del 2013, della equivalenza, sotto il profilo delle garanzie ambientali, tra la barriera geologica naturale e la barriera artificiale.

Il che aprirebbe la strada ad un proliferare di discariche in ogni luogo con rilevanti pericoli per l’ambiente e la salute, come, peraltro evidenziato a Roma quando, anni fa, una rottura del polder della discarica di Malagrotta provocò pericolo di inquinamento delle falde acquifere.

E con buona pace del principio comunitario finalizzato, in aderenza alla gerarchia sui rifiuti, alla eliminazione delle discariche.

Sarebbe, quindi, opportuno, eliminare dal DDL questa modifica evitando, comunque, di modificare gli allegati lasciati invariati dalla direttiva stessa; e verificare la congruità, anche tecnica, di tutti gli allegati (italiani) non previsti dalla direttiva in recepimento.

1 Art. 184 (classificazione)

1. Ai fini dell’attuazione della parte quarta del presente decreto i rifiuti sono classificati, secondo l’origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali e, secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi.

2. Sono rifiuti urbani: a) i rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione; b) i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quelli di cui alla lettera a ), assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità, ai sensi dell’articolo 198, comma 2, lettera g); c) i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade; d) i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua; e) i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali; f) i rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli di cui alle lettere b), c) ed e).

2 Deliberazione del 27 luglio 1984 del Comitato interministeriale di cui all’art. 5 del d.p.r. 915/1982

(Disposizioni per la prima applicazione dell’art. 4 del d.p.r. 10 settembre 1982, n. 915 concernente lo smaltimento dei rifiuti).

punto 1.1: Criteri generali per l’assimilabilità dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani

punto 1.1.1: Possono essere ammessi allo smaltimento in impianti di discarica per urbani se rispettano le seguenti condizioni:

a ) abbiano una composizione merceologica analoga a quella dei rifiuti urbani o, comunque, siano costituiti da manufatti e materiali simili a quelli elencati nel seguito a titolo esemplificativo :

imballaggi in genere (di carta, cartone, plastica, legno, metallo e simili);

contenitori vuoti (fusti, vuoti di vetro, plastica e metallo. latte e lattine e simili);

sacchi e sacchetti di carta o plastica; fogli di carta, plastica, cellophane; cassette, pallets;

accoppiati quali carta plastificata, carta metallizzata, carta ade­siva, carta catramata, fogli di plastica metallizzati e simili;

frammenti e manufatti di vimini e di sughero;

paglia e prodotti di paglia;

scarti di legno provenienti da falegnameria e carpenteria, tru­cioli e segatura;

fibra di legno e pasta di legno anche umida, purché palabile;

ritagli e scarti di tessuto di fibra naturale e sintetica, stracci e juta;

feltri e tessuti non tessuti;

pelle e simil-pelle:

gomma e caucciù (polvere e ritagli) e manufatti composti prevalentemente da tali materiali, come camere d’aria e copertoni;

resine termoplastiche e termoindurenti in genere allo stato solido e manufatti composti da tali materiali;

rifiuti ingombranti analoghi a quelli di cui al punto 2 del terzo comma dell’art. 2, d.p.r. n. 915/1982;

imbottiture, isolanti termici e acustici costituiti da sostanze naturali e sintetiche, quali lane dl vetro e di roccia, espansi plastici e minerali, e simili;

moquettes, linoleum. tappezzerie. pavimenti e rivestimenti in genere;

materiali vari in pannelli (di legno, gesso, plastica e simili);

frammenti e manufatti di stucco e di gesso essiccati;

manufatti di ferro tipo paglietta metallica, filo di ferro, spugna di ferro e simili;

nastri abrasivi;

cavi e materiale elettrico in genere;

pellicole e lastre fotografiche e radiografiche sviluppate;

scarti in genere della produzione di alimentari, purché non allo stadio liquido, quali ad esempio scarti di caffè, scarti dell’industria molitoria e della pastificazione, partite di ali­mentari deteriorati, anche inscatolati o comunque imballati, scarti derivanti dalla lavorazione di frutta e ortaggi, caseina, sanse esauste e simili;

scarti vegetali in genere (erbe, fiori, piante, verdure ecc.), anche derivanti da lavorazione basate su processi meccanici (bucce, baccelli, pula, scarti di sgranatura e di trebbiatura, e simili):

residui animali e vegetali provenienti dall’ estrazione di princìpi attivi.”

3 Per completezza, anche se non riguarda l’oggetto della delega, si segnala che potrebbe essere opportuno richiamare con rinvio espresso o aggiungere nell’art. 184 ter , d.lgs. 152/06 alcune importanti disposizioni relative alla normativa EoW contenute nell’art. 14 bis della legge 128/2019 (e non aggiunte all’art. 184 ter ) e precisamente, almeno i seguenti commi:

4. Le autorità competenti provvedono agli adempimenti di cui all’articolo 184-ter, comma 3-septies, secondo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto relativamente alle autorizzazioni rilasciate, per l’avvio di operazioni di recupero di rifiuti ai fini del citato articolo 184-ter, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

7. Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti di cui all’articolo 184 ter , comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006, i titolari delle autorizzazioni di cui agli articoli 208, 209 e 211 e di cui al titolo III bis della parte seconda del predetto decreto legislativo, rilasciate o rinnovate successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, nonché coloro che svolgono attività di recupero in base ad una procedura semplificata avviata successivamente alla predetta data di entrata in vigore, presentano alle autorità competenti istanza di aggiornamento alle disposizioni definite dai decreti predetti. La mancata presentazione dell’istanza di aggiornamento, nel termine indicato dal periodo precedente, determina la sospensione dell’attività oggetto di autorizzazione o di procedura semplificata.

8. Le autorizzazioni di cui agli articoli 208, 209 e 211 e di cui al titolo III bis della parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006, in essere alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto o per le quali è in corso un procedimento di rinnovo o che risultano scadute ma per le quali è presentata un’istanza di rinnovo entro centoventi giorni dalla predetta data di entrata in vigore, sono fatte salve e sono rinnovate nel rispetto delle disposizioni di cui all’articolo 184 ter , comma 3, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. In ogni caso si applicano gli obblighi di aggiornamento di cui al comma 7, nei termini e con le modalità ivi previste.

9. Gli obblighi di comunicazione di cui al comma 3 bis dell’articolo 184 ter del decreto legislativo n. 152 del 2006 si applicano anche alle autorizzazioni già rilasciate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Le autorità competenti effettuano i prescritti adempimenti, nei confronti dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), nel termine di centoventi giorni dalla predetta data di entrata in vigore.

pubblicato su www.osservatorioagromafie.it del 29 maggio 2020 si ringraziano Autore ed Editore